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9. Bello e impossibile

Il vestito color ghiaccio tempestato di minuscole pietre scintillanti era pesante e le si attaccava alle gambe a ogni passo. Le spalline sottili sorreggevano un corpetto aderente che le fasciava il corpo fino alla vita per poi scendere più morbido sui fianchi. Quando glielo avevano fatto vedere se ne era innamorata all'istante, ma ora lo odiava un po'. Le era di impaccio mentre si muoveva veloce tra i tavoli per controllare che fosse tutto a posto.

La sala ricevimenti dell'hotel "Reale Sforza" era grande abbastanza da contenere i duecento invitati, i tavoli rotondi erano stati sparsi per tutta la sala e sul fondo era stato posizionato un piano rialzato per il piccolo palco, dove in quel momento si stavano affaccendando dei tecnici per sistemare il microfono e il proiettore.

Per richiamare il bordo dorato delle sedie imbottite color tortora scuro, Amara aveva scelto dei piatti con decorazioni dorate e posate anch'esse dorate su una tovaglia bianca. Dei portacandele circolari, metà bianchi e metà oro erano stati messi al centro dei tavoli.

Quel colore non le piaceva più. Le stava facendo venire la nausea, non aveva niente di elegante, sembrava piuttosto pacchiano.

Fece un profondo respiro, rendendosi conto che era troppo tesa. La tensione le si era accumulata tutta sulle spalle e non sarebbe sparita fino a quando non si sarebbe conclusa l'asta di beneficenza. Era sempre così ogni volta che organizzava una serata di beneficenza per la sua associazione.

Ci teneva alla riuscita dell'evento, ci aveva lavorato in ogni momento libero, di notte, durante le pause tra una sfilata e un servizio fotografico.

La fondazione "Tela de luz" era la sua creazione più bella, vi avrebbe dedicato sempre tutta se stessa. Le piaceva che fosse tutto in ordine, ma era importante che si raggiungesse una cifra elevata per poter aiutare i bambini senza una famiglia e quelli delle zone più povere a crescere dignitosamente e metterli nelle condizioni di avere un futuro migliore.

Lasciò la sala e si infilò nel corridoio che portava all'ingresso, dove c'erano le sue assistenti intente a controllare gli inviti dei primi arrivati. Osservò le pellicce delle signore, i capelli perfetti, i vestiti costosi. I colletti inamidati dei signori, i preziosi gemelli ai polsini, le scarpe lucide. I ricchi adoravano le serate di beneficenza. Erano uno sfoggio ulteriore della loro ricchezza e facevano a gara a mostrare quanto denaro potevano regalare a cuor leggero.

Amara sorrise mentre le passavano davanti. Non poteva che essere grata alla loro vanità, era grazie a essa che la sua fondazione poteva andare avanti.

Intravide sua sorella Deva tra le persone accalcate all'ingresso e le fece segno con la mano perché la raggiungesse. Non c'era bisogno che si fermasse a mostrare l'invito. Qualche istante dopo, dietro di lei comparve Theo. Quei due cominciavano a essere snervanti per quanto erano perfetti insieme. Theo, in smoking nero, guidava Deva con un tocco leggero ma protettivo sulla vita e lei era raggiante nel suo vestito lungo rosso Valentino. Stare vicino a quei due troppo tempo poteva essere pericoloso. Potevano far venire voglia di vivere un amore come il loro.

«Te lo avevo detto che ti sarebbe stato bene» disse Amara a sua sorella, stringendola in un abbraccio. Era la sua spacciatrice ufficiale di vestiti, ne aveva tantissimi e ne riceveva di nuovi ogni settimana, e sua sorella aveva più o meno la sua stessa taglia. Si scostò di un passo per poterla guardare bene. Beh, Deva non era costretta a seguire una dieta ferrea come lei e il vestito le si stringeva sui punti giusti, mettendo in risalto tutte le sue curve, in particolare i suoi seni pieni. Era stupenda, sensuale, da capogiro.

«Non pensi che sia eccessivo?»

Amara scosse la testa mentre Theo la baciava sulla guancia. «È perfetto.»

«Abbiamo rischiato di non venire più per colpa di questo vestito» fece notare lui.

Amara alzò gli occhi al cielo mentre Deva arrossiva leggermente sotto lo sguardo di Theo. Sembravano due ragazzini con gli ormoni fuori controllo.

«Anche tu stai molto bene» gli disse, facendo scivolare lo sguardo sul completo Armani per soffermarlo sulle scarpe. Per fortuna indossava un paio di scarpe classiche e non quelle orrende scarpe da ginnastica che i calciatori amavano indossare sempre, anche sotto ai vestiti eleganti.

Theo le prese la mano e le fece fare una giravolta su se stessa per poterle ammirare l'abito. «Sei tu la regina della serata.» Il suo sorriso era identico a quello di Lucas.

Le sarebbe piaciuto se ci fosse stato anche lui. Lucas adorava quel genere di eventi, si divertiva a prendere in giro tutti e a scandalizzare le signore con battute allusive e poco signorili. Ma non lo aveva invitato perché sapeva che non sarebbe potuto andare. Comunque lo avrebbe rivisto di lì a una settimana, quando sarebbe andata a Parigi per la settimana della moda. Era il loro appuntamento fisso.

«Come stai?» le chiese Deva. I suoi occhi indugiarono nel punto in cui le si era formato il livido dopo lo schiaffo di Grigorij. Lo aveva raccontato a sua sorella il giorno dopo. Era stato inevitabile, si erano viste e il livido era ancora lì, ancora più scuro, orrendo e dolorante. Avevano dovuto fare un miracolo per coprirlo quando aveva sfilato nel pomeriggio. C'era ancora sotto al trucco. E faceva ancora male, ogni volta che sorrideva e la guancia si tirava. Un monito. Aveva giocato troppo col fuoco e si era bruciata.

Né Deva né Theo erano riusciti a convincerla a fare una denuncia per tenere a distanza Grigorij. Amara era convinta che non si sarebbe fatto più vedere.

«Sto bene. Venite a sedervi.»

Fece strada fino alla sala e li lasciò alla ragazza in elegante abito da sera scuro che accompagnava gli ospiti ai loro tavoli. Girandosi, andò quasi a finire sulla persona che stava entrando dietro di lei. Si bloccò in tempo e alzò gli occhi su di lui per scusarsi, ma il sorriso le si congelò sulle labbra. Gli occhi le si riempirono di stupore, il cuore iniziò a batterle forte e il cervello andò in confusione.

Come...? Che ci faceva lì?

Anche lui la guardò confuso, come se proprio non si aspettasse di trovarla lì, il che era ridicolo visto che lei era il presidente della fondazione.

Zlatan fu il primo ad accennare un sorriso. «Ciao, Amara.» Anche il suo sguardo andò dritto alla guancia di Amara e lei dovette soffocare l'istinto di coprirsi con una mano. Tra tutte le persone che conosceva proprio Zlatan aveva dovuto assistere alla sua umiliazione.

«Che ci fai qui?» chiese, con una certa durezza nella voce.

«Sono stato invitato» rispose lui, sollevando l'invito che aveva in mano e aggrottando leggermente la fronte, forse sorpreso dal tono di Amara.

Lei batté le palpebre, fissando il cartoncino con la scrittura elegante che invitava a partecipare all'asta di beneficenza e alla successiva cena. Come era possibile che fosse stato invitato? Chi lo aveva invitato? Certamente non lei.

«Ma certo» disse, spostandosi dalla porta. «Prego, accomodati.»

Ma Zlatan non si mosse. Continuò a fissarla tanto che Amara fu costretta ad alzare di nuovo gli occhi su di lui. Le mancò il respiro per l'intensità dello sguardo di Zlatan e per quello che vi lesse dentro. Che la riscaldò di desiderio e infiammò di rabbia allo stesso tempo. Perché la guardava così se poi la respingeva quando lei provava ad avvicinarsi? Il giorno dopo l'incidente con Grigorij, Zlatan ci era andato alla sfilata di Amara, ma se ne era andato senza nemmeno salutarla e lei lo aveva saputo solo perché le era capitata sotto agli occhi la lista dei presenti e aveva letto il suo nome.

«Stai lavorando qui, stasera?» domandò lui.

Amara indurì la mascella. «Sono l'organizzatrice. La Tela de Luz è la mia fondazione.»

Gli occhi di Zlatan si allargarono un po' di più e un sorriso che non aveva mai visto sulle sue labbra gli illuminò il viso. Sembrava colpito e sinceramente interessato. «Non lo sapevo.»

