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Capitolo 46 - Assolvere

«Dov'è Nora?» zia Mer si guardò intorno, convinta che a quella sorpresa si sarebbe presto aggiunta anche sua sorella.

«Lei non è qui» papà iniziò a mordersi il labbro inferiore, chiaramente a disagio. Probabilmente si era già pentito di aver scelto di raggiungerci a quell'incontro con l'intenzione di condividere la verità anche con sua cognata.

«Oh, voi siete i miei altri nipoti?» fissò oltre le spalle di Bob, accorgendosi della presenza dei miei fratelli.

«Chi di voi due è Mary-Elizabeth? Ah, no... non ditemelo... tu hai proprio il faccino da Mer, sebbene siate identiche, perciò immagino che siate gemelle» iniziò a parlare molto più velocemente, accompagnando le sue parole confuse con gesti tremanti. Stava cominciando a temere il peggio e voleva distrarsi per non pensarci.

«Hai ragione» Lisa le rivolse un'espressione che, per quanto sembrasse felice, nascondeva un velo di tristezza in superficie.

«Siete così uguali a me» zia Mer si avvicinò alle gemelle, squadrandole a turno dalla testa ai piedi «mio Dio Bob, stavi forse dormendo mentre le concepivate?» si voltò verso papà. Lui in risposta scrollò soltanto le spalle.

«Beh, lo sai che ho sempre detto che lei è troppo bella per te... i maschi, invece, sono le tue fotocopie... oh, ma questo non vuol dire che voi siate brutti! Fortunatamente i geni Saintclaire hanno migliorato il vostro aspetto» stava straparlando.

«Tu» indicò Tony «sei inquietantemente uguale al vecchio Werner... anzi no, sai a chi somigli? Jeremiah Weiss, se solo potessi mettere le mani su quel ragazzino...» iniziò a muoversi convulsamente per la stanza.

«Che cosa faresti Mer?» udii un'altra voce provenire dalla cucina. Jer avanzò, mostrandosi gradualmente agli occhi di nostra zia.

«No» scosse la testa «Bob?» si guardò intorno come a voler cercare una via di fuga.

«Tutte le persone che per anni hanno lavorato al caso Weiss dicevano che eri tu... ma io continuavo a dire che non era possibile, che mio cognato non poteva essere a capo delle industrie... io ti ho difeso, sempre... dimmi che non è come credo» si avvicinò al piccolo bar che i miei genitori si erano fatti installare in casa. Aprì una dispensa e ne estrasse una bottiglia a caso «devo bere» annunciò, svitandone il tappo e annusandone il contenuto «sembra molto costoso... ti dispiace?» domandò a me, ma quando in un frammento di secondo esitai a rispondere, bevve lo stesso «farò un bonifico a tua madre più tardi» si attaccò disperatamente al collo della bottiglia.

«Posso spiegarti Mer» papà la raggiunse, ma lei allungò le braccia come a volerlo tenere lontano.

«Dov'è mia sorella?» vidi le sue sclere riempirsi di lacrime.

Odiai l'idea che stesse pensando ancora una volta che l'avessimo ingannata.

«Eleanor è in Messico, al sicuro» papà provò a tranquillizzarla «ti dirò prima delle cose e, poi, ti racconterò tutto... non tralascerò niente, lo giuro» afferrò una delle mani che stava usando per proteggersi, stringendola alla sua.

«Io sono tornato a New York sedici anni fa, dopo che Hannah mi aveva trovato. Ha minacciato la mia vita e quella della mia famiglia; quindi, in cambio, ho preso le redini delle Industrie Weiss. Tony, Mike, Lisa, Lena ed Elle sono stati adottati... ed è per questo che ora ci troviamo a casa di Patricia Harbour-Fitzgerald. Per tenersi al sicuro tua sorella è fuggita in Messico e da allora non ci siamo più sentiti. Tuttavia, in qualche modo, entrambi siamo riusciti a "usare" i nostri figli per ritrovarci. Lisa, puoi mostrare a tua zia quella foto?» allungò il braccio per afferrare l'iPhone di nostra sorella.

Perse qualche secondo a osservare nuovamente il volto di mamma e, poi, passò il cellulare a sua cognata.

«Oh, Nora» lei scoppiò in lacrime, non riuscendo più a controllarsi.

Io ero l'unica dei miei fratelli a non aver vissuto con quel foro nel petto, causato dalla consapevolezza di dover sopravvivere lontana dalle parti più vere e profonde di me stessa. Zia Mer aveva attraversato esattamente gli stessi stadi che si erano trovati a vivere sia Mike sia Tony. Doveva essere così che ci si riduceva quando il dolore incontrava la speranza, l'attesa dell'arrivo di un futuro che prima non potevi neppure sognare di avere. Era proprio ciò che stava sconvolgendo così tanto la vita di nostra zia: la consapevolezza di un raggio di sole sfuggito all'oscurità della tempesta. Nora era viva, noi sapevamo dov'era e presto o tardi si sarebbero riviste. Era solo questione di tempo.

«Come avrei voluto incontrarvi l'anno scorso... come avrei voluto poter mostrare questa foto a mio padre. È morto con il timore che i Weiss vi avessero fatto del male... perché non sei venuto da me Bob? Perché non me lo hai detto? Vi avrei protetti invece che cercare di distruggervi».

Appresi per la prima volta della morte del giudice Anthony Saintclaire. Sperai che mia madre non l'avesse mai saputo. Il suo dolore a quel punto sarebbe stato il mio dolore, e io ero stufa di soffrire.

«Bob non voleva darvi l'idea di averla abbandonata... mi ha mandato al funerale di Tony Saintclaire come i soldati venivano inviati in Vietnam. Tu hai creduto che io fossi lì per ballare sulla sua tomba, ma non è mai stato così. Mio fratello era convinto che tu avresti potuto capire che c'era lui dietro quel gesto e che sempre lui era nascosto nell'auto con i vetri oscurati al di là della strada. Ha preso delle decisioni opinabili in questi anni, non lo nego... ma anche tu hai sbagliato ad accanirti su di me, piuttosto che puntare in alto a lei» Jeremiah era come la voce della verità. Diceva tutto quello che nostro padre stava ancora cercando il coraggio di dire. Non che mi dispiacesse la sua immediatezza, ma il modo assente con il quale riferiva quelle informazioni mi faceva dubitare del fatto che lui potesse realmente tenere alle persone che man mano nominava.

«Una madre di solito si rende debole per il proprio figlio... credevo di poter fare lo stesso. Ero fermamente convinta che tu fossi un burattino nelle mani di Hannah».

«Non sono il burattino di me stesso, figuriamoci di Hannah» scoppiò a ridere. La sua risata collise con le lacrime di Mer.

«Questo adesso non è rilevante Jer» papà lo richiamò. Il fratello sbuffò, mettendosi a sedere in silenzio a braccia conserte. In pochi momenti dimostrava davvero la sua giovane età e quanto l'ascendente di Bob su di lui fosse importante.

«Elle tu non eri qui quando sono arrivato... e i tuoi fratelli mi hanno detto che non hai un cellulare... quindi spiegherò a entrambe qual è il mio piano» si avvicinò a una borsa in pelle e vi estrasse dei documenti.

«Ho usato un mio conto personale non rintracciabile» divise ordinatamente quei fogli, uno per ognuno di noi, organizzandoli lungo il tavolino da caffè posto davanti al divano.

«Mi sono permesso di noleggiare due aerei privati: uno per voi e uno per me. Il primo atterrerà in Messico, dovunque voi direte al pilota e quel volo non sarà minimamente collegato né a me né a nessuno di voi. A bordo, ci sono sette posti... e uno è per te» guardò zia Mer «io, invece, atterrerò a San Diego. Mia madre sa che ho un incontro di lavoro lì e che rimarrò qualche giorno in vacanza. Jeremiah resterà qui a controllare che vada tutto secondo i piani. Dalla California mi sposterò via terra a qualsiasi indirizzo voi mi fornirete. Per questa ragione, vi chiedo, finché non sarò lì, di non fare parola con vostra madre del mio arrivo» attese che tutti noi gli mostrassimo un cenno di assenso che non tardò ad arrivare.

«Ci stai?» papà osservò Mer.

«Vuoi forse che le venga un infarto?» bevve una bella sorsata di quello che mi parve essere rum. Tempo qualche minuto e sarebbe stata completamente ubriaca e con il fegato frantumato se non l'avessimo fermata.

«Il suo cuore riinizierà a battere... fidati di me» lui sorrise, conscio che quello fosse lo strano modo di nostra zia di manifestare il suo consenso.

«E come farò io invece? Lo sai che tua madre adora starmi addosso come una stalker» provò a bere nuovamente, ma quella volta Mike le strappò la bottiglia di mano, guardandola male.

«Cazzo questo sguardo qui è di Nora... ed io che pensavo fossi tutto tuo padre» sghignazzò.

«Jer è qui per questo Mer... saprà inventarsi qualcosa. Ci vediamo tutti domani mattina alle sette. Il luogo vi sarà inviato attraverso uno dei messaggi autodistruttivi che mio fratello ama recapitare. Ora, come promesso, ti racconterò tut-» il rumore della porta ci fece sussultare.

Vedemmo sbucare dal corridoio principale, algida, come sempre, Patricia Harbour-Fitzgerald.

I suoi occhi glaciali si soffermarono prima su mio padre, senza che grande stupore sconvolgesse la sua serietà, e poi gradualmente su mia zia e su tutte le persone presenti in casa sua.

Tra tutti, però, non si prese neppure un istante per osservare me.

Chissà se era riuscita a riconoscermi acqua e sapone e con il sorriso stampato sul volto?

Come dovevo apparire diversa ai suoi occhi...

«Robert, Jeremiah, che fate qui?» arrestò la sua camminata su tacco a spillo dodici.

Li conosceva proprio bene quei due, notai.

«Avevamo urgenza di parlarti dei nostri accordi, ma non avevamo idea che tu fossi fuori città» Jer si alzò, raggiungendo mia madre e suo fratello. Provò a dare una scossa a quest'ultimo, afferrandolo per il braccio, convinto che se non l'avesse fatto non si sarebbe mai sbloccato.

«Forse è meglio se chiamiamo la tua segretaria la prossima volta» papà si schiarì la voce, tornando nel mondo reale.

«Non è il caso che vi facciate vedere qui... anche perché... ma lei chi è?» mamma si accorse della presenza di una terza persona estranea, di un'età troppo diversa dalla mia per considerarla parte della mia famiglia.

«Ehm, salve... io sono il giudice Saintclaire, ero venuta per...» si guardò intorno spaesata «ero venuta per parlare di un caso che mi è stato affidato che ha a che vedere con la sua azienda» zia Mer annuì da sola come a volersi convincere di aver detto la verità.

«E lei piomba nel bel mezzo del salotto di tutti i suoi imputati?» si insospettì, volgendo subito il capo verso di me come a voler cercare il vero motivo della sua presenza.

«Certo... la farò chiamare dalla mia segretaria per un futuro incontro» iniziò a camminare all'indietro, in modo assolutamente non colpevole «beh, io andrei... ciao Sophia» mi salutò con la mano, dandosela a gambe subito dopo.

«Non dovrebbe essere un problema per voi due stare nella stessa stanza di una donna di legge?» mia madre non era riuscita a capire nulla di tutta quella situazione che doveva esserle sembrata una commedia demenziale di quart'ordine.

«Oh, no... nessuno... arrivederci» Bob tirò a sé Jer, uscendo dall'appartamento in tempi record.

Rimasti da soli, Patricia poté concentrarsi sui miei fratelli.

«Vedo che sei uscito di prigione» fissò sprezzante Tony «ne sono felice» lo disse senza un minimo di accenno di felicità sul volto.

«Non ne dubito» mio fratello si fece scappare una risata.

«Sophia possiamo parlare? Magari è anche ora che questi ragazzi tornino a casa» fece velatamente capire loro che non erano i benvenuti.

«Sa signora, forse c'è una cosa che le sfugge... mia sorella è casa mia... perciò» Mike si distese comodamente sul divano, appoggiando la bottiglia di rum, quasi del tutto scolata da zia Mer, sul tavolino, e togliendosi le scarpe.

«Sai vero che era esattamente per questa ragione che non volevo tu sapessi di non essere una Harbour-Fitzgerald?».

«Capisco per Mike e per Tony che effettivamente hanno un aspetto non proprio rassicurante... ma cosa avrà mai contro noi due? Vede che angioletti che siamo?» Lisa sfidò mia madre, ripetendo esattamente i gesti di Mike, distendendosi da una capo all'altro di una delle tre poltrone presenti nella stanza.

«Elle, tu vuoi che ci mettiamo comodi?» Lena afferrò il telecomando della televisione «c'è un programma interessantissimo sulla chimica che comincia tra qualche minuto e vorrei proprio vederlo... sa, Patricia, non tutti noi siamo stati in galera, e anche chi c'è stato... dovrebbe chiedersi per quale ragione ci è arrivato».

«Non è necessario comportarsi così ragazzi, apprezzo quello che state facendo, ma ho ben chiaro ciò che voglio e ciò che sono. Mia madre potrà tentare in tutti i modi di farmi desistere, ma io non vi lascerò mai andare, soprattutto adesso...» intrecciai la mia mano a quella di Chris che, non appena si era accorto dell'arrivo di mia madre, era balzato accanto a me. Lo condussi verso l'altro divano non occupato da Mike, Tony e Lena, e mi accomodai, chiedendogli di fare lo stesso.

«Aspetteremo l'arrivo di papà per parlare, non mi va di affrontare gli stessi argomenti due volte... per te va bene?» la mia non era una vera domanda, la risposta sarebbe stata sì a prescindere.

«Se è quello che vuoi Sophia» non batté ciglio, semplicemente trascinò la sua valigia fino quasi a scomparire dalla nostra vista «non c'è una persona in più?» si voltò per un secondo a guardarci, per verificare effettivamente la presenza di un individuo in più.

«Avrò modo di parlarvi anche di Chris» lui passò una mano lungo le mie spalle, facendomi avvicinare a sé come a volermi proteggere «due fratelli, due sorelle e un fidanzato... questo è tutto ciò che dovrai metabolizzare fino all'arrivo di papà» permisi alle mie iridi di vagare troppo fino a raggiungere le sue.

Mi rivolse un'espressione priva di emozione, e poi, si ritirò nella sua camera in silenzio per disfare il bagaglio.

L'ora della resa dei conti si stava avvicinando...

***

Attesi esattamente due ore e venticinque minuti l'arrivo di mio padre.

Io e tutte le persone che mi accompagnavano avevamo preso possesso dell'appartamento, fingendo che Patricia non stesse respirando la nostra stessa aria dietro la porta del suo studio.

Dominic fece il suo ingresso con un numero tale di valigie da farmi subito immaginare che avesse abbandonato la tournée in maniera permanente.

Nell'esatto momento in cui mise piede nel salotto, anche mia madre vi giunse dal lato opposto.

Si guardarono per un brevissimo istante negli occhi e, poi, entrambi si voltarono a fissare me.

Quando rividi lo sguardo buono di mio padre mi sembrò di potermi dimenticare di tutto il resto.

Mamma si lamentava sempre per quello, diceva che lui possedeva un potere particolare: la sua malia era capace di cancellare ogni ricordo spiacevole vissuto a causa sua.

Era vero che lui si era arreso, che aveva smesso di lottare per me e per il mio futuro, ma, almeno, come continuavo a ripetermi da anni: lui ci aveva provato.

Mi alzai in piedi e, con una corsa frenetica trasformatasi in uno spostamento al rallentatore, mi avventai tra le sue braccia. Lui sembrò sorpreso, irrigidito da quel tocco inaspettato, tuttavia ci volle poco perché calasse tutte le sue barriere per inondarmi di quell'amore che da sempre avevo provato a stargli così vicino.

«Sophia, piccola mia, stai bene?» abbassò la testa il più possibile per potermi guardare negli occhi. Lessi ancora una volta stupore nelle sue iridi. Immaginai che non fosse abituato a vedermi al naturale, se non dopo mille costrizioni da parte di mia madre.

«Sto alla grande» ironizzai. Ero stata così impegnata negli ultimi tempi da non aver percepito quanto il mio corpo fosse stanco. Solo quelle poche ore, trascorse in compagnia di Chris e dei miei fratelli in casa mia, avevano veramente avuto il merito di farmi riprovare sensazioni che non fossero soltanto mentali ma anche e soprattutto fisiche.

«Loro sono i miei fratelli biologici» mi voltai per un secondo, sorrisi loro e li incoraggiai a fare lo stesso.

«Io sono Dominic Fitzgerald, è un piacere conoscervi» fu molto cordiale, a differenza del mio altro genitore che continuava a osservarci da lontano giudicandoci per ogni nostra mossa.

«Quando avete finito di fare finta che non sia accaduto nulla, forse, sarebbe il caso di spostarci nel mio studio per parlarne» Patricia si mosse nuovamente verso la porta di quella stanza, ma, non appena la vidi così sicura che l'avremmo seguita senza fiatare, la bloccai.

«Io resto qui... se vuoi dirmi qualcosa puoi farlo senza problemi davanti a loro» imitai il suo tono, per farle capire quanta sicurezza avessi guadagnato nel corso di quel mese passato lontano da lei.

Presi per mano papà e lo condussi a sedersi sul divano. Chris si alzò, spostandosi sull'altra seduta, pur di lasciarci la nostra privacy.

«Non credo che le vicende degli Harbour-Fitzgerald siano di loro competenza» sentii il ticchettio dei tacchi di mia madre ancor prima della sua voce. Quando mi voltai, era già in piedi davanti a me.

«Oh, potrebbe stupirsi se sapesse tutte le cose della vita di Elle che sono di nostra competenza» Tony non esitò un secondo a replicare, stampandosi un sorrisetto nervoso sulla faccia.

«Il suo nome è Sophia» lo guardò in cagnesco.

«Quello non è mai stato il mio nome... accetto che voi lo utilizziate ancora, perché sono cosciente del fatto che quella resterà sempre la mia identità anagrafica e so che ovviamente per voi è una questione di abitudine, ma io non mi sono mai sentita Sophia, io sono sempre stata Elle».

«Capisco il richiamo del sangue, ma come puoi accantonare con questa leggerezza ciò che sei stata per sedici anni?» parve delusa dalle mie parole. Quell'ombra che scorsi spegnerle lo sguardo mi destabilizzò per qualche secondo. Mia madre non si lasciava mai sopraffare in quel modo dai sentimenti.

«Lo sai che non è sempre stato tutto rose e fiori... c'era un vuoto in me» toccai il petto in corrispondenza del cuore «e, solo quando io e Mike abbiamo rimesso insieme la nostra famiglia, sono finalmente riuscita a colmarlo».

«E a noi fa piacere... io ho sempre sperato che tu un giorno potessi ricongiungerti ai tuoi fratelli, però, non ti nego che ho sofferto quando tua madre mi ha informato della tua fuga. Avresti potuto dire la verità» mio padre provò ad appoggiare una mano sulla mia spalla. Non appena sentii la sua pelle fredda scontrarsi con la mia, mi ritrassi.

«Verità?» sgranai gli occhi «che gran coraggio a utilizzare quel termine» scoppiai a ridere.

«Dovresti metterti nei nostri panni e vivere tutto ciò che abbiamo vissuto noi, per poter ripetere i nostri stessi errori e capire perché non te l'abbiamo detto» mia madre avanzò ancora. Si fermò così vicina a me da poter essere disgustata dal suo profumo e da poter sentire il suo respiro sulla pelle.

«Pensi davvero che non ci abbiamo provato? Quanti tentativi abbiamo fatto Dom?» interpellò mio padre. Sembrò quasi che stesse per perdere il controllo, ma era impossibile, non era mai avvenuto da quando la conoscevo, neppure nei momenti più difficili.

«Tua madre ha ragione... non voglio che tu creda che l'abbiamo fatto per cattiveria».

«E allora per cosa? Temevate forse che io vi voltassi le spalle?» scossi la testa arrabbiata.

«Non è esattamente ciò che stai facendo ora?» Patricia mi puntò un indice dritto sullo sterno «non voglio negarti la possibilità di conoscere i tuoi fratelli, ma non voglio neppure che tu abbandoni chi sei per essere chi avresti potuto essere» spostò quel dito sul mio mento, alzandomi la testa al punto da poter vedere le mie iridi completamente riflesse nelle lenti dei suoi occhiali.

«E chi sarei mamma?» distolsi lo sguardo «rispondi sinceramente... hai pagato la Juilliard per rifiutare la mia candidatura?» non avrei dovuto darle un'informazione che era stato Bob a condividere con me, ma non potevo andare avanti fingendo che lei non avesse voluto infrangere tutti i miei sogni.

«Cos'hai fatto?» capii grazie alla reazione di mio padre che, seppure potessero essere stati di comune accordo in passato su alcune decisioni discutibili, quella di cui li avevo appena informati non doveva essere stata condivisa da entrambi.

«Come lo sai?» rimase fin troppo sorpresa che i suoi segreti fossero venuti a galla.

«Questo non è importante... ma se te l'ho rinfacciato è soltanto perché voglio che tu ti renda conto di che madre degenere sei stata e sempre sarai» meditai in quei secondi di fuggire via. Faceva troppo male essere lì ad affrontare quella conversazione.

«Sono consapevole di quanto le mie azioni possano esserti apparse sbagliate, ma io volevo soltanto che tu capissi qual era la scelta giusta e, quando ho realizzato che da sola non ce l'avresti fatta, ho provato a farlo con le cattive». Era forse vergogna quella patina rosea che le ricopriva il volto?

«E le sembra normale?» mi sorprese infinitamente che Chris avesse scelto di parlare «Elle ha un talento incredibile. Sono rimasto al suo fianco sin dal primo giorno che è andata via da New York... e sa quante volte l'ho sentita cantare? Così poche da non ricordare nemmeno la sua voce. Lei l'ha distrutta al punto da rendere ciò che più ha amato nella sua vita un'agonia... ne è felice? E lei, Dominic, è soddisfatto di non essere stato capace nemmeno di lottare per un amore in comune che lei stesso ha fatto scoprire a sua figlia?» si espresse con rabbia, più di quanto gliene avessi mai letto negli occhi persino quando parlava di suo padre. Quello che provava per me era così forte da causare in lui una reazione così estrema.

«Oh, Dominic, l'hai sentito? Che carino, sono certa che diventerai il mio genero preferito... so che Sophia ha avuto un numero incalcolabile di partner, ma tu sei diverso, ne sono sicura... inizia già a perdonarmi se tra dieci minuti non mi ricorderò nemmeno più chi sei» gli rivolse tutto il suo disprezzo, nascondendosi dietro le sue frasi ironiche. Per la prima volta in assoluto mi venne voglia di avventarmi su di lei e di ricambiare il male che mi stava infliggendo mentalmente con del dolore fisico.

Prima che potessi essere io a risponderle, qualcun altro lo fece al mio posto.

«Ma tu, stronza ossigenata, ce l'hai un minimo rispetto per tua figlia? Se parli ancora così di Elle o di mio fratello potrei dimenticarmi che tu sia una donna... e non è ciò che vogliamo, giusto?» Mike contrasse i muscoli, serrando la mandibola e stringendo le unghie nei palmi.

Era così estremamente fuori luogo, eppure, vederlo così, mi rese immensamente felice.

Stava difendendo Chris.

La sua protezione malata era di nuovo estesa anche a lui... quello voleva dire che...

«Farò finta di non averti sentito, stupido ragazzino...» lo fissò disgustata e, a quell'occhiata, Tony dovette afferrare Mike per non farlo alzare.

«Io sono abituata a tutta questa merda che tu continuamente spali su di me... ma, ti prego, lascia fuori loro da tutto questo» fui costretta a reprimere le lacrime, ingoiando l'ennesimo rospo. Me ne aveva dette tante, non era certo la prima volta che mi dava della poco di buono, ma prendersela con le uniche persone che mi amavano davvero non era un'opzione che potessi anche lontanamente accettare.

«Credo si stia degenerando» mio padre alzò la voce «voglio che Sophia ci perdoni per non averle detto la verità, perché quella è stata una decisione che abbiamo preso insieme... tutto il resto, Patricia, dovrai risolverlo con lei da sola. Io non oserei mai rivolgere quelle parole neppure al mio più grande nemico e questo tuo modo di fare è proprio ciò che ci ha allontanati... ma adesso voglio parlare con mia figlia, senza che tu esprima i tuoi giudizi né su di lei né sulle persone che fanno parte della sua famiglia» fu risoluto, probabilmente per la prima volta in sedici anni in cui avevo vissuto con loro. Aveva ragione, stavamo perdendo il focus del nostro confronto.

Io volevo soltanto conoscere le ragioni che li avevano portati a mentirmi, non di certo speravo di appianare anni di sofferenza in pochi minuti. Mia madre non sarebbe mai cambiata, e prima lo avrei accettato e prima avrei potuto tornare a vivere.

«Sedici anni fa io e tua madre, dopo anni di tentativi di fecondazioni, siamo riusciti ad avere una bambina. Gabriella sarebbe stata la luce in quell'oscurità in cui la mia infertilità ci aveva rinchiusi. Appena nata, però, non ce l'ha fatta» socchiuse gli occhi, prendendo un respiro profondo. La sua morte doveva averlo segnato in maniera indelebile «Patricia mi odiava perché mi rifiutavo di accettare che lei avesse il figlio di un altro uomo... ero tormentato dall'idea che quel bambino potesse vedere in lei una madre e in me un niente... perciò, più in fretta possibile, mi costrinsi a trovare una soluzione. La chiamata dal Nord Dakota arrivò dopo due anni molto difficili» si interruppe, dando a mamma la possibilità di proseguire.

«So che ora che dirò questa cosa tu penserai che ti abbiamo adottata soltanto per sostituirti a Gabriella, ma non è così» si sedette accanto a papà, stringendogli la mano. Quel contatto, però, non serviva a lui. Era lei ad averne bisogno.

«Non ho mai detto a nessuno che la mia bambina non ce l'aveva fatta» restò in silenzio. Una lacrima sfuggì al suo controllo.

Mi sembrò di star assistendo alla caduta di una stella. Mi concentrai più su ciò che stava provando che non su ciò che mi stava dicendo.

«Ho vissuto per i due anni che hanno separato la morte di Gabriella alla tua adozione rinchiusa in questa casa. Non avevo più la voglia di vivere, né desideravo avere un futuro... è stato un periodo oscuro. Poi, quando ci hanno chiamati per dirci che cinque bambini erano stati abbandonati in orfanotrofio e che potevamo prenderli tutti, se volevamo, io sono andata nel panico. So che mi odierete per questo – e so che già mi odiate per mille altre ragioni – ma io non potevo dire a nessuno che la mia bambina era morta, altrimenti quella sofferenza sarebbe diventata ancor più reale di quanto non lo fosse già stata. Perciò, abbiamo portato soltanto te con noi. Tu avevi la sua stessa età e il suo stesso sess-».

«Quindi è vero che sono stata soltanto un rimpiazzo?» la interruppi.

«No, tu mi hai ridato la vita. Ci hai fatti riavvicinare, malgrado poi le cose con il tempo si siano nuovamente spente. A ogni tuo compleanno Dominic mi guardava ed io semplicemente scuotevo la testa, perché non mi sentivo mai pronta a darti quella notizia. Lui l'ha accettato, ma la colpa è stata mia. Dirlo a te, sarebbe significato ammettere ai miei genitori che avevo mentito e così come a loro al resto del mondo. Era troppo da accettare. So che la mia decisione ti ha fatto soffrire e non credere che non abbia fatto soffrire anche me. Quando ti ho dato quell'anello» indicò il gioiello che indossavo all'indice «io volevo veramente dirtelo, ma ho creduto che quel filo invisibile che ancora riusciva a legarci a malapena si sarebbe spezzato se io te l'avessi rivelato. Non nego che sapere che tuo fratello era in carcere mi ha aiutata molto a non sentirmi in colpa, ma ho fatto una scelta, e forse d'ora in poi ne pagherò le conseguenze... ma per me ogni decisione, persino quella che ti è sembrata più dolorosa, era giusta. E questo è quanto. Non sarò la madre migliore del mondo e forse il tuo fidanzato ha ragione nel pensare che non posso parlarti così. Ma io purtroppo sono stata cresciuta in questo modo e questa è l'unica maniera in cui mi sono sentita di poter educare a mia volta mia figlia. Ma questa qui, con tutti i suoi difetti e i suoi errori» si auto-indicò «questa è la tua mamma».

«Per quanto ascoltare tutto questo faccia male, sono felice che tu finalmente abbia avuto il coraggio di dire queste cose ad alta voce. Purtroppo, però, io non sono la stessa persona che ero un mese fa. Sophia ti avrebbe perdonata come aveva sempre fatto e sarebbe andata avanti. Tuttavia, Elle ha vissuto per troppo tempo nell'ombra, non potendo mostrare la sua vera natura. A questo punto, devo trovare la mia strada prima di avere il coraggio di perdonarvi per quello che il vostro silenzio e le vostre azioni hanno causato in me. Per questa ragione, andrò alla Juilliard e non vivrò più qui» notai che mia madre fosse pronta a interrompermi, come faceva sempre, per questo la fermai prima che potesse tentare di nuovo di sopraffarmi.

«Se stai per dire che mi taglierai i fondi, non mi importa... troverò il modo di farcela da sola. Spero che voi vi sentiate liberi, ora che non ci sarò più, di mettere fine al lungo strazio che è diventato il vostro matrimonio. Quando mi sentirò pronta sarò io a tornare e insieme riaffronteremo passo dopo passo quelli che sono stati i nostri sedici anni come una famiglia... adesso, però, ho una priorità che è quella di riscoprire me stessa, o forse di conoscermi per la prima volta, insieme alle persone che hanno fatto in modo che io mi accorgessi dei miei problemi» sorrisi ai miei fratelli. Mi ero conosciuta solo grazie a loro, guardando ai miei difetti e ai miei pregi attraverso i loro occhi. Non potevo continuare a tormentarmi con ciò che era accaduto nel passato, era il momento di creare il mio futuro. Di dare un futuro a mia madre e alla mia famiglia, senza più il timore di seguire il mio istinto e ciò che il cuore mi portava a volere.

Mamma non era d'accordo e non ci fu bisogno che parlasse perché io potessi esserne certa. Lei era fatta così e ormai l'unica cosa che potevo fare era accettarlo. Ma se io non potevo cambiare lei, allora era certo che lei non avrebbe potuto fare lo stesso con me.

Ero disposta a sacrificare il mio rapporto con i miei genitori adottivi per me stessa, e forse, finalmente ero cresciuta abbastanza per far sì che ciò non mi distruggesse com'era accaduto tutte le volte che ci avevo provato in passato.

Mi voltai verso mio padre, la cui opinione avevo ignorato troppo spesso, malgrado lui fosse sicuramente il genitore con il quale sentivo di avere una maggiore affinità. Era confuso, ferito dalle mie parole, ma, al contrario di Patricia, sembrava celare dietro il suo sguardo una pagliuzza di fierezza.

«Se è quello che desideri partirò al più presto per ricongiungermi alla mia orchestra. Una volta terminata la tournée tornerò qui e io e tua madre avremo modo di parlare in maniera più approfondita della nostra relazione e di ciò che entrambi» mise l'accento su quella parola «vogliamo per la nostra famiglia» cercò il suo sguardo, ma lei divenne sfuggente «so che il suo è un diniego assoluto, ma io, a differenza sua, credo di essere d'accordo con te. Per quanto questo allontanamento non mi faccia felice. Perciò, se lei vorrà tagliarti i fondi, avrai a disposizione tutto il mio patrimoni-».

«Dominic ma che fai?» lei scosse la testa, fulminandolo con i suoi occhi glaciali.

«Quello che è giusto, Patricia... io non ho da offrirti quanto possiede tua madre, ma sono pronto a essere presente nella tua vita come non ho mai fatto in passato. Io ti voglio bene, e anche se non sono tuo padre, Elle, io ti ho sentita una parte di me dalla prima volta che mi hai sorriso».

«Ti voglio bene anche io, papà... grazie, grazie, grazie» lo strinsi forte a me, riparando il mio viso tra le pieghe della sua giacca, così come facevo da bambina ogni volta che ci rivedevamo dopo un lungo periodo l'uno senza l'altro.

«Adesso, è ora di andare» richiamai i miei fratelli con le lacrime agli occhi «ci vediamo presto. Grazie per averlo reso possibile papà, e... grazie mamma per non averlo impedito» mi alzai in piedi e, per non scoppiare a piangere, fui costretta a correre via dall'appartamento senza neppure aspettare che i miei accompagnatori potessero fare lo stesso, raccogliendo le loro cose e i loro bagagli.

Faceva male.

Ma era giusto.

Dovevo prima perdonare me stessa per non aver lottato abbastanza e, soltanto dopo aver fatto pace con i miei demoni interiori, avrei potuto assolvere loro.

Sempre che lo avessero voluto...

Avevo ancora un presente da vivere... e, poi, il resto sarebbe stato rimandato al futuro.

Spazio autrice:

Questo capitolo è stato scritto alla vigilia della mia operazione. Forse si nota, o forse no, non so. Spero che vi sia piaciuto in qualche modo...

Non so se sono realmente pronta a dire addio ai Robertson e a tutto quello che Code 95023 ha significato per me.

Nella mia vita c'è un "prima" e un "dopo", e Code sta nel mezzo.

Manca davvero poco alla fine... il prossimo capitolo ci vedrà nuovamente in Messico. Pronte?

Grazie perché ci siete, silenti, ma ci siete...

A mercoledì prossimo,

M.

Ps. Dopo aver premuto sulla stellina e lasciato un commento, se non vi dispiace potreste passare anche a lasciare una domandina in anonimo sulla mia pagine Instagram (Maty_Riisager)... magari, sarebbe un sogno leggervi!

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