Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Ladro, Arya Mestruata, Presunto Cannibale

ETHAN SMITH'S POV

A volte basta ricordare

che respiriamo.

Stavo bene.
O quanto meno stavo meglio.

Avevo aspettato.
Avevo aspettato che finisse.

La mia mente correva e correva, e sempre negativamente.
Non importava quante rassicurazioni la gente mi rivolgesse, io mi concentravo sempre su quello che avevo sbagliato.
E non bastavano i "non ti preoccupare", i "stai tranquillo", come a voler cancellare quello che avevo mancato.
Per me correva il fallimento nella mia testa.
Correvano i rimproveri verso me stesso, la frustrazione di quello che avrei e non avrei dovuto fare, il desiderio di poter tornare indietro per cambiare le cose.

Notte, giorno, come un'ossessione.
E, quando non ci pensavo, poof.
Tornava e mi colpiva come una mazzata inaspettata.

Prendevo le sue conseguenze, ogni fregatura.
E poi resettavo.

E ricominciavo.

Ma se c'era qualcosa in cui ero bravo era prendere in giro le persone.
Non per nascondere agli altri chi ero, ma per nascondere alla mia stessa persona chi ero sempre stato; un bambino che non meritava di diventare genitore di sè stesso troppo presto.
Perchè, parlandoci chiaro, si può essere anche la persona più potente al mondo.
Ricca, fortunata, che sguazza nella bella vita.

Si ha sempre bisogno di qualcuno, sempre.

Avremmo sempre bisogno di qualcuno a cui aggrapparsi, e quando non c'è, proviamo con noi stessi.
Inutile negare che rimarremo solo noi, noi e noi stessi.
Si deve convivere con noi per l'eternità ed era ora di prendercene cura.

Ma chi non voleva qualcuno a cui aggrapparsi? Chi un po' di egoismo non lo aveva nel voler che qualcuno si prendesse il nostro male?

E chi, quando si trovava quella persona, la dava per scontato?

Allora avevo tratto respiri profondi e mi ero concentrato sui battiti.
Bramavo quell'ossigeno che da solo mi toglievo con la nicotina, mentre faticavo ancora a togliere quelle parole.

"Sei troppo silenzioso."
"Perché non parli di più?"

E allora ero diventato logorroico.

"Dovresti parlare di più di te."
Poi mi aprivo e mi vomitavano addosso la mia 'arcobalenata' di emozioni, quel turbine che non tutti sapevano contenere dentro l'anima e s'illudevano che con qualche sorriso e un paio di proverbi avrebbero fatto la differenza.

"Sei così dolce, ma un uomo-"

"Devi parlare dei tuoi attacchi, non puoi continuare così."
Lo facevo e mi veniva chiesto di nasconderli perché alcuni erano sensibili.
Lo facevo e poi confermavo che l'essere umano avrebbe dovuto estinguersi secoli fa.

Fingevo fosse tutto ok, coprivo i segnali e la gente parlava.
Parlava di come fossi trasandato, noioso.

Conclusione?
Ho mandato tutti a fanculo.

Risultato?
Mi trovavo al punto di partenza, ma con una frase motivazionale dentro al portafoglio.

Ah, già.
Apparteva ai pesci, ormai.
O forse a qualche cadavere nei pressi che non voleva arrivare al verde almeno in Cielo.

Tornava nella mente anche quel locale. Lo ricordavo ancora, quel luogo americano della mia cittadina, ricoperto dal solito e noioso manto di neve di un inverno freddo anticipato.

Io e mio fratello ci venivamo spesso quando i nostri genitori litigavano dalla mattina alla sera, animando il tutto con qualche bottiglia di vino bianco... nemmeno fossero stati italiani.

Stando a stretto contatto con le stesse persone nello stesso identico luogo, ormai diventato angosciante, l'isola mandava segnali indiretti al mio cervello, che riproduceva episodi passati.

La mente umana... davvero patetica.
Misteriosa.
Ottimo posto dove nascondere qualcosa di caro, di vendicativo, di pericoloso.

Avevo manie strane: mi sarebbe piaciuto avere i capelli rossi per risaltare ad occhio nudo tra quei capelli così scontati e uguali alla massa.
Un rosso fuoco, uno di quelli che ti si riconosce da lontano, che non ci si può sbagliare nel riconoscerti.
Altre volte, invece, avrei preferito essere più basso.
Per passare inosservato in discoteca, in qualche sparatoia, e soprattutto per non essere importunato al supermercato per allungare qualche prodotto negli scaffali irraggiungibili.

Donne, mettetevi dei tacchi!
Uomini, fatelo se volete, altrimenti arrangiatevi!

Anziane e anziani... nah, voi siete d'eccezione!

Insomma, quella campanellina che suonava alla nostra entrata mi montava la testa come se stessi sfilando su un tappeto rosso con Hollywood e una limousine alle spalle.

A dire il vero, era comico come avessi fin da piccolo sviluppato quel barlume di riflessione ma allo stesso tempo di impulsività, al punto da desiderare tanto un cambiamento.

E, per cambiamento, non intendevo una famiglia normale.
Quella parola mi suscitava ribrezzo e dava un senso di stupidità.
Cos'era il normale?
Esisteva una famiglia normale, senza difetti?

Stupidi, gli esseri umani...
Basare la propria vita su un matrimonio felice, ma appena ritrovaticisi all'interno, annoiarsi.
Tornare sui propri passi.
Pentirsene.
Voler ricominciare da capo.
Voler andare avanti.

Già.
Che stupidi gli esseri umani...

Un po' come quel bambino che quella mattina rubó per la prima volta.

Non me ne importava un granché di quanto era esposto, ma ricordavo la gioia di mia madre mentre ne parlava a qualche riccona snob che intrecciava boccoli falsi sulle dita come clichè sopravvalutato.

Allora lo avevo fatto, di nascosto da mio fratello.
Da quel ragazzo tanto semplice, onesto, buono, che aveva due assi nella manica: la finzione e il doppio gioco.

Dio, in entrambe le sue maniche ci avevo guardato più volte...
niente di visibile a occhio nudo, niente di corruttibile.
In fin dei conti, cosa ne poteva sapere un bambino?

Lui si serviva di qualche sorriso, un po' di volontariato e bontà verso barboni e bambini piagnucoloni.
Poi, quando nessuno guardava, puntava alle grazie di mamma e papà.
Un diavolo dalle corna angeliche che di soppiatto mi aveva salvato, senza usare parole.
Io, un grazie, avrei voluto sussurrarglielo, e nemmeno gridarglielo.

Però lui era stato talmente gentile nel risparmiare il peso di una famiglia ritenuta a posto perchè non divorziata, non inclusa in assistenti sociali ma camerieri di marca pronti a soddisfare qualche capriccio fino alla pubertà.

Quando la mia roccia morì, spenta da un faro del cazzo non in grado di svolgere il suo lavoro e illuminare la strada ai marinai, cercai la mia stella polare.

Forse per questo, anche da maggiorenne, il cielo è stato il mio rifugio.

Quella mattina, rubai sul serio.
Mio padre, alzando lo sguardo dai suoi affari, al nostro ritorno, non si incomodò di parlare.
Mia madre era troppo impegnata a lamentarsi su quanto non avesse niente da indossare, o per lo meno niente da indossare che andasse bene al marito.

Si leggeva negli occhi del mio fratellone quanto fosse fiero ma distaccato.
Non era arrabbiato, sapeva che in qualche modo doveva farmi capire che avevo sbagliato.

Solo che non era facile distinguere lo Yin e lo Yang quando non si avevano dimostrazioni.
E allora, eccolo lì, l'errore seguito da un'altro errore: mi ero accontentato.

Mi era piaciuto, il proibito.
La freddezza.
Mi ero abituato ad accontentarmi.

