Ho Pensato Di Aver Visto Il Diavolo
Se la vita
fosse composta
al 100%
d'ironia,
il mondo
sarebbe stato
un posto migliore.
ETHAN SMITH'S POV
«Come ti chiami?», la voce femminile risuonò stridula al mio udito ancora una volta.
Mi stava seguendo da ormai diversi minuti, mentre borbottavo tra me e me cosa avessi fatto di male per meritarmi una di quelle tipe assillanti che ti giravano attorno per convincerti a prendere volantini utili solo in assenza di carta igienica.
Era una ragazza piuttosto carina, sebbene non avessi saputo comprendere attorno a quale età si aggirasse.
«Ethan, Ethan Smith. Cognome scontato, nome altrettanto comune. Ora puoi smetterla di riempirmi la testa di gridolini come fossi un cane in cerca dell'osso?», sbottai.
«No», sorrise, «Non smetterò. Ethan, Ethan Smith.»
Roteai gli occhi.
«Ci sono persone che necessitano aiuto, non hai niente di meglio da fare che starmi dietro?»
Quelle come lei, perfettine e determinate in tutto, mi apparivano come delle ragazzine vissute e piene chissà quanto di sè.
Non era superficialità, era previsione.
In un luogo come quello, dopo che un maledettissimo aereo era precipitato nell'oceano, con un solo medico contro ogni imprevisto e possibilità di tirare avanti, chi non si sarebbe riempito il cervello di false convinzioni?
Chi non si sarebbe definito indispensabile?
Lo era, senza dubbio.
Io non avrei saputo fare niente di quel che faceva.
Tuttavia, stando a quel che i miei occhi avevano visto, ero uno delle ultime priorità di una lista immaginaria.
«D'accordo: stai complessivamente bene, ma non a pieno. Sì, parli e cammini, ma hai comunque qualche ferita sulla faccia e probabile sulla schiena e sulle gambe. Eri in mare aperto, vero? Sei stato trascinato dalla corrente e hai urtato qualcosa che ti ha ferito e lasciato il segno, come me, uhm?»
Non lo sapevo.
Ricordavo l'aereo, lo schianto, l'acqua salata, ma i miei ricordi riprendevano solo e soltanto sulla riva.
I tagli bruciavano, mi ero concentrato su me stesso solo quando me lo aveva fatto notare. «Le regole valgono per chiunque, qua dentro», riprese.
«Qua dentro? Mi prendi in giro? Non sappiamo neanche geograficamente la posizione in cui siamo capitati! Come puoi dettare leggi se sei qui dal nostro stesso tempo?»
«Non sono leggi e non le ho scritte io. È da protocollo. Ora, dimmi quanti anni hai e da dove vieni, così posso togliermi dalle palle. Ops, devo averti tolto le parole di bocca, o sbaglio?», mi rispose prontamente, come avevo ben calcolato.
Udii l'ennesimo grido che, nonostante fossero passate - difficile a dirsi - due orette, avevo imparato a distinguere.
Era il ragazzo a cui avevo augurato di stare in gamba, facendo riferimento a qualcosa che non poteva fare.
«Solo perchè sei un dottore, non ti dà il diritto di comandare a bacchetta. Aiuti, e fai più che bene, su questo non c'è niente che io possa dire e te lo riconosco. Ma continuare a domandarmi fatti miei, ad una certa, piantala.»
Studiai i suoi occhi verdi smeraldo alla luce del sole cuocente.
Il suo abbigliamento casual mi diede modo di immaginarmela piuttosto alla mano, semplice, quanto era semplice il nido di capelli scompigliato e intrecciato che si ritrovava.
«Diciotto. Ho diciotto anni», risposi per farla contenta, visto che ci teneva particolarmente.
«Piccolo e pure stronzo», sussurrò, ma non abbastanza piano da non essere sentita.
«Da dove vieni?», si riprese dopo.
Spostò i suoi capelli dietro la spalla con gesto disinvolto, nel frattempo si appuntava qualcosa, sporgendo appena la lingua e bagnandosi le labbra.
Attesi.
Dopo che il suo sguardo spazientito incrociò il mio, mi decisi a risponderle.
«South Side, Chicago.»
Colei che avevo capito si chiamasse Arya sembrò studiarmi per un breve attimo, prima di annuire.
Terminato il suo interrogatorio se ne andò, permettendomi di respirare in totale tranquillità.
Certo, escludendo le grida di Seth.
Un'altra ragazza mi si avvicinò con disinvoltura, in maniera quasi sciatta.
Aveva un espressione calma, pure quando prese parola dal nulla.
Che l'altro sesso quel giorno mi perseguitasse?
Dovevo ritenermi fortunato oppure sognare di poter preparare le valigie per il Messico?
«Piacere, sono te ma al femminile. Stronza e pungente al punto giusto, ti va di conoscerci? Sì? Okay. Sono Madison»
Aveva gli occhi più scuri dell'oceano, era bassina.
Chi credeva di essere?
«Beh, non si può dire lo stesso esteticamente.»
«Cosa stai insinuando?», intrecciò le dita sulla folta chioma bionda scura, prendendo con l'altra mano qualche granello di sabbia.
«Che ho di meglio da fare.»
«Per esempio guardare il mare come un depresso suicida?»
«Vacci piano con le parole.»
«Mamma mia, e tu saresti lo stronzo che mi hanno descritto?»
«Senti, bella, io dico e faccio quel che mi pare. Sei tu che sei arrivata ora, a disturbare la mia voglia di starmene in disparte. Perciò puoi girare i tacchi e andartene per rendere più producente la tua serata, oppure rimanere qui ad insultarmi inutilmente. Per me, quel che mi stai dicendo, mi entra da una parte ed esce da un'altra. Che c'è, uhm? Non sai dove andare?»
Mi alzai, apparentemente annoiato.
La presi per il polso, ma non si dimenò.
Rimasi quasi sorpreso dal suo non reagire, era legittima la difesa.
«Dove mi stai portando?»
«Zitta e cammina. Mi ringrazierai.»
Poco più distante da noi Seth se ne stava sdraiato, impotente, dolorante, immobile.
Alle volte chiudeva gli occhi.
Forse per stanchezza, forse per il male che provava.
O forse per come me lo ero immaginato io;
Chiudeva per scappare.
Scappava dalla verità, dal fatto che avrebbe potuto perdere la gamba.
Perchè, ad occhi chiusi - per quanto il mondo da piccoli potesse farci paura - con gli anni si riscopre il gusto dell'attesa, della speranza che quel che non vediamo sia meglio di quel che c'è, che possiamo vedere e toccare.
«Seth, ti presento Madison. Madison, Seth. Nuova coppia dell'anno e forse ultima a procreare. Fate tanti figli anche per me.»
Colsi il dito medio di lui tra una smorfia e più e gli sorrisi di rimando.
Nel corso della giornata, quando il cielo aveva iniziato ad oscurarsi, alla signorina so-tutto-io era venuta la brillante idea di dare spettacolo mentre le persone, le poche non morte nello schianto, stavano morendo.
«Se vogliamo sopravvivere dovrete rendervi tutti utili, siamo in pochi, per la maggior parte illesi, perciò ognuno può avere il suo ruolo», avevo avuto modo di capire quel poco che mi interessava.
Avevo tralasciato il suo monologo da film drammatico, ben serrato in un cassetto della mia memoria che non avrei mai più riaperto.
«Avete sentito la crocerossina? Ci comanda a buratt-», mi venne sponteno intromettermi.
Fui interrotto, come avevo immaginato.
Non mi infuriai, ma non riuscivo ad immedesimarmi nei burratini che gli altri erano divenuti.
Di cosa avevano paura?
Di non essere curati perchè non rientrati nelle sue grazie?
Era un medico, era il suo mestiere.
E tutti i presenti erano dei falsi, lecca-culo e codardi manovrati da una che avevano conosciuto nemmeno ventiquattro ore fa.
«Non è il momento», mi ricordò il nostro Mr. Leg, come se non lo avessi saputo anche io.
Ma quando è che sarebbe stato il momento?
Quando sarebbe stato l'attimo fuggente adatto se non sapevamo nemmeno se ci sarebbe stato un domani?
«Tu e Ethan controllerete che Seth e Destiny stiano bene», aveva detto.
«A Seth ci pensiamo dopo, cercate di tenerlo sveglio», riprese.
Evitai di discutere ulteriormente, mi ero già rotto il cazzo.
Dicono che la prima notte in un luogo nuovo sia la peggiore.
Io, che non avevo un posto da considerare casa, lo vedevo come un riscatto per provare a crescere.
Fissavo il cielo - che almeno quello era pieno di stelle luminose - con le braccia sotto la testa.
Mi piaceva inventare nomi stupidi a costellazioni già esistenti, il clima si era abbassato anche se non drasticamente.
Beccai Seth tremare, con la coda nell'occhio notai che Madison non si era lasciata sfuggire l'occasione di coprirlo con il suo, di calore.
"Che fantasia, è palesemente copiato da ogni serie TV o film smielato", mi ritrovai a pensare, perchè fondamentalmente non avevo nulla da fare.
Oh, Dio.
Tipo... assicurarmi che i due fossero - come dire - vivi?...
«Se fosse dipeso solo da te, sarei già metri sotto terra», mi fece trarre un sospiro di sollievo Seth, che aveva notato il mio allarmismo.
«Potete fare silenzio? Sto cercando di non partorire», ci ammonì quella donna dalla pancia enorme.
"Complimenti ai genitori per il nome", mi feci beffa di lei.
Sarebbe stata una lunga nottata, la prima, di non sapevo quante sarebbero seguitate a calare e dovevo pensare a disinfettarmi.
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