Capitolo 1 - Una bugia per una nuova vita
Ellen Harris era a capo della Perfect Vision da ormai vent'anni; lo studio di architettura situato nel centro della grande mela, era nato con la collaborazione di tre suoi compagni di scuola. In soli due anni lo studio aveva raggiunto enormi successi; dalla piccola e malconcia stanza dove tutto era iniziato, ora si trovava al quinto piano di uno degli edifici storici più belli di New York.
Dopo tutti quegli anni, i quattro soci potevano affermare che la fortuna era stata una loro grande sostenitrice; le conoscenze acquisite permisero loro di trovarsi sempre nel posto giusto, al momento perfetto. Così avidi continuamente di accumulare nuovi contratti, amavano mettersi alla prova davanti a progetti immensi e futuristici; l'unione delle loro idee fu una continua meraviglia, una garanzia che permise loro di innalzare, mattone dopo mattone, strutture sparse in tutto il mondo.
Maniaca della perfezione, Ellen fu quella che dedicò più di tutti allo studio, ogni istante delle sue giornate; rare le notti che rientrava a casa, finte le pause che si concedeva in ufficio, e quasi inesistente, la sua presenza nei rapporti con chi aveva un bisogno disperato di lei.
Brutalmente arrivò un giorno in cui si accorse di tutto ciò che aveva messo da parte per arrivare a tale grandezza; in quel giorno si rese conto delle cose perse e mancate, di quanto poco valore aveva dato alle cose davvero importanti. In quel giorno di amare scoperte, sua figlia Joly si diplomò, e qualche istante dopo quell'importante traguardo, finì in terapia intensiva.
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A soli due giorni dall'accaduto, la stagione estiva caricò New York di energia positiva e voglia di attività all'aperto. Agli abitanti della grande mela, si unì una moltitudine di turisti proveniente da ogni dove, carichi di sogni e nuove speranze intasavano le vie, e chi nutriva sentimenti opposti risultava quasi invisibile. La tristezza di Ellen però era difficile da mascherare, e quando intorno alle nove del mattino varcò le porte del suo studio, ogni persona la notò come se la portasse scritta su un cartello appeso al collo.
Scese frettolosamente da un taxi, un forte odore di aglio l'aveva accompagnata per tutta la corsa; schifata controllò se la maglia avesse catturato qualche fastidiosa particella. Lei così delicata per gli odori poco eleganti, si stupì di non aver vomitato all'istante ma fu felice di constatare che il suo profumo di vaniglia non era stato intaccato.
A sguardo basso, salì con molta calma gli oltre cinquanta gradini che precedevano l'ingresso dell'edificio, per la prima volta non aveva nessuna intenzione di correre. Arrivata davanti al colossale portone, salutò formalmente le due guardie che stavano all'ingresso dell'edificio; mostrò impaziente il cartellino identificativo, e loro, serie come la mansione richiedeva, lo scrutarono con attenzione.
<< Signora Ellen, mi dispiace per l'accaduto ... se ha bisogno di qualcosa non esiti a chiedere! >> disse il più grosso dei due, e con mezzo sorriso le restituì il cartellino.
<< Grazie Thomas. >> rispose Ellen a disagio.
Con un cenno rispettoso del capo, le due guardie le aprirono le porte e la scortarono nell'immenso atrio.
Senza fatica, ignorò il brusio della sala bar e la evitò come la peste, pregò di passare inosservata fino al corridoio degli ascensori, e accelerando il passo non smise un solo istante di fissarsi i piedi. Ringraziando la buona sorte non incontrò nessuno di familiare, la Perfect Vision non era l'unico studio presente seppur l'unico di architettura; nei nove piani dell'edificio, avvocati, imprenditori e sedi di importanti finanziare, avevano preso posto partecipando a dei bandi di gara minuziosi e snervanti.
Per qualche minuto che le parve un'eternità, aspettò il primo ascensore libero e non appena le porte di quello centrale si aprirono, si fiondò al suo interno.
<< Ellen! >> esclamò sorpreso un uomo con degli enormi baffi.
Ellen sbuffò e si irrigidì scorgendo la sua paffuta mano sudaticcia che bloccò la chiusura delle porte, non le servì vedere la sua faccia per capire a chi apparteneva. Il grosso anello d'oro che portava all'anulare lo rendeva riconoscibile fra tutti.
<< Signor Shill, buongiorno. >> rispose Ellen abbozzando un sorriso, per cercare di sembrare piacevolmente entusiasta dell'incontro. << Secondo piano giusto? >> domandò per premere lei stessa il tasto in modo che lui tenesse le distanze.
<< Si Grazie! >> rispose con un sorriso che frettolosamente scomparve.
<< Ho saputo cosa le è capitato mi dispiace. Questi ragazzi sono in balia dell'anarchia più totale, sfuggono alle nostre regole senza pensare alle conseguenze, e poi quando la cattiva sorte si abbatte su di loro ... comunque sono sicuro che questo non è il suo caso ... non pensavo di trovarla a lavoro. >>
Ellen respirò a fondo ed evitò di guardarlo, farlo avrebbe sicuramente compromesso la sua buona educazione. Immaginò per un istante di prendere a schiaffi quel suo enorme faccione e questo le permise di allentare la tensione. << Non ho ben capito le sue parole ma guardi ... ora deve scendere! >> disse sollevata, e allungando un dito, gli indicò le porte che silenziosamente si spalancarono al secondo piano.
