Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

capitolo terzo: qualcosa che ci lega.

CANDICE DELLA ROBBIA

Quando entrai in casa, quel lunedì sera alle otto, mia madre mi venne incontro e mi guardò con aria arrabbiata.

«E' forse questa l'ora di rientrare, signorina?» domandò.

Non le risposi.

Dopo essere scappata via dalla fabbrica, ero rimasta in una zona isolata della palestra a leggere, perlomeno fino a quando mia madre non mi aveva scritto che sarei dovuta venire a cena a casa, e non al collegio, come promesso.

Non avevo nessuna voglia di rivedere Leo, ma non potevo spiegare il motivo a mia madre.

«Scusami» mormorai dopo qualche secondo.

Mia madre scosse il capo, poi rientrò nella cucina. Mi tolsi le scarpe, poi la raggiunsi: seduti al tavolo c'erano mio padre, Leo e Soledad, pronti per cenare. Mi accomodai, senza degnare mio fratello di uno sguardo e salutai mio padre.

«Com'è andata oggi a scuola?» chiese mio padre sorridendo.

«Bene, grazie»

Mia madre poggiò nel centro della tavola la teglia con le lasagne e lanciò un'occhiataccia a Leo.

«A quanto pare, invece, tu non hai rispettato ciò che ti avevo espressamente chiesto questa mattina» disse, poi passò a mio padre un coltello e lui cominciò a dividere le fette.

«Quante volte ti abbiamo detto che devi comportarti bene, Leo? Hai sedici anni, porca miseria! Capisco che tu sia nell'adolescenza, ma potresti almeno sforzarti? Ci sono dei fogli di carta per disegnare, non c'è bisogno di utilizzare il muro del collegio!»

Leo sbuffò.

«C'è qualche problema? Non ti piace il Kadic? Dobbiamo spedirti in un collegio più serio?»

Mio fratello giochicchiò con la lasagna, poi alzò lo sguardo e bisbigliò un "no" deluso. Sospirando, mia madre si sedette e lo guardò.

«Allora perché ti comporti così? Pensavo che la tua amicizia con Hugo servisse a qualcosa, invece no. È un bravissimo ragazzo, e tu invece sei l'esatto contrario!»

Mio padre si schiarì la voce. «Mary, per cortesia»

Gli occhi di mia madre incontrarono quelli di mio padre e per qualche secondo nessuno osò fiatare. Soledad, che fino a quel momento era rimasta in silenzio ad osservare la forchetta, alzò il capo e sorrise.

«Mamma» mormorò, «puedo haber el jugo

Lanciai un'occhiataccia a mia madre e a mio padre. La loro splendida decisione di educare Soledad parlando spagnolo (dato che era nata a Formentera, dai nonni) non era stata proprio intelligente.

Anche Leo era stato abituato così. Lui parlava correttamente francese e italiano (visto che era nato a Firenze, dai genitori di mio padre) e quando doveva insultarmi, utilizzava sempre parole italiane, così che io non potessi apprendere il vero significato.

L'unica a sapere solo il francese e l'inglese ero io. Mi ero sempre chiesta perché fossi la pecora nera della famiglia...

«Sì, te lo porto subito, amore» rispose mia madre, naturalmente in francese.

Be' grazie!

«Questo discorso non finisce qua, naturalmente» mormorò mio padre, guardando Leo, «domani pomeriggio devi tornare a casa appena le lezioni termineranno. Quanto a te, Candice» aggiunse, voltando il suo sguardo verso di me, «verrò a prenderti alle sei in punto al collegio.»

Annuii frettolosamente e ricominciai a mangiare.

***

CHARLOTTE DUNBAR

Il martedì mattina, io e Aiko eravamo sedute a terra nella sporca palestra del Kadic. Per le prossime due ore avevamo educazione fisica e fortunatamente insieme alla classe di Leo e Hugo.

Mentre Aiko adorava ginnastica, io la odiavo. Fortunatamente, i pantaloncini neri e il top rosa mi smagrivano abbastanza da farmi sembrare Jennifer Pichon, ovvero la figlia della ex modella Elizabeth Delmass.

«Su Instagram avrà almeno tre milioni di seguaci» bisbigliai, nell'orecchio di Aiko.

La mia migliore amica sospirò e roteò gli occhi. «Che dilemma, Lottie. Tu quanti ne hai?»

«Quasi millecinquecento» sibilai, a denti stretti.

Aiko si limitò a sorridere. Sapevo quanti ne aveva lei... milleottocentoventitré. Controllavo sempre, ogni volta che avevo la possibilità di entrare nel suo profilo Instagram. Lei però era avvantaggiata: conosceva molte persone anche in Giappone, dato che sua madre spesso la riportava nel suo paese d'origine, mentre io avevo amici solo francesi.

«Comunque non ti dovrebbe importare» esclamò d'un tratto Aiko, «tu sei molto più bella di Jennifer»

Sbuffai e lanciai un'occhiataccia al pelo che la sera prima era sfuggito alla ceretta. «Non è affatto vero. Io sono solo una semplice ragazzina di sedici anni, mentre lei è un'aspirante modella. Perché pensi che sua madre abbia lasciato le passerelle? Perché vuole che Jennifer prenda il suo posto!»

Aiko sospirò. «Lasciamo perdere, dai. Piuttosto: sai dove sono finiti Hugo e Leo?»

Mi guardai attorno e quando notai Leo sbuffai. «Sì, Della Robbia sta per fare l'ennesima figura di merda con Jennifer, mentre Hugo... oh, eccolo!»

Hugo indossava ancora i jeans a pinocchietto e una maglietta bianca, non la divisa sportiva. Si avvicinò a noi, cercando di non essere avvistato dal professore e si acquattò alle nostre spalle.

«Come mai sei così in ritardo?» bisbigliò Aiko.

«Sono tornato alla fabbrica, stamattina»

Per poco non svenni. Avevo sentito bene? Era tornato in quel postaccio?

«A fare che cosa, scusa?» chiesi.

Hugo sospirò a lungo prima di rispondere. Vidi gli occhi di Aiko incontrare quelli di Hugo e solo dopo lui parlò.

«Credo di aver trovato qualcosa di incredibile. Ne parliamo dopo le due ore di ginnastica»

Aiko lo guardò perplessa. «Salti ginnastica?»

«Ovviamente sì. A dopo, ragazze»

«A dopo» mormorai io, lanciando un ultimo sguardo ai fianchi perfetti di Jennifer.

***

LIESEL BELPOIS

Alle otto del mattino, Candice ed io entrammo in classe sedendoci al solito posto del giorno prima. Dietro di noi i banchi erano ancora liberi, perciò ipotizzai che Eric ed Edmund fossero ancora nel cortile.

Eric era l'unico – insieme a sua sorella Charlotte – a non possedere una stanza al collegio, visto che Villa Dunbar distava solo pochi isolati dal Kadic, quindi ogni mattina Edmund lo aspettava all'ingresso.

Quando la campanella suonò, i miei amici si infilarono in classe poco prima che la professoressa arrivasse. Alla prima ora del martedì avevamo matematica, gentilmente spiegata dal professore più anziano che avessi mai conosciuto.

«Buongiorno a tutti» esclamò accomodandosi, «spero abbiate trascorso delle buone vacanze»

Nessuno osò replicare. Tutti si limitavano a salutarlo, in modo piuttosto cerimonioso, ma non rispondevano mai alle domande che porgeva. Pensavo che fossero retoriche, ma non avevo mai avuto il coraggio di controllare.

«Sono certo che quest'anno ci troveremo bene come l'anno precedente» continuò.

Certo, allora perché non organizza subito un compito in classe? Entrerà sicuramente nelle mie grazie se ascolterà la mia parola.

«...tuttavia, prima di cominciare a spiegare quali argomenti affronteremo quest'anno, volevo presentarvi una nuova alunna. Dovrebbe arrivare a momenti... oh, signor preside!»

Pichon apparve improvvisamente sulla porta. Indossava un completo giacca e pantaloni grigio-azzurro, camicia bianca e scarpe nere. Sul naso pendevano grossi occhiali rotondi e i capelli scuri erano appena stati tinti.

«Professor Le Croix, mi dispiace disturbarla» mormorò il preside.

«Nessun disturbo. Stavo giusto anticipando ai miei alunni qualche piccola informazione sulla nuova arrivata»

Il preside Pichon si spostò più a destra e solo a quel punto notai di quale nuova alunna stesse parlando. Davanti a me c'era la versione più cresciuta di una vecchia amica di famiglia, una bambina – da quanto ricordavo – che aveva lunghi capelli castani, le guance paffute e gli occhi scuri. Fin dall'infanzia la sua caratteristica principale era stata la bellezza, ma avevo sempre pensato fosse una cosa naturale, dato che era bambina... ma in quel momento, a distanza di almeno dieci anni, non era peggiorata affatto, anzi era di gran lunga migliorata. Era uno splendore.

«Lei è Alexie Diane, una nuova alunna» mormorò il preside Pichon.

Le Croix sorrise. «Prego, signorina Diane, c'è un posto in prima fila. Vuole accomodarsi?»

Sul viso pallido e paffuto di Alexie apparve un sorriso timido. Lentamente, danzò fino al banco e si accomodò senza fare rumore. I suoi capelli cadevano liberi sulle spalle; indossava un abito dell'alta moda e scarpe appena comprate, ben lucidate. Forse sua madre aveva trovato un lavoro la cui paga mensile poteva contenere anche le spese di quel vestito e di quelle scarpe... E forse quei dieci anni di pausa dalla Francia le avevano fatto bene. Ricordavo che a quei tempi indossava solo ed esclusivamente tute colorate e scarpe a strappo...

«Bene, se ha bisogno di qualcosa, signorina Diane, può tornare nel mio ufficio al termine delle lezioni. Buona giornata, ragazzi»

E detto ciò, Pichon lanciò un'occhiata al figlio, poi abbandonò la classe.

Il professor Le Croix rifilò una smorfia alla nuova arrivata ed io dovetti fare appello a tutto il autocontrollo per non voltare la testa e osservarla.

«Liesel» bisbigliò Candice, al mio fianco, «dimmi che non è la ragazza che sto pensando»

Scossi il capo. «Certo che è lei. Quante Alexie Diane pensi che esistano in questo mondo?»

Candice sospirò e si lasciò cadere sulla sedia. Agitata com'ero, era quasi impossibile seguire le parole che uscivano dalla bocca storta del professore, ma avevo promesso ai miei genitori che non avrei preso mai più una nota, perciò...

***

HUGO BELPOIS

Martedì all'ora di pranzo, mi trovavo a metà della lunga fila al self-service della sala mensa, insieme a Charlotte e Aiko. Leo era alla ricerca della sorella minore, dato che voleva urgentemente parlarle per scusarsi, e aveva detto che ci avrebbe raggiunto direttamente al tavolo.

«Allora, quando pensi di raccontarci perché sei tornato laggiù?» domandò Charlotte, afferrando una mela e posandola nel suo vassoio.

Aiko sbuffò. «Non per essere scortese, Lottie, ma l'intera redazione del giornalino scolastico ci sta addosso... vuoi che finisca in prima pagina?»

Charlotte fece una smorfia e sospirando voltò lo sguardo verso i budini. Dopo diversi secondi di contemplamento, decise di non prenderlo e si affrettò a seguirci.

Mi accomodai al tavolo, posando il vassoio su esso, e poi mi guardai attorno, sperando che non ci fosse nessuno con le orecchie ben tese per ascoltarmi.

«Sono un po' curiosa, potresti sbrigarti?» domandò Charlotte.

Aiko si schiarì la voce. «Credo che dovresti parlarne anche con Leo, Candice ed Edmund»

Charlotte lasciò cadere la forchetta sul piatto di plastica e spalancò gli occhi. «Che cosa? Ho sentito bene? Sei per caso fuori di testa? Non credo che coinvolgere quei due sia una cosa buona

«E parlarne con Leo, allora? È un perfetto idiota!» esclamò Aiko, in risposta.

Sospirando, cercai di calmare le due ragazze. Aiko e Charlotte erano migliori amiche, ma a volte inscenavano dei litigi completamente assurdi. La verità era che mi ero sempre chiesto come facessero ad essere amiche.

«Penso che Aiko abbia ragione» dissi infine, «perché non ne parliamo oggi pomeriggio?»

Lottie sorrise. «Ci sarò, d'accordo»

[...]

Quattro ore dopo – quando le lezioni erano terminate e Leo era riuscito a parlare con Candice – ci trovammo nel giardino del Kadic, in una zona ben riservata. Lottie era sdraiata a terra e prendeva il sole, mentre Aiko aveva la testa infilata nel libro di matematica. Al contrario, Leo era interessato solo ed esclusivamente al suo cellulare.

«Eccoci. Scusate il ritardo» esclamò Edmund, arrivando trafelato. Dietro di lui, Candice sorrise e agitò lentamente la mano.

Deglutii e le feci spazio al mio fianco. Inizialmente sperai mi rivolgesse qualche sguardo, ma Candice aveva lo sguardo perso, rivolto verso il fratello.

«Allora» mormorai, «dovete sapere che... stamattina sono tornato in quella fabbrica abbandonata»

Edmund spalancò la bocca. «E perché?»

«Ehm... quel computer mi ha incuriosito. Sono tornato per controllare che fosse acceso, ma ho scoperto che è spento, e questo mi porta a credere che nessuno lo utilizzi»

Candice scosse il capo. «Può averlo spento prima di andarsene, chiunque lo utilizzi»

I nostri sguardi si incrociarono per un istante. «No. Il computer che ieri abbiamo visto è più particolare di quanto crediate. Prima di venire qua ho fatto delle ricerche... fa parte di una famiglia di computer creati per rimanere accesi per tutta la loro vita»

Leo e Charlotte alzarono un sopracciglio, visibilmente confusi. «Che cosa significa?»

«Significa che lo spegni solo se non vuoi più utilizzarlo» replicai.

Aiko alzò lo sguardo dal suo libro di matematica e si schiarì la voce. «Quindi tu pensi che nessuno stia utilizzando quel computer»

Annuii.

«Questo non spiega perché è lì. Sembrava come un posto segreto, come se qualcuno lavorasse all'interno di quella fabbrica perché era sicuro di non essere scoperto»

Leo spostò lo sguardo dal terreno al viso pallido di Aiko e la fissò con aria curiosa. Per qualche secondo nessuno osò parlare, poi mi schiarii la voce e continuai.

«Per scoprire la funzione di quel computer, dovremmo accenderlo. Stamattina avrei voluto rimanere lì di più, dato che avevo avvistato delle scalette che portavano ad un piano inferiore, ma non ho potuto, perché ero in ritardo. Se potessi tornare... anche solo per dare un'occhiata sono sicuro che lo scoprirei»

Ci furono degli sguardi curiosi, preoccupati e perplessi; sospiri sommessi e schiarimenti di voce. Quando Leo si alzò, la temperatura tornò normale.

«Mi dispiace, ma devo andare» si scusò, «comunque se hai intenzione di tornare laggiù, fammelo sapere»

Annuii frettolosamente. «Certo. Quanto a voi, invece? Volete che io... raggiunga di nuovo la fabbrica?»

Candice, Aiko e Charlotte si guardarono per qualche secondo, mentre Edmund teneva gli occhi fissi sull'erba. Alla fine fu lui a parlare: alzò il capo e con un sorriso quasi impercettibile, annuì.

«Dovresti tornare. E voglio assolutamente sapere che cosa c'è dentro a quel computer»

Gli sorrisi. «Tornerò domattina»

Aiko sorrise. «Ora abbiamo qualcosa che ci lega a voi» mormorò, lanciando un'occhiata a Candice ed Edmund, «cerchiamo di tenerla segreta, d'accordo?»

I due tredicenni scossero la testa contemporaneamente, poi si alzarono e insieme a Leo scomparvero dietro ai cespugli.

Quando i capelli di Candice furono quasi invisibili, voltai il capo verso le ragazze e sorrisi.

«Ne riparleremo domani pomeriggio» assicurai.

«Va bene» risposero in coro.

___

NELLA FOTO: MACKENZIE FOY NEL RUOLO DI AIKO STERN.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro