Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Odio

I giorni si possono contare sulla punta delle dita,

è perchè a volte si fa fatica

a metabolizzare un evento

che ti stravolge l'intera esistenza.

SETH HAWLEY'S POV

Pensare: quale male infinito poteva capitarmi.

Ero uno che rifletteva abbastanza, nella sua vita. E per chiarirci il cervello in moto mi riduceva a dormire qualche ora a notte. La mia mente macinava così i tanti pensieri che vi si annidavano al suo interno. Di norma erano scene e situazioni piuttosto assurde, a tratti malsane.

E non che le paranoie aiutassero. Specie dopo la morte di papà. E il cancro. E Chris cazzo, mio cugino.

Quando lo aiutavo, che per intenderci aveva il fratello di mio padre ch'era sposato con una pizzaiola a Seattle, pensavo sempre a quanto potesse essere più intelligente di me.

Tipo, ehy amico! Diamine, io alla tua età non riuscivo a posizionare concretamente i mattoncini lego.

Che poi, ricordavo proprio papà avesse una strana capacità a fare i conti. L'aveva ereditata suo nipote e non io, suo figlio. Vaffanculo genetica.

Poi ripensavo alla situazione che doveva, a quel tempo, essere l'attuale sconfitta di una sconfitta ripescata da un mare di sconfitte. Ero vicino al cazzo di mare.

Di nuovo, vaffanculo.

A meno che non m'impiantassero un braccio bionico, non posso muovermi da qui.

Esilarante, Seth. Un aereo boeng perde quota finendo schiantato su una singolare isola. E diamine, non potevo nemmeno aprire bocca.

A parte che l'unica cosa che mi potevano impiantare, almeno in quel caso, era un pezzo di legno rigorosamente in palma. Dritto nella carne, senza mozioni precedenti. Arya magari mi avrebbe spedito anche a "fatti circoscrivere la gamba" city.

La notte mi faceva contorcere lo stomaco, fare di quei salti mortali assurdi che Dio solo sapeva fossero così estenuanti. Ed ero anche insozzato, non mi facevo la doccia da giorni.

Che schifo.

La prossima scelta era ascoltare una di quelle canzoni che sapevo potessi mettere a palla nel telefono. Ma era finito in mare, probabilmente mangiato da qualche pesce. Non era nemmeno saporito, potevano lasciarlo a me.

Ripresi a guardare come una marionetta senza fili il teatrale vuoto che si costernava dinnanzi a me. Mi metteva una lugubre desolazione, una di quelle che mi faceva desiderare d'essermi rotto un braccio, e non la stupida gamba.

Gettai casualmente uno sbadiglio.

Che odio, mi ripetevo.

Sole mare, brezza d'estate. Che il sole non c'era e soffocava. Riduceva solo ad un pezzo di lacrime, uno in oceano. Nel bel mezzo del silenzio.

Che odio, facevo ancora.

La sera opprimeva, petto e testa. Specie testa. E cuore, mentre i ricordi di un passato lontano riprendevano il sopravvento mangiandomi vivo. Mangiando ciò che rimaneva integro della mia vita gettata in un fiume, gettata nel mio fantasma.

Che odio, ancora.

Che guardare il mio fantasma, guardare un futuro, e ripetere le frasi nella testa che si riversavano e riversavano e riversavano ancora, mi rendeva vittima del fato. Dell'inganno di mio padre.

Odioodioodioodio.

Odio.

Rimarcato, pungente, vivo.

Per loro, per me e per lui. Mio padre.

Che lo incolpavo d'essersene andato.

Morte d'animo.

E marciavo nella supposizione di coesistere con il peso del nulla. Marciavo, solo.

«Triste, vecchio metalhead?», chiese una voce.

Mi ricomposi, tirando su col naso il residuo di liquido schifoso che mi ci scendeva. Asciugandomi le lacrime, la guardai. Pregno di solitudine.

Non risposi, ma feci per indicare il vuoto. Poi mi stesi.

«Certo tesoro, il silenzio vale più di mille parole.»

Sospirai.

«Ascolta,» iniziò «se cerchi uno psicologo a tempo pieno non ti posso aiutare. Sono una dottoressa.»

Mi girai di scatto, poi le volsi un'occhiataccia. «Non cerco la compassione di nessuno. Non ti ho chiesto nulla, mi sembra.»

Lei annuì. Si sedette accanto a me, prendendo nuovamente una boccata d'ossigeno.

Pareva rilassata, quasi persa nei suoi pensieri. Immaginavo che tutti li avessero.

«Cosa ti desta così tanta tristezza e melanimo interiore?»

«Probabilmente me.», feci io.

Lei mi ricordava Vanessa.

Non sapevo nemmeno il motivo, ma mi ricordava qualcosa di lei.

Che poteva essere l'odore muschiato di pino, o le parole quasi calmanti. Sembravano materne. Esatto, come quelle di Vanessa.

Vanessa, per la cronaca, era la mia vicina. Lei amava stare all'aperto e prendere boccate d'aria occasionali. Sarcasmo da far paura, quella donna.

Mi parlava della vita col marito, un po' di merda, almeno da come s'esprimeva. Sempre il fatto in più e i giusti consigli mi facevano sembrare quasi una persona migliore.

Era un po' la madre che cercavo da diverso tempo, mio padre defunto che forse mi dava una speranza d'appiglio. Specie perché mamma non c'era, e non la biasimavo. Lei era restata destabilizzata dalla sua morte, e passava le giornate al lavoro.

Di tanto in tanto incolpavo mio padre per essere morto, e lei mi rispondeva che il destino funzionasse così.

«Mio padre è morto.»

Sorrise. «Ti capisco. I miei sono entrambi morti, ciclo della vita.»

Sgranai gli occhi. «Come fai?», chiesi. La mia voce era rotta, come un bicchiere in mille pezzi.

«Non li ho mai conosciuti. Com'era tuo padre?»

Già, la domanda del secolo.

Com'era. Spassoso, estremamente estroverso, fumava occasionalmente. Più le Winston Blù, credo. Forse era per quello che piacevano anche a me.

Era piuttosto alto. Uno ottanta, ci facevamo concorrenza. Ora sono alto io.

E quando mi dicevano di essere alto quanto papà, tiravo fuori un nostalgico sorriso. Il petto era pesante, come se un qualcosa ci stesse strisciando sopra.

«Si chiamava Rick,» dissi «Lavorava nella finanza. Il cancro se l'è mangiato.»
«Brutta belva, il cancro.»

«Già. La cosa più bella è che mi ha lasciato un vuoto, ma non sono mai stato in grado di notare i suoi difetti.»

«Eri piccolo, no?»

Mi lanciò un frutto. Poi si poggiò, irrigidita a primo tatto. Volse il suo sguardo a me, riproponendomi con gli occhi la domanda.

Ero piccolo, e la società non la capivo ancora.

Che tipo dovessi fare la fila al supermercato per una tipa che ti passava davanti e faceva che fosse il suo turno, il mio era prima. Forse perché anziana.

O perché in politica ci fossero i pagliacci, si dovessero pagare le tasse ed in tv ci fossero i programmi noiosi come i reality show. Sì, i reality show.

Ero per caso in un cazzo di reality show?

Stanco, addentai la pietanza. «Sì.»

Mi scese una lacrima solitaria dal viso, non ero sicuro di poterla più trattenere. Potevo abbracciare la disperazione.

Piangere, proprio come lo stupido che ero. Piangere, ed avevo anche voglia di gridare.
Piangere ed avevo anche voglia di spezzarmi ancora senza che ci fosse qualcuno, ma che caldo tepore dava. Come la figura di qualcuno: un'amica. Potevo avere un'amica, una figura materna.

Lei mi mise una mano sulla schiena. «Va bene non stare bene.»

Tirai fuori il primo singhiozzo, poi il secondo. Come una diga perdevo lacrime, il vuoto si chiudeva facendo spazio ad un qualcosa di sconosciuto.

E ricordavo i momenti in cui imparai a suonare uno strumento, a correre, a saltare, a vivere.

Almeno qualcuno mi consolava.

Come papà.

Odio, ma anche estrema tristezza. Rimorso verso me stesso, verso gli altri.

Verso di nuovo, papà.

Si chiamava sapore del vuoto, racchiudeva l'immagine uccisa di me stesso.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro