Respira
Se non ti arrampichi, non puoi cadere.
Ma vivere tutta la vita sul terreno
non ti darà gioia.
ARYA MICKLEM'S POV
L'ultimo ricordo prima di ritrovarmi in preda al panico in mare aperto era Thomas dormiente sulla mia spalla, in attesa dell'atterraggio.
Ero viva.
Avevo l'udito ovattato a causa dell'acqua, gli occhi mi bruciavano ma riuscivo a tenerli aperti, ero del tutto cosciente.
Mi guardai intorno, e urlai.
Ero in mare, non troppo lontana dalla riva, circondata da pezzi di lamiera ricoperti da cadaveri, gambe, braccia staccate a causa dell'impatto.
"Ottimo", bisbigliai tra me e me, per poi immergermi in acqua superando la valigia che mi aiutava a rimanere a galla, e raggiunsi Thomas che si trovava a pochi metri da me, svenuto.
«Battito lento ma presente» dissi a voce alta, mi aiutava a liberare la mente e a concentrarmi su quello che stavo facendo: un massaggio cardiaco.
Uno, due, tre.
Bastò solo questo per far risvegliare Thomas, che sputò una quantità immensa di acqua per poi tornare cosciente.
«Ma che diavolo?», implorò guardandosi attorno, probabilmente non aveva ancora realizzato la situazione nella quale ci trovavamo.
«Stai bene?», gli chiesi.
«Sì?», mi rispose con un sorriso sbilenco.
«Andiamo a riva, ci saranno sicuramente molti feriti», dissi immergendomi completamente in mare.
Non avevo paura, il concetto di paura non l'avevo mai appreso in pieno.
Ma forse il mio lato umano era destinato a rimanere così, una riga incompleta.
Nuotai, più velocemente possibile.
Una volta arrivati a riva sentivo il sole cocente battere sulla mia pelle chiara, un lieve fastidio persuase la parte inferiore della mia testa.
Thom arrivó a riva pochi minuti dopo di me, stremato anche lui.
«Fa caldino», dissi ridendo per sdrammatizzare, era l'unica cosa da fare in un'atmosfera così tesa.
Ci guardammo intorno,
La mia demotivazione non si fece viva neanche un secondo, infatti decisi subito di rendermi utile.
«Thomas, quel ragazzo laggiù», scossi Thomas indicando un ragazzo bloccato sotto un pezzo di ferro molto pesante.
Il mio amico apprendista mi guardó con un sorriso sbilenco, probabilmente faceva quelle smorfie a causa della forte luce del sole.
Camminammo velocemente incontro a quel ragazzo, scrutando con attenzione ogni cadavere che superavamo.
Pensai che ognuno di loro avesse una famiglia, degli amici, e forse dei figli.
Che puttanata, pensai tra me e me.
«Cresci Thomas» dissi con tono sarcastico, alla vista del suo modo di fare violento con quel povero ragazzo privo di sensi.
«Non vorrai dire che sia colpa mia, ora, razza di idiota!»
«Tesoro ma che sarà mai», risposi per tranquillizzare i suoi pensieri paranoici, che lo persuadevano ogni volta che aprivo bocca. «Hai tirato violentemente un ragazzo, povero ragazzo, fuori dal rottame di un aereo sfasciato con più di cento cadaveri, sei un medico o una sorta di killer psicopatico?!», aggiunsi in preda alla rabbia.
Ancora incosciente, perciò decidemmo di spostare il rottame.
«Fai piano Thom, per favore», chiesi tra un gemito e l'altro a causa dello sforzo che stavo facendo per smuovere quell'enorme pezzo di metallo schifoso.
Mi avvicinai di corsa al ragazzo riccio scrutandolo dalla testa ai piedi:
frattura.
La individuai subito a causa della sua grossa ferita che lasciava intravedere l'osso spezzato.
Se non mi fosse venuta la fantastica idea di svegliarlo probabilmente avrebbe perso la gamba.
«Il ragazzo s'è svegliato.»
«Acqua, c'è dell'acqua?», furono le uniche parole strozzare che riuscì a pronunciare, quasi in modo incomprensibile.
Sfarfalló le lunghe ciglia scure per qualche secondo, per poi riprendere completamente coscienza.
«Okay amico, resta con noi.»
Mi rispose con uno sbuffo seguito da un forte gemito.
«Chi sono i tuoi genitori?», dissi mentre mi strappavo la manica destra della mia camicia, per cercare di fasciare la gamba del ragazzo.
«Non vi interessa, ero solo in aereo, no?», mi rispose con voce raschiata, doveva aver ingerito molta acqua salata.
Lanciai uno sguardo di sconcerto e desolazione al mio amico Thom.
Probabilmente quel ragazzo avrebbe perso l'uso della gamba, almeno parzialmente.
Necessitava di un intervento complicato, figuriamoci su un isola deserta senza attrezzature mediche.
«Cazzo», dissi a voce bassa, tra me e me.
Il ragazzo dopo avermi guardato fisso negli occhi fece un movimento brusco nel tentativo di alzarsi, e ovviamente fallí.
Mi venne quasi da ridere. «Andiamo, sul serio?»
"Determinato" pensai.
«Ascoltami Ciccio,» gli porsi una mano «Arya Micklem, sono una dottoressa del Brodway Central Hospital insieme al Baldo uomo di fianco a me, medico chirurgo.»
Mi rispose storcendo un sopracciglio.
«Arya cosa?» disse ancora confuso.
«Micklem» che noia, ogni volta che mi presentavo la stessa storia. «Al posto di fare storie su questo stupido dettaglio, presentati.»
«Bene, bene. Mi chiamo Seth.»
«Cognome?»
«Hawley.»
Si stava riprendendo, e con questo, cominció a provare dolore, infatti cercava di toccarsi la gamba.
«Perfetto, quanti anni hai?»
«Venti. Ero in questo aereo per andare a trovare una persona importante.»
Mi allontanai, lasciando Seth nelle mani di Thomas, sperando che non facesse cavolate tipo farlo mettere in piedi. Sì, perché Thomas ne era in grado.
Andai a ravanare tra le valigie sfasciate in ricerca di qualche oggetto utile per i feriti, anche una semplice bottiglietta di alcool per disinfettare le ferite.
Non avevo nessuna intenzione di arrendermi.
Incombendomi nella mia ricerca, scambiai due parole con una ragazza incinta, visitandola velocemente.
Sembrava una ragazza parecchio irritante, dal momento che cercando di toccare la sua pancia per valutare la salute del bambino, mi allontanò dicendo «Brutta lesbica di merda, lascia stare il mio bambino.»
Fortunatamente non era la prima persona che si esponeva in modo così maleducato nei miei confronti, ormai ci ero quasi abituata.
Mi convinsi che si trattasse della solita neo-mamma scorbutica per il parto in avvicinamento e niente più.
Dato che stava bene, la snobbai e andai avanti.
Trovai una valigia quasi intatta, che aprii di riflesso.
Presi il sacchetto che avevo trovato in precedenza, cercando qualcosa di utile.
Trovai delle bottigliette di alcool, ago e filo.
Ne approfittai per prendere dei vestiti da strappare, sapendo che sarebbero risultati utili.
Una volta raccattate questi pochi oggetti essenziali mi incamminai per tornare da Seth, gli altri sembravano cavarsela da soli.
Notai che parlava con un ragazzo, apparentemente illeso, che si allontanò alla mia vista.
«Ciao Seth, come stai?», gli chiesi abbassandomi al suo livello, cercando di metterlo del tutto a suo agio.
«Una favola...», mi rispose gemendo, lasciando intendere perfettamente il tono di sarcasmo nella sua risposta.
«Chi era il ragazzo di prima, stava bene?»
«Pff, mi sta già sulle palle», fece sbuffando.
«Okay, ora devo cercare di farti rientrare questo osso qua», feci indicando la protuberanza qualche centimetro sopra il suo ginocchio, «Farà MOLTO male, ma devi cercare di restare sveglio».
Annuí esitando un attimo, doveva avere molta paura.
«Allora, devi solo tenere forte qua, e stringere i denti,» dissi rimettendomi in piedi «Thom, tienilo fermo».
Thomas si mise alle sue spalle bloccandole, io mi misi davanti a Seth prendendolo dal piede.
Dovevo solo tirare.
Lo guardai negli occhi, i suoi erano pieni di terrore, mentre i miei aggrottati a causa del sole, e mi sentii maledettamente in colpa, ma alla fine era il mio lavoro.
«Via!», dissi tirando la gamba verso di me, sentimmo un grosso 'track', segno che l'osso era rientrato in sede, purtroppo non potevamo sapere se bene o male.
Seth non urló, stranamente, si limitò a buttare la testa indietro, senza aprire bocca. Devo dire che mi stupii.
«Abbiamo fatto, stai bene?»
Mi guardò e, nel tentativo di aprire bocca, si girò leggermente e vomitò, probabilmente per l'ansia, o per il dolore, non lo so.
«Sì», mi rispose freddo rivoltandosi verso di me, sembrava traumatizzato.
Mi guardai attorno, avevo bisogno di qualcuno che stesse con Seth mentre sarei andata con Thom ad aiutare altre persone.
«Hey tu, vieni», richiamai il ragazzo che si era allontanato in precedenza, facendogli segno di avvicinarsi.
«Stai con lui», dissi senza nemmeno salutarlo «Se sviene, o se sta male cercami», aggiunsi.
«Okay», disse vago sedendosi accanto a Seth, che alzò gli occhi, non doveva stargli molto simpatico.
Quello fu il momento in cui capii l'importanza del danno che tutti i passeggeri di quel dannato aereo avevano subíto, me compresa.
Ognuno di noi aveva una personalità, un posto nel mondo.
Io sapevo, che non saremmo tornati indietro presto.
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