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Fallimento

Il fallimento è la cosa che mi spaventa di più.

ARYA MICKLEM'S POV

Tornai "all'accampamento" con Seth dopo aver lasciato un ragazzo cresciuto nel South Side con una pistola in tasca a seppellire dei cadaveri.

In momenti come quelli mi rendevo conto di quanto diamine assomigliassi a mia mamma. 

Non che l’avessi mai vista. Nonna di tanto in tanto mi parlava di quanto fosse dolce e premurosa. Le piaceva aiutare il prossimo, dopo la mia nascita sarebbe stata completamente felice di vedermi crescere.

Le foto nel vecchio albo di famiglia che mi faceva ogni giorno vedere per non sentirmi meno sola, mi portavano ad avere nostalgia di un qualcosa mai vissuto.

Papà, sempre secondo i racconti dei miei nonni, era uno molto orgoglioso. Non gli piaceva ammettere le cose, ma teneva morbosamente a mamma: così tanto da non volerla lasciare andare. 

Avrei voluto soltanto una foto con entrambi – una semplice foto, esatto - da custodire fino all’ultimo secondo. Poter dare finalmente loro addio era una cosa di mio volere più profondo. Avere una costante sensazione di vuoto, di non aver mai avuto qualcuno, mi faceva sentire semplicemente sola.

Priva, spoglia di significato. Rimanevo chiusa a riccio in un qualcosa che non potevo mai sapere.

E mi faceva sentire morta.

Specie quando mi veniva ripetuto che tutto fosse stato un orribile incidente. Nulla di più. Una vista del personale sanitario, una condanna per una vita. 

Era forse quello il motivo per cui la morte di una mamma ed un bambino mi aveva fatta scoppiare? Anche quando non avevo mai, mai pianto davanti ad una persona morta? Anche quando il dolore di una morte mi colpiva ma non ci versavo una lacrima?

Era come un blocco interno, come una paura di mettere a nudo le mie insicurezze. Un turbine di emozioni asfaltate dal destino.

In quel momento non sapevo cosa fare né dire. Un singolo pensiero mi risuonava in testa, martellandomi incessantemente: “scappa, scappa, fai qualcosa per distrarti.”

E non sono proprio consapevole di come quando quel giorno, mi sia balenato in testa di farmi un bagno. Così, completamente a caso. Senza un motivo. Mi andava e basta.

Superai un po’ della vegetazione accanto alla zona della famosa grotta, e poi mi diressi verso la spiaggia. Su uno scoglio vi sedeva Seth, rigidamente impettito e sovrappensiero. Gli diedi una mala occhiata. Non ricevetti risposta, perciò mi gettai di forza in acqua, ch’era fresca al tatto. Gelata, proprio per congelare ogni minima frase negativa che mi infangava la mente.

Seth mi scrutava attentamente da lontano. Forse si chiedeva come facessi ad aver cambiato umore nel giro di pochi minuti. «Carino il tatuaggio.» disse, riferendosi alla rosa sulla mia schiena «Cosa rappresenta?».

«Niente, in realtà, mi piaceva il disegno.» dissi, tagliando corto.

«Okay, accidenti. Non ti si può dire nulla.» rispose.

Bagnai i capelli. La testa si muoveva cercando ancora più acqua, mi faceva sentire bene. Finalmente, dopo tempo, quasi a casa. Liberava sapere che almeno ci fosse un posto dove tenersi freschi, dove sbollire i pensieri con della semplice acqua.

«È bellissimo.» commentai, il ragazzo mi rispose con una risatina.

«Anche lei dottoressa.» mi rispose sarcasticamente.

«Dicevo dell’acqua. Non sono attratta dai ragazzi. Mi spiace, metalhead.» 

Seth scese dallo scoglio, poi gettò una risata tutta ironica, come a dire ‘ Ho già la mia amata!‘

Già, come se non fossi in grado di notare Seth e Madison. Erano proprio due orsetti gommosi, quasi mi si rigirava il cuore! Quei due avrebbero copulato dopo qualche giorno di conoscenza. Che bello, l’amore.

Amore: mi faceva pensare a Chantal, a volte. Lei, per chi non lo sapesse, era la ragazza di cui ero cotta alle superiori. 

L’ammiravo, come persona. Era lì che compresi cosa mi piacesse davvero.

Chantal era semplicemente... Chantal! Ed ogni volta che solo ci uscivo, il cuore mi saliva alla gola. La paura mi attanagliava, come una belva che divorava voracemente una preda. Perché avevo proprio paura di perderla, e costantemente. Avevo bisogno della rassicurazione che lei ci fosse e che potesse comunicarmi non facessi qualcosa di sbagliato. Che non fossi distaccata, come sempre ero.

