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Psicologia

ARYA MICKLEM'S POV

La testa

O il cuore?

Le mie competenze o la mia umanità?


Non avendo studiato psicologia, non sapevo quanto potesse debilitare un attacco di panico, ma soprattutto non mi ero mai curata di chiedermi come potessi gestire una persona che ne aveva uno; il che sommato alla situazione che tutti stavamo vivendo, non fece che mandarmi in confusione.

Ethan mi aveva appena detto che si sentiva morire, il che avrebbe dovuto scaturire una reazione importante data la mia professione, ma niente.

Soprattutto, era Ethan.

La persona più misteriosa che io avessi mai conosciuto, sicuramente il suo non volersi far aiutare da nessuno era un  lato che sfoggiava con orgoglio.

Ma nonostante ciò, decisi di assecondarlo.

Mi aveva chiesto di andarmene, perché sarei dovuta rimanere?
Pensai che dargliela vinta sarebbe stata la cosa migliore da fare in quel momento.

Perciò, sconsolata, iniziai a muovere dei passi verso la riva del lago dove c’era ancora Seth incosciente che sonnecchiava.

«Arya, aspetta» sentii Ethan richiamarmi, con voce ancora strozzata.

Mi girai e lo raggiunsi di nuovo.

«Mi avevi chiesto di andarmene», sibilai a voce bassa.

Il ragazzo deglutì con fatica per poi chiudere gli occhi.

«Lo so, ma non voglio morire da solo», sussurrò.

«Strano, detto da te» sdrammatizzai.

Probabilmente se non fosse stato Ethan non mi sarei messa a scherzare in quel modo, eppure avevo la convinzione che lui avesse tutte le capacità di sapersi riprendere da solo.

E una convinzione rimase, dato che continuava a dirmi di essere cieco.

A quel punto mi autoconvinsi di essere veramente l’unica roccia in quel gruppo.

«Di cosa hai bisogno?», chiesi banalmente.

«Acqua, per favore», rispose strofinandosi gli occhi.

Allora corsi al lago per riempire la noce di cocco senza la quale saremmo morti disidratati, e tornai da Ethan.

Nel mentre continuai a pensare a quanto fosse strano vederlo così impotente.

«Ti va di dirmi cos’è successo?», domandai non appena tornò vigile al 100%.

«Non ci allarghiamo, Doc» ridacchiò, sforzandosi palesemente, «Mi dispiace, averti fatto pena.»

Seguì un secondo di silenzio che utilizzò per rialzarsi in piedi.
«Ora vado a vedere se Mr. Leg respira ancora.»

Così, si avviò per raggiungere Seth, barcollando come se avesse bevuto dodici shottini di assenzio.

Certe volte mi sarebbe servito avere un passato come quello di Ethan.
Crescere senza dimostrazioni di affetto, senza alcuna aspettativa, e odio ingiustificato verso l’intero essere umano.

Che poi in realtà non mi aveva ancora mai parlato del suo passato, ma era così evidente la quantità di amore che gli mancava.
Non lo conosceva, l’amore, né verso gli altri, tantomeno verso sé stesso.

Nonostante ciò, ero felice che mi avesse richiamato per raggiungerlo, aveva finalmente mostrato il suo lato umano.

Approfittai del momento di staticità e mi persi nei miei pensieri.

Pensai che passavo troppo tempo a psicanalizzare le persone. Perché? mi piaceva studiarle, come qualsiasi altra cosa.

Ma soprattutto le persone, ho sempre pensato che l’essere umano sia così intrigante quanto fantastico.

Eravamo tutti dei pezzi di puzzle cui difetti, seppur tali, se combaciati con i nostri pregi, diventavano talmente armoniosi da essere quasi piacevoli.

Ed era questo che amavo di tutte le persone che mi circondavano in quel momento.

Ci si aggrappa a tutto, pur di sopravvivere.

La forza di Seth, che sicuramente non sarebbe stata così tanta se non fosse così testardo.

L’inventiva di Madison, che senza il suo essere sempre “nel suo mondo” non ci sarebbe.

Per non parlare dell’autoironia di Ethan, che lo faceva sembrare una persona superficiale.
Al giorno d’oggi, per alcuni, averne una accanto è utile.

Mi resi conto di star solo cercando di vedere il bicchiere mezzo pieno.
Perché, in realtà, in quella situazione, c'era di bello l'essere tutti vivi.

Eravamo punto e a capo, a girare attorno e perlustrare la stessa zona, solamente con qualche interrogativo in aggiunta.
Giorni, settimane?
La mente umana non si mette in pausa, è attiva, così com'è sviluppato il nostro istinto.

Decisi di andare a vedere come stava Seth.
Lo stavo trascurando troppo, ed era quello che stava oggettivamente peggio.

Ovviamente dormiva, con la testa appoggiata sul suo zainetto impregnato d’acqua marina. La sua t-shirt nera e rossa era arrotolata attorno al suo collo sudato e il sole gli batteva dritto sulla pelle.

Dovevo svegliarlo, o si sarebbe preso un insolazione oltre al resto.

«Hey soldato» gli dissi spostandogli una ciocca di capelli dalla fronte.

Aprí gli occhi senza troppa fatica.

«Come stai?» gli chiesi.

Lui si tirò su appoggiandosi sui suoi gomiti «Meglio» sbadigliò «Anche se vorrei sapere che cosa cazzo mi ha fatto stare talmente male da perdere coscienza».

Sospirai, non sapevo se lui mi avrebbe capito o meno.

«Non lo so Seth…» mi sedetti affianco a lui «Io penso siano radiazioni, sennò non si spiegherebbero troppe cose».

«Radiazioni?» ridacchiò, incredulo «Alla fine sono sopravvissuto ad un incidente aereo, penso sia una cosa meno credibile delle radiazioni. E di sicuro ne sai più di me, quindi sostengo la tua tesi», disse per poi sorseggiare un po’ d’acqua dalla noce di cocco.

«Dov’è Ethan?» mi chiese, dal nulla.

«Non lo so. Penso sia andato dagli altri», mi spostai i capelli dietro le orecchie, «prima è stato male», confessai.

«Che ha avuto?»

«Penso sia stato un attacco di panico, strano, da uno come lui. Giusto?», dissi ironicamente.

«Tutti abbiamo dei punti deboli dottoressa, anche lei.»

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