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Addio E Benvenuto

and the singers in the subway

and everyone supporting them

hearing kids laugh and people talking
all through the night


Farsi forza è la ricompensa di chi vuole andare

avanti, nutrirsi di sorrisi e lacrime.

È la voglia di vivere, nonostante tutto.

ETHAN SMITH'S POV

Clima torrido.
Clima desertico.
Clima dalle mille interpretazioni che conduceva le persone a lamentarsi: Fanculandia Island non dava tregua ai suoi nuovi abitanti.

Chicago, Illinois.
Era sempre lì, ovunque andassi.
Non importava quante volte le avessi voltato le spalle, lei tornava comunque.

Con le caviglie immerse nell'acqua diversamente cristallina dell'isola fantasma, ripensavo al fiume Michigan che più volte era stato testimone della mia infanzia.
Papà diceva che era per sfigati, mia madre era talmente impassibile e indifferente al mio presente e futuro che finiva per assecondare suo marito.
Mi tenevano imprigionato, incapace, sdraiato sul letto o con le spalle al muro.

Non mi tenevano segretato per i colpi di pistola.
A loro non importava.
Non ero mai stato un bambino perché da subito avevo avuto un'arma calibrata sul palmo della mano destra sotto i loro occhi.

Volevano controllarmi a loro piacimento.
Non coinvolti sentimentalmente per non farmi affezionare, appuntavano ogni mio comportamento per correggermi.
Ed io subívo, da bravo cagnolino che non comprendeva il loro fine.
Da bravo cagnolino che si era lasciato guidare dalle guide errate.

In fondo, al di sotto dei dieci anni, cosa si sa?
Non che dopo si sia esperti, in realtà...

Ma effettivamente mi piaceva pensare che a loro importasse almeno un minimo di me da voler prevedere una catastrofe, una sciagura, la solita sparatoria di cui la mia città silenziosa era coinvolta.
E quest'ultima guardava, lei guardava lo spargimento di sangue.
A volte mi dimenticavo che si trattava di una città perché la vedevo come una persona.
Una di quelle dalla doppia faccia, falsa, ma strabiliante.
Bella, infuriata, vendicativa.
Eppure, in cuor mio, sapevo che ero io con la mia fervida immaginazione a cercare un senso.

Allora fuggivo.
Uno zainetto in spalla, l'adrenalina che saliva.
Ero stufo di essere considerato un bambino quando, agli occhi dei miei creatori, lo ero solo quando faceva comodo.

Ed eccole, le voci impressionanti dei cantanti di strada che davano sfogo alle proprie corde vocali.
Ne rieccheggiava l'eco nei sottopassaggi, oltre che nelle mie orecchie.

Sgranavo gli occhi luccicanti, meravigliati, catturati dallo spettacolo che con poco si era creato.
Chicago era tutto e niente.
Una delle metropolitane più grandi e famose d'America, quella che faceva sognare bambini e grandi distanti miglia e miglia al solo pensiero.

Gli applausi, così a tempo, così coinvolti, che volevano complimentarsi con gli artisti.
Io, in silenzio dietro a qualche telefono intento a riprendere e a pubblicare sui social media, sorridevo.
L'emozione in gola che speravo non sarebbe rimasta incastrata a lungo nei posti più improponibili mi giocava brutti scherzi e rimanevo impallato a godere di quella spensieratezza.

Poi tornava la quiete; non una di quelle pesanti, quella che accorcia il respiro, quella angosciosa.
Bensì, una di quelle che meritava di stare là.

I bambini riprendevano a rincorrersi, tra le voci esasperate di madri e padri che volevano tornare a casa.
Ridevano ridevano, talmente tanto di gusto da scaldarmi l'anima.
Il mio petto bruciava di un bruciore ignoto, perché credevo di aver visto tanto quando non avevo visto niente.

La folla di tutte le età parlava animatamente, di tanto in tanto guardandosi attorno per non lasciarsi trasportare troppo dal discorso e mantenere un aggancio con la vita vera, senza alcun accenno a voler smettere presto.

La notte eterna della mia città sempre accesa, mi cullava e mi destava dal mio sonno continuamente.
Una notte che arrancava spesso, ma non moriva mai.

Il freddo tagliente a cui non rivolgevo mai imprecazioni, poiché non osavo vedermi agonizzante sotto il fuoco dell'Arizona.
Il vento che stropicciava il mio vestiario e mai scuoteva il panorama, e ancora, le voci, le risate, le corse di pargoli che si divertivano.

Dove ero capitato, a seguito del disastro aereo, era tutt'altro che quella parte situata nella contea Cook.

Sudavo in maniera stancante, non facevo altro che lavare l'unica maglia e pantaloni che possedevo in mare.
Tutto il resto era stato scaraventato via chissà dove.

Rimpiangevo la mia aria condizionata, avrei pagato per poter selezionare quei dieci gradi e lasciarli espandere in ogni angolo della mia stanza.

La mia Chicago, che ancora non capivo se fosse davvero mia.
Quella Chicago, da cui mi ero allontanato volontariamente camuffato da fuggitivo qual'ero.

Il tutto per Londra, con il suo Central Park, gli scoiattoli, il London Eye, più inglesi indaffarati con giacche e valigie la mattina ed i temporali.

Chissà davvero come sarebbe stato, atterrare nella città di Peter Pan.
Arrivarci davvero.
Poggiare i piedi per terra e inalare ed esplorare un aria diversa.
E ricominciare.
Ricominciare senza essere conosciuto ed essere uno dei tanti ragazzini.

Gli skate rumorosi per le vie, anziani che si spostavano con difficoltà per lasciare loro via libera, e ancora, le risate di bambini che si godevano quel momento di meritata spensieratezza.

La vita non era solo dolore.
Era quello stesso sangue, quelle stesse morti e odore cattivo di ceneri umane che mi ricordava quanto si deve apprezzare l'essere ancora qui.

Gli esseri umani...altra critica.
Siamo tutti bravi a confortare le persone, finché il brutto non capita a noi.
Siamo tutti bravi, ci sentiamo bravi, nell'essere disponibili verso l'altro, ma tutto quello che diciamo è: "mi dispiace, vedrai che ne uscirai."
Siamo talmente tanto catturati dai colpi assestati che ci dà la vita, da non ricordarci che stiamo vivendo.
Da ricordarci che, se fosse tutto rosa e fiori, non ci andrebbe bene.
Ci annoierebbe.
Perché siamo così, ingrati e insoddisfatti, piagnucoloni, vittime, superficiali ed egoisti.

Tutti, nessuno escluso.
Nemmeno io.

Non era una novità, ero sempre stato incoerente e patetico.
Auto-critico, triste, pessimista per le stronzate e ottimista per i veri problemi.

Ripudiando le mie origini da film Western moderno senza deserto, quel tempo su quell'isola mi stava aiutando a capire.
Senza tecnologia, lontano dal mio ambiente natale, capii che mi aveva fortificato.

Spostai la visuale su degli insetti che si riunivano nello stesso punto per mangiare: attorno ai cadaveri.

Rivoltante.
Rivoltante persino per me.

Ma ero lì, testimone di quanto un errore umano potesse essere il segno della fine delle sicurezze dell'uomo.
Testimone di quanto quello potesse essere il segnale della fine di tante persone che non avevano avuto l'occasione di capire cosa stesse succedendo, di poter salutare le persone che più li avevano accompagnati e amati negli anni.

Testimone di come un piccolo errore avesse portato alla morte di innocenti.

Mentre Arya camminava sporca di sangue per aver curato qualche ferita seguita da Thomas, mentre Seth con la mia creazione di sedia a rotelle stile arte-povera perlustrava la zona in cerca di provviste diverse da solita carne animale, mentre Madison parlava con degli anziani, io avevo seppellito altri deceduti.

Di nascosto, volevo essere solo.
Non per prenderla sul personale, non perché pareva potessi farlo solo io, ma perchè - se c'era una cosa che avevo accurato - era che quel luogo paradisiaco aveva lasciato segni persistenti nella nostra mente.
Arya aveva già molto da fare, e sicuramente il caso di Destiny e il figlio non aveva aiutato la sua stima.

Sentivo che quella gente aveva bisogno di una sepoltura degna, che qualcuno a casa li sapeva dispersi e felici, quando nessuno poteva dire come potessero stare davvero.

Dovevano essere pianti, compatiti, e invece gli restavo solo io.

Avevo rovistato tra i resti dell'aereo, entrambe le parti, e avevo trovato qualche effetto personale appartenuto a loro.
Non potevo fare molto, se non scavare ancora.

Scavare, scavare, scavare, in silenzio, per rispetto.
Poi, una mano si posò sulla mia spalla e mi voltai di scatto.

«Credevi seriamente che non saremmo stati qui?», era Thomas che, con un piccolo sorriso mi guardava.

Oltre la sua schiena, notai gli altri.
C'erano tutti: Arya, Seth, Madison, la tedesca, Jhonny, Madison e persone con cui non avevo mai parlato.

Mancava solo Kalim.
Non si era più visto, dall'ultima scenata.
Non lo odiavo, aveva bisogno di rimanere nel suo dolore per riprendersi ed ero comprensivo.
Aveva bisogno di stare solo.
Da quando sua moglie e il piccolo se n'erano andati, non passava secondo lontano da loro.
Mangiava per conto suo, non parlava con nessuno, dormiva vicino a loro.

Con la testa china e mani in segno di preghiera, annuirono verso di me.
Deglutii appena, facendo segno a Madison di iniziare.

