Stadio Avanzato
A destra
Sono il migliore amico di me stesso,
a volte mi ritrovo a parlare
con la mia ombra.
SETH HAWLEY'S POV
Una donna incinta, una dottoressa incazzata e calma allo stesso momento, ed un ragazzo che pareva uscito da GTA: per quel momento, avevo iniziato a vederci chiaro solo su di loro. Destiny, la tipa che si lamentava di avere un neonato in grembo, aveva un carattere insopportabile. Non ne sapevo il motivo, ma la sua presenza mi irritava particolarmente, rispetto agli altri due.
Il marito, Kalim si chiamava? Sembrava uno apposto, quasi non capivo per quale motivo si fosse portato all’altare la tipa di fianco a lui. Lamentosa, terribilmente fastidiosa, a tratti quasi insopportabile.
Poi c’era Ethan. Dopo la conversazione della nottata precedente mi sembrava uno apposto. Magari un po’ stronzo, ma abbastanza simpatico.
Jhonatan era uno che si faceva i cazzi suoi, potevo dire lo stesso di Thomas, che sembrava piuttosto affezionato ad Arya. Sembravano legati da una sorta di fratellanza, anche se non lo davano a vedere.
Stando all’aereo, caspita.
Il pilota era schiattato al cento per cento. Non riuscivo a capire nemmeno perché l’aereo avesse potuto perdere così vertiginosamente quota. La situazione era pietosa, e per un errore non dipeso da noi, per giunta.
Piangere sul latte versato non era una cosa che potevamo fare. Non ci saremmo nemmeno sbrigati in quella che doveva essere una fuga da un’isola inquietante e sconosciuta.
L’idea primaria era di costruire una zattera, tipo nei film dei gruppi di naufraghi che si trovavano in tv alle due di notte. Si ripetevano anche, a volte. Piuttosto noiosi, a dire il vero.
Il problema era che sostanzialmente non si sapeva come si potesse arrivare a riva. Specie con uno come me, che aveva una gamba rotta. Prima di un mese, dall’isola in questione non ci saremmo potuti muovere di un centimetro.
A meno che non potessimo trovare un modo per far funzionare l’aereo, o comunicare con qualcuno. Potevano accorgersi della scomparsa dell’aereo dopo qualche giorno, e non sapevo nemmeno se la scatola grigia fosse intatta.
Feci segno ad Ethan, poggiato singolarmente ad una palma mossa dal cattivo vento, di farsi strada verso di me. Lui annuì, poi si chinò guardandomi faccia a faccia. «Dimmi, fantoccio.»
«Ascoltami: ti parlerò piuttosto chiaramente.» feci io «Dobbiamo trovare un modo per muoverci di qui.»
«Fino a qui non c’ero arrivato, sai?», scherzò lui.
«Andiamo Ethan. Puoi chiamarmi a rapporto Arya, Thomas e Kalim?»
«Bene, bene. Guarda un po’ te quanto sei lamentoso, accidenti.»
Si allontanò, prima di sparire tra la vegetazione mossa dal vento. Il meteo sull’isola era decisamente strano, a pensarci in primo impatto.
A parte la carenza di sole, che c’era in pieno solo il primo giorno, il vento batteva a ritmi alternati. Spariva dietro le nuvole e metteva una brutta sensazione, come se stessimo tutti per abbracciare la morte.
C’erano cose che immaginavo, non tutti potessero sapere. Delle vite che c’eravamo lasciati alle spalle, dei familiari, delle persone preoccupate. Metteva ansia, quasi come una singolare oppressione al petto, sapere che forse potessero pensare fossimo addirittura deceduti. Magari spappolati dalla colluttazione, o affogati in mare.
Sospirai, prima di guardare il mare mosso. Poi chiusi gli occhi.
Morte. Inconsueta sensazione di un filo, si poteva spezzare.
Putrido legame con il destino, immaginavo. Era terribile venire inglobati dalla consapevolezza d’essere morti.
Morti. Che tutto si spegne, immobile. Potevo riabbracciare papà, ma avere la conferma di non poterlo rivedere mai più. Nemmeno nei miei sogni.
«Ehy, come va la gamba?». Arya spuntò d’improvviso, distogliendomi dai pensieri ormai del tutto normali all’interno della mia testa.
Feci per girarmi. Mi sollevai leggermente, aiutato dalla figura allampanata di Thomas.
«Potrei passarmela meglio, non ho antidolorifici qui, sai com’è.»
«Dovremo fare riabilitazione tra un mese, sarà anche peggio! Farai meglio ad abituarti.»
«Fantastico.», ironizzai. «Ma quindi come diavolo ce ne andiamo da questa isola inquietante? Insomma, sparate qualche idea.»
«L’esperto in telecomunicazioni,» iniziò Thomas.
Kalim lo interruppe. «Non. Osare.»
«Potrebbe darci qualche idea.» concluse.
«Cazzo.» sbottò «Sentite, ho una moglie incinta.» Guardò Destiny che si accarezzava il ventre, aveva un ghigno da vera divoratrice di merda.
Sospirai. «Ma le credi davvero? Cioè guardala, è evidentemente una vera vittima!»
«Non dare della vittima a mia moglie, andiamo!»
Alzai le mani, poi girai gli occhi e mi poggiai al tronco. Era impossibile parlare sia con lui, che con la moglie lamentosa.
«Kalim, ascoltami: queste condizioni non sono le giuste per vivere, e dobbiamo trovare un modo per andarcene di qui. Alla svelta. Io e Thom non possiamo fare miracoli», disse Arya.
Kalim si portò una mano nei capelli visibilmente corti e leggermente riccioluti. Si aggiustò il colletto della camicia e chiuse gli occhi. I pantaloni, ormai sporchi di sabbia ed acqua, avevano alcune lacerazioni e la camicia pendeva in fuori.
«Bene,» sbottò «Dobbiamo andare in aereo, o meglio, nella carcassa.»
Arya rabbrividì. Si asciugò il sudore dalla fronte.
«Sarà tutto distrutto.», sussurrò Ethan.
«Potete trasportarmi?», dissi. Si udiva un rivolo di preoccupazione nella mia voce.
Ethan si fece forza. Aiutato da Madison, mi fece zoppicare, passo passo.
«Ve ne pentirete!», fece la dottoressa più in avanti con i due. «È pieno di cadaveri, lì dentro.»
Deglutimmo con forza. Arya fu la prima ad avvicinarsi al rottame. Dopo aver superato alcuni rivoli di vegetazione casuali, ci trovammo davanti l’imponente relitto, che costeggiava di forza dietro il mare. La dottoressa si alzò le maniche, ed aiutata da Thomas, forzò lievemente la portiera, già distrutta di suo.
Prendemmo tutti un sospiro, sembrava quasi dovessimo affrontare una belva sconosciuta. I dottori furono i primi ad entrare, forse per lo stomaco forte, e forse perché l’abitudine nel vedere cadaveri era accentuata. Specie dopo gli interventi non riusciti, le morti più atroci ed i salvataggi andati nel cesso.
A volte non riuscivo a comprendere quanta forza avessero.
Tw: qui ci saranno descrizioni accentuate di violenza e stati in cui si trovano le salme dei passeggeri dell’aereo. Nel caso foste deboli andate avanti. Segnerò con un piccolo asterisco l’inizio e la fine, per poi riassumerlo in modo più leggero.
*
«Vi avviso,» iniziò Arya «C’è una puzza atroce e la vista non è assolutamente gradevole. A meno che non abbiate un gusto del macabro.»
Vidi Madison deglutire, Ethan non si mosse minimamente. Non capivo quanta forza avesse per non avere reazioni, anche minuscole, a ciò che saremmo andati a vedere. Presi l’ennesimo respiro, prima di far cenno ai due di aiutarmi ad entrare: lo spacco era abbastanza ampio, non facemmo troppa fatica all’ingresso.
Ethan fu il primo a parlare. «In effetti è decisamente macabro. Preparate lo stomaco, voialtri.»
Quando entrai, il primo istinto che ebbi, almeno a primo impatto, era vomitare ciò che non avevo mangiato. A parte il frutto che mi porse Arya.
Ethan spostò quella che pareva essere una giacca. Giacca che non sembrava proprio nascondere un corpo in evidente stato di putrefazione, abbastanza tumefatto. Lo stomaco iniziò già a fare le peggiori giravolte alla vista.
La prossima fece allontanare Madison dal teatrino degli orrori. Parevano due persone, rimaste abbracciate aspettando il conflitto. Una di queste aveva la testa fuori posto, quasi tranciata da una lamiera.
«Beh, mi spiace per lui. Deve far male! Guardatelo.», disse Ethan.
Madison rabbrividì. «Ma sei scemo?»
«Concordo con Madison. Come fai solo a guardare?», feci io, deglutendo.
Ethan guardò davanti a sé. Kalim stava forzando la cabina dell’aereo. A me veniva da vomitare. «Ci vuole qualcosa per forzarlo.»
Un cacciavite, una chiave o peggio, una bomba. Giudicando il fatto che fosse chiusa dall’interno.
«Mi sa che ci toccherà cercarlo negli zaini dei nostri amici defunti!», fece ancora Ethan.
«Cazzo no, grazie! Non frugherò mai negli affetti di un cadavere. Schifoso!»
«Quoto di nuovo con Madison.», dissi in rimando.
Ethan sbuffò. «Che palle, siete noiosi. Rimanete qui!»
«Fanculo!», urlò Madison.
Mi poggiai nell’unico spazio dove non sembrava ci fossero cadaveri, sorretto da Madison. Ethan s’era già allontanato, andando a frugare negli averi dei defunti. Sussultavamo entrambi ad ogni schiocco di ossa, rumore o cose che potessero atterrirci.
Cazzo Ethan, sul serio?
*
«Ma come cazzo fa?», chiesi.
Madison si massaggiò le tempie, poi chiuse gli occhi. «Ma che diavolo ne so io, cazzo?», sbottò «Fa paura, accidenti.»
«Nah, è bravo. Forse un po’ inquietante, mi ricorda seriamente GTA.»
«Probabile venga da lì.», ironizzò lei.
«Non è praticamente umano, a questo punto.»
«Vi sento marmocchi!», urlò dall’altra parte dell’aereo.
Sospirai. «Sono più grande di te, accidenti!» Madison ridacchiò.
«Comunque in uno zaino ho trovato un lattina di soda, chi la vuole?», disse ancora Ethan.
«Dio dai che cazzo, che schifo Ethan!»
«Che palle, la bevo io. Non credo a scassinare quella porta.»
«Zitto! È perfetto.», urlò Kalim.
Una lattina? Seriamente?
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