4. Cacciatore e preda
Il Tempio degli Eredi si trovava poco fuori Milano, in una villa ottocentesca di tre piani circondata dal verde. Amara parcheggiò in uno spiazzale a pochi metri dall'ingresso. Zlatan schizzò fuori prima ancora che spegnesse il motore, come se non vedesse l'ora di allontanarsi da lei.
Sembrava nervoso. In macchina aveva parlato poco, perlopiù della rossa che lei stava guidando e della sua passione per le Ferrari. Non l'aveva mai guardata in faccia mentre parlavano, ma nei momenti di silenzio, con la coda dell'occhio, Amara l'aveva visto gettarle delle occhiate veloci.
Le aveva dato fastidio il suo atteggiamento allo stadio, la durezza con cui l'aveva scaricata. Sapeva di piacergli, sapeva riconoscere il guizzo di desiderio nello sguardo di un uomo, e poi era salito in macchina con lei... Però la teneva a distanza. Amara era più che sicura che nella testa di Zlatan si stesse combattendo una battaglia. Forse era impegnato e voleva restare fedele alla sua donna. Forse era qualcos'altro.
Ma per Amara era appena diventato una sfida. E lei non perdeva mai. Lo avrebbe fatto capitolare. Gli avrebbe fatto perdere la testa.
Avanzò verso l'ingresso con gli altri che la seguivano. Gianfederico era già sulla porta e stava spiegando chi fossero i nuovi arrivati. Il valletto li fece entrare e li accompagno nella sala grande, facendoli accomodare a un tavolo vuoto.
Il Tempio le ricordava suo padre. Amara ci andava raramente, ma aveva mantenuto l'iscrizione solo per il ricordo che serbava di lui e del tempo che avevano trascorso insieme in quel posto. Dopo la separazione dei suoi, quando si era fatta più grande e aveva iniziato a rivedere Giuseppe, lui la portava spesso lì, insieme a Deva. Diceva che al Tempio avrebbero potuto trovare un marito dell'alta società e fare un buon matrimonio, proprio come aveva fatto la loro madre. Lo diceva sempre col sorriso, ma era un sorriso amaro. Giuseppe aveva sofferto molto per la separazione. Anche Chaima aveva sofferto, ma aveva saputo nasconderlo meglio. Era sempre sotto ai riflettori, la vedevano sorridere, la paparazzavano con altri uomini, mentre Giuseppe aveva smesso col mondo della moda ed era diventato un agente sportivo. E se l'era cavata benissimo. In poco tempo, l'agenzia che aveva fondato insieme a Gianfederico era diventata una delle più influenti, con giocatori importanti nella propria scuderia. Aveva sempre avuto un certo fiuto per gli affari, anche quando era l'agente di sua madre. Chaima era bellissima e talentuosa, ma era stato Giuseppe a renderla la modella più pagata del mondo e la più desiderata dagli stilisti. Ad Amara sarebbe piaciuto averlo come agente, ma purtroppo una brutta malattia glielo aveva portato via troppo presto.
Il club contava circa trecento iscritti, tutti membri dell'alta società. Gli uomini erano gentili ed educati. Le donne invece avevano la puzza sotto al naso. Amara si era sempre divertita a osservarle e ridere di loro. Sembravano così ingessate, incapaci di essere se stesse. Solo rigore ed etichetta. Nonostante questo, era riuscita a creare anche delle belle amicizie con i loro figli.
La sala grande era il vecchio salone da ballo della villa, il soffitto era affrescato e un lato affacciava sul giardino, con una fila di grandi porte finestre che d'estate erano sempre aperte e lasciavano entrare il profumo dei fiori e dell'erba umida.
Di solito, il fine settimana c'era un dj e si ballava.
Quella sera non faceva eccezione. I tavoli erano sistemati lungo le pareti e al centro molti ragazzi stavano ballando. Amara si sedette accanto a Deva, su un divanetto di pelle dallo schienale alto, e dall'altro lato si sistemò subito Gianfederico. Zlatan si mise di fronte a lei, più defilato, vicino a Carlo Serra, un imprenditore milanese che Amara conosceva di vista. A quanto pareva i due erano molto amici, lo aveva visto a casa di Zlatan anche il pomeriggio precedente.
Amara fece un cenno con le dita al cameriere che girava tra i tavoli. «Porta qualcosa di speciale, dobbiamo festeggiare un compleanno.»
