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Soldi Che Piovono Dal Cielo

Quell'improvvisa luce di speranza

dopo tanto buio

dopo tanto dolore represso.

Illusione o realtà?

SETH HAWLEY'S POV

«Okay, veniamo con te».

Fu l'unica frase che udii dopo quel "non sta bene, ha bisogno di cure, o perderà l'uso della gamba".

Perdere.
Perdere la gamba.

Avevo già perso la persona più cara che il mondo avesse creato, non potevo perdere anche la mia gamba.

Perdere: perché di nuovo io avrei dovuto perdere qualcosa?

Una volta tanto, mi ero schierato dalla parte nemica, senza conoscere molto.
Ciò che bastava, dal mio punto di vista, era stare bene.

Apprezzavo Arya, ma quella donna aveva ragione: non potevo più aspettare.

"Seth se la caverà."
"Seth sta bene."
"Un po' di risposo e starà meglio."

Ma cosa ne sapevano di quello che portavo dentro io?
Cosa ne sapevano di quante volte al giorno stringevo i denti e di quanti incubi si erano persi e che io avevo disgustato?

Solo perché avevo un elevato tasso di sopportazione, non significava certo che avrei tirato la corda all'infinito!
Per quanto mi sarebbe piaciuto essere indistruttibile, ero stanco di correre solo metaforicamente.
La mia testa era stufa di ripetere di reggere ancora, l'altra gamba non riusciva più a sostenere il peso di fare il doppio lavoro, e in generale non ne potevo più di stare uno straccio.

Era sapore di sopravvivenza, quello che sopravvalse.
Non pensai agli altri, pensavo solo al mio arto fantasma che mi stava trascinando ad un passo dall'esasperazione.
Mi dispiaceva se per qualcun'altro rischiare non sembrasse l'offerta più allettante, ma per me lo era.
Per me era una priorità, per me era una speranza.

Non potevo permettere di aspettare il prossimo rischiamo dalla stazione, non ne potevo più di tenere compagnia agli insetti.

Mai più di allora ero assetato di vita.
Volevo alzarmi, tornare Seth, e non Mr. Leg.
Mostrare di che pasta fossi fatto senza essere associato ad una gamba che non sapeva svolgere l'unica funzione a lei assegnata.
Zoppiccare, mentre gli altri erano sempre una sponda più avanti.
Il primo ad essere mangiato ad uno squalo, l'ultimo ad arrivare a capolinea.
Compassione.
Noia.
Peso.

No.
Basta.

«Madison!»

Mi raggiunse, accorciandomi il tragitto.
Si era fatta una treccia davvero molto carina, le stava divinamente.
Mi sorrise perché seppe riconoscere il colore che, per la prima volta, poteva vedere anche lei; la speranza.

«Cosa? Che succede?»

«Potremmo aver trovato un rimedio, ma prima di mettere a rischio la vita di tutti, dobbiamo testarlo noi. No, ti precedo: sappiamo di non essere i paladini della giustizia e di non aver la risposta a tutto, ma guardati attorno. Se adesso ne parlassi a qualcun'altro, sappiamo bene entrambi che scoppierebbe il caos e sul disordine non è facile essere lucidi. E io ho bisogno che sia tu ad occupartene. Tu più di tutte sai farti rispettare e tu più di tutte sei la persona di cui mi possa fidare», parlai a manetta, il tempo stringeva e non potevo lasciarmi sopraffare da delle chiacchiere, per quanto importanti fossero.

«Cosa ne sarà di te se qualcosa dovesse andare storto?»

Le importava di me.
Non della gamba, di me.

«So che ti preoccupa, ma sono grande abbastanza da saper prendere decisioni da solo. Ti prego, capiscimi: potrei tornare a stare in piedi. Ti rendi conto? Potrò prenderti in braccio, potremmo ballare, potrai alzarti in punta di piedi per baciarmi e non abbassarti per raggiungermi! Hai una vaga idea di quanto questo possa significare per me?»

Lei abbassò gli occhi e annuii, piano.

«E se non dovessi ricevere notizie?»

«Devi promettermi che qualunque cosa accada, non permetterai che qualcuno si muova di qui. Se queste persone sono su quest'isola e finora non ci hanno trovato, significa che ci troviamo in un punto nascosto. Sicuramente sanno cose che noi non sappiamo e vogliamo arrivare a fondo di questa assurda storia thrillerizzata. Nè tu, nè loro, dovrete superare il confine. D'accordo?»

«Sì», sussurrò.

«Hey», alzò gli occhi verso il mio sorriso contagioso.

«C'è altro?»

«Baciami e, chissà, potrebbe essere l'ultimo bacio in cui sarai tu quella più alta tra noi.»

Sapore: sapore di speranza, di vita, d'amore.
Non badai a quello che sarebbe potuto essere l'ultimo, alla sua lacrima scaltra e veloce che le bagnò un sorriso simile al mio.
La lasciai, tra un velo di preoccupazione e rischiosa felicità, raggiungendo gli altri.

«Ricorda, per loro non esistete.»

*

Tenevo la buccia del cocco piena d'acqua tra le mani come scusa per essermene andato.
La donna, impaziente, mi guardò male.

«Non vi serviranno.»

Arya si avvicinò per slegarla e, non l'avesse mai fatto prima del tempo, permise in quel modo di tirar fuori una boccetta simile ad un profumo che spruzzò in aria.

Buio.
Buio improvviso.

***

«Seth! Svegliati!»

Una voce apparentemente metallica alle mie orecchie mi riscosse.
Aprii lentamente gli occhi e mi guardai attorno; le mura erano di pietra, il pavimento pure.
Un certo terpore riscaldò il mio fisico, rilassandomi.
Non mi concentrai molto su altri dettagli, tranne quelli troppo evidenti con cui giocherellava Ethan, poiché la gamba continuava a mandarmi fitte d'avvertimento.

Arya era già in piedi a controllarmi, come se potesse fare chissà che altro.

«Dove siamo?»

«Che importanza ha! Guarda che figata!», mi riprese Ethan che stava perlustrando la zona.
Iniziò a giocare a biliardino da solo, per il gusto di farlo.

«Non mi pare il caso, sai?»

«Non rompere! Guarda che roba!», volteggiò a braccia aperte su dei pattini a rotelle su cui si era appena imbattuto.

«Vedo con piacere che vi siete già ambientati», dei tacchi si avvicinarono e finirono per mostrare la figura della stessa donna che ci aveva addormentato, sicuramente per non mostrarci la via.

«Jade, mi chiamo Jade. Ma avremo tempo per le presentazioni», battè le mani e le luci cambiarono. Dai toni caldi, si fecero più pesanti e fastidiose, con un rosso acceso.
Poi blu, verde e di nuovo normale.

«Rifallo!», pregò Ethan.

Scossi la testa.

«Vi lascerò del tempo per sistemarvi e riposarvi. Dev'essere stato terribile quel che avete passato. Dopo di che, in piene forze, parleremo.»

Con il riconoscimento digitale, fece in modo di spalancare la porta e sparì, così com'era apparsa.

Io e Arya ci guardammo.

«Cazzo, ragazzi!», gli occhi dell'altro luccicarono. «Alcol e sigarette!»

Lo guardai. Non riuscivo nemmeno a formulare quel ben di Dio che si era prostrato ai nostri occhi.

«Sai», mi tentò, «Il fumo è la miglior anestesia al dolore.»

«Vai al diavolo», ne presi una e roteai gli occhi.

Rimasi stupito quando notai la perfetta sintonia che aveva nel mischiare Rum e tabacco.
Era disinvolto, spensierato.

Io volevo solo andarmene.
Che fregatura... mai mi sarei dovuto illudere che la mia gamba sarebbe tornata come nuova.
In fondo, i soldi non cadono dagli alberi.
Quindi perché, dopo una sventura, sarebbe dovuta piovermi una gioia dal cielo?

L'urlo di felicità mi destò dalla mia lagna e concentrammo l'attenzione sulla dottoressa.

«Seth, GUARDA! ATTREZZI MEDICI!»

Non ci vidi più.

«Operami. Ora.»

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