2. Sensazioni forti
Amara era confusa.
Scese a piedi i tre piani che separavano l'appartamento di Zlatan Ibrahimovic da quello di Grigorij cercando dare un nome alla sensazione che aveva provato di fronte a quell'uomo imponente.
Attrazione.
Ne era stata attratta fin dal momento in cui lui aveva spalancato la porta, con la camicia sbottonata, i capelli lunghi e i piedi scalzi. E la sicurezza che aveva scorto in quegli occhi scuri.
Non poteva sapere che la moto che aveva preso in prestito fosse di Zlatan Ibrahimovic. Quando Grigorij aveva proposto la scommessa, un uomo era appena sceso dalla moto e si era infilato nel palazzo. Non aveva fatto in tempo a vederlo e per lei non aveva nemmeno importanza. Però non avrebbe mai immaginato che si trattasse dell'inquilino più famoso di tutto il palazzo.
Sorrise, ripensando a come l'aveva messa in guardia dai pericoli che correva. Di solito Amara non se ne andava in giro a rubare moto, ma con Grigorij capitava spesso di fare delle pazzie.
Lui era pazzo, un russo pieno di soldi, sprezzante del pericolo e delle leggi, sempre pronto a fare qualche scommessa. Anche la prima volta che si erano conosciuti avevano fatto una scommessa. Amara si trovava fuori da una discoteca e stava cercando un taxi per tornare a casa. Grigorij era uscito scortato da due uomini grossi il doppio di lui. L'aveva guardata e le aveva chiesto cosa ci facesse lì fuori tutta sola. Amara aveva risposto che stava aspettando un taxi. Ma i loro sguardi avevano iniziato a comunicare qualcosa. Grigorij era bello, aveva un fisico imponente, alto e muscoloso, i lineamenti del viso spigolosi, gli occhi scuri come i capelli, e un sorriso che emanava fascino. Amara ricordava che già in quel momento aveva provato un brivido, di eccitazione, di paura. Conosceva abbastanza il mondo da capire che quel ragazzo apparteneva alla malavita. Gli scagnozzi che guardavano la strada con occhio vigile, i suoi vestiti costosi, la sua ostentata sicurezza. Tuttavia, il corpo di Amara aveva reagito subito a quello di Grigorij.
Lui la guardava senza nascondere il desiderio. Desiderio che evidentemente non aveva saputo nascondere nemmeno lei, perché Grigorij aveva fatto qualche passo verso Amara e le aveva detto: «Potrei dartelo io un passaggio a casa, ma ho anche voglia di baciarti e sembra proprio che anche tu lo voglia. Potremmo unire le due cose e baciarci mentre ti accompagno a casa.»
Amara era scoppiata a ridere. «Cosa ti fa pensare che io voglia baciarti?»
«Dal modo in cui mi guardi le labbra.»
Lei aveva scosso la testa e si era umettata la bocca. «Sei troppo sicuro di te.»
Lui aveva sorriso. «Facciamo una scommessa, se riuscirai a resistere cinque minuti senza baciarmi, te lo do io un passaggio a casa.»
Amara lo aveva guardato divertita e interessata, aveva annuito e Grigorij si era avvicinato. L'aveva attirata a sé, cingendole delicatamente la vita con un braccio, e aveva abbassato il viso verso quello di lei. Amara non sapeva dire per quanto erano rimasti a guardarsi, ma a un tratto avevano iniziato a baciarsi. Un istante prima si stavano sorridendo e quello dopo le loro bocche erano incollate. Quella notte non era rientrata a casa, ed era rimasta con Grigorij per due giorni consecutivi senza mai lasciare l'appartamento, a cercare di saziare la fame che sembrava divorarli.
La loro storia era andata avanti per alcuni mesi, poi lui aveva iniziato a essere troppo geloso, troppo possessivo, e Amara aveva deciso di chiudere. Grigorij era tornato in Russia e non lo aveva più visto fino alla settimana prima, quando lui era tornato e l'aveva cercata, ed erano finiti di nuovo a letto insieme.
Entrò nell'appartamento che Grigorij usava quando era a Milano per affari. Amara non aveva mai chiesto di che tipo di affari si occupasse. Ufficialmente, Grigorij Ivanov era un imprenditore nel settore dell'import/export e a lei stava bene così. Trovò Grigorij al telefono, in piedi vicino alla vetrata. Parlava in russo e le scoccò un sorriso quando la sentì entrare.
Amara si sedette sul divano e guardò l'orologio al polso. Erano le sei e mezza e lei doveva tornare a casa e prepararsi per la cena con sua sorella Deva. Il giro in moto era durato più del previsto, approfittando della zona poco trafficata aveva spinto la bestiolina quasi al massimo e si era divertita tantissimo.
Grigorij smise di parlare al telefono e le rivolse la sua completa attenzione. «Allora, com'è andata?» Si chinò su di lei e le diede un bacio sulle labbra. Amara lo respinse.
«La moto di Zlatan Ibrahimovic?» gli chiese, con sguardo accusatorio. Se Zlatan l'avesse denunciata la storia avrebbe avuto un'eco gigantesca. Non che le importasse poi molto se finiva sui giornali per qualche "scandalo", ma questo avrebbe potuto causarle problemi sul lavoro. Aveva chiuso da poco un contratto con Versace e di certo non sarebbero stati contenti di sapere che la loro modella di punta se ne andava in giro a rubare motociclette per divertimento.
Grigorij si tirò su con un sorriso mesto. «Che importa di chi era, ho comunque perso.» Si accomodò accanto a lei, allargando le gambe in una posa rilassata.
«Però potevi dirmelo invece di mandarmi da lui inconsapevole.»
Lui sorrise e le prese una ciocca di capelli tra le dita. «Ti ha trattata male? Vuoi che vada da lui a difendere l'onore della mia ragazza?»
Non l'aveva trattata male, anzi. Era stato inaspettato per lei. Credeva che si sarebbe trovata davanti qualche brontolone che sperava di rabbonire con il suo sorriso più affascinante e invece si era trovata spiazzata. Perché era stato lui ad affascinarla, con quel suo cipiglio e il mezzo sorriso, con quei capelli sciolti e umidi che gli accarezzavano il collo forte, e la sua statura imponente. Amara lasciò andare un sospiro, piacevolmente accaldata.
«Non sono più la tua ragazza.»
«No? È da quando sono tornato a Milano che dormi nel mio letto e fai l'amore con me.» Grigorij si sporse verso di lei per darle un altro bacio.
«Non significa niente.»
«Mi vuoi far credere che una ragazza desiderata come te non abbia trovato nessuno che le scaldava il letto dopo che la nostra storia era finita?» La mano calda di lui si posò sulla sua pancia scoperta.
Amara gli infilò le dita tra i capelli e sorrise. «Oh ne ho trovati, è stato un anno intenso.»
Gli occhi di lui si infiammarono. La sua mano risalì fino al seno e lo strinse tra le dita. «Non farmi ingelosire.» Le ficcò la lingua in bocca e Amara rispose all'impeto di quel bacio, gemendo per la forte contrazione tra le gambe.
Si scostò dalle sue labbra. «Grigorij, farò tardi alla cena con mia sorella.»
Lui sospirò, la bocca sul suo collo, la lingua che lambiva la pelle delicata. «La famiglia prima di tutto.»
Amara lo allontanò. «Non è per questo che sei tornato a Milano, per i tuoi affari di famiglia? O mi vuoi far credere che non riuscivi a stare lontano da me?»
Grigorj la guardò e incurvò le labbra verso l'altro, gli occhi appannati di desiderio. «Entrambe le cose.» Passò il pollice sul capezzolo turgido di Amara.
Lei si leccò le labbra. Controvoglia, gli spostò la mano. Doveva proprio andare. «Voglio la mia ricompensa.»
Avevano fatto una scommessa, lei aveva vinto e lui doveva pagare. A Grigorij piaceva puntare un sacco di soldi nelle sue scommesse e di solito Amara vinceva sempre. Non le piaceva perdere. Stavolta si era trattenuto, aveva messo in gioco diecimila euro e Amara non aveva rialzato solo perché quella moto lì fuori, tutta sola e con le chiavi inserite, l'aveva stuzzicata abbastanza da accettare la sfida anche senza ricompensa.
Con un sospiro di frustrazione Grigorj si alzò dal divano. «Sei ingorda.»
Da sotto al pantalone premeva impetuosa la sua erezione e Amara avvertì un'altra scarica di desiderio tra le gambe. Grigorij le faceva sempre questo effetto, il suo corpo sapeva che Grigorij le avrebbe dato esattamente quello che voleva. Sfamava quella parte di lei che voleva essere presa con una certa dose di brutalità. In questo le ricordava Lucas, il suo primo vero grande amore, dal quale non si era mai staccata del tutto. Lo sentiva ancora. Lo vedeva ancora. Faceva ancora sesso con lui. Come se il suo corpo non potesse fare a meno di unirsi a quello di lui ogni volta che si vedevano. E per sua fortuna capitava raramente.
Con Lucas aveva avuto una storia tormentata, viscerale, le aveva spezzato il cuore e l'aveva resa la persona che era adesso: incapace di legarsi sentimentalmente a qualcuno. Ironia della sorte, Lucas era il fratello di Theo, l'attuale fidanzato di sua sorella. Forse le due sorelle Monti erano destinate a stare con i due fratelli Hernandez.
Grigorij tornò nel salone con una mazzetta di banconote da cento euro. Si era sbottonato la camicia e l'erezione era ancora evidente. «Tieni. Pensi solo ai soldi.»
Amara li afferrò al volo e li gettò a terra. Si sporse verso di lui e, tenendolo per i lembi della camicia, lo tirò su di sé. Deva poteva aspettare.
«Sono briciole, l'ho fatto perché mi divertiva farlo. Con questi non ci pago nemmeno la cena a Zlatan» rispose, mentre Grigorij non perdeva tempo e le sbottonava i jeans.
«La cena?» Tirò via con forza i jeans e le scostò il perizoma di pizzo azzurro chiaro per toccare la sua carne bagnata.
Amara ansimò e gli spinse la testa tra le gambe. «L'ho invitato a cena per farmi perdonare.»
La lingua di Grigorij accarezzò il suo clitoride turgido e si bloccò. I suoi occhi cercarono quelli di Amara e si scurirono. «Non andrai a cena con lui.»
Lei sbuffò sorridendo e gli schiacciò la faccia contro il suo sesso. «Continua» ordinò.
Chiuse gli occhi e reclinò la testa indietro, lasciando spazio solo al piacere. Con la bocca, Grigorij la stuzzicò fino al punto da lasciarla stordita e insoddisfatta. Si abbassò i pantaloni, le afferrò un braccio e la tirò su.
«Girati» le disse, leccandole le labbra e lasciandole il suo stesso sapore sulla bocca.
Amara si voltò, inginocchiandosi sul divano e aprendosi per lui. Sentì il suo respiro affannoso sul collo e la punta del suo pene scivolò un paio di volte tra le due aperture prima di entrarle dentro con una stoccata decisa che la fece rabbrividire e gemere di piacere. Amara gli andò incontro, invitandolo a spingere più forte. Grigorij la tenne per i fianchi e la lasciò cavalcare la sua asta come sapeva che le piaceva fare quando si facevano una sveltina, con impeto. Infilò il pollice tra le natiche e lo premette sul buchino più stretto, massaggiandolo.
Una potente scarica di piacere attraversò Amara, che si schiacciò contro il suo cazzo, contro la sua mano. Ne voleva di più. Si toccò il clitoride gonfio e fremette. L'orgasmo iniziò a montare, si toccò ancora e Grigorij spinse il dito con più decisione contro il suo ano. Amara venne, rallentò il movimento per godersi tutto il piacere mentre le ondate si abbattevano su di lei e la lasciavano tremante e annebbiata. Accolse le ultime spinte di Grigorij col cuore che rimbombava nelle orecchie e il fiato corto. Si accasciò contro il divano, Grigorij le schiaffeggiò il sedere e si chinò su di lei, scostandole i capelli dal collo e baciandola sulla spalla.
«Cazzo, sì. La mia cavalla purosangue.»
Amara gli sorrise languida. «Ora devo proprio andare.»
Lui si tirò su e scalciò via i pantaloni che gli erano rimasti incastrati alle caviglie. «Stanotte torni qui?» le chiese, mentre si incamminava verso il bagno.
«No.» Amara raccolse il suo jeans e lo infilò. «Ci sentiamo in questi giorni.»
Non disse niente, ma Amara colse una punta di fastidio nel suo sguardo. «Non farmi aspettare troppo, piccola.»
Scomparve nel bagno. Amara infilò la mazzetta di soldi nella borsetta e uscì.
A casa si fece una doccia veloce e si cambiò, indossando una gonnellina grigio chiaro, piena di perline e un top nero semplice, stivali alti col tacco e un maglione pesante. La sera cominciava a fare freddo.
Salì in fretta al piano di sopra e bussò alla porta di sua sorella. Abitavano nello stesso condominio, una sopra l'altra. I loro appartamenti erano identici, stessa grandezza, stesso numero di camere, stessa disposizione. Solo l'arredamento era diverso. Glieli aveva regalati il padre, poco prima di morire. E quello era anche uno dei motivi per cui Amara si era trasferita a Milano. Prima viveva a Madrid. Aveva vissuto a Madrid da quando i suoi genitori si erano separati e lei era andata con sua madre, mentre Deva era rimasta con il padre. Amara aveva solo cinque anni e per tanto tempo non aveva avuto un gran rapporto con la sorella, ma da quando era tornata a Milano stavano cercando di recuperare il tempo perso.
La porta si aprì e davanti a lei comparve Theo Hernandez.
«Ehi» fece lui, tutto sorridente.
«E tu che ci fai qui?» rispose lei, entrando.
Theo stava per abbracciarla, ma si bloccò e sollevò un sopracciglio. «Ci vivo forse? Non ti preoccupare, non vengo a cena con voi, non disturberò le vostre chiacchiere.»
Conosceva Theo da quando era un adolescente, era sempre stato una testa calda come suo fratello Lucas, ma da quando aveva incontrato Deva sembrava essere diventato più maturo. Gli sorrise e lo strinse tra le braccia.
«Idiota, credevo che avessi altri impegni stasera.»
«Infatti. Devo riposare, domani ho una partita.»
Theo giocava a calcio e questo le fece tornare in mente Zlatan Ibrahimovic. Si accomodò sul divano accanto a Theo.
«Tu conosci Zlatan Ibrahimovic?»
«Certamente, ha giocato con me fino all'anno scorso, poi si è ritirato e ora sta per entrare in dirigenza. Non ne sono sicuro, ma credo che lo annuncino domani allo stadio. Perché me lo chiedi?»
«Beh, oggi gli ho rubato la moto.»
Theo scoppiò a ridere. «Gli hai rubato la moto! E sei ancora viva per raccontarlo!»
In quel momento Deva entrò nel salone e guardò Amara con le sopracciglia aggrottate. «Come sarebbe a dire che hai rubato una moto?»
«A Ibra» puntualizzò Theo, che ancora rideva.
Amara alzò gli occhi al cielo. «Era uno scherzo, gliel'ho riportata subito dopo. Ho fatto una scommessa con Grigorij.»
A quel punto le sopracciglia di Deva schizzarono verso l'alto. «Ancora con quel Grigorij? Pensavo che vi foste lasciati da parecchio.»
Deva aveva indossato un pantalone a palazzo a vita alta e una camicetta di seta. Era bellissima, somigliava tanto alla loro madre, che era stata la top model più pagata al mondo. Avrebbe potuto tranquillamente seguire le orme della madre, col fisico che si ritrovava e la bellezza mozzafiato avrebbe fatto una carriera sfolgorante, ma lei aveva scelto di seguire le orme del padre ed era diventata una procuratrice di calciatori. Amara si alzò dal divano.
«Non stiamo insieme. È qui a Milano per lavoro e ci siamo visti qualche volta.»
Deva si abbassò verso Theo e gli diede un bacio. «Theo, noi andiamo. Ci vediamo più tardi.»
Lui le riservò uno sguardo molto caldo, intimo e pieno d'amore. «Ciao amore. Ciao Amara. Divertitevi.»
Le due sorelle uscirono di casa.
«Domani vai a vedere la partita di Theo?» chiese Amara.
«Sì, perché?»
«Posso venire pure io?»
Deva nascose bene la sorpresa di quella richiesta. Annuì, tutta seria, e premette il pulsante dell'ascensore. «Certo, vedrò di procurarti un biglietto. Posso chiederti come mai vuoi venire a vedere la partita? Non ti ho mai vista allo stadio.»
Amara finse un'aria innocente e si strinse nelle spalle. «Ho voglia di provare qualcosa di nuovo. Magari potrebbe appassionare anche me.»
Sua sorella non riuscì a trattenere un sorriso. «Amara, hai messo gli occhi su qualcuno?»
«Ovviamente.»
Uscirono nella frescura della sera. Il ristorante era a un solo isolato di distanza e proseguirono a piedi.
«Zlatan Ibrahimovic?» chiese Deva.
Amara annuì. «È affascinante.»
«Beh, sì. Sicuramente molto carismatico.»
«Tu lo conosci?» chiese, curiosa di saperne di più.
«Non proprio. L'ho visto diverse volte, ho scambiato qualche chiacchiera con lui, ma niente di più. Theo lo conosce bene, hanno giocato insieme diversi anni.»
«Me lo ha detto prima. E mi ha detto anche che domani sarà annunciato come nuovo dirigente. Voglio essere lì quando succederà.»
Deva sorrise e scosse la testa, consapevole che quando Amara si metteva in testa qualcosa difficilmente si sarebbe riusciti a farla desistere. «Ti farò avere il biglietto.»
Sul viso di Amara si aprì un ampio sorriso. Prese Deva sottobraccio. «Grazie sorellona. Ora dimmi, avete già deciso la data?»
Gli occhi di Deva si illuminarono. «Non ancora.»
La settimana prima, durante un week end in Sardegna, Theo le aveva fatto la proposta di matrimonio e ora all'anulare di Deva scintillava uno splendido diamante grosso quanto un'unghia. Guardando il bel volto sereno della sorella, Amara si ritrovò a pensare a quanto anche Deva fosse cambiata da quando stava con Theo.
Una fitta di malinconia le punzecchiò velocemente il cuore. Lei probabilmente non avrebbe mai trovato un ragazzo che la amasse come Theo amava Deva. Le era completamente devoto. Ma, d'altro canto, Amara non si sentiva pronta per una storia così importante. Non si sentiva pronta per la persona definitiva.
Amara amava vivere la vita intensamente, sentirla fin sotto la pelle, spremerla fino all'ultima goccia. Viveva per le sensazioni forti, quelle che non duravano oltre l'attimo in cui venivano assaporate.
E le stava bene così.
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