Incapace caratterialmente di capire che le sue parole erano state inopportune, un sorriso ebete fu la risposta dell'uomo. << Allora buona giornata. >> gracchiò senza voltarsi.
<< Fanculo! >> borbottò Ellen, sperando di essere sentita anche solo in parte.
L'ascensore riprese silenziosamente a salire, lo schermo luminoso passò al tre, e in un battito di ciglia lasciò lampeggiare il numero cinque. Le porte si aprirono e nella parete di fronte, l'insegna sinuosa ed elegante del suo studio, le diede il benvenuto. Con una punta di malinconia, ricordò il giorno in cui la tassellarono al muro; nell'intero stabile regnava il caos più totale, un vero e proprio cantiere, dove era impossibile sostare per più di un secondo senza mascherina. Il direttore dei lavori sconsigliò vivamente di esporla in quei giorni, si sarebbe potuta rovinare ma a loro quattro non importava, ed insistettero fino a convincerlo. In mezzo al caos, quella insegna rappresentava ordine e pace, l'inizio di una grandezza sperata. Rappresentava soprattutto casa.
Commossa, con un profondo respiro si trascinò fuori dall'ascensore; un profumo di brezza marina e fiori tropicali le solleticò il naso, Susy la sua segretaria doveva essere appena passata lì davanti. Fosse stata una giornata come tante, avrebbe sicuramente storto il naso, ma pensandoci bene, era sicura che persino queste fastidiose piccolezze le sarebbero mancate.
Sempre dell'idea di passare inosservata, ricominciò a fissarsi i piedi, e a passo spedito s'inoltrò lungo il corridoio che si snodava alla sua destra.
Qui si affacciavano gli uffici di tutti i collaboratori dello studio, architetti, assistenti e segretarie. Immersi totalmente nell'analisi di documenti, furono improvvisamente distratti dalla sua presenza. Come se una potenza invisibile controllasse le loro mosse, le teste si sollevarono in contemporanea smuovendo l'aria.
Ellen, solleticata dalla giusta sensazione di essere osservata, restituì loro uno sguardo di profondo disagio. Lungo tutto il corridoio, ogni espressione dietro le vetrate, fu un getto pesante di sincero dispiacere. Fu grata per la sincera compassione, conosceva personalmente ognuna di quelle persone, ma se si fosse fermata per salutare, il dolore di ciò che stava vivendo sarebbe esploso, e il crollo della sua anima era assicurato.
Con il desiderio di dissolversi nel nulla, trattenne il respiro e accelerò il passo; dopo quello che le sembrò un infinito corridoio, il suo corpo si ritrovò in uno spiazzo circolare, dove il suo ufficio e quello dei suoi soci si mostravano eleganti. Volutamente comunicanti erano privi di porte; per una questione di privacy solo delle grate in ferro si ergevano nei fianchi delle scrivanie formando un arco. Costituite da micro-fori, rami di verde edera si arrampicavano seguendone le forme. Con il soffitto arricchito di pesanti e lunghe travi di legno scuro, la parete che li teneva uniti, era impreziosita di mattoncini rossi.
Dalla parte di Ellen a malapena si intravedevano per via di attestati, riconoscimenti e premi, ordinatamente esposti. Per la prima volta si ritrovò ad osservarli indifferente, un tempo era stata orgogliosa dei suoi successi, ora li considerava semplici pezzi di carta.
A passo deciso, si diresse verso la sua scrivania; evitò di guardarsi intorno, ogni centimetro, se preso in considerazione, evocava un'infinità di ricordi. Abbandonarsi ad essi avrebbe reso tutto più difficile. Con mani tremanti, afferrò la vecchia cornice posta accanto ad un elegante ferma carte; la foto sbiadita aveva catturato una piccola Joly con il viso impiastrato di cioccolata. Ammirando la grandezza dei suoi occhi verdi, passò la mano per togliere alcuni granelli di polvere. Accuratamente la ripose nella sua borsa; poi, un rumore lontano di tacchi la costrinse a voltarsi, e temendo fastidiose domande, si diresse velocemente nella sala riunioni, dove avrebbe aspettato l'arrivo dei suoi soci.
Mark Smith, con cui erano amici sin da bambini, fu il primo ad arrivare. Poco prima di annunciare la sua presenza, si fermò a scrutare per qualche istante la sua vecchia amica attraverso la vetrata che delimitava la sala. Sedeva scomposta in una delle sedie girevoli, con le braccia distese sul fianco del tavolo centrale; le tende erano tirate, e una luce tenue illuminava il suo viso che iniziava a mostrare i primi segni dell'età. Seppur un'evidente stanchezza incupiva il suo sguardo, la bellezza del passato era ancora lì a rischiarirle il volto.
Del suo portamento impeccabile quella mattina non c'era traccia, come se un'entità oscura si fosse impossessata di lei, appariva come un'altra persona; solita vestirsi con tailleur firmati, indossava un jeans abbinato ad una maglia sgualcita e quasi sicuramente scolorita. Mark ebbe la certezza che erano davvero passati tanti anni dall'ultima volta che aveva visto indossare a Ellen delle insignificanti sneakers, per non parlare poi dei capelli. Sempre tirati e raccolti in un elegante chignon, ricadevano liberi e disordinati sulle spalle.
Conosceva quella donna da così tanto tempo, eppure, dal maledetto incidente di Joly, non era ancora riuscito a trovare il coraggio di parlarle. Davanti ad una donna simile e al dolore che l'aveva profondamente scossa, tutto appariva scontato e inutile.
