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10- I

Con il cucito non andava bene come con il disegno, si disse Yan mentre una vocina nella sua testa respingeva all'istante quel dato di fatto.

La stoffa non aderiva alle forbici, le forbici vi scivolavano come acqua fra le dita. Aveva sbagliato stoffa? O erano le forbici ad essere fatte male?

Sbirciò di lato i compagni e provò un fremito notando l'assenza così insolita di Alice al suo fianco. Non fosse stato tanto orgoglioso ne avrebbe sofferto. Adocchiò il tessuto rosso lucido che Francesco Lana, chiamato così perché vestiva sempre molto pesante, stava già trasformando in una blusa dalle ampie maniche a sbuffo. Avrebbe dovuto ornarsi anche di un discreto fiocco a giudicare dal disegno del modello poggiato sul suo tavolo. Che fosse bella o meno, non sembrava gli mancasse molto per terminarla.

Dall'altra parte Matteo Stivali, secondo cui sneakers, mocassini, stringate, ciabatte e sandali non esistevano, era impegnato nell'arduo compito di ritoccare il suo disegno, passando da un eccentrico bomber floreale super colorato a un cardigan chiuso a bottoni; o a cerniera, voleva metterci una cerniera?

Matteo si volse e svelto Yan distolse lo sguardo; era inutile, si disse, osservare il lavoro altrui quando nessuno avrebbe potuto eguagliare il suo una volta terminato. "Sempre se questa cazzo di forbice..."

Ci mise forza tentando di mantenere saldo il tessuto e spingendo le forbici su di esso e mantenendolo teso con l'altra mano. Un movimento goffo, un dito nel posto sbagliato, seta che si adagiava tra le sue gambe incrociate sotto al tavolo. "Cazzo."

Si portò il dito al volto e osservò per un attimo una gocciolina di sangue che faceva capolino tra la pelle candida. "Cazzo, cazzo, cazzo." Strinse il dito con l'altra mano, alzandosi al contempo e ignorando il professore accigliato. "Cazzo." Riuscì a notare una goccia di sangue farsi strada tra le sue mani e cadere sul suo disegno, dove capeggiava un'elegante soprabito nero, prima che cominciasse a girargli la testa.

"Cazzo. Stracazzo." Come stava immaginando e senza che potesse terminare di immaginarlo, le sue gambe si fecero molli come quella dannata seta.

Riaprì gli occhi su una confusione di volti che lo fissavano, tra le luci dell'aula che gli parevano accecanti. Un altro "cazzo" affiorò nella sua mente. Quante bestemmie e parolacce era in grado di pensare in una sola volta lui che per contro amava tanto buon gusto ed eleganza? pensò amareggiato.

«Martini, devo chiamare un'ambulanza? Mi sembra eccessivo per un taglietto a un dito...»

«No, professore, sto bene. È solo che odio il sangue.» Si alzò di scatto, sentendosi in imbarazzo e chiedendo di andare al bagno. Fuori dall'aula si guardò il dito, ancora sanguinante. Doveva essere svenuto giusto per qualche secondo.

Corse verso il bagno dove si lavò dal sangue e avvolse il dito nelle salviette per asciugarsi le mani. Il taglio non era esattamente un taglietto come lo aveva definito il professore, ma era invece bello profondo, constatò Yan schifato dal sangue che continuava a uscire.

"Gran bella mattina di merda." Scosse la testa, pensando al suo lavoro che sarebbe rimasto incompiuto. Alice avrebbe detto che era l'ennesimo test fallito e forse ne avrebbe riso; e odiava alla follia doverle dare ragione.




«Ora stai meglio tesoro?»
La voce dolce di sua zia sì che lo faceva sentire meglio. Yan si accoccolò nella sua poltrona, mentre lei gli riservava un'ultima carezza al dito bendato prima di lasciargli andare la mano.

«Sì zia, sto bene. Tirano un po' i punti, ma credo passerà.»

«Qualche giorno, ci vorrà qualche giorno. Hai sentito il dottore.»

«Sì, certo.» Le sorrise. Gli veniva spontaneo, dato che era stata l'unica a capire quanto il dito gli facesse male e dopo che durante il pomeriggio si era gonfiato e aveva ripreso a sanguinare l'aveva accompagnato al pronto soccorso, dove gli avevano messo un paio di punti. Forse era vero che la sua reazione al sangue era esagerata, ma non era affatto un taglietto, pensò risentito verso quello stronzo del professore.

«Sei hai bisogno di qualcosa, Yan tesoro...»

«No zia, sto bene, davvero.» A volte sua zia era anche troppo apprensiva, ma quel suo modo di preoccuparsi per lui e di riservargli tante attenzioni lo faceva sentire bene, gli faceva provare un'emozione, quasi un fremito, nel petto. Era così avere una madre?

«Angela, basta con queste smancerie!» Yan sentì i battiti del cuore accelerare alla voce imperturbabile e al tono rigido di suo zio. «Chi è che alla sua età si taglia con una forbice per la stoffa? Forbici per bambini! E svenire per un taglietto davanti a tutta l'aula... una vergogna.»

"Riecco il taglietto." Si morse il labbro inferiore per non rispondere e continuò a mordicchiarsi anche quando a sbottare fu sua zia.

«Gli hanno dato due punti, è un bel taglio. E poi non è l'unico a svenire se si taglia, anche a me fa impressione il sangue.»

«Anche a suo padre, non te lo ricordi? Quella femminuccia per un graffietto si metteva a piangere.»

Yan sentì la rabbia cominciare a scaldargli il petto. Quell'emozione che poco prima lo aveva rasserenato stava per essere soppiantata dall'odio che provava per quell'uomo, che in piedi vicino alla porta scuoteva la testa, le mani dietro la schiena.

Si era permesso di entrare in camera sua senza bussare, com'era sua abitudine, quando invece la zia aveva dapprima bussato e poi aveva atteso che lui le aprisse, rivelando di portare per lui un vassoio con la cena, che aveva puntualizzato essere stata preparata da lei e non dal loro chef personale.

Notò che suo zio aveva un bottone della camicia allentato, mentre come al solito portava la cintura ben stretta sull'addome piuttosto asciutto data la sua età, il sempre presente orologio al polso, pantaloni sartoriali di ottima fattura e i capelli, ancora abbastanza folti, perfettamente pettinati in un taglio rigido e antiquato.

«Vittorio, santo cielo, non dire così!» La zia si portò una mano alla bocca. «Il nostro Yan ha avuto un incidente a scuola con un paio di forbici, non si è fatto un graffietto. Il dottore ha detto che dovrà tenere i punti una settimana.»

«Oh, poverino, magari gli farebbe bene su tutte le dita così impara a stare più attento. O magari a sopportare il dolore, come un vero uomo.» "E saresti tu il vero uomo, brutto stronzo?" Yan sentì le labbra spellarsi da quanto le mordicchiava per evitare di ribattere. Sapeva che confrontarsi con una tale testa di cazzo non avrebbe portato a nulla.

«Certo, come se voi uomini sapeste cos'è il dolore. Ah, Vittorio, dimmi per caso hai mai partorito? E hai mai avuto il ciclo? Santo cielo, non dovresti farmi dire queste cose, ma sei davvero una testa dura.»

"Esatto, zia, una brutta e stronza testa dura." Dalla sua poltrona Yan godette ogni singola parola di risposta come se le avesse pronunciate lui e si sentì orgoglioso di sua zia, che di rado rispondeva a quel modo al marito.

«Angela, santo Dio, ma non vedi che è un pappamolle? Un debole come suo padre, viziato ed egoista. E tu lo coccoli come un bambino.» Suo zio aveva fatto due passi in avanti e portato le braccia davanti al petto; le incrociò scuotendo di nuovo la testa. « Se continui a trattarlo così diventerà ancora più imbecille di suo padre.»

Yan sentiva i suoi occhi grigi, gelidi, piantati addosso, ma li evitò voltandosi al lato opposto. Dalle tende della stanza filtrava un debole e sanguigno raggio di sole.

«Ehi, sto parlando anche con te. Non ti vergogni di essere svenuto come una donnetta davanti a tutta la classe?» Lo ignorò, sentendo sua zia che sussurrava al marito di calmarsi. «Sei un inetto, cazzo. Dopo tutti i tuoi voti di merda adesso salterai anche le lezioni di pratica. E i test? Che voti prenderai se hai paura di usare la mano per uno stupido taglietto?»

«Vittorio, adesso basta. Andiamo a cenare, lascia che Yan stia tranquillo. Rifarà il test appena sarà guarito.»

«Guarito? Neanche fosse una brutta malattia. Ma ti rendi conto di quello che dici?»

«Perché? Vorresti fosse malato? Devi essere felice che non sia nulla di grave e che sia solo una ferita che guarirà in qualche giorno. Devi smetterla, Vittorio, datti una calmata.»

Yan non li vedeva, rivolto com'era dall'altra parte, ma immaginava la zia con le mani sui fianchi e lo sguardo un po' basso e un po' di lato, attenta a non sfidare troppo il marito collerico, e lui immobile, inflessibile e freddo, come una statua di marmo, che la fissava con quello sguardo odioso. Sua zia non meritava tutta quella merda e suo zio non meritava una donna tanto splendida.

«Io calmarmi? Quando smetterai di rincitrullire questo disgraziato allora starò calmo. Finché siete sotto il mio tetto ci sono delle regole e dovete seguirle.»

«Vittorio...» La voce di sua zia tremò.

«No Angela. Non ammetto queste cazzate. Ho speso tanti soldi per un ragazzo stupido e ingrato e non ne spenderò più. E non ammetterò questi comportamenti da cretino. È una vergogna.»

Yan sentì lacrime di rabbia bruciargli fuori e dentro; chiuse gli occhi, lottando per non esternare né l'ira né il dolore che provava.

«La cena è pronta caro, andiamo.»
Sentì il respiro pesante di suo zio, che si tratteneva dal ribattere, poi i passi di entrambi che se ne andavano. Era venuto a turbare entrambi sparando un po' delle sue cazzate a casaccio e se ne stava andando, pensò Yan, fiero del suo fottuto e merdoso lavoro.


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