Terra Bruciata - parte I
Città di Balthonr, anno 1645.
Ai piedi dei monti Blaston, una delle zone più eremite della terra conosciuta, cresceva una fiorente, piccola città: Balthonr. La popolazione era composta dai cosiddetti uomini-lupo: creature mutaforma e caratterialmente instabili. Avendo imparato dalla disfatta degli elfi, loro alleati, si erano ritirati per vivere in tranquillità. Non volevano creare intralcio al dominio umano che stava ormai portando devastazione in ogni dove.
In poco meno di tre secoli erano scappati dall'estesa foresta di Devor ed erano riusciti a costruirsi una nuova dimora. Balthonr era principalmente formata da edifici in legno e pietra dai tetti a spiovente. Le grotte del luogo erano state scelte per ospitare l'antico culto degli Dei mentre il commercio teneva attiva la popolazione e la sfamava. Esseri fidati tra cui elfi e gnomi, barattavano i loro prodotti per ghiaccio o pesanti masse di roccia estratte dalle miniere. Balthonr si era infatti rivelata essere una fonte ricca di materie prime, le più resistenti del continente e le più bizzarre.
Alle volte, incastonate in quegli ammassi di pietra, vi si trovavano minerali inusuali e preziosi. Gli antichi li avevano rinomonati gemme del destino. Queste venivano usate nei riti. Nessuno era mai stato capace di scoprire la provenienza. Finché gli uomini-lupo non decisero di scavare in quelle zone, nel continente le gemme del destino era poche e rare.
L'idea degli uomini-lupo era quella di allargare i confini, introdursi all'interno della montagna e costruire dei rifugi. Tuttavia trovarono qualcosa di inaspettato: un tesoro inestimabile.
Le gemme del destino, nelle giuste mani, erano in grado di dare uno sguardo al futuro; univano i predestinati e generavano campi protettivi. Venivano usate dagli anziani di ogni specie come una sorta di legame profondo con la natura.
Ad ogni solstizio d'inverno le piazze e le strade di Balthonr divenivano ingestibili. Colme di profumi, folle insaziabili e rumori frastornanti. La piccola città si trasformava nel più grande centro di commercio per creature di tutti i generi. Tutti erano i benvenuti; tutti eccetto gli umani. Gli anziani erano troppo saggi per rischiare, conoscevano il pericolo e si raccomandavano in continuazione di mantenere segreto quel posto.
Cosa che si era rivelata non tanto difficile: per proteggere le gemme ogni specie aveva fatto voto di silenzio.
Queste venivano distribuite con parsimonia approfittando della confusione. Era sufficiente quel breve periodo, una settimana all'anno, affinché le cisterne sotterranee si riempissero di frutta secca, grano macinato, vino, lievito e lana con cui le donne intrecciavano i loro abiti e quelli da vendere l'anno successivo. Quel poco pareva essere abbastanza; tanto da lasciare gli uomini-lupo abbastanza nell'ombra.
Era risaputo che loro cacciavano la selvaggina una volta al mese, nelle notti di luna piena. Era un loro richiamo naturale, un qualcosa che li faceva sentire ancora parte della natura.
Una magia. Correvano nei boschi sottostanti, ringhiavano sommessamente e i cuccioli giocavano liberi. Quello era il loro unico legame con il passato. Lottavano affinché non perdessero quella loro, ultima tradizione eppure, ogni nuova generazione era sempre meno connessa con il proprio essere; meno interessata alla magia e agli Dei.
Era il terzo giorno della celebrazione del solstizio. Il sole brillava debole oltre le nubi, le vette dei monti erano coperte e nell'aria danzavano lentamente piccoli fiocchi di neve.
Il brusio dei visitatori si mescolava con le urla dei mercanti. Lingue e versi incomprensibili si alternavano ad abiti altrettanto differenti tra di loro, culture e volti dalle dimensioni più disparate. A quel tumulto si aggiunse un roco strillo, proveniente dalle bancarelle addette a lana e indumenti tipici.
«Viktor!» un uomo alto e robusto si fece largo scansando alcuni dei suoi clienti. La pelle scura era in netto contrasto con l'azzurro chiaro dei suoi occhi. «Dì a tua sorella che abbiamo bisogno di altra lana! Anche i manicotti e le sciarpe stanno per finire.»
«Ricevuto!»
Improvvisamente dalla calca di fronte a lui si alzò un ragazzo di diciassette anni. Aveva gli stessi suoi tratti: la mascella spigolosa, le labbra piene e gli occhi chiari. Il padre non lo guardò un secondo di più, troppo indaffarato con un paio di gnomi e folletti. Sghignazzò solamente quando il proprietario del banco accanto si lamentò per il comportamento del figlio.
Viktor era infatti saltato sul bancone, si era messo in piedi ed era scivolato con maestria su quello che rimaneva delle piccole statue in pietra del vicino, raffiguranti dei lupi e delle donne. Alcune rotolarono, altre caddero e persero orecchie e code.
«Accidenti, Moonsk!»
«Scusi signor Derny.»
Viktor sorride complice e si dette un ultimo slancio allungando un braccio in alto. Afferrò la canala di scolo di un edificio e con una capriola si portò sul tetto. I suoi occhi furbi solcarono le precedenti impronte lasciate sulla neve. Dopodiché si mise a correre e saltare da un tetto all'altro.
Era agile e pareva a suo agio; libero tra il vento e il vuoto attorno a sè. Assaporava il freddo nel mentre che sui suoi capelli scuri cadevano sottili fiocchi. Volava tra una casa e l'altra con il sorriso stampato sulle labbra. Davanti a lui si stagliava il paesaggio della valle, alle sue spalle, invece, svettavano le montagne grigie e alte. Dopo il sesto salto scivolò improvvisamente. Allora spalancò lo sguardo, i suoi piedi abbandonarono il bordo dell'ennesimo tetto e lui cadde al margine della strada maestra, piena di traffico.
«Accidenti...»
Un carro gli passò accanto, gli zoccoli dei cavalli batterono a pochi centimetri dal suo naso e le ruote sobbalzarono all'interno di una pozzanghera. Si ritrovò con la giacca sporca nel mentre che i passanti lo osservavano con un cipiglio in volto. Lui però si rialzò immediatamente portandosi una mano tra i riccioli e scusandosi imbarazzato. Giunse a casa solo dopo aver creato altro scompiglio ed essersi fatto largo in modo un po' brusco tra creature di ogni genere.
«Lora,» fece il suo ingresso spalancando la porta e facendola sbattere. «papà ha di nuovo venduto tutta la lana e i tuoi manicotti! Gli serve più materiale, hai finito?»
Sua sorella balzò in piedi spaventata e lo ammonì di fare silenzio. Si lasciò dietro di sé la sedia imbottita e mise le mani sui fianchi in segno di rimprovero. Lei era di tre anni più grande; indossava un lungo abito in dogaressa color zaffiro che le aderiva al petto per poi scendere ampiamente fino ai piedi coperti da delle strane scarpe. Viktor storse il naso osservando l'ultimo acquisto della sorella. Lei si portò un dito alla bocca e continuò a invitarlo a tacere.
Si spostò poi per prendere una cesta e solamente allora Viktor vide la culla in cui dormiva sua nipote. Lui si morse il labbro e sussurrò delle scuse.
Il primo piano dell'abitazione era composto da una sala e da una piccola zona per cucinare. Le finestre erano anch'esse piccole e coperte da vecchie tende mentre il legno delle travi e del pavimento, assieme al fuoco nel camino, donava calore alle stanze.
Alle pareti erano appese delle pellicce, pochi ritratti e un maestoso orologio intarsiato, unico oggetto di rilievo: un cimelio di famiglia.
Viktor si era soffermato proprio su quello, posto alla sua sinistra, e sul lento movimento delle lancette nel mentre che Lora finiva di piegare alcuni indumenti. Di fronte a lui invece c'erano le scale che conducevano alle camere. Immaginò che sua madre fosse là a rifare i letti o a spolverare i pochi mobili.
«Anche quest'anno abbiamo esaurito la lana da vendere. Qua ci sono le ultime sciarpe.» barcollando sui tacchi, sua sorella gli porse il cestello che avevano intrecciato insieme da bambini. Successivamente gli ripulì la giacca dalla neve e guardò di sbieco le macchie di fango. Sospirando decise di rimandare il rimprovero per la poca attenzione e proseguire con il suo discorso. «Papà dovrebbe imparare a farsi pagare di più. Non ha concorrenza...»
«Sai com'è fatto.» Viktor fece spallucce. «Vede la competizione ovunque. Deve sempre vincere contro Rochern e le sue statuette.»
Risero entrambi per il tono e l'espressione fatta dal ragazzo: una riproduzione fedele dell'atteggiamento del vecchio Derny. Infine il rintocco dell'orologio a pendolo li ammutolì.
Lora si rabbuiò, tornando da sua figlia e muovendo un poco la culla. Le rimboccò la coperta e giocò con le piccole dita della neonata. Viktor invece perse tempo. Lasciò cadere la cesta ai suoi piedi ed evitò che nella casa circolasse altro freddo. Con una mano sul ruvido legno della porta ormai chiusa, sospirò per poi parlare.
«Timothy non è tornato?»
Sua sorella sospirò a sua volta, rattristata. Il tono duro che aveva riconosciuto non le piaceva affatto.
«Oggi gli hanno aumentato le ore di lavoro nelle cave.» si mise a sedere e portò le mani in grembo. «Sembra che ci sia sempre più richiesta...»
Viktor deglutì e assottigliò le labbra. Appoggiò la schiena alla porta, poi strinse la giacca al petto incrociando le braccia. La sua spensieratezza era scemata rapidamente e non sapeva se per la poca fiducia nutrita nei confronti del cognato o degli anziani. Sentì i passi pesanti di sua madre scendere le scale, ma ciò non frenò la sua lingua.
«Dovrebbero smetterla di organizzare queste giornate. Chi ci garantisce che degli umani non si infiltrino fra i commercianti?»
Lora negò con il capo arruffando i riccioli che aveva inutilmente cercato di fermare con dei fermagli.
I lineamenti del suo viso potevano sembrare identici a quelli del fratello, forse più morbidi.
«Hai ragione, ma sono i saggi a decidere. Inoltre,» s'impettì non appena la madre, una donna alta e dallo sguardo severo, apparve dalle scale con aria risoluta. «non ci metterebbero mai in pericolo.»
Detto ciò il suono dei passi si placò improvvisamente e i battiti del cuore presero il sopravvento. I due ragazzi alzarono lo sguardo per incrociare quello della madre, ritta con una mano poggiata al corrimano levigato. Portava i capelli legati in testa da lacci variopinti, un trucco per distogliere l'attenzione dalle radici di color dell'argento. L'abito era simile a quello della figlia, ma verde, in tinta con il colore dei suoi occhi sottili e la pelle olivastra.
Batteva l'indice della mano sinistra impaziente di prendere parola. Intanto la luce di una lanterna brillava alle sue spalle. Era sempre stata un po' distaccata, ma quando sentiva qualcuno mettere in dubbio l'operato degli anziani poteva diventare terrificante.
«Viktor, dovresti sapere che gli umani si sono costruiti la loro fortezza molti anni fa. Non ci sono guerre significative dalla ribellione degli elfi.» enunciò severa. «Solo qualche scontro nei villaggi che confinano con quelli delle altre specie, ma niente di pericoloso.»
Nella strada di fronte all'abitazione qualcuno brontolò, un carro passò con tutto il suo rumoroso carico e delle piccole creature svolazzarono vicino alle finestre. A Viktor sembrò di essersi dimenticato della folla e della consegna che doveva fare. Sentiva la rabbia scorrere nelle vene. Immaginava i discorsi della madre; le prediche e i rimproveri per essere irresponsabile e poco legato alla loro natura.
Tuttavia ribatté, o perlomeno ci provò.
«Madre, gli scontri bastano per...»
«Viktor! Sei ancora qua?» lei concluse la sua discesa e inclinò il capo. «Corri da tuo padre, maledizione, perderà i clienti!»
Lora spalancò la bocca scioccata per quel linguaggio, ma dovette tacere.
«Gli affari vanno bene, non c'è alcun problema.»
Viktor continuò a fissare la donna con le sopracciglia corrugate. Si abbassò per prendere il cestino e reggerlo rozzamente. Sapeva bene cosa la faceva principalmente preoccupare, ma lui non aveva alcuna colpa e non poteva accettare quel comportamento nei suoi confronti.
«Mi dispiace se non ho ancora sviluppato la mia forma animale, ma sono agile quanto i miei coetanei e questo per ora basta. Se non trovo una compagna non sono affari che ti riguardano e, sinceramente, visto com'è andata a mia sorella, trovo sia molto meglio così.»
Sua madre serrò le labbra e strinse con le mani la stoffa della gonna.
«Ah, Lora!» il ragazzo tornò poi a sorridere. «Quelle scarpe non fanno proprio per te.»
«Viktor!»
Dopodiché lui uscì e tornò dal padre. Impiegò più tempo del dovuto. Camminò sopra ai tetti fissando la calca che spingeva e borbottava per barattare le loro merci e nel mentre rifletteva.
Balthonr era piena di vita anche con quel freddo, fra il ghiaccio e la neve. Lui la trovava perfetta nonostante tutti i suoi difetti; gli operai che rincasavano sempre più tardi e i vicini scontrosi. Eppure la città non lo accettava. La gente non accettava quelli come lui e i loro difetti.
Perché il destino lo aveva voluto così lontano dalla sua natura? Destinato a una vita da solitario ed estraneo alle tradizioni. Viktor si tormentò con quella domanda finché non saltò sul tetto della bancarella di suo padre.
«Ecco. Lora ha detto che abbiamo finito anche per quest'anno.»
«Bene. Controlla sul retro se non dimentichiamo qualcosa. Fra due ore cominciamo a smontare questa vecchia baracca.»
L'uomo era troppo occupato a sorridere e a richiamare nuovi clienti per notare il cambio di umore del figlio. Lui obbedì senza fiatare, andò sul retro e rovistò negli scaffali, ma non trovò nient'altro di utile. Il vento gli scompigliava i capelli e i pensieri affollavano la sua mente, tanto che non si accorse della presenza alle sue spalle.
«Viktor Moonsk.»
Lui sussultò e si voltò trovando una figura incappucciata.
«Le gemme hanno parlato. Il rubino... Ragazzo, devi servire il rubino.»
«C-che stai farneticando?»
La voce dello sconosciuto era rauca e decisa. Viktor non poteva vedere il volto, non sapeva chi gli stava parlando né comprendeva il senso di quelle parole.
«Le gemme hanno parlato... Il rubino è il fuoco della salvezza, non cadere in inganno.»
«Aspetta!» il ragazzo vide che l'altro stava per andarsene e allora afferrò il suo mantello bloccandolo e scoprendo il volto. «Cosa diavolo vuol dire...»
Non riuscì a concludere la domanda. Davanti a lui c'era una ragazza. Il suo aspetto lo scioccò. Le gote erano colorate di viola, la fronte macchiata da tre linee rosse e i suoi occhi erano dorati. Non si perse nel guardare cosa adornasse i suoi capelli perché era sicuro di trovarsi di fronte a un'apprendista degli anziani. Abbassò dunque il capo e sperò che quell'affronto gli venisse perdonato.
«Domani sera, nella grotta delle unioni. Non farti vedere, ma sii presente appena dopo il crepuscolo. E ricorda,» Viktor sollevò la testa e si perse nello sguardo della giovane. «sei destinato a servire il rubino.»
Angolo autrice:
Buona domenica a tutt*.
Come state?
In questo capitolo abbiamo conosciuto Viktor, un ragazzo-lupo, non ancora trasformato... È lampante che lui sia uno dei predestinati, ma per cosa?
Inoltre abbiamo trovato delle "gemme magiche", questo rubino di cui parla la giovane apprendista che ruolo avrà? ^^
Alla prossima (la storia che preferisco tra queste quattro),
ABOMINIO - parte I
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