Quella reazione non piacque ad Amara. Si rabbuiò, la tensione tornò a contrarle i muscoli delle spalle. Che cosa voleva insinuare con quel "Non lo sapevo"? Credeva che fosse la classica sciocca ragazza ricca che pensa solo ai vestiti e alle vacanze? Pensava anche ai vestiti e alle vacanze, la moda era la sua vita e le piaceva la libertà che le concedevano tutti i soldi che guadagnava. Ma non era superficiale.

«Penso che sia una nostra responsabilità aiutare chi è meno fortunato di noi.» Fece un altro passo indietro, allontanandosi dalla porta e da lui.

«Penso lo stesso» rispose Zlatan, notando il suo cambio di umore. «Vado a prendere posto.»

«Ci vediamo dopo.»

Amara marciò in direzione delle sue collaboratrici.

Uno sbuffo incontrollato le uscì dal naso mentre si allontanava. Zlatan aveva quell'assurda capacità di farle pulsare forte il sangue per l'attrazione che provava e farla innervosire per il suo modo di fare.

E non sapeva nemmeno perché si stava innervosendo così tanto. Da quando le importava quello che gli altri pensavano di lei? Era la seconda volta che le capitava con Zlatan. Al Tempio degli eredi l'aveva fatta sentire una puttanella arrapata in cerca di uomini. Ora si mostrava sorpreso che avesse a cuore il benessere di persone meno fortunate.

Espirò forte, si diede una sistemata al vestito e raggiunse la sua assistente. Fanculo lui e la sua mentalità rigida e piena di preconcetti.

«Chi ha invitato Zlatan Ibrahimovic?» Riuscì a contenere il tono adirato solo perché c'era una fila interminabile di persone davanti a lei.

Diana, la segretaria della fondazione, la guardò con la preoccupazione negli occhi. Si avvicinò al suo viso e abbassò la voce. «Sono stata io. Non dovevo? Era sulla lista che mi avevano stilato sulle persone più ricche di Milano...»

Amara strinse gli occhi e cercò di respirare lentamente per calmarsi. «No, hai fatto bene. È tutto a posto. Solo che... Non lo sapevo.»

«Ti ho inviato l'elenco degli invitati una settimana fa.» Diana la guardò perplessa e poi afferrò il tablet, cliccando sulla sua casella di posta.

Amara le bloccò il polso. «Non è colpa tua, Diana. Non ci ho prestato attenzione.» Sorrise, sospirò piano per alleviare la tensione. «Vicino a chi è seduto?»

Diana cliccò su un file e si aprì la piantina della sala con la disposizione dei tavoli. «Tua sorella, il signor Faldini e la marchesa Savorgnan de Montefeltro.»

«La marchesa Savorgnan de Montefeltro?» chiese, improvvisamente rianimata, col sorriso che si andava allargando sulle labbra. «Sei un genio.» Le scoccò un bacio sulla guancia e tornò verso la sala.

La marchesa Savorgnan de Montefeltro era una vedova attempata alla quale piacevano gli uomini più giovani di lei. Sarebbe stato divertente guardarla provarci spudoratamente con Zlatan, lui era proprio il suo tipo. E sarebbe stato interessante vedere come avrebbe reagito lui. Si meritava le attenzioni della marchesa per tutta la serata.

Tornò nella sala. Si stava riempiendo e il vociare era sempre più intenso.

Sentì qualcuno sfiorarle il braccio e si voltò. Un ragazzo biondo, i capelli corti e ordinati, rasato, con un profumo intenso e virile le circondò la vita e avvicinò il viso al suo per salutarla.

«Amara.»

«Gabriel.»

Sorrise, lasciandosi baciare sulla guancia dal ragazzo. Gabriel Ventura era il figlio di un vecchio amico di suo padre, nonché unico erede di un'azienda che produceva vasche per piscine olimpioniche ed esportava in tutto il mondo.

«Che bella che sei.»

«Sei da solo?» chiese lei, passandogli le mani sulle spalle. «Da quanto tempo non ci vediamo.»

C'era stato un periodo in cui si erano frequentati spesso, lui, sua moglie Costanza, Amara e altri amici. Gabriel la lasciò e infilò le mani in tasca.

«Sì, sono solo.»

«Tua moglie?»

Un guizzo della mascella e un lampo negli occhi. Gabriel spostò lo sguardo verso la sala. «Abbiamo preso strade diverse.»

«Che dici...» Amara lo fissò. La stava prendendo in giro? Gettò un'occhiata alla fila vicino al bancone, certa di trovare Costanza, ma lei non c'era. Tornò a guardare Gabriel. «Da quando?»

«Magari una sera di queste beviamo qualcosa insieme e ti racconto.» Le accarezzò il braccio.

«Certo, va bene.»

Gabriel si allontanò insieme alla ragazza vestita di nero, che lo accompagnò al suo posto. Costanza e Gabriel stavano insieme da sempre, si erano conosciuti sui banchi di scuola. Era stato un amore contrastato all'inizio, Costanza veniva da una famiglia di operai mentre Gabriel apparteneva alla borghesia milanese, per la quale l'apparenza era tutto. Ma nessuno era riuscito a separarli e alla fine si erano sposati. Amara non avrebbe mai immaginato che potessero lasciarsi. Gabriel e Costanza facevano parte di quella piccola percentuale che costituiva l'eccezione alla sua regola, che adesso stavano confermando: l'amore non esiste, è solo una favoletta che ci piace raccontarci.

Continuò a seguire Gabriel con lo sguardo fino a quando non lo vide accomodarsi al tavolo davanti al palco. La delusione doveva essere tanta dopo una vita passata insieme.

Involontariamente, lo sguardo si spostò su Zlatan. Anche lui aveva chiuso una storia lunghissima, nella quale non c'era mai stato un momento di tradimento, da come le aveva detto.

Era possibile?

Sì. Zlatan era un uomo tutto d'un pezzo, uno che non cadeva facilmente in tentazione.

Soffermò lo sguardo sulle sue mani grandi che lisciavano la cravatta mentre parlava con Theo. La curva delle sue labbra arricciate in un sorriso. Era bello. Bello e impossibile, ormai se ne era fatta una ragione. La sua voglia di scoprire che tipo di amante potesse essere era destinata a restare insoddisfatta.

Si avviò verso il palco. Mancava poco meno di mezz'ora all'inizio della serata. Maurizio Liguori, il banditore d'aste, un uomo sulla cinquantina, dai capelli brizzolati e il naso affilato, stava sistemando gli ultimi dettagli con i tecnici. In mano stringeva una cartellina con la lista di beni che erano stati scelti per l'asta.

Amara diede un'altra occhiata alla sala per controllare quante persone mancavano. Proprio in quel momento la marchesa Savorgnan de Montefeltro si accomodò accanto a Zlatan. Notò lo sguardo di lei che si accendeva di interesse, il sorriso, che voleva essere ammaliante, che rivolse a lui. Zlatan le porse la mano e sorrise cortese. Vide un lampo di divertimento nello sguardo che Theo e Zlatan si scambiarono. Zlatan poggiò la schiena contro la sedia e afferrò il telefono, muovendo le dita sullo schermo. Poi alzò gli occhi e sbirciò per la sala fino ad incontrare lei. Amara si sentì incatenata a quei suoi occhi scuri, tanto da desiderare che nella mente di lui non ci fosse che lei. Che quando non la vedeva non faceva che pensare a lei. Che un po' si struggesse, immaginandola con un altro.

Batté le palpebre e guardò in un'altra direzione. Perché ci teneva tanto a essere nei suoi pensieri? Era solo uno dei tanti uomini attraenti che catturavano il suo interesse. Ma forse no. Zlatan non era proprio come gli altri uomini. Zlatan non desiderava portarsela a letto solo perché era bella, solo perché era una modella famosa, solo perché era la figlia di Chaima Ramirez.

Qualche tavolo più avanti, anche Gabriel la stava guardando. Non l'aveva mai guardata in quel modo. Prima c'era Costanza. Ora era solo e Amara poteva quasi leggere i pensieri che gli passavano per la mente tanto era trasparente il suo sguardo. Le sorrise mentre fingeva di ascoltare le parole di chi gli sedeva accanto e lei ricambiò.

Un pensiero le si stava formando nella mente.

Si avvicinò a Maurizio e gli sfilò la cartellina dalle mani, prendendo una penna poggiata sul tavolo lì vicino.

«Dobbiamo aggiungere un'altra cosa.» Scribacchiò in fondo al foglio e restituì la cartellina a Maurizio.

Lui sollevò un sopracciglio leggendo l'ultimo "bene" aggiunto all'asta. «Vediamo quanto riuscirai a ricavarne.» Le strizzò l'occhio.

Amara si voltò di nuovo a guardare i due uomini.

La serata era appena diventata interessante e lei aveva una gran voglia di giocare.

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