[missing moment #1: ulumi pt. one]
Parigi, Maggio 2014
L'ultimo giorno di prima liceo, fu una liberazione per me. La campanella suonò con sei secondi di ritardo, ma apprezzai lo stesso il fatto che Delmass avesse provveduto a farne installare qualcuna, in giro per la scuola.
Roteando gli occhi, aspettai che tutte le mie compagne di classe uscissero dall'aula. Volevo aspettare il momento adatto per abbandonare quel luogo e non rivederlo fino a settembre.
Fino a un anno fa, adoravo questa scuola. Partivo da casa solo con la speranza di poter tornare a Lyoko con gli altri e terminare ciò che Jeremy aveva interrotto, tre anni prima. Naturalmente, nel corso della nostra battaglia contro XANA, alla fine non era accaduto.
O meglio, sì che era accaduto, ma non com'era cominciato.
Ulrich mi aveva baciata ormai un anno e mezzo prima e da quel giorno non avevo mai smesso di guardarlo negli occhi con aria diversa. Ero perdutamente innamorata di lui, per quanto una come me possa esserlo.
Sapeva estrapolare dalla mia personalità contorta, la parte migliore che esistesse. Nella nostra relazione, c'erano solo due problemi: primo, le nostre famiglie, e secondo, il mio cinismo.
I miei genitori, soprattutto mio padre, non accettavano Ulrich, in quanto estraneo alla cultura giapponese. Fin dal mio quattordicesimo compleanno (che per inciso è stato l'unico del quale Ulrich si è dimenticato!), ero al corrente del fatto che avrei sposato un ragazzo giapponese, probabilmente scelto dalla mia famiglia. Se non fosse stato per il peso dei sentimenti che provavo per Ulrich, a quell'ora sarei stata già su Skype a parlare con un certo Takano, per riferirgli quanto faccia schifo il Kadic.
Ma fortunatamente per me, l'unica persona alla quale potevo comunicare le mie impressioni riguardo la topaia dove studiavo, la pensava esattamente come me, perciò non avevo problemi.
Quando mi risvegliai, mi accorsi che la classe era completamente vuota. Sospirando, presi la borsa e la misi sulla spalla. Camminando lentamente fra i banchi sporchi e vecchi della minuscola classe, uscii dall'aula e mi diressi verso la macchinetta del caffé, dove i miei amici mi stavano aspettando.
Ad attendermi c'erano Aelita e Laura, ormai divenute inseparabili. Grazie a Dio, i loro argomenti preferiti erano i computer e in generale l'informatica, e non le frivolezze delle nostre coetanee, quindi potevo sopportarli, almeno per qualche minuto.
«Ehi, ciao Yumi!» esclamò la bionda, agitando la folta coda alta, tenuta ferma da un vistoso elastico nero.
Riprodussi una smorfia, mentre spingevo una monetina all'interno della macchinetta. Selezionai un caffè macchiato, poi mi voltai e sbuffai.
«Come mai così depressa? Coraggio, Yumi, la scuola è finita! Domani cominceranno le vacanze!» trillò entusiasta Aelita.
Sospirai. «Già, quasi dimenticavo: le meravigliose settimane di duro lavoro a Kyoto ricominceranno fra due giorni» esclamai io, mantenendo un tono sarcastico. «E' emozionante quasi quanto Kiwi che cade dal letto di Odd.»
Proprio in quel momento, una nauseante puzza di piedi entrò nelle mie narici. Non mi ci vollero anni per capire chi fosse arrivato.
«Si parla di me?» si vantò Odd, «Eccomi! Odd il Magnifico è qui per voi, signore!»
Aelita scoppiò a ridere e assestò una sberla a quel cretino, o meglio, suo cugino e il fidanzato della mia migliore amica, ma preferisco definirlo il cugino di Aelita, e non spiegherò perché.
«Oh, piantala di fare lo stupido, Odd» lo riprese la sua fidanzata. Mary volse lo sguardo verso di me e sorridendomi mi abbracciò.
«Allora questa sarà l'ultima volta che ci vedremo alle macchinette, fino a settembre» sussurrò Laura, tenendo fra le mani il suo caffé.
In quel momento ricordai che anche io avevo preso un caffé. Mi voltai verso la macchinetta e lo tirai fuori, bevendone un sorso.
«Be'» s'intromise Jeremy, «io partirò domattina. I miei genitori arriveranno alle dieci e mi porteranno a Strasburgo.»
Aelita gli concesse un sorriso. «Già. Non so se siete al corrente della novità ma... i miei genitori mi hanno dato il permesso di andare con Jeremy!»
Laura si tappò la bocca con le mani e guardando la coppia, commentò: «E' veramente una splendida notizia! Anche io e William trascorreremo due settimane insieme, non è vero, amore?»
Il suo tenebroso ragazzo si scostò una ciocca di capelli neri dal viso pallido e rispose: «Sì, piccola. Due settimane di assoluto relax a casa dei miei genitori.» Ancora ricordavo quando era follemente innamorato di me. Con quale diamine di potere era riuscito a dimenticarsi di qualcuno e a innamorarsi nuovamente? Doveva assolutamente spiegarmelo...
Mary rise teatralmente. «Niente in confronto alla lussuosissima villa dei genitori di Odd, dove trascorrerò un mese intero della mia estate. I miei genitori, invece, ci ospiteranno nella loro villa in Spagna, dove andranno a vivere in modo stabile a settembre.»
Ulrich, che fino a quel momento era rimasto zitto, alzò lo sguardo e incontrò i miei occhi. Sapevo cosa frullava nella sua testa: il motivo per cui nessuno dei due aveva proposto all'altro di passare le vacanze con l'altro. Sinceramente, non volevo che Ulrich prendesse un aereo e si trasferisse dall'altra parte del mondo solo per me.
E poi, non ricordavo che sapesse parlare e capire il giapponese. No no, Ulrich era proprio una frana. Le uniche lingue che sapeva parlare fluentemente erano il francese e il tedesco, a causa della provenienza dei suoi genitori.
Sospirai, convinta del fatto che non ci sarebbe stata un'estate come quella dei miei amici per me e per lui. Anche perché, se avesse avuto la decenza di invitarmi, mio padre non gli avrebbe mai permesso di unirsi a noi.
Che novità, del resto mio padre non aveva mai proposto al mio ragazzo di trascorrere anche una sola serata a casa nostra. Gli inviti erano estesi solo ed esclusivamente alle ragazze, cioè a Mary, Laura e Aelita. Be', anche Jeremy, ma solo perché era il genio del gruppo, e instaurava conversazioni di fisica quantistica con mio padre in meno di tre minuti.
«Yumi» mi chiamò Mary, «tutto bene?»
«Uh, sì» risposi vaga, e lanciai un'occhiata a Ulrich. I suoi occhi scuri mi stavano scrutando, ma io, rossa in volto, abbassai lo sguardo per evitare di dover parlare. Perché mi guardava così? Che cavolo stava succedendo? Avevo per caso uno sbaffo di penna sulla guancia? O forse sul naso?
Jeremy si schiarì la voce ed io sobbalzai. «Che ne dite di pranzare in città? Mi sembra un'ottima giornata e trascorrerla tutti insieme non è una cattiva idea. Tutti d'accordo?»
«Certo, andiamo!» esclamò Aelita, prendendo sotto braccio il suo ragazzo. In circostanze come quelle, forse un anno prima, avrei sorriso, e avrei concesso a Ulrich di baciarmi davanti alla scuola intera, ma quel giorno no. Qualcosa era cambiato, non ero in grado di dire cosa, ma era successo: fra me e Ulrich non c'era più amore.
Ero fermamente convinta del fatto che non fossi più innamorata di lui e questo era un serio problema. Tutte le promesse pronunciate, i sorrisi ricreati e i vaffanculo urlati erano finiti nel nostro passato, nel dimenticatoio. Per me niente di tutto ciò aveva più senso.
Decisi di parlarne con Ulrich. Erano settimane che questa tensione fra me e lui ci allontanava sempre di più e non potevo sopportare questo dolore. Sembrava qualcosa di facile da affrontare, soprattutto per una che non amava più, ma non era così: stavo male, ma male per davvero.
Cominciai a camminare, restando ultima nel gruppo, cercando le parole più adatte per spiegare a Ulrich ciò che mi affliggeva.
«Ehi» mi disse lui d'un tratto, facendomi sobbalzare.
Alzai il capo e lo fissai con le gote arrossate e lo sguardo infastidito. «Che c'è?» borbottai.
Ulrich abbassò il capo, deluso. «Scusa... volevo parlare un po' con te. Mi sembri strana, un po' giù. È successo qualcosa, Yumi?»
Come mai hai smesso di chiamarmi tesoro, amore, piccola? Ah giusto, praticamente è come se non stessimo più insieme...
«Ecco, io...» balbettai, arrampicandomi sugli specchi, «volevo parlarti esattamente di questo. È da qualche settimana che... che non riesco più a guardarti negli occhi e a sorriderti.»
«Ho commesso qualche errore che ti ha infastidita?» domandò lui interrompendomi.