Il cameriere annuì e scomparve veloce. Lei si appoggiò allo schienale e accavallò le gambe. Gianfederico si fece più vicino, le loro spalle si sfiorarono.
«Mi ha stupito vederti allo stadio stasera.»
Amara voltò lentamente la testa verso di lui e nel farlo buttò un'occhiata a Zlatan. Parlava con Carlo e sembrava assorbito dalla conversazione. «Sono venuta a vedere mio cognato.»
Gianfederico rise. Stava per dire qualcosa, ma l'arrivo del cameriere lo interruppe. Portò due bottiglie di Dom Perignon e atri camerieri posarono dei bicchieri di cristallo sul tavolo. Amara si alzò in piedi.
«Signori, un brindisi per Zlatan Ibrahimovic.» Gli passò una bottiglia e i loro sguardi rimasero intrecciati un lungo istante. «Tanti auguri. Questa la offro io.» Poi si sedette e rivolse la sua attenzione a Deva e Theo, con l'intenzione di ignorare Zlatan per il resto della serata.
«Grazie» lo sentì rispondere.
Il tavolo applaudì quando Zlatan stappò la bottiglia. Il primo bicchiere che riempì lo posò davanti a lei. Amara lo prese, stirò le labbra in un sorriso finto e lo bevve tutto d'un fiato senza aspettare gli altri. Trattenne una smorfia di disgusto. Non le piacevano molto gli spumanti e gli champagne, era più una tipa da vodka e gin. Fece giusto in tempo a notare un guizzo sulla mascella di Zlatan prima che si dedicasse agli altri e brindasse con loro.
«Prima non ho avuto modo, ma volevo dirti che sei veramente bellissima stasera.»
Gianfederico le aveva parlato vicino all'orecchio. Amara aveva altro per la testa quella sera, ma aveva notato i suoi tentativi di approccio anche allo stadio. Erano stati a letto insieme una sola volta, una cosa inaspettata a conclusione di una delle tante serate in un locale di Milano a cui Amara partecipava spesso. Ed era stato molto piacevole. Se suo padre fosse stato ancora in vita, probabilmente sarebbe impazzito se lo avesse saputo.
Doveva spegnere subito le fantasie di Gianfederico, ma in quel momento si rese conto che Zlatan li stava guardando e nel suo sguardo c'era qualcosa di più della curiosità. C'era fastidio. Amara sfoderò un sorriso radioso e lisciò la giacca di Gianfederico sul petto.
«Anche tu, Gianfederico. Sei sempre in splendida forma.»
Lui si fece più vicino, col viso che sfiorava i suoi capelli. «Sono stato molto bene quella sera.»
Lo sguardo di Amara si addolcì. Anche lei era stata bene, ma non era stato niente di più di una notte di sesso. Le piaceva flirtare con lui, ma non poteva continuare ad alimentare le speranze di Gianfederico. Lui era molto più grande di lei e Amara non era interessata a una relazione. Lo guardò seria.
«È passato.»
Gianfederico sorrise appena e spostò lo sguardo sul bicchiere che teneva tra le dita. «Già, hai ragione. Sono troppo grande per te.» Bevve quello che restava dello champagne e scosse la testa una volta, come per schiarirsi la mente. Tornò a guardarla. «Come va al lavoro? Quando sfilerai di nuovo?»
Amara non sapeva spiegarsi come mai fosse single, era dolce, intelligente, simpatico ed educato e lei era più che sicura che molte donne avrebbero fatto di tutto pur di averlo.
Le tornò in mente la conversazione avuta con Lucas, Theo e Deva proprio la sera dopo essere stata con Gianfederico. Lucas le aveva chiesto se avesse intenzione di mettere la testa a posto con un vecchietto e lei aveva risposto di no, che non aveva nessuna intenzione di fare sul serio, né col "vecchietto", né con nessun altro. Ma in quel momento pensò che Gianfederico sarebbe stato perfetto se un giorno le fosse venuta voglia di metter su famiglia.
Peccato che fossero sempre gli scapestrati, arroganti e stronzi che le facevano agitare le farfalle nello stomaco.
«Il mese prossimo sarò in passerella alla Milano Fashion Week, ma già da domani sarò impegnata sul set e agli eventi promozionali.»
