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Capitolo 9 - Dialoghi profondi

Gli antibiotici sono farmaci che vengono somministrati dai medici, a quei pazienti nel cui corpo vengono trovati batteri che hanno causato un'infezione.
Le cure antibiotiche intervengono non solo sui batteri patogeni, cioè quelli che causano la malattia, ma anche sui batteri buoni, che popolano l'intestino, e che svolgono un'importante funzione per il benessere generale.

Questo comporta molto spesso effetti collaterali, come disturbi dell'apparato intestinale, debolezza, e dolori muscolo scheletrici, oltre a rendere debole il nostro sistema immunitario.
Dunque, dopo una terapia antibiotica, è sempre bene stare riservati, lontani da chiunque e qualunque cosa, che possa intaccare i miglioramenti avvenuti; per intenderci, un sistema immunitario debole, arranca in una guarigione di un semplice raffreddore.

Per una buona ripresa, è inoltre consigliato l'assunzione di probiotici e prebiotici per favorire l'equilibrio della flora intestinale, un'alimentazione ricca di frutta e verdura, insieme ad altri alimenti ricchi di fibre, minerali, e vitamine, soprattutto vitamina C, e vitamine del gruppo B.

Su questa massima, che si trae dall'esperienza indiscussa di esperti in medicina, nessuno potrebbe e dovrebbe avere qualcosa da replicare, nessuno a parte Ellen Harris.

<< Cosa vuol dire ridurre le visite allo stretto necessario? >> gridò spaurita, la prima sera che rientrò in hotel.
<< Vuol dire che devi stare riservata! >> le specificò Antony per l'ennesima volta.
<< Hai il sistema immunitario debole, non puoi sapere cosa cova il corpo umano, e tu non puoi rischiare di ammalarti ... si tratta solo di resistere per il periodo della cura ricostituente. Quindi ti ribadisco, visite al minimo, e che questo minimo indossi sempre per protezione verso di te, una mascherina ... ovviamente indossala sempre anche tu! >>
<< Ne ho comprato due scatole! >> intervenne Jamy, facendo oscillare la busta della farmacia che le conteneva.

<< Ma smettila tu! >> lo aggredì Ellen con sguardo glaciale. << E queste ampolle che sanno di succo di frutta stantio ... le devo bere per forza? >>
<< Sì Ellen! >> asserì Antony stancamente. << Sono i migliori fermenti in circolazione, sistemeranno la tua flora intestinale, poi mangiare sano e camminare all'aria aperta, ti aiuteranno nella ripresa generale. >>
<< Quante lagne! >> sbottò Jamy. << Tranquillo Antony ... >> continuò cambiando tono,
<< ... farò tutto il necessario per riportarla alla sua forma ottimale. >>
<< Alla sua forma ottimale ... >> lo scimmiottò Ellen, << Adesso posso togliere un po' la mascherina? >>
<< No! >> gridarono insieme Jamy e il Dottore.

Dalla dimissione, trascorsero due settimane, volarono veloci come una occhiata ai caccia che squarciano i cieli, si sente nettamente un boato, ma non si ha il tempo di identificarli con lo sguardo.
Tra sbuffi, imprecazioni, e dito medio sollevato alla pari dello sbattere delle palpebre, le serie direttive di Antony, si susseguirono con una precisione maniacale sotto il controllo di Jamy.
La ripresa di Ellen non poteva andare meglio, ma la sua pazienza per le restrizioni era al limite, e qualcosa su cui lamentarsi la trovava sempre.

<< Ma ti vuoi rendere conto di quanto sei stata fortunata? >> le gridò Jamy esausto.
<< Certo che sì, palloso di un soldatino! >> brontolò Ellen ad un passo da una crisi nevrotica.
<< Allora risolleva quella dannata mascherina! >> ordinò puntandole un dito contro,
<< Perché vuoi rovinare tutto gli ultimi giorni? >> aggiunse in tono afflitto.
<< Perché non ti darò il bacio della buona notte con questa pezza umidiccia che ci copre metà faccia! >>

Jamy scosse la testa, reprimendo una risata che sicuramente l'avrebbe fatta imbestialire ancora di più. Con sguardo amorevole si avvicinò al letto, e si chinò per sfiorarle la fronte, Ellen si scansò arrabbiata.
<< Bene ... allora ne farai a meno! >> convenne Jamy assottigliando la voce,
<< Buona notte! >> aggiunse spegnendo la abatjour sul comodino.

Il buio avvolse la camera di Ellen, lasciando una leggera penombra che permetteva solamente di vedere dove mettere i piedi.
<< Vado a dormire anche io Ellen. >> la informò stizzito.
<< Da quando hai ripreso a chiamarmi Ellen? >> gridò guardandolo uscire,
<< Amore o Tesoro li hai barattati per una ampolla di fermenti? >>

Jamy tornò sull'uscio della porta con un sorrisetto amabile.
<< Mi pare sia il tuo nome no? >>
Ellen puntellò i gomiti, e inarcò la schiena per vederlo meglio, il suo sguardo furioso era carico di scintille.
<< Fanculo Jamy Moore! >>
<< Ti amo donna maledetta! >> replicò lui suadente.
<< Torna qui e dammi un bacio, asino di un uomo! >> sibilò con rabbia.

<< Metti la mascherina? >>
<< Ahaaa! >> urlò Ellen spazientita; digrignando i denti si tuffò all'indietro, e scalciando mise in subbuglio il letto.
<< Niente mascherina ... niente bacio, Ellen. >>
<< Giuro che ti strapperei tutti i riccioli! >> lo aggredì serrando i pugni.
<< Allora buona notte! >> terminò Jamy senza ammettere altre repliche, e socchiudendo la porta, si incamminò verso il soggiorno, dove lo attendeva un soffice divano letto.

Per un istante Ellen rimase ferma in silenzio, poi con i piedi scoperti, si alzò a dare una sistemata al letto.
<< Brucerò quel divano! >> borbottò strattonando le lenzuola.
<< Sì lo brucerò e lo manderò a dormire in veranda. >>

Per una buona mezz'ora, Jamy ascoltò gli irriverenti rimproveri a lui dedicati, quando il silenzio calò, credette che si fosse addormentata.
"Un'altra giornata da pazzi è conclusa" pensò storcendo la bocca per uno sbadiglio.
Con passo smorzato, mise basculanti le vetrate del soggiorno, il cambio d'aria e la silente natura, avrebbero favorito il sonno, poi spense tutte le luci, eccetto quella accanto al divano, e si abbandonò su di esso con uno sbuffo.

Nella tasca dei pantaloni il telefono vibrò, una notifica dell'arrivo di un messaggio lampeggiò sullo schermo.
"Fanculo a te e alla mascherina" mostrava il testo di Ellen.
Jamy sorrise levando lo sguardo verso l'alto.
"Tutto amore!" digitò lui in risposta, e rise nel ricordare che quella frase era solita pronunciarla lei, al che lui, come un disco rotto, replicava: non ti amerei neanche fossi l'unica donna della terra ...
<< Codardo e bugiardo! >> bisbigliò canzonando se stesso.

Considerandosi l'uomo più fortunato al mondo, ringraziò la buona sorte per l'evoluzione della loro amicizia, aver saputo aspettare senza mai perdere la speranza, era qualcosa di cui andare fieri.
Commosso dalla valanga di ricordi che li accomunava, portò la mano nella tasca interna della giacca, il rigonfiamento cubico del piccolo scrigno che conteneva, parve fremere al suo tocco.
Emozionato lo portò alla luce, e solo dopo un respiro profondo per trattenere una miriade di emozioni, lo aprì.

Al primo sguardo, immaginò davanti a sé Ellen. Una espressione ammaliante, le illuminava il volto, i capelli non più castani come un tempo, sciolti e leggeri cadevano sulle spalle, le sue dolci curve, nascoste da un candido vestito in cotone lungo e delicato, danzavano bramando il tocco delle sue mani.

Socchiuse gli occhi, e lasciò andare la fantasia, il focus si dirottò sul diamante del solitario che aveva fatto creare apposta per lei, niente di più appropriato per l'unico amore della sua vita.
Sotto il fioco chiarore della lampada parve brillare di luce propria, elargendo scintillii multicolore, che si aggrovigliarono alle linee pulite e semplici della montatura in platino.

Troppo esaltato per riporlo e andare a dormire, decise di chiamare Lorelain per condividere l'acquisto; quasi fosse in collegamento con i suoi pensieri, rispose al primo squillo.
<< Jamy l'hai ritirato? >> gli domandò senza neanche salutare.
<< Sì ... mio Dio è ... è proprio come lei ... unico e raro! >>
<< Bleah! >> grugnì Lorelain, << Troppa dolcezza amorosa mi accappona la pelle! >>
<< Non essere sciocca! Piuttosto pensavo alle rose ... >>

<< Oh no ... Jamy ancora che insisti? >>
<< Certo che insisto, è quello che voglio fare, e poi come stavo per dirti, ho trovato due fiorai che possono soddisfare la mia richiesta! >>
<< Tu sei pazzo! >> lo rimproverò Lorelain.
<< Avevi detto che approvavi la mia idea! >> sbottò Jamy deluso.

<< Sì tesoro ... approvo la tua idea per il matrimonio e non vedo l'ora ... ma ti prego sii ragionevole! Oltre tredicimila rose ... è uno sproposito! Hai idea del patrimonio che ci
vorrebbe? >>
<< Spenderei ogni mio singolo centesimo per la sua felicità! >>
<< Lo so ... >> gemette Lorelain con voce supplichevole, << ... ma abbiamo anche calcolato i mesi ... mi sembra più fattibile no? >>

Improvvisamente Jamy scostò il telefono dall'orecchio, un fruscio alle spalle lo costrinse a voltarsi; una leggera brezza muoveva le fronde delle querce davanti alla vetrata, sinistre ombre si proiettavano danzanti nella penombra della camera.
Un fremito di agitazione lo scosse, e mentre Lorelain al telefono, lo sollecitava per una risposta, volse lo sguardo alla porta della stanza di Ellen, ora aperta e non più socchiusa come l'aveva lasciata.

Incerto, si rannicchiò spostandosi verso il giallore che emanava la lampada, e quando allungò la mano per aumentare la sua intensità, cacciò un grido terrorizzato.
Silenziosa come un'ombra, Ellen apparve davanti a lui; con la camicia da notte bianca sgualcita, e i capelli arruffati che le nascondevano il viso, gli parve di vedere "Samara", la bambina maledetta del film horror "The Ring".
<< T-tu ... tre-tre-tremenda ... >> balbettò Jamy in shock.
Dallo spavento, il piccolo scrigno con il solitario gli scivolò dalle mani, ruzzolando sul tappeto si adagiò davanti ai piedi di Ellen, che subito lo raccolse.

<< Dio mio è ... è fantastico! >> sussurrò incantata.
Jamy si alzò di scatto e glielo strappò dalle mani. << Che tempismo! >> constatò contrariato, e con un'occhiataccia indossò nuovamente la mascherina.
Ellen sorrise a disagio, si diede una sistemata ai capelli, e si sedette sul divano.
<< Volevo solo il mio bacio della buonanotte, ormai senza non riesco a dormire ... >> gli mostrò la sua mascherina in segno di scuse, ma essendo distanti non la indossò. 

<< Quanto hai ascoltato? >> le domandò con voce strozzata.
<< Ha importanza? >> rincarò lei con sguardo bieco.
<< Lo ha per me! >>
<< Tutto! >> ammise Ellen con un'alzata di spalle, << Non è la prima volta ... credevo che ti fosse passata ora che sto meglio. >>
Jamy la fissò costernato. << Che mi fosse passata ... >> ripeté in un sussurro,
<< La mia voglia di sposarti l'hai scambiata per un'influenza? >>

<< Non fare il melodrammatico ... intendevo passata l'idea strampalata di tutte quelle rose ... >> provò a rimediare Ellen.
<< E perché dovrebbe passare? >> le chiese con un brusco inasprimento di tono.
Ellen lo fissò incerta, mosse le labbra per rispondere d'impeto, ma si frenò dal mentire.
<< Se devo essere sincera ... penso che non sia il momento. >>

La risposta arrivò a Jamy come un fendente rovente di lama dritto al cuore, con l'impressione di un tremore del suolo, la paura di un cedimento lo disorientò a tal punto, da costringerlo a sedersi nella poltrona di fronte a lei.
La trepidante attesa di vederla un giorno sfilare lungo una navata, si trasformò in qualcosa di confuso, come una fotografia sbiadita dal tempo; ogni fantasia creata dalla sua mente si infranse, e tutto si ridusse ad un conato che gli contorse lo stomaco.

<< Ja ... Jamy ... >> balbettò Ellen andandogli vicino, ma lui si ritrasse scansando lo sguardo.
<< Non me lo aspettavo ... >> riuscì a dire con un filo di voce, << ... è da così tanto che attendo questo momento ... ma va bene, no, non va bene! >>
<< Credo che sia meglio discuterne domani. >>
Jamy la fissò sempre più incredulo, adesso lo sconforto lo sentì impossessarsi del suo cuore, il dolore fu insopportabile, l'anima ne assorbì ogni lamento, e per mediare in qualche modo, lo rigettò fuori sotto forma di rabbia.

<< A questo punto il bravo Jamy deve fare silenzio? >> gridò alzandosi, << Come un bravo soldatino che esegue gli ordini, dormirà ... poi ne discuterà con te ... e poi accetterà di aspettare il tuo momento giusto? >>
<< Jamy per favore ... >>
<< Per favore? >> ripeté incredulo, e rise nervosamente, << Sai ... talmente ti conosco, che so per certo cosa dirai adesso! >>
Ellen serrò strette le braccia e lo sfidò con lo sguardo a continuare.

<< Tu pensi di aspettare per Joly ... ma la mia bambina è diventata una scusa costante per te! >>
<< Non è una scusa! >> protestò Ellen iniziando a scaldarsi, << Non puoi non aver notato che non è ancora venuta a visitarmi ... Joly è ... è sempre stata il problema fra noi! >>
<< Altro che cura rigenerante per te! >> sbottò Jamy, << Ma ti senti quando parli? >>
<< Jamy ... hai detto che aspetti da tanto ... ti sei mai chiesto da quanto aspetto io? >>
<< Tu aspetti? E cosa di preciso? Hai sempre avuto tutto senza rendertene conto! >>
<< Io non ho avuto te! >> urlò Ellen, le mani tremavano, gli occhi luccicarono ma si diede da fare per trattenere le lacrime.

<< Dal primo giorno che ti incontrai, ho capito che eri speciale, speciale per me! Quando è nata Joly, ti dissi che senza te non avrei mai potuto essere felice, ti dissi che senza te, non avrei potuto vivere ... forse ti amavo già allora, ma quando ho capito davvero di amarti, tu e Joly eravate così in simbiosi ... e io così distaccata dal vostro mondo, ho preferito non intromettermi. Cosa fare se tra noi andava male? Io ti avrei perso ... ma non potevo permettere che ti perdesse lei! Amarti ha sempre significato rischiare di perderti, con la costante paura ho semplicemente scelto il silenzio. Ora so che niente e nessuno potrebbe rovinare quello che c'è tra voi ... ma sposarci ... significa donare a me stessa la vera felicità, ma non la voglio, se prima non ho la sicurezza che lei abbia trovato la sua! Sono sicura che adesso qualcosa non stia andando nel verso giusto! >>

Jamy si sentì soffocare, si abbassò leggermente la mascherina per permettere al naso di inalare quanta più aria possibile, il suo triste sguardo si assottigliò, pareva pronto a scoppiare, ma contrariamente a quanto pensò Ellen, si alzò con la massima cautela.

<< I miei genitori ... >> iniziò pacato, << ... mi hanno insegnato, che prima di stare bene circondato dalle persone, devi stare bene con te stesso ... tu sei così attaccata al tuo passato, che continui a trascinarlo nel presente, sapevo che quella bugia ci si sarebbe ritorta contro! Joly di felicità ne potrà avere anche infinita, ma finché non ti perdonerai, finché non accetti ciò che sei stata, tu non sarai mai felice! Mai Ellen! Se tu dicessi a tua figlia quella benedetta verità, potrete superarla insieme ... lo sai bene il motivo per cui non è ancora venuta a visitarti ... >>
<< Non ... non mi perdonerà mai ... >> singhiozzò Ellen.

Jamy si inginocchiò davanti a lei, e le accarezzò dolcemente il viso.
<< Dille la verità amore mio ... >>
<< Si spezzerà l'anima ... >> gemette Ellen scuotendo la testa, << Non posso! >>
<< Ma renditi conto che con questa bugia, le sei stata lontano molto più di quando non lo fossi già stata in precedenza per il lavoro ... quando saprà la verità tutto ... >>
<< No! >> gridò Ellen alterata. << Mai! >>

Jamy si scostò con un ultimo sguardo carico di amarezza, strascicando i piedi arrivò alla porta, sull'uscio si fermò.
<< A questo punto per noi non ci sarà mai un momento giusto! >>
<< Questo lo pensi solo tu! >> ribatté Ellen, ma Jamy si era già chiuso la porta alle spalle.

Lungo il corridoio, si accorse che la chiamata con Lorelain era ancora aperta.
<< Chiama la tua amica! >> disse laconico, e riagganciò.

Lorelain, come Ellen, sedeva scomposta sul divano; in entrambi i visi, calde lacrime scendevano senza sosta sfogando rabbia e tristezza.
<< Niente nel verso giusto ... >> singhiozzò Lorelain mentre componeva il numero della sua amica.

Menefreghista delle sensazioni umane, il tempo continuava ad andare avanti; il sole, ormai libero dalla leggera foschia del mattino, indossò una veste più calda con l'arrivo del pomeriggio. Posati i raggi sulla struttura centrale dell'hotel, avvisò lo staff del cambio turno, e liberandosi da una nuvola passeggera, ne sprigionò altri per riscaldare le chiome degli ospiti, che erano pronti per iniziare le attività al ranch.

Estremamente curiosi, stavano tutti lungo lo steccato del rettangolo scelto da Osman; rispetto alle altre zone di allenamento era più piccolo, ma per un primo approccio con i cavalli era perfetto.
<< Vi assicuro che in pochi giorni sarete in grado di passeggiare guidandolo voi stessi, il percorso lungo il fiume in questa stagione è un incanto. >> disse per tranquillizzare le espressioni turbate dei più timorosi.
Nel rettangolo di fianco, un gruppo di chiassosi marmocchi, si divertiva a coccolare dei curiosi pony.

Joly passò veloce come un'ombra davanti ad Osman; solitamente era lei che dava il benvenuto agli ospiti, nessuno meglio di lei era in grado di mostrare la maestosità dei frisoni, ma per quel pomeriggio aveva altri piani.

<< Ehi dove corri ragazza? >> le gridò Osman.
Joly fermò di scatto il passo, e si voltò con un'espressione evidente di colpa.
<< Dove vado? >>
<< Eh sì ... dove vai? >> le chiese nuovamente Osman.
<< Diciamo che ho appuntamento ... e diciamo che sono già in ritardo ... o corro o salta la sorpresa! >>
Osman la guardò severamente corrugando le ciglia, << Lo sai che Dylan non prenderà bene la tua ennesima assenza ... >>

Joly sorrise, << La sorpresa è proprio per lui ... >> sussurrò appena.
<< Bene ... almeno domani sarà meno scontroso! >>
<< Vero! Ci vediamo più tardi, tornerò in tempo per sistemarli nei box, così insieme controlliamo le future mammine ... >>

In casa di Joly, ignaro del suo imminente arrivo, Dylan pestava i piedi in preda ad una lagnosa collera.
<< Me lo aveva promesso! >> continuava a frignare facendo gemere i timpani di Susan, << Ieri mi ha dato la buonanotte, e mi ha detto che avremmo passato il pomeriggio insieme! >>
<< Basta Dy! Non verrà! O vai da Osman, oppure vieni in città con me! >>
Con un fastidioso bruciore alla gola, Dylan si lasciò scappare un gemito, ma non continuò a controbattere.
Susan dolcemente lo guardò, e lo strinse a sé, con apprensione gettò un veloce sguardo all'orologio sulla parete. " Adesso arriva ometto mio" pensò tra sé.

Per meglio riuscire nella sorpresa, Joly entrò furtiva dalla porta sul retro, dopo un piccolo ingresso ad arco, dava direttamente alla cucina.
<< Eccomi! >> gridò con un salto e le braccia per aria.
Susan non fece in tempo a liberarlo dall'abbraccio, che Dylan le si gettò addosso; fu un salto da far invidia al miglior fullback, la velocità con cui la placcò, la stese al pavimento.
<< Bel placcaggio Ragazzino ... >> mormorò Joly massaggiandosi un fianco.

Dylan arrossì lievemente, e l'aiutò ad alzarsi, un piccolo sorriso gli arricciò le labbra, ma poi serio le puntò un dito contro.
<< Questi scherzi proprio non mi piacciono! Mai più eh! >>
Joly gli mostrò la lingua, e fece finta di essere scossa da un brivido.
<< Non così serio che poi ho paura ... >>

<< Allora che farete? >> domandò Susan divertita, << Prendete Aşkim e andate a passeggiare giù al fiume? >>
<< No! >> esclamò Joly, << Oggi niente passeggiata ... oggi merenda tutti insieme, almeno potrò conoscere tuo fratello e il suo amico. >>
<< Stupendo! >> gridò Dylan tornato nel pieno della sua felicità.
<< Allora apparecchiate in sala da pranzo! >> ordinò Joly, poi soppesò le sue stesse parole;
<< Pensandoci bene a te non piace ... >> aggiunse scambiando un'occhiata d'intesa con il ragazzino, << ... apparecchiate meglio la penisola ... io faccio i pancake! >> e sfilando dal gancio accanto al lavello un grembiule, lo indossò.

Susan sbiancò di colpo, Dylan che già era partito a prendere i piatti, si bloccò facendoli tintinnare pesantemente.
<< Che vi prende? >> domandò Joly allarmandosi.
<< Ni-niente! >> balbettò Susan.
<< Niente non è! >> la smentì Joly contrariata con le mani sui fianchi.
<< Chiamiamo anche Taby vero? >> chiese Dylan evitando il suo sguardo.
<< Aah! >> esclamò Joly stizzita, << Ho capito qual è il problema! >> si sfilò il grembiule assottigliando lo sguardo, << Voi avete paura che faccia una delle mie solite schifezze! Fa niente ... mi ero anche esercitata ... fa niente! >>
Il povero grembiule, inerme tra le sue mani, pareva chiedere pietà per la brutale stretta che esercitavano su di lui le sue dita.

<< Ma che dici ... >> disse Susan con mezza risatina isterica.
<< E che pensiamo che a Zio Roger piaccia Taby ... e forse anche a lei piace ... >> provò Dylan a rimediare, << ... però se non vuoi ... >>
Joly li fissò incerta, la stretta sul grembiule parve affievolirsi, ma la stoffa continuava a gemere disperata.

<< Va bene ... >> dichiarò con un filo di incertezza nella voce, << ... la chiamo ... >>
<< Perfetto! >> esclamò Dylan, << Così magari ci potrà aiutare ... >>
Joly si voltò di scatto con espressione torva.
<< Ci aiuterà a capire se piace davvero a Roger! >> precisò Susan con un sorrisetto.
<< Così va meglio ... >> borbottò Joly tornando ad indossare il grembiule.
"Gente di poca fede" pensò amareggiata.

Con l'entusiasmo ingenuo di chi crede che basti un video tutorial per essere un maestro chef, Joly si mise all'opera; si avvicinò al piano cottura con un sorriso determinato, una vera e propria dichiarazione di guerra, alla sua storica inimicizia con i fornelli.
Il caos ebbe inizio.

Con gesti teatrali, acchiappò dal pensile una grande ciotola di vetro, poco ci mancò che le scivolasse, poi fischiettando, spartinò tutti gli ingredienti sulla base sgombra del top accanto al lavello; farina, latte, uova, e zucchero, tutto sembrava promettente, ma ecco il primo disastro. Due uova rotolarono sul tappeto, quasi volessero scappare dalle sue maldestre mani.

Senza perdersi d'animo, ne afferrò altre due, e iniziò a mescolare tutti gli ingredienti; piccole schegge di gusci, risultarono celati ai suoi occhi, gocce di latte si fiondarono tutto intorno come piccoli proiettili, all'apertura del pacco dello zucchero, metà si rovesciò al suolo, un'altra buona parte si amalgamò all'impasto.

<< Vi piacciono dolci vero? Temo di aver esagerato con lo zucchero ... >>
Dylan e Susan, inorriditi al solo pensiero di assaggiare, tremarono ma non proferirono parola. Con quale coraggio avvertirla che lo zucchero era il minimo del problema, dopo che l'avevano vista aprire due bustine di lievito in polvere.

Accecata dalla sua determinazione, non diede importanza allo strano colorito del miscuglio, qualcosa di tendente al tortora, un tenue marrone-grigiastro, ben lontano dal classico impasto dei pancake.
<< Fanculo! >> borbottò senza lasciare la frusta, quest'ultima arrancava sfiancata nel troppo e denso miscuglio.
"Devo aver preso la farina integrale" pensò facendo spallucce, ma si sbagliava, quella usata era un mix per pane nero.

Con il braccio dolorante, finalmente si spostò verso il piano cottura, costui, se fosse stato dotato di parola, si sarebbe sicuramente rifiutato di accendersi con strani e poco educati epiteti.
La padella stridette contro la gratella del fornello medio, la lasciò a scaldare per qualche istante, e poi ci buttò giù una spessa fetta di burro; questo si sciolse con rapidità per il troppo calore della fiamma alta, e quando assunse un colorito marroncino, Joly versò il primo mestolo del peccaminoso impasto.

Il risultato fu esplosivo.
L'impasto troppo spesso, si sparpagliò malamente, con la dose eccessiva di burro, prese a sfrigolare come un serpente inferocito.
La padella iniziò a fumare, e l'odore pungente di bruciato invase la stanza; Susan e Dylan scossero il capo sconfortati.

Senza darsi per vinta, Joly lo rivoltò, meravigliata lo guardò deformarsi e gonfiarsi come una molliccia torretta.
Con coraggio e perversa follia, continuò a cucinare; pancake dopo pancake, la situazione degenerò, l'odore di sconfitta si fece netto, ma il sorriso non l'abbandonò.
"Magari sono comunque buoni" pensò versando in padella l'ultimo mestolo di impasto.

Quando Taby arrivò, Susan e Dylan sedevano sugli sgabelli intorno alla penisola, dall'espressione smarrita e finemente impaurita con cui l'accolsero, capì di essere arrivata troppo tardi. L'indicibile sui fornelli era già stato compiuto.

<< Ciao! >> si annunciò allegramente, sforzandosi di non guardare il piano cottura.
Joly si voltò sorridente, Taby bloccò in gola un gemito disperato, mai vista una persona così impiastrata di farina.

<< Siediti è quasi pronto ... >> le disse picchiettando con la paletta l'ultimo "pancake".
<< Posso aiutarti? >> domandò Taby, e trattenne una risata vedendo Dylan annuire con occhi languidi.
<< Non ti avvicinare Maestra Chef! >> la ammonì Joly, e alzando un dito infarinato le intimò di sparire.
Taby indietreggiò sollevando le braccia, << Va bene va bene ... >> disse andando a sedersi di fianco a Susan.

<< Ecco l'ultimo! >> gridò un istante dopo Joly.
Fiera, mostrò la ciotola vuota dove aveva mischiato gli ingredienti, maldestra, urtò il manico della padella con il gomito.
<< Porca merda! >> borbottò andandola a recuperare. << Carina! >> esclamò mostrandola a tutti, << Guardate non si vuole liberare dell'ultimo pancake ... >>
Tutti, incerti tra essere divertiti o preoccupati, nascosero il viso tra le mani.
<< La cosa grave è che li dobbiamo assaggiare per forza ... >> sospirò Dylan.
<< Li faremo assaggiare prima a lei! >> le sussurrò Taby, << Capirà da sola che il bidone dell'umido è il loro posto! >> aggiunse per rassicurarlo.

<< Ci siamo! >> gridò Joly, portando sulla penisola un grosso vassoio.
Il contenuto andava oltre il desolante; i bordi completamente carbonizzati, apparivano meglio del centro crudo e molle, e visto il suono che produssero a contatto con i piatti, potevano essere usati come arma, per essere più gentili, diciamo che a usarli come frisbee, ci si divertiva pure.

Dylan fu il primo a strabuzzare gli occhi, Susan e Taby lo seguirono storcendo il naso, nessuno osò portare le mani alle posate.
L'ingresso improvviso di Roger, li salvò dallo sguardo aggressivo di Joly.

<< Ciao a tutti ... scusate l'intrusione. >> disse impacciato.
<< Zio Roger! >> lo salutò Dylan con un po' troppa enfasi. Spinse indietro lo sgabello, e tentò di alzarsi.
<< Ehi Ragazzino! >> sbottò Joly liberandosi del grembiule, << Prima la merenda! >>
Dylan soffocò un lamento, e si acquattò sconfortato.
<< Vieni accomodati ... >> si rivolse poi a Roger, << ... finalmente ci conosciamo! >> e spolverando le mani sui pantaloni, gli si avvicinò.

<< Piacere Roger ... >> disse con la mano tesa, << ... hai ... hai una casa bellissima, e a tal proposito, grazie mille per l'ospitalità. >>
<< Nessun grazie! >> rispose Joly con un sorriso sincero, << Dai, unisciti a noi, non capita tutti i giorni che mi prenda un pomeriggio per fare i pancake ... >>
<< Volentieri, grazie! Ma prima mi servirebbe un favore ... potreste allontanare il cavallo dall'ingresso, io ci ho provato, ma non ha mosso mezzo passo ... >>
Joly inarcò il sopracciglio, il suo disappunto era fin troppo evidente.

<< E che Liam altrimenti non entra ... >> si affrettò ad aggiungere Roger.
I tre intorno alla penisola si alzarono di scatto, << Vado io! >> esclamarono in simbiosi.
<< Maledetti ... >> farfugliò Joly a denti stretti, un'occhiataccia li inchiodò tutti nuovamente agli sgabelli. << Siediti pure Roger, io vado a fare strada a Liam. >>
Roger non osò replicare, e si accomodò accanto a Taby; gli zigomi della ragazza divamparono diventando scarlatti.
Susan sull'altro fianco, la spintonò simpaticamente sbattendo le ciglia.

Mentre in cucina si ringraziava la buona sorte per il ritardo dell'assaggio, Liam, con le mani serrate sulla staccionata, fissava Aşkim con espressione torva; lo stallone al contrario, non lo degnava di uno sguardo, intento com'era a brucare il prato.

Concentrato per cogliere ogni suo più piccolo movimento, Liam non si accorse di Joly che scendeva le scale.
Quando si rese conto della sua presenza, un raggio di sole gli abbagliò la vista, impedendogli così di riconoscerla. Senza esserne preoccupato, fu semplicemente grato, di vedere che accompagnava la bestia sul retro della casa.
<< Vieni pure! >> gli gridò Joly agitando la mano.

Liam sollevò la sua in segno di gratitudine, sorrise, e aprì il cancelletto; a passo deciso si apprestò a raggiungere l'ingresso, con il raggio ancora in mezzo ad alterare la sua vista.
Improvvisamente, davanti al sole, una piccola e candida nuvola si soffermò a riposare, proprio a metà strada, l'immagine di Joly si fece chiara; Liam la fissò intensamente, poi il respiro si mozzò come se qualcuno gli avesse assestato un pugno in pieno petto.
<< Fanculo a Roger ... e fanculo a quella bestia! >> disse bloccando il passo ed entrando in panico.

Sudando freddo, le diede le spalle, d'istinto volle correre, poi pensando di essere scambiato per matto, iniziò a camminare verso il cancelletto.
<< Fa che non mi segua ... >> pregò sbarrando gli occhi.
Joly inclinò la testa alquanto interdetta, rimase a guardarlo fino a quando non sparì sul ponte che portava all'hotel. 

<< Ehm ... è andato via! >> comunicò rientrando in cucina.
<< Cosa vuol dire andato via? >> domandò Susan preoccupata.
Joly alzò le spalle smarrita, << Non so, stava entrando, ma a metà strada è ritornato
indietro ... >>
<< Forse ha dimenticato qualcosa al cantiere. >> azzardò Roger, cosciente del fatto che il suo amico era letteralmente scappato da Joly.
Susan lo conosceva troppo bene, e dubbiosa gli rivolse uno sguardo angosciato.

<< Bene! >> esclamò Joly prendendo posto, << Adesso assaggiamo! >>
Ignorando il lieve sentore di preoccupazione che traspariva dai loro volti, si cosparse il piatto di sciroppo al caramello, spolverò il tutto con dello zucchero a velo, e agguantando la forchetta, procedette all'assaggio.
"Non possono essere così male" pensò tra sé.

Il primo tentativo di infilzare il "pancake" si rivelò un'impresa titanica, i bordi carbonizzati resistettero come una corazza medievale.
<< Dai non arrenderti JoJo ... >> la spronò Taby, osservando la scena con una smorfia divertita.

Joly sospirò e prese il coltello, decisa a vincere quella battaglia. Con una determinazione degna di un guerriero, iniziò a segare il disco osceno, facendo leva con tutta la forza che aveva.
Finalmente un pezzo si staccò con un sonoro "crack", e volò nell'aria come una scheggia impazzita.

<< Attento! >> gridò Taby a Dylan appena in tempo.
Il frammento gli sibilò accanto, mancando il suo volto per pochi centimetri; finì con un tonfo sinistro sul pavimento.
Un silenzio sospeso seguì il piccolo disastro, Joly, con le posate ancora in mano arrossì violentemente.
<< Credo che siano ... un po' croccanti ... >> disse infine tentando un sorriso.

<< Croccanti? >> esclamò Taby scoppiando a ridere, << Amica mia i tuoi ... non saprei definirli ... comunque ... sono armi letali! >>
Joly abbassò lo sguardo verso il piatto, << Almeno ci ho provato ... >>
<< Sì ... e non riprovarci di nuovo! >> la pregò Dylan.
<< Posso provare a fare i waffel ... >> azzardò in un sussurro.
<< No! >> gridarono tutti in coro.

La presenza di Taby, salvò l'ora della merenda, tra chiacchiere e risate, si rimpinzarono con la dolcezza dei suoi pancake, e quando Susan si preoccupò dell'assenza di Liam, Joly scattò in piedi.
<< Sono in ritardo! >> esclamò all'ultimo boccone.
<< Come ... >> lagnò Dylan, << ... non ceniamo insieme? >>
<< Non oggi! >> specificò Joly pulendosi il muso, << Ma ti prometto che domani ci alleniamo insieme! >>
<< Mmh ... >> mugugnò incerto.
<< Davvero! >> continuò Joly, << E prima che mi dimentichi, seguimi! >>

Di gran carriera si fiondarono sulle scale, Joly davanti alla sua camera spalancò la porta, portò dentro Dylan afferrandolo per un braccio, e dopo aver rovistato in una cassa presa da sotto al letto, gli consegnò un libro.

Lo sguardo del ragazzino si illuminò, le labbra si muovevano senza produrre alcun suono, tanto era la felicità; rigirò più volte la guida illustrata con oltre cento razze di cavalli, come se fosse il più raro dei tesori.
<< Li ... li disegnerò tutti nel mio album! >> disse sconvolto, << Grazie mille Jo! >> e la strinse in un forte abbraccio.
Joly gli scoccò un bacio sulla fronte, e dopo avergli scompigliato i capelli, ridiscese di corsa le scale.
<< A più tardi! >> gridò a tutti.

<< Ehi Jo ... >> la chiamò Dylan quando era già sull'uscio.
<< Ragazzino ... >> gemette Joly, << ... è tardi! >>
<< Volevo darti questa ... >> e le consegnò una piccola foto, << ... era dentro il libro, non voglio rischiare di perderla! >>
Joly la rigirò fra le mani sbiancando in volto.
<< Ehi che faccia ... >> intervenne Taby anche lei pronta a uscire per tornare in hotel, << ... tutto bene? >>
<< Sì ... no! Devo andare! >>

Quando Joly arrivò alle scuderie, Osman capì immediatamente che qualcosa non andava.
Per cominciare, a farne le spese fu una coppia venuta apposta da Boston per la sua domatura dolce.
<< Non ho tempo adesso! >> sbottò quando Osman glieli presentò nel suo ufficio.

Peggio rispose, quando la coppia fece scendere dal vanetto il proprio dolce puledro, un magnifico esemplare Frisone di appena due anni.
Il proprietario lo fece sfilare davanti a Joly con estrema soddisfazione.
<< Dovrei vedere i documenti prima! >> disse scorbutica.
Lievemente imbarazzato, l'uomo le porse dei fogli; Joly esaminò prima la genealogia, poi passò al registro di appartenenza, e inarcando un sopracciglio, si soffermò all'attestato di coefficiente di consanguineità.

<< Non mi sembra molto buono ... >> borbottò riconsegnando i documenti all'uomo.
Il proprietario la squadrò allarmato, << Pensavo però che ... >>
<< Non serve che lei pensi! >>
<< Signori Mecny ... >> si intromise Osman, << ... seppure importante, non è l'unico criterio per la scelta ottimale dello stallone ... adesso se volete seguirmi, portiamo il puledro in quella che sarà la sua nuova casa, poi parleremo di tutto il necessario per la sua permanenza. >>
L'uomo scosso annuì.
<< Scusateci ... >> disse sommessamente Osman, << ... ma oggi la Signorina Harris non è molto in forma, vi assicuro che avete fatto la cosa migliore a sceglierla, in pochi rispettano queste bestie come fa lei. >> e con un'occhiata severa a Joly li accompagnò nel suo ufficio.

A seguire questo fatto insolito, Joly non risparmiò frecciatine pungenti ai suoi collaboratori, alcuni talmente sorpresi, si convinsero stesse scherzando.
Poi Osman la beccò a scacciare via il suo amato Aşkim, lo fece con talmente tanta prepotenza, che perse le staffe, e afferrandola per un braccio la chiuse in un box vuoto.

<< Allora ... chi ti ha pestato i piedi questo pomeriggio? >>
<< Osman ... lasciamo stare! Non credo che tu possa aiutarmi! >> e provò ad uscire.
Osman la spinse con decisione contro la parete.
<< Anche la prima volta che ho voluto parlarti mi dicesti così, poi se non ricordo male, sei tornata a parlare con me ogni mattina ... e niente ... un giorno ti sei scoperta più tranquilla e felice. Quindi Ragazza, sai bene che da qui non ti muovi finché la tua ira non sarà placata! Adesso ricominciamo ... chi ti ha reso così antipatica? >>

Joly si lasciò andare contro la parete, e abbozzò un sorriso; quell'uomo era davvero stata la sua salvezza appena arrivò al ranch, le aveva insegnato ogni cosa, e con piacere era rimasto ad imparare le cose nuove scoperte da lei nei suoi corsi.
Proprio come Jamy, le aveva rubato il cuore. Non aveva mai conosciuto suo padre, e mai ne aveva sentito la mancanza, perché pensava che il destino le aveva donato con loro qualcosa di molto meglio.

<< Osman, io oggi mi sento peggio della prima volta che parlammo ... >>
<< Suvvia Ragazza mia ... questo non lo posso accettare! >>
Joly si sfilò dalla tasca la piccola fotografia che Dylan aveva trovato nel libro, e tremante gliela mostrò.
Osman indossò gli occhiali, un'improvvisa serietà, oscurò il suo volto.

<< Questa è l'ecografia del tuo ... >>
<< Del mio bambino. >> completò Joly.
<< Mi avevi promesso di metterla al sicuro così da non doverla osservare con frequenza, perché hai deciso di riprenderla ... ti piace farti del male? >>
Joly scosse il capo con occhi lucidi, << Ti giuro che era riposta come ti ho promesso! Ricordi qual è l'unico regalo che accettai dalla tua amica quando ci trasferimmo qui? >>
<< Certo! >> esclamò Osman, << La guida sui cavalli ... >>
<< Esatto ... l'ho passato a Dylan un attimo prima di venire qui da te ... e niente, sai come continua la storia. >>

<< Devi risolvere il problema! >> sentenziò Osman.
Joly lo guardò accigliata, << Non seguirò il tuo consiglio di disfarmene Osman! >>
<< Lo devi fare! >> reagì Osman sbattendo la mano sulla parete.
Joly sussultò con le lacrime agli occhi, << Mai! >> strillò con i pugni serrati.
Osman si pose al suo fianco, le accarezzò il viso e le baciò la fronte.

<< Adesso voglio che mi ascolti ...>> iniziò afferrando le sue mani, << ... e voglio che mi ascolti con estrema attenzione! >>
<< Lo farai? >> aggiunse con dolcezza.
Joly annuì senza guardarlo.

<< Quello che hai provato dopo l'incidente, e quello che stai provando anche adesso, non è dolore ... è rabbia, e la provi perché è il tuo modo di scacciare il vero dolore! Non ti sei mai presa un momento per elaborarlo, l'hai solo deviato accanendoti contro tua madre. Adesso ti sembra di stare peggio perché hai provato a perdonarla ... Dylan ti ha fatto vedere l'accaduto da un altro punto di vista, hai sentito così dei sensi di colpa nei confronti di tua madre, credo davvero che hai provato a perdonarla ... ma tu Ragazza mia, sai bene che il perdono che sostieni è solo un'illusione! Ecco perché non sei ancora riuscita ad andare a trovarla da quando l'hanno dimessa dall'ospedale. >>

<< So ... sono ... io il problema Osman? >> singhiozzò tremante.
<< No Ragazza mia ... no! Il perdono non è un processo lineare, non si tratta solo di soppesare e accettare i gesti di chi ci ha ferito, è un percorso interiore che richiede tempo e onestà con se stessi. Io penso che saper perdonare davvero, non è da tutti, è un dono ... un dono raro. >>
<< Quindi io non ho questo dono Osman? >>
<< Ragazza mia, per adesso non lo hai dimostrato. >>
<< Ma se la perdono io dimentico il mio bambino capisci ... lo dovevo proteggere ... così fanno le mamme ... se la perdono non devo più pensare a cosa sarebbe stata la mia vita con lui ... e io ... e io ... >> si dovette bloccare, un pianto disperato sopraggiunse liberatorio.

<< Non puoi vivere pensando a ciò che sarebbe stato! >> le disse pacato, << Alimenti solo rabbia e rancore, ciò che è stato è passato, devi lasciare andare quel trascorso, devi lasciare andare il tuo bambino ... stai solo continuando a farti del male, le ferite che ti stai infliggendo non rimarginano facilmente ... se la perdoni non cancelli proprio niente, il perdono ti aiuta a vivere senza che l'accaduto controlli ogni aspetto della tua vita. A te servirebbe, anzi a te e a tua madre servirebbe parlarne, non lo avete mai fatto no? >>

<< E di cosa dovremmo parlare? >> chiese Joly tirando su con il naso.
<< Di tutto quello che vi ha portato sin qui, dille tutto quello che pensi, brutto o bello che sia, tu hai bisogno di sfogarti! >>
<< Sai anche cosa penso? >> aggiunse Osman riconsegnandole l'ecografia.
<< Cosa? >>
<< Penso che tu debba dirle anche quanto ti è mancata durante la crescita, sono sicuro che essendo sincera su tutto quello che porti dentro, rabbia e rancore diminuiranno ... e poi chissà ... magari scoprirai anche tu il dono del perdono. >>

<< Osman ... >> sussurrò Joly asciugandosi il viso, << ... sei sicuro che diventando veterinario hai preso la strada giusta ... non mi sembra la tua sola vocazione! >>
Osman incupì l'espressione, << Mia madre era una grande psicologa, ma i consigli che ti ho dato sono basati sulla mia esperienza ... quando decisi di chiudere con mio fratello, io avevo lasciato la Turchia da tanto, rabbia e rancore mi hanno oscurato l'anima, e quando è morto, tutto è svanito, è rimasto solo il rimpianto! Tornando indietro so che proverei la stessa rabbia, ma credo che porterei più rispetto per tutte quelle volte che provò a chiedermi scusa. >>
Joly l'abbracciò con estremo trasporto, << Ti voglio bene Osman! >>

<< Adesso basta lacrime! >> sentenziò severo ma con sguardo tenero, << Veloce come non mai, corri a parlare con tua madre, e poi ... >>
<< So già cosa stai per dire! >> lo interruppe Joly rimettendosi in piedi, << Guai a me se riporto i miei malumori a lavoro ... guai a me se getto ancora una volta la mia rabbia contro qualcuno mancandogli di rispetto ... guai a me se sfogo le mie frustrazioni sui cavalli ... guai a me ... >>
<< Esatto! >> esclamò Osman sorridendo, << Guai a te! >>

Joly arrivò davanti alla porta della camera di Ellen con una tale decisione che si stupì di se stessa, peccato che un istante dopo, perdendo possesso di ogni briciola di risolutezza, pensò soltanto di voler scappare a gambe levate.
Una lieve scossa lungo la schiena le ricordò Osman, senza rendersene conto, sollevò il braccio e bussò.

Ellen, che dopo la discussione con Jamy non era più riuscita a prendere sonno, le aprì con un volto dilaniato da tristezza più che stanchezza.
<< Oh! >> esclamò sorpresa, << Joly ... >>
<< Posso parlarti? >> le domandò Joly pensando se non avesse sbagliato il momento.
<< Certo entra. >>

Joly la seguì all'interno oltrepassando l'ampio ingresso, in sottofondo una melodia folk rock, si fece più intensa una volta arrivate in soggiorno.
<< I The Noisy? >> domandò per spezzare l'orribile peso della tensione.
<< Sì ... li adoro!>> confermò Ellen con un sorriso, << Ti andrebbe un caffè? >> e con un gesto di mano la invitò ad accomodarsi.
<< No grazie appena bevuto ... >> mentì Joly sedendosi, ma visto la conversazione che avrebbero dovuto affrontare, meglio evitare qualcosa che avrebbe potuto aiutare il cuore a schizzare via dal petto.

Ad un tratto, Joly fu catturata da un bagliore danzante, un grosso tronco lambito da allegre fiamme, bruciava all'interno del camino. Fatto alquanto insolito in un pomeriggio primaverile.
<< Non sono l'unica afflitta da pensieri oggi ... >> mormorò rapita dalle fiamme.
<< Mhmm? >>
<< Ricordo sere d'estate in cui accendevi il camino ... Jamy mi ha sempre detto che lo fai per scacciare i pensieri ... >>
Ellen abbozzò un sorriso, << È solo freddo di vecchiaia. >>

<< Allora? Cosa ti porta qui da me? >> le domandò, armeggiando con l'attizzatoio una granella di brace rovente, << Immagino che non sia una semplice visita ... per quella saresti venuta molto prima. >>
Joly la fissò con apprensione, aveva così tante cose da dire che sapere da dove iniziare sembrava impossibile, così, di tutto il discorso mentalmente preparato, lungo il tragitto dalle scuderie alla sua camera, scelse quella a cui non aveva minimamente pensato.

<< So che mi hai mentito! >> disse tutto in un fiato.
Ellen colta alla sprovvista, lasciò andare l'attizzatoio, questo tintinnò sul pavimento e rotolò sotto la poltrona.
<< Co-cosa ... cioè ... pe-perché ? >> balbettò tremante.
<< L'unica volta che ti ho chiesto qualcosa su mio padre, mi raccontasti del tuo momento amoroso con un uomo durante una festa ... >> continuò Joly decisa, << ... di quell'uomo dicesti di non ricordare neppure il nome ... e dicesti anche di non averlo più visto ... so che mi
hai mentito! >>
Ellen trasse un profondo respiro, ma evitò con cura, di non far trasparire il sollievo che provò nel sentirla tirare in ballo quell'argomento. Quello che pensò all'inizio, credeva fosse sull'incidente, e in pochi attimi aveva sudato freddo, tanto da sentire l'umido della sottoveste.
<< Vuoi che inizi dal dirti il suo nome? >> le propose con calma.

<< Voglio sapere perché mi hai mentito! >>
<< Diciamo che ho le mie buone ragioni ... è una storia lunga! Però ... >>
<< È Mark? >> la interruppe Joly tremante.
Ellen sgranò gli occhi, le labbra si mossero ma nessun suono uscì.
<< Immagino di aver fatto centro ... >> ipotizzò Joly sconvolta più di quanto credesse possibile, ma una risata improvvisa di Ellen, la lasciò interdetta sotto un castello di carte, che appena creato, si era scomposto con un semplice tocco.

<< Si vuol sapere come sei arrivata a Mark? >> le chiese non appena riuscì a calmare l'ilarità.
<< Un dubbio di Taby e Flo! >> rispose Joly con un cipiglio, << Sai strane somiglianze ... >>
<< Hai ragione ti ho mentito ... è complicato, ma ti posso garantire che l'unione tra me e Mark è data solamente da una profonda amicizia. Per quanto sia una storia triste, è giusto che tu sappia. >>

<< Io non voglio sapere niente! >> sbottò Joly, << Non sono venuta qui per questo! >>
Ellen sospirò con sguardo grave, << So bene perché sei qui ... sono pronta ad accettare che tu non mi perdonerai mai! Ma ti capisco ... neanche io potrò mai perdonarmi! >>

Joly ricambiò il suo sguardo grave, << Tutto l'odio che ho riversato su di te in questi anni mi ha sconvolto, mi ha consumato ... ti ha consumato! Osman aveva ragione ... >>
Ellen sorrise tristemente, << Osman ha sempre ragione! >>
<< Mi ha detto che io non riesco a perdonarti perché non ho mai voluto affrontare il mio dolore, tutta la rabbia che ti ho costretto a sopportare era il mio modo di affrontare quei giorni tremendi, in cui non facevo altro che domandarmi cosa sarebbe stato ad averlo
al mio fianco ... >>
<< Io darei la mia vita in cambio se solo potessi. >> sussurrò Ellen.

<< Sai che quando sentii il suo battito, decisi immediatamente che il suo nome sarebbe stato Lucas ... >>
Ellen fu scossa da un brivido, ma Joly non si accorse del cambio di espressione.
<< Subito dopo ... >> continuò Joly, << ... pensai che avrei fatto il possibile per essere una madre diversa da come lo sei stata tu per me. Mai avrei scelto il lavoro al posto della sua presenza, mai l'avrei lasciato crescere con qualcun altro! Dal primo istante ho capito l'immenso dono di portarlo in grembo ... io, è come se fossi cresciuta senza di te, sei mancata alle mie tappe più importanti ... perché quella sera maledetta ti sei presentata ... perché ... >>
Si bloccò incapace di continuare, si era ripromessa di non piangere, ma senza un controllo deciso, le lacrime iniziarono a calare lungo gli zigomi.
<< Se ... se ti perdono ... >> singhiozzò tremante, << ... dovrei dimenticare il mio bambino ... e io non voglio ... io non potrei mai! Mi dispiace del dolore che ti causo, ma non so fare altrimenti ... non adesso! >>

Ellen abbandonò con uno scatto la sua poltrona, anche il suo volto era umido dal pianto; ignorando lo scricchiolio sinistro dei tendini delle ginocchia, si abbassò davanti a Joly, e con decisione le afferrò il viso tra le mani.
<< Non devi mai dispiacerti per me, ogni azione ha le sue conseguenze, questa di viverti a distanza è la mia ... a me dispiace di tutto ... se solo potessi cambierei ogni cosa, ma non posso! Mi dispiace anche di averti imposto la mia presenza dopo l'incidente, avrei dovuto ascoltare Jamy quando mi diceva che amare significa lasciar liberi di fare ... se ti aiuta posso anche andare via da qui ... >>

Joly la respinse scuotendo la testa, << Non c'è bisogno che tu vada via! Penso però... che servirebbe a me lasciare per un po' questo posto! A modo mio troverò il modo di dirgli addio ... magari quando tornerò tutto sarà migliore! Io ho sempre avuto bisogno di te ... e  devo immaginare che io voglia ancora avere bisogno di te ... >>
Ellen si rimise in piedi tremante, << Se è quello che vuoi ... >>
<< È quello che voglio! >> disse decisa.
<< Bene ... sappi che sarò qui, qualunque cosa ti possa servire ... io ti aspetto qui! >>

Joly fece un profondo respiro, e inaspettatamente la strinse in un abbraccio. Ellen si abbandonò su di lei come da tanto attendeva.
<< C'è una parte di me ... nel profondo di me ... che è fiera della madre che sei ... ho solo bisogno di un po' di tempo! >>
<< Prenditi tutto il tempo che vuoi ... >> singhiozzò Ellen, << ... mi ritroverai qui! >>

Strette l'una all'altra, lasciarono scorrere il tempo; senza saperlo, il filo che spezzandosi le aveva separate, allungò le sue fibre con decisione. Dalle due estremità, alcune tra le più fini si strinsero formando un nodo; forse nel tempo, quel filo si sarebbe ricomposto interamente con più tempra.


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