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6. Un bacio all'improvviso

Una piccolissima traccia dell'odore di Zlatan aleggiava ancora nella sua memoria. Quando si era avvicinata a lui e gli aveva scostato il colletto della camicia per potersi accertare di aver intuito lo stilista giusto, oltre al profumo che lui indossava quella sera aveva percepito l'odore naturale della sua pelle. Era stato come passeggiare a piedi nudi nel folto di una foresta verdeggiante. Un odore ricco e selvaggio. E ora cercava di rivivere quella sensazione.

Amara si sfiorò le labbra con l'indice mentre sorrideva a bordo della sua amata Ferrari. Adorava quella macchina. Aveva cominciato a sognare di possederne una tutta sua quando era una ragazzina di quattordici anni e un amico di sua madre le aveva permesso di guidarla. La sensazione che aveva provato seduta dietro quel volante era stata di assoluto potere. Si era sentita improvvisamente donna, potente, sicura, invincibile. E poi le erano sempre piaciute le cose vistose, eccentriche, eleganti e lussuose, e la Ferrari racchiudeva tutte quelle caratteristiche.

Anche Zlatan aveva un debole per quel marchio e questa era forse l'unica cosa che avevano in comune. La sera che lo aveva portato al Tempio le aveva detto di possederne parecchie e che la sua prima Ferrari era stata una Enzo, un esemplare raro e bellissimo. Per questo gli aveva proposto un'uscita in macchina. Una sfida, perché aveva visto come gli si erano accesi gli occhi mentre si sfidavano sul prato di San Siro.

L'auto scivolò rapida oltre la rampa del garage sotterraneo. Amara parcheggiò nel suo posto e scese. Si gettò sulle spalle un cappottino scuro e se lo strinse addosso. Il vestito che indossava era leggero, poco adatto per una fredda serata di metà ottobre, ma quando lo aveva visto, mentre rovistava nell'armadio, non aveva avuto dubbi. Era perfetto, di un tessuto cangiante che dal nero passava al rosso, i colori del Milan. Sembrava fatto apposta per quella serata.

Col rumore dei tacchi che rimbombava tutt'intorno a lei nel parcheggio vuoto, Amara si guardò il vestito. Una vistosa macchia scura sul lato sinistro, dove era caduta quando Zlatan l'aveva spinta, e in altri punti il tessuto si era logorato. Era da buttare.

Stai rovinando questo bellissimo vestito.

Amara sospirò ed entrò in ascensore.

Non si aspettava di concludere la serata con un appuntamento con Zlatan. Sapeva che, accettando l'invito da parte del Milan, molto probabilmente lo avrebbe incontrato, e dopo la serata al Tempio si era preparata a un altro scontro con lui.

Uno scontro in effetti c'era stato, lui l'aveva buttata a terra mentre lei correva con tutte le forze che aveva per cercare di vincere quella sciocca sfida che si era messa in testa di fare.

Amara era consapevole di non avere molte possibilità di vittoria, non sapeva giocare a pallone e lui era alto il doppio di lei e aveva fatto del calcio la sua professione. Ma quanto sarebbe stato bello poterlo battere? Proprio lei, che oltre a essere una ragazza era anche una persona che lui non sopportava.

Voleva cancellare dalla faccia di Zlatan quell'espressione compiaciuta che aveva avuto per tutto il tempo mentre giocava col pallone insieme agli altri.

Arrogante, troppo sicuro di sé. E bellissimo.

Lo aveva provocato ancora, scegliendo come pegno in caso di vittoria un'uscita insieme, loro due da soli, credendo di fargli un torto, credendo di portarlo a non accettare la sfida per potergli dare del codardo. Ma Zlatan non si era tirato indietro.

Quella sera non l'aveva ignorata, come aveva creduto lei. Al contrario, non aveva fatto altro che cercarla. Si era accorta dei suoi occhi addosso mentre posava con la maglietta del Milan davanti ai fotografi, delle occhiate che le aveva lanciato durante la cena.

Erano stati sul punto di baciarsi.

Sull'erba umida del campo da calcio.

Non basta un bel visino e un bel paio di gambe.

Non sei interessante come credi.

Amara quella sera non aveva fatto niente per attirare la sua attenzione, eppure era sembrato che per Zlatan fosse la ragazza più interessante della serata.

A quanto pareva il suo visino e il suo bel paio di gambe erano bastati eccome.

«Ipocrita» mormorò sorridendo, mentre entrava in casa e si richiudeva la porta alle spalle.

Si sfilò le scarpe e a piedi nudi e al buio raggiunse la sua camera da letto. Il piede le faceva ancora male e sperò di non avere altri graffi sulle gambe o sulla schiena, e che quella caduta non le avesse lasciato un livido, sarebbero stati difficili da coprire. Al lavoro non sarebbero stati contenti. Sulle foto li avrebbero fatti sparire, ma in passerella sarebbe stato più complicato. Ci avrebbe pensato l'indomani, però.

Si tolse il vestito, lo adagiò sullo schienale della sedia e raccolse dal tavolino accanto alla vetrata i prodotti per togliere il trucco e la crema da notte. Si sedette sul letto con le gambe incrociate.

Ripensò a loro due da soli nell'infermeria dello stadio. Allo sguardo duro di Zlatan e alle sue mani gigantesche che delicatamente si prendevano cura delle piccole ferite ai piedi. Per la prima volta l'aveva lasciata senza parole. Era rimasta lì a guardarlo, col cuore che si riscaldava ogni istante di più e il corpo che chiedeva di essere reclamato. Lui che l'aveva trattata come una sciocca ragazza irritante e superficiale si stava prendendo cura di lei come se fosse una cosa preziosa.

Burbero, ma allo stesso tempo delicato.

Voleva baciarlo e voleva che la prendesse su quel lettino.

Come sarebbe stato? Delicato come il suo tocco o impetuoso come la sua lingua?

Voleva placare quella smania di averlo che si era impossessata di lei dal primo momento in cui lo aveva visto.

Ma quando lei si era spinta un poco oltre lui si era tirato indietro.

Spense la luce, si mise sotto le coperte, chiuse gli occhi, ma non riuscì a fermare la mente che rimase fissa al momento in cui Amara aveva avvertito un cambiamento nelle intenzioni di Zlatan e si era preparata a ricevere quel bacio che non era mai arrivato, che aveva lasciato nel suo corpo una scia di fuoco e non si era ancora spento.

Si rigirò nel letto. Le lenzuola di lino contro la pelle nuda delle gambe e delle braccia erano una carezza sensuale. Sospirò, rivedendo Zlatan inginocchiato ai suoi piedi. Immaginò le sue mani grandi che risalivano lungo le gambe, sotto al vestito. I capezzoli divennero duri e sfregarono contro il tessuto leggero del reggiseno mentre si spostava ancora nel letto. Amara infilò una mano nelle mutandine.

Era bagnata, il clitoride pulsava mentre ci faceva scivolare sopra le dita, in una carezza lenta. Si rivide sul lettino dell'infermeria, Zlatan che nella sua immaginazione le sollevava il vestito e le allargava le gambe, aprendola davanti a lui. Amara spinse due dita dentro, il piacere intenso le strappò un gemito. Le passò di nuovo sul clitoride, immaginando la lingua di Zlatan che la lambiva.

Il fuoco crebbe. Amara affondò ancora le dita, dentro e fuori. Si mosse contro la sua mano come se fosse la bocca di Zlatan. Il respiro si fece più corto. Si strinse un capezzolo tra le dita. Una scarica di piacere la fece contrarre e gemere più forte. Non era mai così eccitata quando si toccava da sola, sembrava quasi che Zlatan fosse davvero lì, che la sua lingua e la sua bocca stessero davvero accarezzando e succhiando e baciando. Scese tra le gambe anche con l'altra mano, sfregando dolcemente clitoride turgido mentre le dita dell'altra mano la riempivano.

L'orgasmo fu impetuoso, e riuscì ad appagare momentaneamente il desiderio.

Ma appena la nebbia dell'orgasmo si diradò crebbe la frustrazione di non avere Zlatan nel suo letto in quel momento. Voleva lui, non solo l'immagine di lui.

La mattina arrivò troppo presto. Amara si stiracchiò nel letto con ancora nella mente il viso di Zlatan che cambiava espressione nel momento in cui realizzava che lei era sotto di lui, che tutto il suo corpo premeva su di lei e che se si fosse abbassato solo di pochi centimetri le loro labbra sarebbero entrate in contatto.

Andare al lavoro non servì a distrarla. C'era qualcosa in Zlatan che la affascinava in maniera particolare, che la portava a pensare a lui di continuo. Forse il suo essere scostante. Era palese che fosse attratto da lei, eppure cercava sempre di mettere della distanza tra loro.

Non sono il tipo da una notte di sesso e basta.

E cosa voleva? Una relazione stabile con lei? Amara scoppiò a ridere da sola mentre le stavano aggiustando un vestito addosso. Le sarte la guardarono stranite. Una di loro scosse la testa e sbuffò.

Si morse il labbro e cercò di restare immobile. Lei non era il tipo da relazione stabile. Voleva Zlatan, voleva il suo corpo, voleva godere con lui, ma niente di più. Possibile che fosse davvero così rigido e non si concedesse mai delle notti di sesso con una ragazza che gli piaceva senza bisogno di mettere in mezzo le complicazioni di una relazione? Amara non credeva che si trattasse solo di questo. Zlatan era innamorato. Poteva anche essere single, ma nella sua testa c'era un'altra donna. Doveva per forza essere così.

Quando finirono di sistemare il vestito per il servizio fotografico, Amara recuperò al volo il cellulare e, camminando piano su dei tacchi stratosferici verso il set che avevano allestito in un chiostro di un antico palazzo, scrisse un messaggio a Zlatan.

Amara: Più tardi ci sei per un giro in macchina?

Posò il telefono su uno dei cassoni per l'attrezzatura e si piazzò al centro del set, su una sedia stile Luigi XVI.

"Sposta il braccio", "guarda in camera", "spingiti in avanti", "butta la testa indietro". Eseguì diligentemente e meccanicamente i comandi. Le pose erano noiose e banali, persino il set era roba già vista e rivista. Ma non spettava a lei commentare. Era pagata solo per stare in posa. Quando sentì il suo cellulare suonare si alzò in piedi e lasciò il set.

«Scusate un attimo.»

«Che succede? Ti senti male?» chiese il fotografo correndole dietro.

Lei non rispose. Sentiva il cuore che batteva forte nel petto, pieno di aspettativa. Aprì il messaggio.

Zlatan: Tardo pomeriggio.

Amara sorrise.

Amara: Passo alle sei.

«Ma che diavolo? Stiamo lavorando, Amara, non possiamo perdere tempo dietro alle tue stronzate» sbottò il fotografo.

Lasciò il cellulare e si voltò lentamente verso di lui. «Le stronzate sono quelle che stai facendo tu su questo set.»

«Che vorresti dire?» si inalberò lui.

«Che le tue foto fanno schifo, sono roba già vista e rivista e se questa campagna sarà un flop la colpa sarà soltanto tua e del direttore che ha approvato questo scempio, non per i miei due secondi di pausa.»

«Basta così» rispose il fotografo tutto rosso in volto. «Mi rifiuto di lavorare ancora con lei.»

Iniziò a raccattare tutta la sua attrezzatura. Amara incrociò lo sguardo allibito e infuriato della sua manager. Cavolo, aveva combinato un casino. Il fotografo borbottava e sbatteva cose, Clarissa si avvicinò a lui per parlargli. Amara girò sui tacchi e si diresse in camerino. Avrebbe aspettato che le acque si calmassero per tornare al lavoro o tornarsene a casa. Non aveva intenzione di parlare ancora col fotografo, non c'era niente che potesse fare per rimediare, era stata troppo diretta e aveva sminuito il suo lavoro. E poi lo pensava davvero che il set faceva schifo!

Rimase in attesa per una buona mezz'ora prima che Clarissa le comunicasse che avrebbero continuato il giorno dopo. In una nuova location.

Tornò a casa. Fece un po' di attività fisica, mangiò una zuppa di farro e lenticchie e trascorse il resto del tempo a riposare e a scegliere i vestiti per l'uscita con Zlatan.

Alle sei in punto, Amara sostava davanti al palazzo di Zlatan. I finestrini abbassati facevano passare una piacevole brezza autunnale. C'era ancora il sole, anche se a quell'ora non riscaldava più. Si era messa un paio di jeans scuri, un top monospalla e un giubbotto di pelle nero.

Guardava intensamente il portone del palazzo, sperando anche che Grigorij non fosse in città in quel momento e che non la vedesse. Non si era fatta più sentire e se l'avesse vista con un altro sarebbe potuto diventare irascibile. Voleva evitare scenate di qualsiasi tipo.

Zlatan uscì dal portone e si avvicinò. Giubbotto di pelle, capelli legati stretti dietro la nuca e occhiali da sole scuri. Infilò le mani nelle tasche del giubbotto mentre si avvicinava. Gridava sesso da ogni parte lo si guardasse. Amara si umettò le labbra e sorrise.

Si erano vestiti uguali.

Zlatan si affacciò al finestrino.

«Prendo la mia macchina. Dove andiamo?»

Nemmeno un ciao, né un sorriso. Bene. Aveva già cambiato idea? O si era già messo la maschera dell'indifferenza. Amara non riusciva a leggere i suoi occhi dietro le lenti scure.

«C'è un circuito a una ventina di chilometri da qui.» Aveva chiamato nel primo pomeriggio, erano aperti e la pista era libera per l'ora in cui sarebbero arrivati loro.

Lui annuì. «Ho capito qual è. Ci vediamo lì.»

Amara fece un cenno di assenso e sbirciò ancora qualche secondo la sua figura di spalle che si allontanava verso i garage prima di mettere in moto e partire.

Si sentiva agitata. Di solito non lo era quando usciva con i ragazzi, ma Zlatan la confondeva. Non sapeva cosa aspettarsi da lui.

Non dovette aspettare molto prima che una Ferrari nera si materializzasse sulla strada dietro di lei.

Guardò attraverso lo specchietto retrovisore mentre Zlatan sorpassava un paio di macchine e si metteva a un soffio da lei, col motore che rombava aggressivo.

Amara premette il piede sull'acceleratore.

Uscirono dal centro abitato e il traffico cominciò a diradare.

La macchina nera restava incollata a lei.

Incrociò gli occhiali scuri di Zlatan, le sopracciglia leggermente aggrottate, concentrato su qualche pensiero.

A cosa stava pensando? Perché era così serio? Non aveva voglia di discutere anche con lui quel pomeriggio.

Lasciò lo specchietto retrovisore per tornare a guardare avanti. E in quel momento lui la sorpassò. Un sorpasso azzardato e pericolosissimo poco prima di una curva. Le rivolse appena un'occhiata quando le macchine si allinearono per un secondo, schizzò via come un fulmine.

Che stronzo.

Dunque la gara era già iniziata.

Amara schiacciò il piede sull'acceleratore. La macchina fece uno scatto in avanti spingendola contro il sedile.

Gli arrivò sotto e, seguendo la sua scia, provò a fare un sorpasso.

Zlatan le tagliò la strada.

Più e più volte.

Non riusciva a passarlo.

Fino a quando lei non fu costretta a rallentare di botto per una curva a gomito di cui aveva dimenticato l'esistenza e che la stava portando fuori strada.

A quel punto Zlatan prese vantaggio e lei lo perse.

Quando arrivò davanti ai cancelli dell'autodromo, lui era fuori dall'auto, col culo sul cofano e gambe incrociate. Si era tolto gli occhiali. Le lanciò un'occhiata divertita.

Amara scese come una furia dall'auto.

«Ce l'hai fatta ad arrivare» disse lui, ridendo.

Lei gli si piazzò davanti. «Sei uno stronzo. Mi hai tagliato la strada!»

«Credevo che ti piacesse giocare sporco.» Lui rimase seduto sull'auto, un sorriso luminoso gli riempiva il viso, gli occhi assottigliati erano rilassati ma calcolatori. Aveva previsto tutto e si era divertito parecchio a farlo.

Allora stavano giocando sporco. Non c'erano regole, solo chi riusciva ad arrivare per primo rispetto all'altro. In qualsiasi cosa. Si fece più vicina.

«Ah, sì?»

Amara non gli diede il tempo di capire cosa stava per fare. Si lanciò su di lui e poggiò le labbra sulle sue. Le premette forte, le mani che stringevano il suo giubbotto di pelle. Zlatan si irrigidì e tirò indietro la testa. Per un lungo istante i loro occhi si fusero. Nello sguardo di Zlatan c'era sorpresa e... Qualcos'altro.

Amara accennò un sorriso. Lasciò il suo giubbotto, ma non riuscì a fare il passo indietro che aveva intenzione di fare. Il braccio di Zlatan le circondò la vita e la strinse a lui. L'altra mano si infilò tra i suoi capelli e la bocca di lui fu di nuovo sulla sua.

Questa volta fu Amara a rimanere sorpresa. Zlatan aprì la bocca e approfondì il bacio. Amara sentì mille farfalle nello stomaco quando le lingue si accarezzarono. Si lasciò andare, mettendogli le braccia dietro al collo.

Zlatan la baciò. La baciò come se non desiderasse altro che quel bacio. Fu lento e impetuoso, il braccio la teneva stretta e la bocca la assaporava dolcemente.

Si baciarono come due ragazzini che pomiciano ore e ore su una panchina. Si baciarono a lungo. Zlatan sembrava non voler smettere e Amara sentiva di poter restare così per tutta la sera. Non sentiva l'urgenza di spogliarlo e fare sesso. Lo desiderava, era eccitata, ma voleva ancora quel bacio.

Quando si staccò da lei, Zlatan aveva il fiato corto e gli occhi velati di desiderio. Si leccò le labbra. Amara faticava a trovare le parole, e stava per baciarlo ancora, ma lui sciolse l'abbraccio. Si spostò di lato e si avvicinò allo sportello dell'auto.

«Credo che sia meglio tornare indietro.»

Amara fece alcuni passi dietro di lui. «Zlatan, vieni da me.»

Potevano continuare a baciarsi o anche non fare niente, ma non voleva che se ne andasse così. Aveva come la sensazione che se lo avesse lasciato andare non ci sarebbero state più altre occasioni per vedersi.

Zlatan aprì la portiera e rimase a testa bassa. Un muscolo guizzò sulla sua mascella. Le sopracciglia leggermente aggrottate. Sembrava combattuto. «Amara... Non funzionerebbe.»

Allora lei rise piano, facendo un altro passo verso di lui. «Non ti sto mica chiedendo di sposarmi.»

Zlatan la fissò con un'intensità tale da lasciarla senza fiato. Ingoiò la saliva. «So bene cosa mi stai chiedendo.»

Amara riusciva a sentirlo fin dentro le vene il desiderio che lui provava per lei in quel momento. Ma aveva imparato a conoscerlo un poco, sapeva che non sarebbe riuscita a fargli cambiare idea. «Voglio solo passare la serata con te» sussurrò, quasi rassegnata.

«Io voglio che le cose tra noi rimangano così come sono.»

E come stavano le cose tra loro? Non erano amici e non sarebbero diventati mai amanti. E poi dopo quel bacio potevano rivedersi e fare finta che non fosse mai successo? Lei non se lo sarebbe tolto più dalla testa. «Ma...»

«Ci vediamo in giro» la zittì. Sorrise, con una traccia di malinconia e rimpianto negli occhi. «E cerca di non metterti nei casini.»

Amara rimase ferma immobile mentre lui si allontanava come una scheggia.

Non poteva credere che l'avesse lasciata così.

Maledetto.

Stronzo.

Bastardo.

Sperò con tutta se stessa di non rivederlo mai più.

Si sedette in macchina, varcò i cancelli dell'autodromo e andò a sfogare la sua delusione sul circuito.

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