Lei era una parte che colmava il vuoto di un qualcosa mai avuto. Come il silenzio. 

Ed a me piaceva, tanto.

Quando avevamo bisogno di parlare ed io non volevo, mi fissava con quei dannati occhi da cerbiatta e mi diceva andasse bene così. Restavamo anche intere ore in silenzio a fissare le stelle, come se non ci fosse il bisogno effettivo di parole.

Le dissi ciò che provavo, una di quelle notti. E mi rispose fosse insicura, che non sapesse cosa fare. Ma si decise.

Dopo una settimana mi baciò, così, dal nulla. Il sorriso che mi faceva cadere in trance, che mi rendeva succube dell’appiccicosa reazione chimica che non voleva per nessun motivo staccare il mio corpo, la calda sensazione delle sue braccia avvinghiate alla mia schiena; mi faceva semplicemente sentire libera di amare e colmare un vuoto.

Da allora non ci separammo più, ed iniziammo a vivere una vita insieme.

Una vita normale, ovviamente. Evitando ogni testa di cazzo omofoba che ci capitasse davanti.

Prima di partire in viaggio con Thomas ricordavo ancora l’abbraccio che mi diede, il flebile torna presto uscito dalle sue labbra. E sapevo soltanto di averla stretta forte, annuito, ed essermene andata. 

La derealizzazione in quel momento mi colpì come un macigno; perché compresi di aver lasciato i miei nonni e soprattutto lei, con un punto interrogativo sulla mia salute. Così come il resto degli affetti su quell’isola orrenda.

Ed avremmo dovuto andarcene. Subito.

«Sovrappensiero?», chiese Seth. Mi squadrava dalla testa ai piedi, poggiato sulla parete rigida dello scoglio.

«Probabile.»

«Ne vuoi parlare?»

«Semplicemente mi manca la mia ragazza.»

«Wow Doc! Hai una ragazza?»

«Sì. Ricordi quando eravamo a cercare un posto dove seppellire Destiny? Ecco, lei.»

«Uh, la ragazza delle superiori. Fantastico.»

Presi un sospiro, poi volsi il capo verso il cielo. «Sai, non ti posso capire a pieno.» 

«Che intendi?»

«Ho perso i miei genitori da appena nata. Non ricordo nulla di loro.», dissi «Ho sempre avuto una sensazione di vuoto, dopo la loro perdita. Ma i miei nonni e la mia ragazza l’hanno colmata. Ho fatto progressi importanti in medicina, ed ora sono una dottoressa - perché semplicemente – non voglio che la disgrazia capitata a loro capiti anche a qualcun’altro. Anche se sono consapevole, purtroppo, che già succeda.»

Sollevò un sopracciglio. «Disgrazia? Che intendi, Arya?»

«Mamma è morta dopo il parto. Papà non ha retto e si è suicidato.»

Seth non disse nulla, annuì soltanto, Erano due storie diverse, ma lui non era avanti, rispetto a me. Quel vuoto era colmo, forse. E ripensarci recava una nostalgia di ricordi mai vissuti, in primo luogo.

«Non ti capisco a pieno,» feci di nuovo «ma ti capisco. E ciò è una pesante controversia.»

Hawley gettò una risata, poi volse lo sguardo alla grotta. Si mise una mano in tasca e sbuffò, pensando di trovarci un pacchetto di sigarette. Lo sguardo triste e accigliato mi fece capire quanto il tempo lo avesse portato ad esserne dipendente.

«Credo dovremmo incamminarci.»

Non dissi nulla, e ricomponendomi, lo seguii in un teatrale silenzio fino al rifugio ove Khai, Kalim e Thomas erano intenti nel passare il loro tempo in qualcosa. 

Khai era intento a scrivere qualcosa su un quaderno stropicciato, probabilmente erano cose trovate nella carcassa del boeing distrutto. Kalim d’altro canto si dondolava avanti ed indietro, Thomas invece cercava di rassicurarlo e dirgli che tutto andasse bene. Sapevamo tutti che non lo era.

D’un tratto, il ragazzo asiatico si alzò vedendo me e Seth rientrare dopo circa trenta minuti. Sempre con il suo fare timido, a tratti impacciato, si avvicinò a noi due prendendoci in disparte.

«Destiny è morta, vero?», chiese. La voce appena udibile in un sussurro ovattato.

Io e Seth tremammo.

E dopo esserci guardati intensamente negli occhi il mio amico fece un passo avanti ed annuì «Sì è morta, ma non è colpa di Arya. Ha avuto delle complicazioni», disse l’ultimo.

«Kalim…», mi avvicinai, ma mi bloccò, senza nemmeno darmi la possibilità di spiegare.

«Avresti dovuto aspettare di essere in un ospedale prima di far nascere il bambino», mi interruppe Angelika, mettendosi tra me e Kalim, con fare prepotente.

«Sai cara mia, non sono i dottori a decidere quando nasce un bambino, dato che accade naturalmente», risposi guardandola con aria di sfida «E inoltre, non ho mai lavorato nell’ambito ginecologico», aggiunsi.

«Dovresti sapere che qua contano tutti su di te», mi rispose di getto, l’aria si fece sempre più tesa e la collera iniziava a darmi problemi di autocontrollo. «Ma non siamo le tue marionette».

Kalim si alzò in piedi di corsa, Angelika mi bloccò le mani da dietro legandomi con una corda ad una palizzata di roccia.
Eva con l’aiuto di Kalim prese Seth allo stesso modo.
Mi dimenai, ma una volta realizzato che fosse inutile mi limitai ad osservare il mio amico di fronte a me intento a liberarsi anche lui, invano.

«Ora dateci il cibo», disse Kalim avvicinandosi ad Hawley «Cara Arya, io non le ho detto che nell’esercito avevo anche il ruolo di torturatore, perciò vi conviene dirci dov’è il cibo, e lasciarci andare per conto nostro.»

«Kalim, sei sotto shock, cerca di calmarti…», risposi mantenendo la calma.

«Dicci dov’è il cibo, o Seth perde la gamba» si avvicinò a quest’ultimo con una lama di ferro avvicinandola all’arto leso, il mio amico mi guardò terrorizzato.

«No», risposi ancora decisa «Non vi diremo dov’è il cibo, perchè voi rimanete con noi, e di questo passo finiremo a farci la guerra».

«Mi dispiace doc, ma è troppo tardi per fare i buonisti», scandì le ultime parole, impegnato ad infilare la lama nella gamba già ferita di Seth, che buttò gli occhi inidietro e deglutì rumorosamente.

«Kalim...non puoi», dissi iniziando a piangere.

E chi l’avrebbe mai detto che la persona che aveva tentato di aiutarci a lasciare l’isola ci avrebbe torturato perchè convinto che io abbia ucciso sua moglie, che - tra l’altro- sarebbe morta dissanguata ugualmente.
Non c’era cosa che potesse convincermi a dare del cibo alla persona che mi accusò di aver fatto una cosa orribile.
Chiusi gli occhi e sperai.

Eravamo sull’isola da poco più di una settimana, e inevitabilmente si crearono rapporti più o meno stretti. Io e Thom ci distaccammo un po’, Ethan che sarebbe stato utile in quel momento più che mai, era veramente tanto, una di quelle persone che seppur stronze puoi chiamare nel bel mezzo della notte anche solo per dirgli quando diamine siano belle le stelle.
Madison, cazzuta ed estremamente pignola, Khai e i suoi funerali per gli animali, e poi Seth, siamo stati costretti dal destino a conoscerci, e non era affatto male.

Non so perchè pensai a ciò, probabilmente mi stupì il fatto di quanto l’amore in tutte le sue forme, è una cosa indipendente, e soprattutto incondizionale.

Ed è proprio per questo che Kalim ebbe questa reazione, perchè amava Destiny più della sua vita.
Non lo biasimai, ma stava esagerando.

Riaprii gli occhi, quando Seth era ormai svenuto.

«Osama Bin Laden è incazzato eh?»,
All’udire di quell’inconfondibile voce non potei fare a meno di sorridere, Ethan.

Riaprii gli occhi e rimasi pietrificata.
Ethan puntava una pistola - la stessa utilizzata per uccidere l’animale - alla testa di Kalim, spacciato solo come lui sapeva fare.

Kalim iniziò a trovare scuse, non arrendendosi.

«Ti conviene chiudere la bocca, o ci entreranno le mosche», disse Ethan tirandogli un calcio sulla schiena «Khai, libera Arya» aggiunse «E con te, Kalim, ci parlo dopo>>.

«Sei un eroe», dissi ironicamente, per poi correre da Seth.

lo scossi, per risvegliarlo «Arya…», deglutì «Amputami la gamba, per favore», mi implorò, ma sapeva che non lo avrei mai fatto, non in quelle condizioni.
La ferita si era riaperta,e la lama aveva perforato il muscolo.

Ethan si avvicinò a me «Khai era d’accordo», mi disse solo.

«In che senso?», chiesi confusa.

«Sapeva che sarebbe successo, me l’ha detto sta mattina, perciò sono intervenuto», mi disse facendo uscire gli altri dalla grotta.

«Dove sei stato fin’ora?»

«In spiaggia con Madison, aveva bisogno di sfogarsi e l’ho portata a pescare, ma i pesci erano tutti morti.»

L'affermazione mi convinse ancora di più del fatto che in quell’isola ci fosse qualcosa di strano, ma continuavo a non farci caso.

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