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8. Soltanto un capriccio

Il nervosismo vibrava ancora sotto la pelle di Zlatan quando scese dall'auto nel garage del palazzo dove viveva Amara. Si guardò intorno attentamente mentre raggiungeva la ragazza.

«Grigorij non c'è» disse lei, dopo aver passato lo sguardo tra le macchine.

Ma Zlatan continuava a non essere tranquillo. Per di più, adesso Amara appariva più triste che mai e sospettava che fosse un po' anche colpa sua. Ma non era pentito di averla respinta, non era così che si risolvevano le cose, gettandosi immediatamente tra le braccia di un altro.

«Ha le chiavi di casa tua?» domandò, chinandosi per toglierle dalle mani la grossa busta con dentro le cose che aveva lasciato da Ivanov.

«No.»

Annuì. «Ti accompagno sopra.»

Amara sbuffò. «Non è di sopra, Zlatan.»

Zlatan inarcò le sopracciglia. «L'altro giorno eri impaziente di farmi venire a casa tua e adesso che sono qui non mi vuoi far salire?»

«Quindi è così, vuoi salire da me.» Lo sguardo che gli rivolse Amara era civettuolo e un guizzo che sapeva di vittoria passò in quelle bellissime iridi marroni.

Lei non sapeva quanto il pentimento per non essere andato da lei dopo il loro bacio aveva roso l'animo di Zlatan, accentuando il desiderio di averla. Si fece serio.

«Per accertarmi che tu sia al sicuro» chiarì. E per stare un altro po' con lei, perché non voleva lasciarla da sola.

Lei sorrise e si incamminò. «Lo vedi che sei un perfetto cavaliere? E c'è chi dice che sei arrogante e presuntuoso. Non hanno conosciuto il vero Zlatan.»

«Sono anche arrogante e presuntuoso.»

«Oh, lo so. Non credere che abbia dimenticato quello che mi hai detto al Tempio degli Eredi.»

Si infilarono nell'ascensore. Amara si appoggiò con le spalle alla parete vicino ai pulsanti e Zlatan alla parete opposta. Aggrottò la fronte, la testa bassa, evitando di guardarla.

«Ti ho chiesto scusa per quello, mi pare.»

«Ma non sono sicura di averti perdonato.»

Zlatan alzò gli occhi, la mascella contratta. Non gli piaceva ripensare a quella sera, al modo in cui Amara lo aveva fatto sentire. Una preda, un bocconcino appetitoso a cui era sfuggito completamente il controllo della situazione. Però guardandola negli occhi si rese conto che non era risentita, stava solo giocando. Le labbra gli si incresparono in un mezzo sorriso.

«Quindi alla tua lunga lista di difetti dobbiamo aggiungere anche rancorosa.»

«Quali sarebbero i miei difetti?» chiese subito lei, allargando gli occhi.

Zlatan allungò una mano e iniziò a contare con le dita. «Invadente, presuntuosa, incredibilmente egocentrica, oggi scopro che sei anche rancorosa. C'è altro?»

Le porte dell'ascensore si aprirono ma Amara rimase immobile a fissare Zlatan per alcuni secondi, con la bocca aperta e gli occhi che sorridevano. «Indimenticabile» disse infine, uscendo dall'ascensore un attimo prima che le porte si richiudessero.

Zlatan sbuffò in un sorriso, seguendola. Aveva ragione lei, era da considerarsi un difetto. Quando ti entrava in testa non ne usciva più e ti veniva voglia di maledire il giorno in cui l'avevi incontrata, quella stronzetta capricciosa, che quando voleva qualcosa se la prendeva senza se e senza ma e poi passava a quella successiva, lasciandoti solo a tormentarti.

Amara lo fece entrare in casa e si riprese la busta.

«Scusami un attimo. Mettiti comodo.»

Scomparve oltre un piccolo corridoio illuminato da faretti a luce calda incastonati nel soffitto. Zlatan si guardò intorno, muovendo qualche passo nell'ampio salone. Era simile al suo, grande e luminoso. Le vetrate donavano una bella vista su Milano, ma più ridotta rispetto a lui che viveva all'ultimo piano del grattacielo più alto della città. Alle pareti erano appese delle gigantografie di Amara. A figura intera, primi piani e un nudo.

Zlatan deglutì avvicinandosi alla foto. Amara era distesa su un letto, le lenzuola sotto di lei erano stropicciate, i cuscini compressi contro lo schienale, come dopo un intenso amplesso. Le braccia ricadevano languide verso l'alto, sui seni candidi spiccavano i capezzoli scuri che invitavano a un altro bacio e una gamba era accavallata sull'altra, come a voler nascondere il segreto del frutto proibito. Sul volto era impresso uno sguardo sensuale che lo avrebbe fatto venire duro pure a un prete. Zlatan si passò la lingua sulle labbra e si costrinse a staccarsi da quella visione.

Sul tavolino di vetro davanti al divano c'era un grosso libro col nome "Amara" stampato sulla copertina. Incuriosito, Zlatan si sedette e lo aprì. Si trovò davanti il ritratto di una Amara che poteva avere al massimo quindici anni. Il viso pulito, gli occhi luminosi, le labbra rosa atteggiate a un'espressione seria. Era già di una bellezza incredibile. Sfogliò qualche altra pagina, erano tutte foto in posa, shooting, sfilate.

«Oh, i miei primi book.»

Zlatan sollevò di scatto la testa verso Amara. Gli stessi occhi della foto si incrociarono con i suoi. Era cambiata poco rispetto a quando era adolescente, era solo più maliziosa. Con un tuffo allo stomaco, non poté fare a meno di notare che il livido sotto l'occhio era diventato viola scuro. Richiuse il libro e si rimise in piedi.

«Dobbiamo mettere un po' di ghiaccio su quel livido.»

Amara annuì. «Bevi qualcosa?»

Zlatan fece segno di no con la testa. Prese uno strofinaccio appeso alla maniglia del forno e lo allargò sul piano della cucina. Lei riempì un bicchiere di cubetti di ghiaccio, facendoli uscire direttamente dallo sportello del frigorifero, e lo svuotò nel panno. Zlatan lo richiuse in un fagotto e lo appoggiò sulla guancia di Amara.

«Lascia, faccio io» disse piano lei.

Le loro dita si sfiorarono, provocando a Zlatan una serie di brividi che conversero tutti verso il basso. L'immagine di quel nudo si riaccese nella sua mente. Le sfiorò la guancia libera col pollice, chiedendosi se anche a lui avrebbe rivolto lo stesso sguardo della foto mentre era nuda sotto di lui.

Un momento di confusione passò sul volto di Amara e Zlatan si rese conto che si era avvicinato di più e ritrasse subito la mano. Con un sospiro appena accennato, Amara poggiò la schiena al piano della cucina, tenendosi premuto il ghiaccio sul viso.

Zlatan infilò le mani nelle tasche dei jeans. Il cuore batteva un po' più forte e lo stomaco si contraeva pulsando una forte energia in tutto il corpo. La mente era un miscuglio di pensieri confusi.

Che cazzo doveva fare? Aveva sbagliato a tirarsi indietro un'altra volta? Perché lo guardava come se fosse una grande delusione? Le scoccò un'occhiata seria.

«Cosa ti è piaciuto di Ivanov?»

Era sinceramente curioso. Il ragazzo era di bell'aspetto, ma Amara ne poteva trovare a decine di ragazzi belli. Non le mancava niente. Era bellissima e avvenente, sensuale, tentatrice, e, ormai lo sapeva bene, era impossibile non cadere preda del suo fascino. Perché aveva scelto proprio uno come Grigorij Ivanov? Si vedeva lontano un miglio che era un tipo poco raccomandabile.

«La sua intraprendenza» rispose subito, e Zlatan sentì un fastidioso pizzico alla bocca dello stomaco. La scrutò con più attenzione, ignorando il fastidio. Amara in fondo non era la mangiatrice di uomini che voleva far credere di essere. Come tutte le altre ragazze, aveva bisogno che qualcuno la facesse sentire veramente importante, che la corteggiasse.

Lei sospirò e per un attimo sembrò persa tra i ricordi. «E so che adesso non lo diresti mai, ma Grigorij è un ragazzo generoso e divertente. Ci siamo trovati subito e siamo stati molto bene all'inizio, ma poi è venuto fuori questo suo lato estremamente possessivo che ha fatto sì che mi allontanassi da lui. Aveva bisogno di tenere sempre tutto sotto controllo e c'erano volte in cui diventava asfissiante e paranoico. Ci siamo lasciati circa un anno fa. Due mesi fa è tornato a Milano e ci siamo rivisti. Lui voleva riprovarci, ma io no e gli ho detto chiaramente come stavano le cose. Grigorij non voleva accettare che io potessi vedere anche altri e... Alla fine è esploso. Credo sia anche colpa mia.» Amara lasciò il fagotto col ghiaccio sul ripiano e guardò Zlatan.

Nei suoi occhi c'era rammarico e questo lo fece infuriare. «Non lo giustificare.»

«Non lo sto facendo. Ma avrei dovuto troncare tutto subito, non tenere ancora aperta una storia ormai chiusa.» Si scostò dalla cucina. «Hai fame? Mi fai compagnia a cena?»

«Sì.» Nessuna esitazione, neanche un istante per riflettere.

Amara ridacchiò e gli scoccò un'occhiata prima di aprire il frigorifero. «Bene Zlatan, dopotutto sembra che io l'abbia spuntata e ceneremo insieme.»

«Non è una cena romantica, resto solo per farti compagnia.» E tuttavia non aveva nessuna intenzione di andare via. Nemmeno un accenno di fastidio alle insinuazioni di Amara. Voleva stare con lei quella sera.

«Vuoi anche restare a dormire? Grigorij potrebbe arrivare a notte fonda.» I suoi occhi percorsero lenti tutto il corpo di Zlatan e si soffermarono un istante di più sulle sue labbra.

Lui si irrigidì tutto, diventando serio. «Spero che tu non abbia intenzione di aprirgli la porta.»

Amara gli voltò le spalle e si alzò sulle punte per prendere una pentola dal pensile. «Non ti agitare, ti farei dormire nella camera degli ospiti. L'ho capito che non ti piaccio.»

La calma con cui pronunciò quelle parole fece vibrare qualcosa nel petto di Zlatan. Si avvicinò a lei, incapace di starle troppo lontano. Era un tormento che gli piaceva, desiderarla fino a sentire il pisello pulsare e continuare a resistere a quella dolce bocca.

«Non è vero che non mi piaci.»

«Oh, quindi mi respingi perché ti piaccio troppo e hai paura di rimanerci sotto?» Incurvò le labbra in un sorrisino, ma non c'era traccia di malizia nei suoi occhi.

Non c'era traccia della Amara provocatrice che amava tanto odiare. E di nuovo la rabbia tornò a invadergli le vene pensando a quanto Ivanov l'avesse spezzata dentro con quel gesto di violenza gratuita. O forse era lui che aveva pento il fuoco nei suoi occhi?

Cazzo, ma lei aveva ragione. Lui la respingeva perché aveva paura. Aveva paura di non poter più fare a meno di lei. Aveva paura di fare la figura del babbeo che le correva dietro elemosinando le sue attenzioni come tutti gli altri.

«Per te è soltanto un capriccio. A dire il vero non ho ancora capito come mai ti sei fissata con me. Di sicuro non per i miei soldi, visto che ne hai più di me; né per il mio carattere, dato che a malapena mi conosci e con te sono stato piuttosto scorbutico. E per di più sono più grande di te di parecchio.»

Il silenzio si frappose tra loro, riempito solo dal fruscio dei movimenti di Amara mentre riempiva la pentola con quella che doveva essere una zuppa di qualcosa e accendeva il gas.

«Davvero lo vuoi sapere?» Si girò verso di lui e gli occhi lo inchiodarono a lei. «Mi fai sangue, Zlatan. E sai che significa?» Si umettò le labbra e spostò lo sguardo sul suo petto, sulla sua vita stretta, sulle sue mani. «Che quando mi sei vicino penso a tutti i modi in cui i nostri corpi potrebbero darsi piacere, in un letto, su un divano, persino su questo tavolo.» Guardò il tavolo a pochi passi da loro e Zlatan ebbe un fremito. «Quando ci siamo baciati ho avuto la conferma che tra noi c'è una chimica fortissima, quel genere di chimica che è difficile da trovare. Ma tu hai deciso di rinunciare a questo piacere, e in questo caso sono io a non capire come mai. Ti vedi con un'altra donna?» Lasciò la domanda sospesa e prese del pane da uno stipo.