Continuando a sperare in un'improvvisa illuminazione, Phil e Luke, gli altri due soci, apparvero improvvisamente dietro di lui.
<< Non ci hai ancora parlato? >> gli chiese Phil serio.
<< No, e se potessi eviterei questa giornata! Non ho il coraggio di vivere quello che sta per accadere. >> rispose triste Mark.
<< Lo sai che se non riesci a farle cambiare idea tu, è inutile per noi vero? >> aggiunse Luke perentorio, sempre rivolto a Mark.
<< Va bene ho capito ... entriamo! >> borbottò inarcando le sopracciglia.
Ellen sollevò lo sguardo al loro ingresso; senza perdere tempo, infilò la mano nella sacca che usava per borsa ed estrasse tre buste da lettera. Rimanendo in silenzio, le consegnò a Mark che le era più vicino; lui fece un respiro profondo e deviando lo sguardo della sua vecchia amica, consegnò ad ognuno la propria.
<< Hai proprio deciso allora ... >> sussurrò Phil.
<< Da oltre vent'anni ci sosteniamo e ora non ci permetti di starvi vicino ... vedrai che questi terribili giorni saranno presto soltanto un ricordo! >> aggiunse Luke speranzoso.
Prima di rispondere Ellen attese qualche secondo, immaginò che anche Mark volesse dire qualcosa, ma non una sola parola uscì dalla sua bocca.
<< Di che colore ha i capelli Joly? >> domandò Ellen improvvisamente facendoli sussultare.
I tre sollevarono in contemporanea il capo verso di lei, sconcertati e messi all'angolo da quella dubbiosa domanda, si guardarono sentendosi ridicoli. << Non ricordate vero? >>
<< Ellen ma ... >>
<< No aspetta Mark, la mia domanda non voleva essere una bastardata ... davvero! Da quando ci siamo stretti la mano per dare il via al nostro impero, non abbiamo pensato ad altro. Abbiamo fermato la nostra amicizia l'ultimo giorno di università. Io stessa non ricordo il nome dei tuoi figli Phil! >>
Phil si scompose sulla sedia e guardò la sua socia con un misto di amarezza e desolazione. << Io ... io non ho avuto figli ... ci abbiamo provato ma ... >>
<< Ecco questo intendevo! >> esclamò con rancore Ellen. << Fuori da queste mura siamo perfetti sconosciuti! Ma non ho tolto fuori questo argomento per rivolgerci inutili colpe o per giocare a chi ha dimenticato cosa! Abbiamo speso ogni istante per questo studio e per firmare l'ultimo contratto io ho dimenticato il diploma di mia Figlia ... >>
<< Ecco quale è il vero problema! >> esclamò improvvisamente Mark. << Stai lasciando tutto perché pensi che sia colpa tua non è vero? >>
<< Ovviamente è colpa mia! >> rispose affranta Ellen. << Se fossi stata con lei al momento giusto, tutto il resto non sarebbe capitato! Quale madre, che si ritiene tale, mette al mondo una bambina per poi farla crescere dal suo assistente? Se non fosse stato per Jamy, quella ragazza sarebbe cresciuta avvolta dalla più totale solitudine! >>
<< Hai ragione Ellen, ma che tu molli tutto è davvero una cosa inutile! Non è certo lasciando lo studio che Joly magicamente si rimetterà! Anche se non lo vuoi ammettere, so che ci hai aiutato a tirare su questo studio per garantirle un futuro migliore! >> aggiunse Phil.
<< Stronzate! >> sbraitò Ellen. << Lei ha sempre avuto altre aspirazioni! Due minuti con una riga in mano ed è già disperata. La verità è che tutto ciò che abbiamo fatto, è stato per noi stessi, io soprattutto. Solo adesso mi ritrovo a pensare che Joly ha passato ogni giorno tra le braccia del mio assistente e non tra le mie che sono sua madre ... avrei dovuto scindere il lavoro dalla famiglia, ma sapete bene cosa era importante per me! Le nostre fottute manie di perfezione e grandezza hanno oscurato tutto ciò che conta davvero. >>
La porta della sala riunioni inaspettatamente vibrò; fuori Ginny, la segretaria di Phil aveva appena bussato, e impaziente mostrò al suo capo un fascicolo di un rosso brillante. Con un cenno della mano e uno sguardo infastidito, Phil le intimò di tornare più tardi.
Per qualche istante, l'interruzione li fece piombare in un silenzio assordante. La verità brutalmente gettata da Ellen cominciò a farsi largo nelle menti dei tre uomini. Fin tanto che erano giovani e il mondo si apriva ai loro piedi, i loro pensieri rimasero sempre gli stessi. Dal meglio fatto, si sentivano in obbligo di ottenere sempre di più, ma ora che il tempo era passato, ricalcolare con estrema attenzione le giuste priorità, era la cosa più sensata e unica da fare.
<< Hai novità di Joly? >> osò domandare cautamente Mark, pur conoscendo bene la risposta. Una lacrima scivolò lungo gli zigomi di Ellen, frettolosamente ci passò la mano e trasse un profondo respiro. << Le ferite riportate sono davvero gravi, da quando è arrivata all'ospedale, ha già subito tre interventi ... ora la tengono in coma farmacologico. Dobbiamo solo aspettare
che ... >>
<< Vedrai che tutto andrà per il meglio! >>
<< Senti Mark ... aprite le buste, firmate questi documenti e facciamola finita! >>
Mark roteò infastidito la testa verso i due amici, loro chinarono il capo in segno di sconfitta.
<< Mi rifiuto! >> gridò senza alcuna voglia di smettere di provarci. La guardò in segno di sfida e gettò la lettera ai suoi piedi. << Non firmerò, e non lo faranno neanche loro! >>
Ellen irritata, seguì con lo sguardo l'atterraggio della busta, la raccolse ripetendo mentalmente a se stessa di tenere la calma. Dopotutto, non era arrivata allo studio con la convinzione che ottenere una tale firma, sarebbe risultata cosa semplice.
<< Mark Robert Smith non osare! >> gli disse a denti stretti. << Ho preso la mia decisione e tu non puoi ... >>
<< Si che posso! >> gridò Mark furioso. << Cosa diavolo cambia? Prenditi una pausa! Siamo soci ma tu detieni la maggioranza, hai diritto a prenderti tutto il tempo necessario, noi non oseremo disturbare! Ti sosterremo e ci impegneremo d'ora in poi a dare le giuste priorità ... >>
<< Mark ... >>
<< Lasciami parlare cazzo! >> riprese furioso. << Ti prometto che nessuno rimarrà più in ufficio dopo la chiusura, ti prometto che passeremo più tempo con le nostre famiglie e dedicheremo più tempo ad essere amici come prima. Ti prometto che io, cioè che noi ... >> si fermò incapace di continuare. Gli occhi si gonfiarono di lacrime, e in malo modo strappò le buste dalle mani dei suoi amici. << Tu adesso pensa a Joly e noi penseremo al resto ... non c'è bisogno di questi documenti! >>
Ellen si alzò e lo abbracciò commossa, delicatamente riprese le buste e le poggiò al sicuro sul tavolo. << Avanti Amico mio ... >> disse in tono di supplica, << ... smettere di essere qui non significa smettere di far parte della stessa vita. >>
<< Si vuol sapere cosa farai? >> chiese Luke con la certezza che Mark stesse per fare la stessa domanda.
Ellen liberò Mark dalla sua stretta e tornò a sedersi. << Non perderò più di vista mia figlia Luke e per farlo esaudirò il suo desiderio. Tornerò a Nashville ... >>
<< Impossibile ... >> sussurrò Mark allibito.
<< Nashville? Il luogo da dove sei scappata? >> domandò Phil sorpreso.
<< Joly proprio come mio padre, ha una passione per il settore turistico e il suo desiderio dopo gli studi era riprendere l'hotel che mi ha lasciato in eredità. >>
Mark la guardò sconcertato, con l'aria di un bambino offeso, si passò le maniche della camicia sugli occhi per asciugare le lacrime e ripartendo alla carica prese posto al suo fianco. << Ogni estate passata lì insieme, è trascorsa con il desiderio di vivere poi ciò che con fatica abbiamo ottenuto ... ti ho aiutato a scappare ... ti ho aiutato a non mollare e ora tu tornerei tra le mura che per te sono state un incubo? >>
Ellen annuì dispiaciuta. << Hai ragione e mai potrò smettere di ringraziarti! >>
<< Non lo sto dicendo per avere il tuo grazie! >> tuonò rabbioso Mark.
<< Mark ... tu sai bene che sono fuggita da quel posto perché ho perso mia madre, e nello stesso giorno mio padre si è eclissato dietro il suo lancinante dolore. Ero solo una bambina e vedere che l'unico della famiglia rimasto ha speso la vita per il lavoro senza mai degnarmi di attenzioni, mi ha distrutto. Io ho fatto lo stesso con mia figlia! Ciò che mi rimane da vivere lo passerò a darle tutto ciò che finora le ho negato! E poi quelle mura subiranno un rinnovo totale! >>
<< Come farai tutta sola? >> chiese Mark addolcendo di poco la voce.
Ellen sorrise, << Ma io non sarò sola! Ho un'altra cosa da consegnarvi! >> dalla borsa estrasse una cartellina. << Questa è la mia proposta per voi. Voglio che rimettiate a nuovo il mio albergo. Mettendo da parte tutte le mie ossessioni, ho elencato tutti i punti immancabili secondo i desideri di Joly! >>
<< Stai facendo una cosa bellissima Ellen! >> disse ammirato Luke.
<< È tutto merito di Jamy, ecco perché in questo progetto sarà mio socio. Conosce meglio di chiunque altro Joly, lei lo considera come un padre e lui proprio come un padre l'ha cresciuta. Senza di lui ... >>
<< Abbiamo capito! >> sbottò Mark con una punta di gelosia che non passò inosservata. Incapace di continuare a controbattere, dalla tasca interna della giacca prese una penna; rubò la cartellina dalle mani di Ellen, e sbuffando sfilò il contratto. Senza leggere lo sfogliò fino all'ultima pagina, lo poggiò sul tavolo e abbozzando un sorriso firmò. Luke e Phil immediatamente lo imitarono.
Ellen li fissò raggiante. << Adesso con lo stesso entusiasmo firmate anche i documenti della busta! >>
Con quei documenti Ellen aveva ceduto le sue quote, ora toccava a Mark dirigere la Perfect Vision. Con la certezza che molte cose sarebbero cambiate, era pronta a giurare che serietà, fiducia e perfezione li avrebbero per sempre accompagnati. Silenziosamente come era arrivata, uscì da quel sontuoso palazzo; una sua parte si sarebbe ancorata lì per sempre ma avrebbe fatto il possibile per imparare a convivere senza.
Ellen odiava gli addii, anche se poi non erano stati effettivamente tali, aveva ancora i brividi per i saluti ai suoi tre amici più cari. Proprio per questo cercò di deviare Tom, l'autista che da oltre dieci anni collaborava con lo studio. Era un uomo corpulento con degli enormi baffoni che spiccavano nel suo viso tondeggiante. Il sorriso era qualcosa di contagioso, impossibile che le persone nelle vicinanze non subissero gli effetti. L'aveva scorrazzata in giro per la città senza mai creare ritardi, sapeva gestire le situazioni improvvise di emergenza con assoluta calma e magicamente riusciva a districarsi nel traffico come nessun altro.
Si era già sporta con il braccio allungato per fermare un taxi, quando Tom improvvisamente le afferrò la mano.
<< Signora Ellen mi ha volutamente evitato? >> domandò scherzosamente, fingendosi dispiaciuto.
<< Tom ... ma che dici ... non ti avevo visto! >> mentì spudoratamente Ellen.
<< Bene allora lasci che l'accompagni alla macchina, ho la sensazione che comunque non sarà l'ultimo giro ... >>
<< Sei già stato informato suppongo ... >> disse Ellen a disagio.
<< Questa mattina ho accompagnato il Signor Mark e abbiamo parlato un po'... ha il mio sostegno e le ricordo che di qualunque cosa abbia bisogno, le basta come sempre uno squillo al telefono! >>
Ellen lo fissò commossa, non era mai stata una che amava parlare della sua vita, tanto meno davanti a sconosciuti, ma sin dal primo giorno che si ritrovò nel sedile posteriore della sua auto, le chiacchiere con Tom si susseguirono fluide e leggere come se si conoscessero da sempre. Ci volle davvero poco per smettere di considerarlo un semplice dipendente.
Dispiaciuta pensò a quanto le sarebbe mancato, provò a tenere a bada le emozioni che le contorcevano lo stomaco ma poi perse il controllo e si lasciò andare tra le sue braccia; chiuse gli occhi e come mai era capitato, pianse con il desiderio che quell'abbraccio non finisse mai.
<< Grazie Tom! Davvero grazie mille! >> balbettò non appena si staccò.
Tom sorrise e dolcemente le accarezzò il viso per liberarla dall'umido delle lacrime. << Grazie a lei per avermi donato una seconda vita. >>
<< È stata una delle mie migliori decisioni! >> ammise con un sorriso. << E lo sai ... in ambito lavorativo ne ho prese davvero tante! >>
<< Potrò chiamarla ogni tanto? >> chiese serio mentre apriva lo sportello.
<< Ovviamente! >>
<< Sa ... adesso che va via, gestire quei tre omaccioni sarà difficile! >>
Entrambi risero e salirono in macchina.
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Dopo quella mattina, le giornate presero a trascorrere lente; nella corsia di terapia intensiva del Saint Sebastian Hospital, Ellen con la compagnia costante di Jamy, continuava a macinare chilometri con un ansioso avanti e indietro di fronte alla stanza di Joly. Con i visi oscurati da un'opprimente preoccupazione, più che familiari di un paziente, avevano l'aria di due guardie scontrose. Parlavano poco e sussultavano ogni volta che il Dottor Kefir, primario del reparto, passava nelle vicinanze; lui era sempre disponibile e gentile ma oltre a ripetere che le condizioni della ragazza erano stabili, non si sbilanciava in nient'altro.
Tra ansie, preoccupazioni ed elaborazione dei sensi di colpa, arrivò agosto. I potenti raggi si riversarono sulla grande mela senza trascurare un solo angolo ma questo non fermò nessun abitante. Le vie continuavano a brulicare di infiniti individui, sia di giorno sia di notte, come laboriose api, tracciavano il loro cammino per ottenere il loro nettare dorato.
Da qualche giorno, i farmaci di Joly iniziavano a essere diminuiti; in generale la ripresa andava alla grande, questo significava che presto si sarebbe svegliata.
Ellen e Jamy, nei pochi momenti che si concedevano fuori dall'ospedale, andavano a riposare in un hotel delle vicinanze; senza aspettare chissà quale occasione, erano riusciti a vendere la casa dove vivevano. L'inizio della nuova vita era sempre più vicino e niente era rimasto irrisolto in quella città.
Erano da poco passate le otto di sera, finalmente una leggera brezza aveva reso l'aria più respirabile; Jamy era corso in hotel per una doccia veloce e non appena rientrò in ospedale, diede il cambio a Ellen. Ancora qualche ora e avrebbero potuto parlare con Joly.
<< Perché il Dottor Kefir non ci ha ancora chiamato? >> lagnò a denti stretti Ellen, che non stava più nella pelle.
<< Prova a stare seduta e rispondi al telefono. >> disse Jamy indicando lo schermo che all'interno della borsa si illuminava.
Ellen cacciò a caso la mano attraverso lo zip, afferrò il telefono e senza controllare il numero rispose.
<< L'avete vista? Ci avete parlato? >> domandò una voce rauca.
<< Mark ciao ... non ancora. >>
<< Ah ... >> sbuffò il suo vecchio amico, << ... senti a questo bellissimo momento che vivrai, vorrei aggiungere un'altra bella notizia! >>
Jamy curioso, seduto al fianco di Ellen accostò l'orecchio all'apparecchio.
<< Aspetta ... >> sussurrò Ellen. << Metto il vivavoce! >>
<< Molto meglio! >> rispose Jamy con un sorriso.
<< Okay spara! >> dissero in coro.
<< Sfidando le leggi del tempo, posso finalmente dire che i lavori sono conclusi! Qui è un vero paradiso Amica mia! >> gracchiò felicemente Mark. << Abbiamo seguito tutti i novanta punti da voi elencati e sottolineo tutti e novanta! >>
<< Il ranch? >> chiese Ellen raggiante.
Jamy le colpì la mano irritato. << Ti ha appena detto che i lavori sono conclusi ... perché devi
essere così ... >>
<< Così come Jamy? >> domandò Ellen sfidandolo con lo sguardo.
<< Così te stessa! >> rispose Jamy serio.
<< Spezzo una lancia a favore di Jamy! >> disse divertito Mark, e subito Jamy rivolse ad Ellen una smorfia compiaciuta. << Dicevo ... >> riprese, << ... tutti i novanta punti sono stati portati a compimento, come sai qualcosa è stato aggiunto da noi ma abbiamo tenuto fede alla vostra idea. Inoltre, la vostra amica Lorelain supervisionerà l'appalto di pulizie e sperando di incontrarci qui presto, non ti rimarrà che organizzare una magnifica inaugurazione! >>
<< Ci manderai qualche foto adesso? >> chiese Jamy speranzoso.
<< Scordatelo! >> esclamò Mark in tono deciso che non ammetteva repliche.
Ellen rise e stava per domandare al suo vecchio amico qualcos'altro, ma Jamy con una spinta, richiamò la sua attenzione con un dito sollevato verso il Dottor Kefir.
<< Mark ti richiamo! >> esclamò elettrizzata. << Vado da Joly! >> e senza aspettare risposta riagganciò.
Si incamminarono con un'evidente trepidazione, le mani sudavano a entrambi ma al contrario di Jamy, Ellen davanti alla porta della stanza smise di sorridere, e assunse un'espressione terrorizzata.
Il Dottor Kefir li fissò tenendo la mano serrata nella maniglia. << Ha già più volte chiesto cosa è successo, ovviamente l'abbiamo informata dell'incidente che ha subito, non ricorda niente ma adesso che è più lucida richiede i dettagli e quelli li lascio a voi! Sapete cosa intendo!>>
<< Quindi ... non ricorda del ... >> balbettò Jamy.
<< No! >> si affrettò a rispondere il Dottore. << Ma potrebbe essere che dal vostro racconto qualche flash sia immediato. >>
<< La ringrazio Dottor Kefir ... davvero ... >> sussurrò Ellen.
<< Non c'è bisogno, a noi è toccato il minimo! È tutto merito della sua ragazza, ha forza da vendere! Signor Moor ... >>
Jamy sollevò sorpreso lo sguardo, << Mi Dica ... >> balbettò sperando che non fosse investito da qualche rimprovero, e nervoso strinse la mano di Ellen.
<< Penso che le farà piacere sapere che appena Joly ha aperto gli occhi, ha chiesto immediatamente di lei! >>
Jamy diventò paonazzo, il suo volto si allargò in un sorriso orgoglioso e non appena il Dottor Kefir spalancò la porta, entrarono tremanti.
<< Vi lascio soli. >> sussurrò il Dottore rivolto ad Ellen.
Finalmente molti macchinari cui era attaccata Joly erano scomparsi; ora, e solo per quella giornata, teneva al dito un saturimetro per controllare l'ossigenazione del sangue, e da sotto il camice si intravedeva qualche elettrodo sparso per tenere sotto controllo la frequenza cardiaca.
Nervosi fecero qualche passo verso il letto; non appena Joly incrociò lo sguardo di Jamy, scoppiarono entrambi in un pianto liberatorio, terrorizzato di farle male l'abbracciò stando attento a non stringere troppo.
<< Quanto mi sei mancata bambina mia ... >> singhiozzò Jamy.
<< Sono tornata Jamy Moore! >> balbettò Joly e serrando la mano a pugno alzò il dito medio.
<< Oh! >> esclamò Jamy, << Il nostro gesto d'affetto! >> sorrise e lo replicò, prestando attenzione a non farsi vedere da Ellen.
Quando si sciolsero dall'intreccio, Ellen si avvicinò al letto commossa quanto loro, si concentrò per tenere le distanze; la paura di essere respinta non l'aveva abbandonata un solo istante. Le accarezzò la mano libera, ringraziando mentalmente la buona sorte trasse un sospiro di sollievo, e contro ogni previsione Joly la tirò a sé.
Per un tempo indefinito nessuno parlò, le lacrime trattenute per l'angoscia si riversarono lungo i loro visi senza sosta.
Jamy ed Ellen spesso avevano parlato di quel tanto atteso momento, ma niente di quello immaginato si avvicinava alla realtà di quello che stavano vivendo. Fu come essere benedetti da una seconda rinascita, e la felicità fu talmente inebriante, da farli sembrare sospesi tra le nuvole.
Il Dottor Kefir conosceva bene le dinamiche di quelle situazioni, e forse proprio per questo, aveva lasciato sulla mensola accanto al letto una confezione di morbidi fazzoletti.
Il silenzio di commozione lasciò poi il posto a una sottile sensazione di imbarazzo e nervosismo. Mentre i loro sguardi si incrociavano accompagnati da sorrisi forzati, Joly diventò seria. << Non ricordo niente dell'incidente, il Dottor Kefir mi ha detto che per ora è un bene ma io voglio sapere com'è successo! >>
Jamy prese posto in un angolino del letto, pronto a parlare ma Ellen scosse impercettibilmente la testa per fargli intendere di tacere.
<< È tutta colpa mia! >> esclamò tutto d'un fiato.
Jamy si irrigidì e scostò il suo sguardo da quello di Joly, sorpreso dalle parole di Ellen finse di rivolgere la sua attenzione al monitor dei battiti.
In risposta a sua madre Joly la scrutò prima perplessa, poi ricordando che risentimento e spesso odio erano ciò che le legava, in tono serio, la invitò ad andare avanti.
<< La mattina della consegna dei diplomi ti avevo promesso che non sarei mancata ... >>
<< Ovviamente non sei venuta, nessuna novità! >> disse tranquillamente Joly. Poi si voltò di scatto verso Jamy. << Tu però ... >>
<< Tranquilla! >> la rasserenò Ellen. << Lui ovviamente non è mancato! Io però in studio avevo dei controlli urgenti da fare ... ho passato ore a tenere a mente la promessa che ci siamo fatte la sera prima ... ma hanno continuato a portarmi documenti su documenti ... un errore ci ha quasi fottuto e poi si è fatto tardi, è arrivata sera e io ... >>
<< Lo hai dimenticato vero? Ti ripeto ... non è una novità e non credo che la mia macchina sia finita su un albero per questo giusto? >>
Ellen la guardò grave; torcendosi nervosamente le mani si spostò dal fianco del letto e le diede le spalle. << Io guidavo la macchina ... >>
<< Ellen! >> esclamò sbalordito Jamy scattando in piedi.
Ma lei fece finta di non averlo sentito. << Ti ho costretto a salire in macchina quando sono arrivata alla festa ormai finita ... sai quella che avete organizzato voi studenti nella palestra della scuola ... volevo assolutamente scusarmi. La sera prima avevamo deposto l'ascia di guerra e invece ho fatto un casino ... stavo urlando e tu non mi ascoltavi ... mi sono distratta solo un momento ... >> si bloccò e fece un respiro profondo. << In quel letto ci dovrei essere io! >> balbettò in colpa.
Si aspettò che Joly urlasse furiosa, ma il grido che lacerò la stanza fu di Jamy. << Ellen chiama qualcuno! >>
Ellen si voltò di scatto e terrorizzata schizzò fuori dalla stanza; gli occhi di Joly erano rivoltati all'indietro, il respiro affannoso, sollevava e abbassava il suo petto in modo innaturale. Il modem dei battiti lampeggiò e prese a suonare impazzito.
Jamy le afferrò le mani, << Bambina mia ti prego calmati! >>
In quell'istante però niente poteva sedarla; la sua testa era appena stata invasa da una fitta lancinante, attimi di vita vorticavano veloci. Come se fossero all'interno di una nebulosa, tutto appariva confuso, decifrarli era impossibile. Solo la tristezza che li accumunava si delineò priva di ombre, ed era una tristezza profonda imbastita da un dolore che aveva afferrato il suo cuore e senza tanti complimenti lo aveva fatto a brandelli.
Qualche secondo dopo il Dottor Kefir spalancò la porta come una furia seguito da alcune infermiere, << Fuori! >> ordinò a Jamy.
Ellen e Jamy rimasero impalati a fissare la porta che violentemente si richiuse con un tonfo. Impauriti, si presero per mano, ma un attimo dopo Jamy scostò la sua come se avesse afferrato qualcosa di rovente.
<< Ma come ti è venuto in mente? >> domandò con sguardo furente. << Io veramente non ti capisco ... vuoi rovinare tutto? >>
<< Fai silenzio! >> rispose Ellen con la stessa aria aggressiva.
<< Non sono più il tuo assistente ricorda! Non voglio fare parte di questo diabolico gioco! Ore spese a pianificare il nostro nuovo inizio ... e tu cosa fai? Parti con una tale bugia? >>
<< Jamy ... >> supplicò Ellen trattenendo i nervi, << ... preferisco notevolmente che odi me che se stessa! La sua nuova vita in questo modo partirà tranquilla! >>
Jamy che aveva iniziato a camminare avanti e indietro si bloccò, pensò velocemente a quanto un attimo potesse sconvolgere la vita di una persona. L'attimo di Ellen era stato improvviso, quasi surreale tanto era il dolore provocato. Anche alla loro amicizia era bastato un attimo per essere indissolubile ma la sottigliezza affilata di una bugia, rischiava di mettere tutto in discussione. La fissò con amarezza, quella che aveva davanti non sembrava la stessa persona di sempre.
<< Ti ho sempre ... e dico sempre sostenuto! Adesso vuoi nascondere una bugia dietro un inganno ... lo sai bene che già il vostro rapporto è alle strette, non ... non è normale che io sia l'unica cosa a legarvi! Perché vuoi apparire ai suoi occhi anche peggio di come ricorda? >>
<< Perché sono una madre a cui sono rimasti solo sensi di colpa e per andare avanti ho bisogno del suo perdono, ma prima ho bisogno di espiare in qualche modo le mie colpe ... questa bugia ... >>
<< Inganno! >> la corresse Jamy.
<< Sì Jamy ... questo inganno servirà in qualche modo a pagare parte della pena! Ti ripeto odiare me sarà indolore, odiare se stessa no! >>
<< E quando parlerà con Noah? >> domandò un po' addolcito.
<< Quello stupido ragazzino ha scelto di andare via ricordi? Non ho bugie per risparmiare questo dolore a Joly ma ... è uscito illeso, questo è quello che conta! Ho ripagato la macchina a quella piaga sanguisuga che si ritrova per madre ... sono partiti la sera stessa dell'incidente sai? Per tua informazione ho venduto anche la macchina di Joly! >>
Jamy sospirò allarmato. << Non le basterà solo odiarti ora amica mia lo sai vero? Non verrà mai con noi! >>
<< Sì che lo farà! >> gridò esasperata Ellen. << Costituisci parte della società, le dirai che hai lottato per far costruire il ranch e che avrà un'abitazione proprio sullo stesso terreno. >>
<< Ellen ti prego ... >> la scongiurò Jamy.
<< Le dirai che non è costretta a vedermi, anzi promettile che farai il possibile per non farmi capitare nel suo stesso cammino! Il terreno dell'hotel è distante ... un fiume ci separa ... >> poi si bloccò incapace di continuare a parlare.
Jamy dolcemente la abbracciò e lei si abbandonò incapace di opporsi. << Maledetta Ellen Harris ... ho la sensazione che mi convincerai anche questa volta! >>
Rimasero abbracciati per attenuare le preoccupazioni, e mezz'ora più tardi il Dottor Kefir riaprì la porta; le tre infermiere che erano accorse scivolarono silenziose dietro di lui, e sorridendo si congedarono.
Jamy ed Ellen frettolosamente si staccarono. << Cosa è successo? >> chiesero in coro.
<< Niente di grave. Il vostro racconto ha risvegliato qualche ricordo e ha avuto un attacco di panico. Forse nel primo periodo di riabilitazione potranno essere frequenti ma noi saremo sempre qui per aiutare! >>
<< Le ha detto cosa ha ricordato? >> chiese tremante Jamy.
<< Ha chiesto del suo bambino. >> rispose il Dottore grave.
Ellen sgranò gli occhi e ci mancò poco perché svenisse. Jamy la sostenne e la aiutò a sedersi.
<< Ha avuto un flash nell'attimo in cui ha fatto il test ... le ho spiegato che il violento urto ha causato il distacco della placenta, quindi è a conoscenza del fatto che l'ha perso ... ci vuole solo un po' di tempo per elaborare tutto l'accaduto. Adesso però ha chiesto di vedere solo lei Signor Jamy. >>
Ellen annuì in lacrime per niente sorpresa, il Dottor Kefir educatamente salutò e li lasciò soli.
Jamy assunse un'aria afflitta, << Ti riterrà responsabile ... >>
<< È proprio quello che voglio! >>
<< Ellen lo sai che io non so mentire, soprattutto non sono in grado di farlo con lei! Scoprirà nel giro di qualche giorno questo inganno! >>
<< Jamy ascoltami! >> esclamò seria come mai lo era stata. << Se ora ti sembra che stia soffrendo, prova a immaginare se sapesse tutta la verità! Credi che la sopporterebbe? >>
<< Non so Ellen! Davvero ... ti ho sempre assecondato, ho sempre fatto da paciere tra voi, ma se teniamo fede a questa bugia, non potrò fare niente per avvicinarvi! Dio Santo, si metterà d'impegno per odiarti seriamente questa volta ... e io forse non potrò aiutarti! >>
<< Il tempo alleggerirà le cose! Fidati di me ancora una volta! >> lo supplicò Ellen.
<< Stai dimenticando che rimane il problema Noah! >> borbottò Jamy sconfortato, sicuro che tutto si sarebbe presto rivoltato contro.
<< Noah, Noah e Noah ... È andato! >> cantilenò Ellen nuovamente sull'orlo di una crisi di nervi. << Ho la sicurezza che le loro strade non s'incontreranno più! È partito per l'esercito ... >>
Jamy si rannicchiò sulla sedia preoccupato e scosse la testa incredulo. << Mi sa tanto che questo nuovo inizio sarà la fine! Quando scoprirà tutto quello che stiamo architettando sparirà in una terra lontana! Ancora non capisco perché non riesco a dirti di no! >>
<< Perché sotto sotto mi ami Jamy Moor ... >> scherzò Ellen per alleviare la tensione creata.
<< Non ti amerei neanche fossi l'ultima donna della terra Ellen Harris! >> rispose Jamy deciso.
<< Non fare così! >> lo tranquillizzò Ellen. << Non è una bugia quella che ti ho appena detto. Quel ragazzo è davvero partito per l'esercito ... solo che ometteremo che è stata una scelta dei suoi genitori! Adesso se non ti dispiace ... ricomponiti e va dalla nostra bambina! >>
Jamy chiuse gli occhi incapace di alzarsi, Ellen gli afferrò il braccio e lo tirò su senza tanti problemi. Gli sistemò alcuni ciuffi ribelli e lo sospinse dolcemente all'interno della stanza. Lui le rivolse uno sguardo veloce e si chiuse la porta alle spalle.
<< Jamy ... >> sussurrò Joly appena lo vide. La sua espressione seria era carica d'odio ma quando i suoi occhi incontrarono quelli di Jamy, si sforzò di sorridere.
<< Sono qui bambina mia ... >>
<< Jamy ... non la voglio più vedere! >>
<< È proprio quello che temevo! >>
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