«Se Donatella stavolta si ricorderà di me e mi inserirà nella lista degli invitati, verrò a vederti.»
«Glielo ricorderò.» Amara gli accarezzò il braccio e si alzò in piedi. «Ho voglia di ballare» disse ad alta voce. Lanciò un'occhiata a Zlatan, che la stava fissando. Non riuscì a decifrare il suo sguardo. Quello del suo amico, invece, era più che eloquente. Amara passò davanti a Theo e lo afferrò per un braccio. «Vieni?»
«Certo» rispose lui, alzandosi a sua volta. Guardò Deva, che però scosse la testa.
«No, vai con Amara.»
Stava parlando con l'amministratore delegato del Milan, molto probabilmente di cose di lavoro. Amara non si sarebbe stupita se sua sorella stesse concludendo un accordo in quel momento. Deva era come Giuseppe, metteva anima e corpo nel suo lavoro.
Amara andò al centro della sala, studiò la posizione giusta per essere vista da Zlatan e si schiacciò addosso a Theo, che aveva già iniziato a ballare. Gli prese le mani e se le mise sui fianchi, gli avvolse le braccia intorno al collo.
Theo fece una risata nervosa. «Oh, sono Theo, non Lucas.» Erano appiccicati. Lui tentò di allontanarsi un poco, ma Amara si fece ancora più vicina. Tra i loro corpi non passava neanche un foglio di carta.
«Assecondami.»
Theo allora comprese che quel ballo era per gli occhi di qualcuno in particolare. Le strinse i fianchi e la assecondò, muovendo il bacino a ritmo con quello di lei. Si avvicinò al suo orecchio. «Se mi fai litigare con Deva non ti parlo più.»
«Zlatan» rispose lei, «è impegnato con qualcuna?»
Theo spalancò gli occhi, sorridendo. «No. Credo proprio di no. Vuoi fare colpo su di lui?»
«Ho già fatto colpo su di lui. Solo che si trattiene e non capisco perché.»
I loro copri si muovevano lenti e sensuali. Theo risalì con le mani sulla schiena di Amara. «Perché non gli piaci.»
Amara fissò Theo. Aveva capito bene? Non le diede il tempo di rispondere. La rigirò e fece aderire la schiena di lei al suo petto, piantandole una mano sulla pancia.
«Ehi, sono Amara, non Deva» scherzò lei, sorpresa dal cambio di posizione e dalla mano calda di Theo che la toccava quasi con possesso.
Le labbra di Theo sfiorarono il suo orecchio. «Lui ti sta guardando.»
Amara alzò lo sguardo e incontrò quello di Zlatan. Intenso. Sembrava quasi che volesse... mangiarla. Zlatan si passò la lingua tra le labbra e serrò la mascella, voltando la testa per interrompere il contatto visivo con lei.
«E anche Deva ci sta guardando.» Theo la lasciò e le diede un bacio sulla guancia. «Vado a vedere se il dj mi fa mettere un po' di musica decente.»
In effetti Deva aveva li stava guardando e teneva un'espressione perplessa sul viso. Amara le mandò un bacio con la mano in segno di scuse. Sua sorella le sorrise e scosse la testa. Lo sapeva cosa stava pensando, che era irrecuperabile. Tornò a cercare lo sguardo di Zlatan, ma non lo trovò più. Il suo posto era vuoto. Che fine aveva fatto? Se ne era andato?
Delle braccia le circondarono la vita.
«Amara!» urlò qualcuno, troppo vicino al suo orecchio.
Si spostò con uno scatto e si voltò, trovandosi faccia a faccia con un ragazzo biondo, più o meno della sua età, che avrebbe preferito non incontrare quella sera. Ma doveva aspettarselo che sarebbe stato lì, Edoardo era sempre al Tempio nei fine settimana. Era il figlio di un amico di suo padre e ogni volta che la incontrava le si attaccava al culo e non la mollava più.
Edoardo l'abbracciò. «Che ci fai da queste parti?» Era già ubriaco, la camicia bianca che indossava era quasi completamente sbottonata e mentre si muoveva per poco non le rovesciò il contenuto del bicchiere addosso.
«Sono con mia sorella e degli amici» rispose Amara, mettendo un po' di distanza tra loro.
In quel momento Zlatan le passò accanto, si mischiò tra la gente che ballava e raggiunse la consolle, dove c'era anche Theo. Amara osservò come la gente si spostava per farlo passare e lo guardava incuriosita e stupita. Quando gli aveva detto che al Tempio non sarebbe entrato senza di lei voleva solo stuzzicare la sua arroganza. Le persone lo adoravano, se ne era accorta soprattutto allo stadio. E lei lo desiderava.
Fece un passo nella sua direzione, ma Edoardo le afferrò un braccio.
«Beviamo qualcosa insieme?»
«No. Non ho sete.»
Amara voltò le spalle a Edoardo e si spinse nella calca. Zlatan stava ridendo con Theo e stava ballando. Lei si soffermò a guardare la sua vita stretta che si muoveva, le mani grandi che fendevano l'aria. Zlatan alzò lo sguardo e i loro occhi si trovarono ancora una volta. Amara avvertì una contrazione al ventre. Gli sorrise, ma lo sguardo di lui si fece più affilato e strinse le labbra.
Edoardo la circondò con entrambe le braccia. «Sei sempre più bona.» La strinse forte, baciandola sulla guancia.
Amara si sentì soffocare. Riuscì a liberarsi dalla sua stretta e si voltò per fronteggiarlo. «Edo, lasciami in pace per stasera, ok?»
Edoardo la guardò attraverso gli occhi velati dall'alcool. «Si tratta così un vecchio amico?» Le palpeggiò il sedere. Amara gli allontanò la mano.
«Dai, sei ubriaco.»
Lui si avvicinò ancora. La sua mano si stampò ancora sul sedere di Amara. «Vieni di sopra con me, ho della roba buona.»
Spazientita, lei gli diede una spinta. «Ho detto che...»
Una mano si abbatté sul petto di Edoardo, allontanandolo con decisione da lei.
«Lasciala in pace.»
Edoardo perse l'equilibrio e andò a finire addosso a due uomini. Disse qualcosa che si perse nel frastuono della musica, fissando l'uomo che torreggiava su di lei e le stava davanti come per proteggerla.
Amara sorrise nel momento esatto in cui realizzò che Zlatan era intervenuto in suo aiuto, come un principe delle favole. Un principe piuttosto burbero, visto che non la degnò neanche di uno sguardo mentre tornava verso i tavoli, ma sexy da morire. Lo seguì e strinse la mano sul suo braccio per fermarlo. Lui si voltò a guardarla.
«Balli con me?»
Senza attendere una risposta, Amara gli passò le braccia intorno al collo. Lo sentì diventare teso, ma non si allontanò. Le mani di lui si poggiarono delicate sulla sua vita, quasi come se avesse paura di toccarla.
«Il tuo ragazzo non è geloso della vita che fai?»
Amara incurvò le labbra all'insù. Allora si trattava di quello? Credeva che lei avesse già un ragazzo? «Nessuno ha questo privilegio.»
«E Ivanov?» chiese lui. Le sembrò che le sue mani la stringessero un po' di più. Si muovevano come se stessero ballando un lento.
«Non è il mio ragazzo.» Zlatan fece un sorriso ironico e guardò da un'altra parte. «Perché, che vita faccio?»
Amara osservò la linea tesa delle sue labbra, gli occhi scuri che guardavano tutto tranne che lei. Gli sfiorò la nuca, giocando con una ciocca di capelli che usciva dalla coda bassa.
«Ti piace stare al centro dell'attenzione. Ti piace avere gli occhi di tutti gli uomini addosso.»
La durezza con cui lo disse la fece irrigidire. Era come se fosse disgustato. Tolse le mani dal suo collo e le portò sulle sue spalle, tirandosi indietro per guardarlo meglio. «Ti sto antipatica?»
Zlatan piantò gli occhi nei suoi e un brivido le corse lungo la schiena. «Sì.»
Wow. Era molto diretto. «Perché ti ho rubato la moto?» provò a scherzare.
«Perché sei insolente e arrogante.»
Amara lo lasciò e fece ricadere le braccia lungo il corpo. «È quello che si dice di te.»
Anche Zlatan la lasciò e un lampo di ira passò nei suoi occhi. «Cosa vuoi da me? Perché mi hai portato qui? Volevi impressionarmi? Non ci sei riuscita.»
«Ne sei sicuro?»
«Non basta un bel visino e un bel paio di gambe.»
Un bel visino, un bel paio di gambe. Amara sorrise ancora, insolente, come l'aveva definita lui. «Non sei bravo a fingere.»
Zlatan si chinò su di lei. «Amara, non sei interessante come credi. Sei solo una bella ragazza, ma insicura al punto tale da aver bisogno costantemente dell'attenzione degli uomini per sentirsi all'altezza.»
Amara impallidì. Non si era mai sentita indesiderata come in quel momento. «A quanto pare mi odi proprio.» Fece un passo indietro. «Goditi il resto della serata, non sarà difficile trovare qualcuna più interessante di me.»
Raggiunse il tavolo, raccolse le sue cose. Sua sorella la stava osservando, ma lei non incrociò il suo sguardo.
«Io vado, è stato un piacere.» Strinse la mano ai dirigenti del Milan.
«Che succede?» chiese Deva, fermandola con la mano stretta sul suo polso.
«Ho un po' di mal di testa, preferisco andare a riposare prima che aumenti.»
Deva annuì. «Ti chiamo domani.»
Amara si fermò vicino alla sua macchina e fece un respiro profondo. Si asciugò rapidamente le lacrime, furiosa con se stessa per aver permesso a Zlatan di farla sentire sbagliata.
Gli uomini erano sempre pronti a giudicare male quando incontravano una ragazza come lei, sessualmente libera. O era una puttana che scopava con chiunque, o una che bramava solo l'attenzione degli uomini.
Non sei interessante come credi.
Al diavolo Zlatan. Se non voleva avere niente a che fare con lei andava bene lo stesso. Però mentiva a se stesso quando diceva che ci voleva molto di più della bellezza per attirare la sua attenzione. Se lei fosse stata meno aggressiva probabilmente avrebbe ceduto più facilmente.
Si infilò in macchina.
Perché non gli piaci.
Forse Theo intendeva proprio questo: a Zlatan non piacevano le donne intraprendenti con gli uomini. Preferiva tenersi il suo ruolo da cacciatore e non essere la preda.
Lo avrebbe tenuto a mente.
Il giorno dopo, Amara era seduta davanti a uno specchio illuminato. Indossava una vestaglietta nera ed era circondata da ragazze che le sistemavano i capelli e il trucco. Doveva fare un servizio fotografico, scattare le gigantografie, da inserire negli store Versace, dei modelli della nuova collezione, che sarebbe stata presentata ufficialmente alla settimana della moda di Milano. Il suo telefono squillò. Era la sua manager Clarissa.
«Clari?» disse, con la bocca aperta, mentre una ragazza le stava mettendo il rossetto con un pennellino.
«Amara, ce li hai due minuti? Possiamo parlare?»
«Mi shanno ruhhhando.»
«Bene. Senti, ho appena ricevuto una telefonata dal Milan, vogliono invitarti a una cena esclusiva che si farà allo stadio.»
«Cosa?» Amara si mosse e la ragazza le fece una sbavatura. Le mimò di lasciarla da sola un istante e prese un fazzolettino, sporgendosi verso il vetro per cancellare il segno del rossetto al lato della bocca.
«Sarebbe una cena per sponsorizzare il brand che veste i giocatori» stava spiegando Clarissa. «Ma ho già chiarito che tu non vestirai quel brand.»
Amara aveva quasi dimenticato la serata precedente e in quel momento le comparve di nuovo davanti agli occhi la faccia disgustata di Zlatan. Perché il Milan la stava invitando? «Come mai mi invitano?»
«Sei stata allo stadio ieri sera e la tua presenza ha avuto una certa eco. Vorrebbero che partecipassi alla cena esclusiva e indossassi la loro maglia.»
«Chi sono gli invitati? Le solite ragazzine influencer?»
«Suppongo di sì. Qualche rapper e i calciatori.»
Zlatan sapeva che la stavano invitando? Ne dubitava, probabilmente si sarebbe imposto per non farla chiamare. E proprio per quel motivo decise che ci sarebbe andata. Giusto per fargli andare di traverso la cena.
«Quanto mi danno?»
«Non hanno parlato di compenso. Quanto vuoi?»
«Fai tu, ma che sia parecchio. Vado. Ci sentiamo dopo.»
E così lo avrebbe rivisto molto presto. Amara si appoggiò allo schienale, richiamò le truccatrici e sorrise.
Si sarebbe divertita.
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