Cazzo. Era stata piuttosto intensa e dettagliata e lui ce l'aveva duro. Frastornato, scosse la testa. «No.»

«Allora c'è qualcuna a cui pensi» disse lei, accigliandosi. Tirò fuori un grosso coltello e si mise ad affettare il pane.

«Nemmeno.»

In verità c'era, ed era lei. Da quando l'aveva conosciuta si era infilata spesso nei suoi pensieri.

«Hai chiuso una storia da poco e sei ancora innamorato di lei» continuò Amara, tagliuzzando le fette di pane in piccoli cubetti.

«Non voglio essere il tuo giocattolino. È tanto difficile da capire?»

Si bloccò. Girò la testa piano e lo scrutò, un angolo delle labbra curvato verso l'alto. «La tua ultima ragazza ti ha trattato da giocattolino?»

Zlatan sbuffò e infilò il mestolo nella pentola, girando la zuppa. Sembrava un misto di farro, lenticchie e qualcos'altro. «Siamo stati insieme venti anni.»

Sentì l'esclamazione stupita di Amara e con la coda dell'occhio la vide restare con il coltello a mezz'aria. «Venti anni? Ma è un matrimonio!»

Annuì, suo malgrado rattristato dal ricordo di Helena. Una vita insieme non si poteva dimenticare da un giorno all'altro. «Proprio così. È stata al mio fianco per gran parte della mia vita. Avevo diciannove anni quando ci siamo messi insieme, un ragazzino nel vero senso della parola. Sono cresciuto con lei.»

«Perché vi siete lasciati?» Amara prese una padella e la mise sul fuoco, lasciandovi cadere dentro i pezzettini di pane.

«Col tempo siamo diventati due buoni amici e niente di più» ammise Zlatan. Quando lei se ne era andata di casa era stato uno shock, ma col tempo aveva capito che non era più amore il sentimento che ancora li legava.

«Ti manca?»

«No.» Lasciò andare il mestolo e tornò a guardare lei. «Tu sei mai stata innamorata?» In quella sua folle vita amorosa, c'era mai stato qualcuno che le aveva fatto battere forte il cuore e le aveva fatto sentire di essere arrivata alla fine della corsa?

«Una volta. E mi è bastato.» Spense i fornelli e prese due piatti. Zlatan l'aiutò, tenendo in mano i piatti mentre lei ci versava la zuppa dentro.

Una sola volta e le era bastato? Doveva aver avuto una delusione bella grossa. «Perché dici questo?» le chiese mentre si metteva a tavola.

Lei prese tutto il necessario e lo raggiunse, porgendogli il tovagliolo, posate e bicchiere. Si sedette, versò un'abbondante porzione di pane tostato a cubetti nella zuppa e passò il restante a Zlatan. Mangiò un boccone.

«Non sono fatta per l'amore, non ci credo più. I miei genitori si sono separati quando ero ancora piccola e già allora deve essere scattato qualcosa dentro di me. Dopo la storia con Lucas ho capito che, seppur bello all'inizio, l'amore è solo un bisogno del nostro ego. Non abbiamo davvero necessità di stare con qualcuno per sentirci completi. È bello condividere un tratto di vita con qualcuno, ma essere innamorati è solo un'illusione che porterà inevitabilmente a stare male. E poi non credo nella monogamia. È un costrutto sociale e nulla di più. Nessun uomo rimarrà mai fedele a vita.»

Lucas. Lucas Hernandez, il fratello di Theo. Non lo conosceva bene, ma non doveva essersi comportato bene con lei. L'aveva fatta soffrire. Probabilmente l'aveva tradita. Provò l'impulso di giustificarsi e farle vedere che lui era diverso.

«Io sono stato sempre fedele alla mia compagna.»

«Per favore, non ci credo.» Alzò gli occhi al cielo e rise. «Venti anni insieme e non hai mai avuto una scappatella con qualcun'altra?»

Non gli piaceva che le sue parole venissero messe in dubbio in quel modo. «Per questo scappi dagli uomini? Hai paura di essere tradita?»

«Non scappo, Zlatan. Sono io che scelgo. Chi e per quanto tempo.»

Zlatan posò il cucchiaio e poggiò i gomiti sul tavolo, incrociando le mani davanti al viso e guardandola dritta negli occhi. «Sai cosa penso? Che sei stata tradita e dentro di te ha lasciato un segno talmente profondo che adesso preferisci non legarti più a nessuno per paura che possa ricapitare.»

Lei accennò un sorriso e si pulì il labbro col fazzoletto. «Psicanalisi da quattro soldi. Pensi che sia così codarda? Pensi che se mi innamorassi di qualcuno lo lascerei andare solo perché ho paura che possa ferirmi?»

Zlatan notò la piccola crepa che si stava aprendo nella sua aria apparentemente tranquilla e decise di insistere. «Sei tu che stai dicendo questo.»

«Non mi sono più innamorata, ok? E forse era lui la mia anima gemella e un giorno ci ritroveremo.»

Gli arrivò una pugnalata dritta al petto. Merda, non avrebbe dovuto sentirsi deluso da quell'affermazione. Ma sapere che lei nutriva ancora una speranza di tornare con il suo ex decretava la fine dei giochi per lui.

«Vorresti farlo tornare nella tua vita?» chiese, nascondendo l'amarezza dietro a un sorriso dolce.

«Lo vedo ancora, non è mai andato via completamente.»

Un'altra pugnalata, stavolta nello stomaco. Il sapore acre della gelosia gli arrivò alla bocca. «Per quale motivo vi vedete se non state più insieme? Siete rimasti amici?»

Amara batté un paio di volte le palpebre. «Già.»

«Ma tu non vuoi questo, tu vuoi di più.»

«No» rispose secca.

Zlatan scostò il piatto in avanti. «Amara, dovresti essere onesta con lui e dirgli che sei ancora innamorata.»

«Ma io non sono ancora innamorata» insistette lei.

«Però speri che ritorni.»

«Zlatan, non capisci. Non ho bisogno di lui, né di nessun altro. Mi piace la mia vita, sto bene con me stessa e nessuno mi farà cambiare idea. L'amore è per le persone romantiche e io non lo sono.»

Con un sospiro lento, Zlatan annuì. Alzò gli occhi su di lei e gli si mozzò il respiro in gola per quanto forte il sentimento lo afferrò. La necessità di vederla felice. Di renderla felice.

Ma lei non voleva quello, glielo aveva appena detto.

Eppure i suoi occhi sembravano dire qualcosa di diverso.

Si pulì la bocca. «Io vado. La zuppa era ottima.» Si alzò.

«Già te ne vai?» disse lei, sorpresa, imitandolo.

«Ho del lavoro da sbrigare per domani» mentì.

Amara annuì, ma sembrava delusa. «Grazie per avermi fatto compagnia.»

«Mi raccomando, stai attenta. Se c'è qualche problema, chiamami.»

«Non ti preoccupare, più tardi salgo da mia sorella. Ci sarà sicuramente anche Theo.»

«Bene» disse Zlatan, sistemandosi il giubbotto.

Amara gli aprì la porta e si appoggiò allo stipite, incrociando le braccia al petto. «Domani sfilo. Alle sei e mezza. Vieni a vedermi, ti faccio arrivare l'invito.»

Zlatan sorrise, mesto. «Domani sono stato invitato alla sfilata di Louis Vuitton.»

«Sfiliamo in orari diversi. Riesci a vedere entrambe.»

Zlatan si bagnò le labbra con la punta della lingua e prese un respiro profondo. Gli sarebbe piaciuto davvero tanto vedere Amara sfilare, ma...

«Ho capito, non ti va. Non fa niente. Ci vediamo in giro, Zlatan. Buonanotte.»

«Buonanotte Amara.»

La porta si richiuse e Zlatan rimase lì. Che cazzo era quel nodo che gli si era formato alla gola? Sapeva che non l'avrebbe rivista più, a meno che non fosse stata lei a chiamarlo. O lui a chiamare lei.

Ma no, non lo avrebbe fatto. Non sarebbe stato il suo giocattolino.

Anche se la voglia era tanta.

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