Lei mi guardò incredula.

Nel mio ultimo crollo, lei era stata vicino a me per solidarietà.
Mi aveva detto che tutti hanno bisogno di una bella canzone quando si è tristi e aveva scosso le sue bellissime corde vocali, per me.

Nessuno mi aveva mai dedicato niente.

Quel suo talento non doveva rimanere mio, meritava di stare più in alto.
Così, si schiarì la voce e una goccia di pioggia le bagnò la punta del naso.

Nessuna parola avrebbe potuto contenere il rimorso di essere lì, a differenza loro.
C'erano voluti giorni, avevamo aspettato troppo per questo.
Si sà, però, che i funerali servono di più a i vivi.

«You taught me the courage of stars
before you left
How light carries on endlessly, even after death...»

Appoggiai l'orsacchiotto accanto alla bambina che sedeva di fianco a me.
L'avevo sistemata accanto al padre in un'unica e grande buca, e poi ricoperti.
Si chiamava Sarah e aveva cinque anni.
Ora lo sapevo.

«With shortness of breath
You explained the infinite
And how rare and beautiful it is to even exist», guardò il cielo che tuonò per la prima volta da quando eravamo lì, o forse per cercarli in qualcosa.

«I couldn't help but ask for you to say it all again
I tried to write it down,
but I could never find a pen
I'd give anything to hear you say it one more time
That the universe was made just to be seen by my eyes», la pioggia colpì tutti, uno ad uno.

Todd, che faceva l'idraulico, aveva eccesso la sua torcia per fare luce verso quella che presentava un punto e virgola verso un nuovo inizio.

«I couldn't help but ask for you to say it all again
I tried to write it down,
but I could never find a pen
I'd give anything to hear you say it one more time
That the universe was made just to be seen by my eyes», proseguiva Madison, con una dolcezza tale da far venire la pelle d'oca.
Tutti ascoltavano le sue parole, la sua voce, pure Seth che apprezzava tutt'altro genere.

Non avevamo avuto tempo per conoscerli.
Si è talmente tanti nell'universo che non ci si può di certo aspettare di conoscere chiunque.
A mala pena ci si sopporta tra amici, figuriamoci un intero mondo.

Eppure, per quanto diversi e sconosciuti potevamo essere, in quel preciso istante eravamo tutti accumunati da qualcosa.
Il clima torrido ci aveva lasciato, intravidi una scintilla di Chicago.

«With shortness of breath
I'll try to explain the infinite
How rare and beautiful it is to even exist
With shortness of breath
I'll try to explain the infinite
And how rare and beautiful it truly is that we exist...»

Concluse in silenzio la cantante, tale e quale a come aveva iniziato.
Nessun applauso, solo persone che si avvicinavano a chi avevano perso.
Pianti liberatori che avevano atteso molto prima di poter essersi rilasciati, sorrisi sbiaditi, il mio accendino che cercavo di accendere nonostante piovesse.

Bagnati fradici, non ci importò.
Avevo raccolto i documenti di ogni persona purtroppo morta, ci avevo messo giorno e notte ad intermittenza per non esser visto da qualcuno, e quello fu il momento adatto di tirarli fuori.
Li avevo sparsi a terra, aspettando il legittimo futuro proprietario.

Una signora sulla settantina si avvicinò ai miei piedi e cercò una foto tra tutte.
Si inginocchiò a raccoglierla e la portò al cuore.
Aveva perso suo marito, dopo cinquant'anni di matrimonio e una vita a sopportarsi.

Le avevo dato la possibilità, ritrovandola, di tenerla per sè.
Invece, la baciò, seppur sporca e ingiallita, e la pose sopra il mucchio di fango, ricoprendola di altra terra senza che chiedesse niente.

Come lei, altri si fecero avanti e terminarono il mio lavoro.

Notai che erano rimasti altri cinque documenti, pensai che erano persone che - come me - viaggiavano senza qualcuno.
Nessun conoscente poteva dirgli addio, allora lo feci io.
Sussurrai flebilmente il loro nome e cognome, dopo di che mi sporcai ancora le mani di terra.

Seth piangeva a singhiozzi, quel trambusto doveva avergli ricordato il padre.
Arya aveva trovato la forza di sorridermi, Thomas era taciturno e le stringeva la mano, Jhonny teneva ancora il capo chino.

Non avevo perso nessuno tra loro, ma faceva male.
Faceva un male cane.
Non significava forse essere vivi?

Era giunto il momento di lasciarli andare.
Non di dimenticarli, ma di ricominciare.

Era arrivato il momento di vivere, vivere anche per loro.
E onestamente, ci volevano delle palle enormi per poterlo fare.

Era arrivare il momento di dire: "Scusate per averci messo tanto ad accettarlo. Non vi dimenticheremo mai, continueremo anche per voi e ce la faremo."

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