Scossi il capo negativamente. «No, non è questo. Ecco, semplicemente io... io credo che... di... di non essere più innamorata di te.»
Ulrich si fermò, bloccato nel vialetto della scuola. I ragazzi davanti a noi continuavano a ridacchiare e a scherzare fra loro, perciò non si accorsero di quanto accaduto. Erano così uniti... a volte li invidiavo, e anche tanto. Riuscivano a trovare un argomento comune di cui discutere, che non fosse Lyoko, e andavano d'accordo. Io, invece, odiavo sempre ogni conversazione e facevo di tutto per non partecipare. Perché ero così stronza? E da quanto tempo lo ero? Come lo ero diventata? Per chi? E per cosa?
Deglutii e mi schiarii la voce, poi poggiai una mano sulla spalla di Ulrich. Prontamente lui la tolse e mi lanciò un'occhiataccia.
«Scusami...» bisbigliai, «non volevo infastidirti.»
Ulrich fece spallucce. «Tanto non importa. Ormai non siamo più niente, vero? No, non siamo più niente.»
Avanzò rapidamente ed io lo seguii. «Siamo amici, Ulrich, amici! Sai cosa vuol dire?»
«Certo. Allora spiegami come faccio ad essere amico di una ragazza della quale sono incondizionatamente, perdutamente e pericolosamente innamorato.»
Lo guardai di stucco. Non avevo parole, né risposte: Ulrich era sinceramente innamorato di me e ciò che gli stavo infliggendo era il dolore più grande.
Abbassai il capo e sospirai. «Scusami, mi dispiace. Non volevo che tu la prendessi così male, ma... be', non ce la facevo più a portare dentro questo peso. Ora lo sai, non dovrebbero esserci più problemi.»
«Forse per te» ribatté lui, con uno sguardo di fuoco.
Ci furono degli attimi di silenzio, poi il suo cellulare cominciò a squillare. Lo prese dalla tasca e rispose. Parlò per qualche secondo, annuendo e rispondendo a monosillabi, poi spense la chiamata e, guardandomi, sorrise.
«A quanto pare parto oggi pomeriggio per Berlino. È proprio un peccato, non credi? Ci si vede, Yumi Ishiyama.»
E detto ciò, si allontanò verso i suoi amici per salutarli, prima di lasciare quella scuola per tre lunghi mesi.
Ma sarebbe tornato, vero?
***
Londra, gennaio 2020.
«Yumi! Yumi!»
La voce di Sandy, la mia coinquilina, mi stordì i timpani per la millesima volta. Sebbene vivessimo insieme da ormai due anni, non mi ero mai abituata al tono della sua voce.
Ogni mattina, quando io uscivo di casa per recarmi in università, lei zampettava fino al pianerottolo e urlava il mio nome. Naturalmente i vicini ci odiavano...
«Che cosa c'è, Sandy? Ho dimenticato qualcosa?» domandai, allungando il collo dalla rampa di scale del piano sotto al nostro.
Lei annuì e successivamente alzò una mano, nella quale tratteneva il mio libro di matematica.
Diversamente da come si aspettava lei, non mi battei la mano sulla fronte, come punizione per aver accidentalmente dimenticato il libro. Quella mattina non sarei andata a lezione, la sera prima gliel'avevo ripetuto più o meno diciassette volte, ma naturalmente se l'era già dimenticato!
«Sandy, ti ho detto che vado in palestra per le lezioni di Peentjak Silat!» ripetei, piuttosto svogliatamente.
Sandy annuì e si ricordò della quantità di volte alle quali avevo fatto ricorso affinché lei memorizzasse il mio impegno.
«Hai perfettamente ragione! Be', allora buona giornata, Yumi. Ci vediamo stasera!»
«Ciao Sandy» conclusi io, ricominciando a scendere le scale.
Quando uscii dal portone della mia palazzina, l'aria invernale di Londra mi sferzò il volto. Vivevo in quella città da due anni, dopo essermi diplomata con il massimo dei voti al liceo del Kadic.
Dopo la mia rottura con Ulrich, non avevo più avuto una relazione. Detestavo ammetterlo ma... ero ancora innamorata di lui e non c'era stato giorno che mi soffermavo a pensare al dolore che avevo causato ad entrambi. Ma grazie alla fiducia dei miei genitori ero riuscita a fuggire dal luogo che mi causava così tanto dolore.
Londra era la mia salvezza: non era la città dell'amore e in più avevo trovato un buon indirizzo universitario per poter continuare a studiare. I primi tempi furono piuttosto complicati, considerando che con me avevo i soldi contati. Per questo abitai nei dormitori del college per qualche mese, fino a quando non incontrai Sandy al lavoro.
Per guadagnare qualche soldo lavoravo la sera in un bar, ma dopo il primo anno di università ero stata costretta ad abbandonare perché non riuscivo più a studiare. Certo erano modi piuttosto efficaci per non pensare a Ulrich, ma così facendo rischiavo di perdere l'anno dell'università.
Da qualche tempo, invece, avevo ripreso ad andare in palestra, partecipando alle lezioni di Pentjak Silat che organizzavano. Sfortunatamente, la settimana precedente l'insegnante si era slogata una caviglia, perciò quel giorno avrei conosciuto quella nuova.
La strada per andare alla palestra brulicava sempre di cittadini, poiché era affiancata ad un supermercato e alla posta, luoghi in cui la maggior parte dei londinesi si recava la mattina.
Quando arrivai alla porta vidi alcune mi compagne guardarsi e ridere di gusto. Mi chiesi che cosa ci fosse di così divertente nel fissare il cartellone del nostro allenamento appeso nella hall.
Assolutamente nulla, vero?
Entrai nella palestra e andai incontro alle mie compagne. Definirle amiche era veramente fuori discussione, considerando che le uniche erano sempre state Aelita, Mary e Laura, anche se, da qualche settimana, avevo ripreso a frequentare Julia, l'alter ego di Mary, che viveva nello stesso quartiere di Londra dove studiavo io. Era iscritta nella mia stessa università, ma seguiva corsi di Giurisprudenza, per quel motivo non ci eravamo mai incontrate.
«Ehi, Yumi! Sai che il nuovo insegnante è già arrivato?» esclamò una dai capelli rosso fuoco.
Spalancai gli occhi. «Nuovo insegnante? È per caso un ragazzo? Avevano detto che doveva sostituirla una donna!»
La sorella gemella della ragazza dai capelli rossi scosse il capo. «No, cara, è un ragazzo. Ed è taaaaaanto bello! A guardarlo, sembra un nostro coetaneo» spiegò lei, con occhi sognanti, poi mi afferrò per un polso e mi tirò verso di lei. «Guarda, guarda!»
Indicò con il dito un ragazzo che parlava con la direttrice della palestra. Era alto più di un metro e ottantacinque, con i capelli scuri spettinati e umidi per via del sudore. Indossava una canottiera bianca, dei pantaloncini neri e un asciugamano bianco sulle spalle.
Udendo la voce delle gemelle dai capelli rossi si voltò verso di noi e a quel punto sbiancai. Spalancai gli occhi e rimasi a fissarlo senza parole: davanti a me c'era il ragazzo più bello che avessi mai visto, era affascinante, muscoloso e con occhi molto profondi.
Ma in realtà non sapevo che quel ragazzo era esattamente quel ragazzo, quello di cui mi ero perdutamente innamorata, quello con il quale avevo condiviso i segreti di Lyoko, di XANA, della fabbrica, quello che aveva cercato di baciarmi quando eravamo alle prime armi, quello al quale avevo spezzato il cuore.
Ulrich Stern era davanti a me. Doveva avere diciannove anni e un fisico molto più muscoloso di quello che era riuscito a formare quando aveva appena quattordici anni.
Comunque, Yumi, parlò il mio subconscio, avete un anno di differenza. Quindi se tu hai vent'anni, lui ne ha diciannove.
Lo ignorai e continuai a fissarlo. Anche lui mi stava guardando ma ancora non era riuscito a muoversi.
Le gemelle continuavano a chiamarmi, ma io non avevo la minima intenzione di rispondere. Alla fine, fu lui a muoversi per primo: avanzò lento e deglutendo allungò la mano verso di me.
«Yumi Ishyiama. Lieto di rivederla» mormorò.
La sua voce. Oh mio Dio.
Aspetta... perché mi stai dando del lei? Eravamo fidanzati, razza di idiota! E abbiamo limonato, ci siamo baciati fino a svenire sul tuo letto... e ora mi dai del lei? Fuori di testa!
«Ehm... ciao Ulrich» balbettai, sentendomi improvvisamente emozionata.
Un coro di "uuh, ma vi conoscete" prese vita, mentre il mio viso provava tutte le sfumature di rosso, dalla prima all'ultima.
Che imbarazzo.
«Come sta?» mi chiese.
Alzai il capo. Eh, cosa? Ancora il lei? Dovrei darglielo anche io? Ma 'sto cazzo, proprio.
«Abbastanza bene. E tu?» domandai, cercando di non sembrare una rompipalle di prima categoria.
«Me la cavo» rispose, strizzandomi l'occhio.
Un tempo ero più alta di lui di qualche centimetro, ma quel giorno avevo scoperto che Ulrich Stern mi superava di quindici centimetri. Era... cresciuto, in tutti i sensi. E probabilmente, guardandolo, non avrei mai detto che era di nuovo innamorato di me.
«Sei iscritta al corso di Pentjak Silat?» chiese.
«Sì.»
Allargò le braccia e sorrise entusiasta. «E' davvero una splendida notizia! Io sarò il supplente finché la signorina Hale non tornerà.»
«Già» risposi io, «è proprio una splendida notizia.»
[...]
Quando l'allenamento più imbarazzante della mia vita terminò, pensai di poter tornare a casa sana e salve, sviando le domande di Ulrich, ma naturalmente questo non accadde. Uscita dallo spogliatoio, indossai la giacca e trotterellai fino all'uscita, ma Ulrich mi inseguì fino alla porta d'ingresso e quando riuscì ad acciuffarmi, mi propose di uscire. Non volevo accettare, anzi, non dovevo, ma il cuore suggeriva il contrario.
«Non credo sia una buona idea considerando ciò che è successo cinque anni fa, Ulrich» mormorai io, estremamente delusa.
Lui scosse il capo sorridendo. «Non rinuncerò finché non mi dirai di sì, Yumi, quindi ti conviene accettare. Forza, sto aspettando.»
Sbuffai e abbassai il capo. Come poteva essere così antipatico?
«Hai ricominciato a darmi del tu, quindi... va bene! Domani sera a cena. Il mio numero è sempre lo stesso, scrivimi e mettiamoci d'accordo. Adesso devo andare. Grazie per... be', per tutto.»
Sorrise e per un istante rimanemmo a guardarci come incantati. Ulrich aumentò il sorriso, poi si chinò a baciarmi la guancia. Rimasi di stucco... Lui, al contrario, era tranquillo. Agitò la mano per salutarmi, poi uscì dalla palestra.
Non potevo immaginare che quello sarebbe stato il primo passo per la creazione di una nuova relazione, di qualcosa che avrebbe reso incredibile la mia vita.
***
Londra, aprile 2020.
Le campane della chiesa cominciarono a suonare. Emettevano un suono sordo, ma molto fastidioso. Ebbi voglia di abbandonare tutto: di strapparmi il vestito bianco e tempestato di diamanti e buttarlo a terra, di disfarmi l'acconciatura e di scomparire, di prendere il primo aereo e tornare a casa.
Ma poi ricordai che la mia casa era un vecchio appartamento, che odorava di orchidee, palloni da calcio e sapone al caffè, nel quale abitavo da circa un mese e mezzo con l'uomo che stavo per sposare, ovvero il mio allenatore di Pentjak Silat.
In realtà era più conosciuto come "il ragazzo di cui mi ero innamorata a quattordici anni e del quale non mi ero mai dimenticata". Certo, come nome era piuttosto lungo, infatti i suoi genitori avevano provveduto anche a questo, affibbiandogli un nome... carino.
Ulrich.
Ulrich Stern, fra un'ora, sarebbe stato mio marito.
La cosa non aveva minimamente senso, considerando che fino a due mesi prima nemmeno sapevo che fosse vivo.
Lo sapevi eccome. Hai sempre chiesto a Mary, di chiedere a Odd, come stesse, s'intromise il mio subconscio.
«Vai a cagare!» gridai, poco prima che il prete entrasse e assumesse un'espressione scandalizzata.
«Mi scusi» borbottai rapidamente.
Scosse il capo, ancora colpito. «La stiamo aspettando, signorina»
Feci un cenno del capo e lui chiuse la porta, lasciandomi sola. Mi guardai allo specchio e sospirai.
Di nascosto a qualsiasi persona, stavo sposando Ulrich.
Se i miei genitori l'avessero scoperto mi avrebbero uccisa, sul serio.
Be', forse no. Mary l'avrebbe fatto, questo perché ci eravamo promesse di essere le testimoni l'una dell'altra.
Nel caso sposerò Ulrich un'altra volta, mi dissi raggiungendo la porta, perché per una volta voglio dimostrare i miei sentimenti e non reprimerli, come ho sempre fatto.
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è con tanta felicità che avvio la nuova fan fiction su code lyoko, sequel della storia "La ragazza col destino segnato". ringrazio le mie amiche kincha007 mocosvoice lyokoolover per avermi aspettata con la fan fiction e per essere rimaste sempre al mio fianco. oggi comincia una nuova avventura! vi voglio tanto bene,
marti.
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