«Credo tu abbia qualcosa che mi appartenga», il proprietario del negozio mi tese la mano, muovendola come avesse la sindrome di Parkinson. La sua voce era di un tono che suonava strano alle mie orecchie, dolce.
Era un tipo stravagante, non si prendeva cura di sè, calvo, occhi neri e labbra grandi e screpolate.

Mio fratello aspettava la mia mossa, la mia scelta, anche se sapeva, che non ne avevo una.
E fu allora che scappai, da bravo ladruncolo, vestito da bravo ragazzino.

Sarei diventato come mio fratello, una via di mezzo tra demoni e angeli, evitando di diventare come i miei genitori.
Una menzogna, bella e buona.

Chi decideva chi era il buono e il cattivo?
Perchè i cattivi erano cattivi?

«Uomo pensieroso, non festeggi con noi? Ti ho cercato ovunque, non-», mi scosse Seth, con una sigaretta insabbiata.

Mi avevo chiesto come stessi almeno trenta volte in trenta secondi.
Non c'erano segnali che potessero allarmarlo, eppure continuava reputatamente ad usare i raggi X su di me.

In caso non se lo fosse ricordato, era lui ad avere una gamba più dalla parte dell'Oltre Tomba che nel nostro mondo.

«Insomma, ho chiesto di te», cercò di correggersi dopo.
Non poteva muoversi, lo sapeva, ma ancora non si era abituato.
Ancora non l'aveva accettato.
Come biasimarlo?

Se c'era qualcuno che si doveva lamentare, lì, era lui.
Il giorno prima sei su un aereo per andare agli Harry Potter Studios, e poi ti ritrovi una gamba Avada-Kedavrizzata.*

«È un invito a trabocchetto per farmi involontariamente soffocare senza che tu venga indagato?»

Non mi soffermai sulla sua gamba che lentamente gli stava facendo "ciao ciao", avevamo entrambi bisogno di distrazioni.

Si accigliò, non sapendo che dire.

«Sto scherzando. Che si festeggia?», feci io, anche se avrei voluto che il discorso prendesse una piega diversa.

"Non farti aiutare, Ethan.
La gente aspetta qualcosa in cambio che tu non sai dare. Sei una persona tranquilla all'apparenza perché, più ti avvicini, più vieni respinto. Non ti sei stancato?"

Eccole, di nuovo, le onde dell'oceano.
Lo scenario era magnifico, ma avrei voluto vedere dei delfini, delle orche, degli squali, pure delle balene per fare la fine di Geppetto ed essere rimpianto dall'unico figlio che mai lo aveva ascoltato.

«Guardando un vecchio film anni Novanta, credo.»

«Così, a caso?»

«Da qualche parte del mondo oggi è il compleanno di qualcuno», fece un tiro.

Carino, ottima osservazione Newton.
Peccato che quando sono salito su quel trabiccolo, non avevo pensato a portarmi un televisore di scorta.

Perché, è roba da tutti i giorni, che un fottuto aereo ti crolli addosso!

Avevo capito il suo gioco.
Voleva quanto me che mi aprissi.
Insieme alle onde, però, il buco al petto faceva male.
Faceva male, ma non sanguinavo.
Efficace, se pensavo al fatto che non avrei disturbato animali marini.
Inefficace, se pensavo a quanto avrei voluto quel potere di azzerare la memoria.
Confidarmi, ottenere stupidi consigli e un abbraccio che non mi avrebbe addolcito l'esistenza, per il semplice gusto di schioccare le dita e averlo fatto.

Stupido, quanto ero stupido io nel ripensare ai sacrifici per pagarmi la psicologa.
Poi arrivavo lì con l'ansia a mille come sempre ovunque andassi e non sapevo cosa dire perché c'era troppo.
Rimanevo a guardare gli occhi della giovane donna più esperta certamente di me e speravo che comprendesse i miei occhi perché, io, non sapevo farlo.
Finchè, da idiota, coprivo i momenti imbarazzanti di silenzio e la buttavo sul ridere, come sapevo fare.
Non le davo modo di psicoanalizzarmi;
Bloccato.

Volevo essere aiutato.

Me lo meritavo?
Cosa c'era dentro di me?
Doveva venire a galla come a volte desideravo?
O dovevo farlo salire e poi farlo cadere appena in superficie come Rose fece con Jack?

"Salti tu, salto io", un cazzo.
Le persone pensano ad essere i protagonisti della propria storia.
Se serve per salvarsi il culo, si fa.
Se serve per vivere bene, si fa.
Gli altri sono inutili comparse.
Sono tutti bravi a dire di amare, ma non tutti a metterlo in atto.
Sono tutti tanto carini, e poi fingono di star male se - sacrificandoti - cadi in dell'acqua gelida al loro posto.

E allora quell'amore dov'era?

In quella storia lì, brutto da credere, io non mi distinguevo.
Ero sempre io.
Ethan.
Niente di meno che Ethan.

«Cosa cerchi? L'Isola Che Non C'è?», ridacchiò poi.

«No, anche oggi niente stella a destra. Solo... una stella in particolare che brilla di più e si crede più potente delle altre.»
Mi schiarii la voce. «Allora... tu e Madison eh?»

Mi spintonò amichevolmente, tanto da scorgere la figura della trentenne.
Studiai la sua determinazione nel fasciare qualche ferita, finchè non si sentì osservata e fece centro nella mia direzione.

«Non ti sfugge nulla, uhm?», gridai per essere udito.

S'inchinò teatralmente, provocando il gridolino di dolore del paziente.

«Ahi ahi ahi, ma sei sicura di avere una laurea?», la presi in giro, meritandomi il suo dito medio.

Misi una mano in tasca, cercando una sigaretta.

«Serbatoio a secco», mi fece presente Mr. Leg, «le abbiamo finite.»

«Meglio, almeno la smettete d'inquinare l'ossigeno!», urlò la saputella dagli occhi vispi e le orecchie a sventola solo per ascoltare da lontano.

«Ho una domanda», interruppi il discorso.

«Sulla vostra palese dipendenza?», si accigliò lei.

«No. Ho una domanda su come facciate voi donne con le mestruazioni e senza assorbenti. Non so, usate le foglie?»

«Ma che cazz... sto lavorando», si sistemò più comodamente per favorire la visuale di un taglio che personalmente non aveva catturato la mia attenzione.
Un taglietto insignificante era da mummietta, un bambino si sarebbe lamentato meno di quel Todd.

Mi sfilai la felpa insabbiata e mi alzai.

«Ti ricordo che non le interessa quello che hai tra le gambe», si prese gioco di me il ragazzo dalla gamba trinciata.

«Simpatico, tu sì che sei originale», borbottai e la raggiunsi.

Mi guardò perplessa.

«Avanti, sei più sveglia di così, Doc.»

Lei continuò a guardarmi ancora confusa, finché non abbassò lo sguardo sui suoi pantaloni.
Non ero donna, ma non ci volle un genio per comprendere che il ciclo sapeva tutto. Sapeva quando era il momento e quando no, e si mostrava testa di cazzo come la gente.
Forse, a forza di avere contatti con l'umanità, aveva iniziato a capirci qualcosa e si era adattato.

La chiazza rossa in bella vista le fece sgranare gli occhi e togliermi in malo modo quanto mio, per potersela legare alla vita.

«Sì, sì, non c'è bisogno che mi ringrazi», le feci l'occhiolino.
Tuttavia, uno sguardo di uno appena uscito da un manicomio, mi fece un certo effetto.
Thomas era poco distante, si toccava la barba mentre puntava me.

«Secondo me, ti mangia», Arya mi baciò sulla guancia ed, impedito, m'imbarazzai.

*Avada Kedavra = incantesimo tratto dalla saga "Harry Potter" della famosa autrice inglese J.K. Rowling.
Chiunque venga colpito da questa maledizione senza perdono perde la vita.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro