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Capitolo 45 - La verità

«Quando arrivai a New York ero ridotto in uno spaventapasseri. Non riuscivo a capacitarmi di come la mia vita fosse stata mandata in frantumi in pochi secondi. Hannah non mi diceva niente di voi e non condivideva con me neppure le informazioni su vostra madre. Jer e Milo mi hanno salvato dall'autodistruzione, così come la paura che lei potesse trascinarvi in tutto questo mi ha evitato il suicidio» un'altra lacrima si unì alle altre che avevano già avuto modo di inzuppargli la barba lunga.

Avevamo ascoltato l'ennesima storia straziante, ma finalmente avevamo ottenuto ciò per cui avevamo combattuto: la verità.

«Chi è Milo?» domandò Tony, confuso di ascoltare il millesimo nome di una persona che non conosceva.

«E qui veniamo a una delle parti che vi interessava di più conoscere...» fece segno a Jer di passargli una sigaretta e lui eseguì senza esitare.

«Milo era il mio migliore amico. Uno dei pochi a conoscere la mia vera identità. Ci eravamo incontrati qualche mese dopo che ero tornato ai vertici della Weiss. Si era appena laureato e il suo unico errore era stato prendere in prestito un po' di soldi dalle persone sbagliate. Hannah l'aveva "assunto" come economista ed era davvero bravo nel suo lavoro. Purtroppo, però, quando si è a contatto per così tanti anni con la droga non è sempre semplice non caderci» fece tre tiri consecutivi, aspirando profondamente ed espirando con frustrazione. «Dieci anni fa è morto di overdose» pianse ancora, malgrado stesse stringendo i denti pur di non farlo.

«Quella che avete visto insieme a me era sua moglie».

«Quindi non sei sposato?» Mike intervenne, pentito di essersi comportato così male con nostro padre senza avergli dato neppure il tempo di spiegarsi.

«Lei è mia moglie adesso» abbassò lo sguardo vergognandosi «ma è stata una necessità, non una scelta» giocò con la fede che portava al dito.

«Lei era incinta di cinque mesi quando Milo morì. Hannah continuava a pressarmi, minacciando di scegliere per me la mia futura compagna... e alla fine sono stato costretto a cedere. Grace è diventata mia figlia a tutti gli effetti sin dalla nascita e perciò porta il mio cognome. Io le voglio bene e l'ho cresciuta esattamente nello stesso modo in cui l'ho fatto con voi. Ma se ve lo state chiedendo e so che è così...» guardò a uno ad uno i nostri volti. Durante tutto il suo discorso avevamo cambiato espressione talmente tante volte che ormai nemmeno noi eravamo più consci di quale fosse il nostro reale stato d'animo «è una moglie fantoccio. È una persona straordinaria e ci sosteniamo come due fratelli. Lei sa tutto di voi e di El. Ha sempre rispettato la mia scelta di continuare ad amare vostra madre pur non sapendo se l'avrei mai più rivista... e questo è quanto. Potrete non approvare la mia scelta, ma ormai non è più possibile tornare indietro e nemmeno lo farei» chiuse quel discorso senza darci possibilità di esprimere le nostre opinioni. Capii che per lui dovesse essere un punto debole e pertanto non azzardai a fare alcun commento, così come pregai, stringendogli la mano, che Mike non aggiungesse altro.

Non ero certo felice di sapere che mio padre aveva avuto un'altra persona accanto per tutto quel tempo, né tantomeno che lui avesse giocato alla famiglia felice con una bambina che non fossi io, ma quella purtroppo era la nostra vita. L'unica colpevole in tutta quella storia sarebbe stata sempre e solo Hannah. Tutti gli errori commessi da chiunque altro non sarebbero stati nient'altro che degli sbagli causati solo e soltanto dalle sue minacce.

«Ora, so benissimo che ci siano molte informazioni che dovete razionalizzare e che forse, così come me, non saprete come comportarvi... ma io sono qui, sono vostro padre e non ho mai cessato di proteggervi da lontano. Hannah non ha mai smesso di minacciarmi, nemmeno dopo tutti questi anni che sono rimasto al suo fianco obbedendo a ogni suo ordine. Non potevo contattarvi, né avvicinarvi troppo a voi senza che lei potesse insospettirsi; perciò, in tutto questo tempo, è stato Jer a farlo. Qualche mese fa, però, mi sono detto che non potevo continuare a sopravvivere senza sapere se El stesse bene e soprattutto senza la certezza che lei fosse a conoscenza delle reali intenzioni per le quali non l'avevo mai raggiunta al nostro appuntamento. E quindi... sapete già cosa voglio chiedervi».

«Vuoi sapere dov'è e come sta?» fu Lisa la prima a farsi avanti.

«Credo sia meglio che voi non mi indichiate il luogo preciso, ma per il resto voglio sapere tutto» una luce accecante permise alle sue iridi di passare dal verde bottiglia all'azzurro intenso. Era incredibile come i nostri occhi fossero esattamente gli stessi, come se qualcuno ci avesse clonati.

«Posso?» nostra sorella sbloccò il suo cellulare, mostrando prima a noi la foto che avevamo scattato con mamma, domandandoci il permesso di mostrargliela.

Annuimmo tutti, consci che malgrado fidarsi di lui sarebbe stato più complicato che con nostra madre, ciò non voleva dire che lui non fosse in buona fede o che non si meritasse una possibilità.

Lisa avanzò, volgendo il telefono nella sua direzione solo nel momento in cui furono faccia a faccia.

Papà la osservò cercando di memorizzare ogni dettaglio del suo volto. Rimase spiazzato nel vederla completamente calva, come se avesse improvvisamente realizzato che potesse stare male in qualche modo. Lisa, che sembrò comprendere immediatamente cosa lo preoccupasse, lo rassicurò informandolo del fatto che quella fosse stata una specie di scelta di stile più che una necessità.

«È ancora bella come il primo giorno in cui la vidi alla Dalton... quanto mi manca». Mi si sciolse il cuore a vederlo così sofferente davanti alla sua immagine.

Ero così felice di apprendere che il loro legame fosse così forte da essere sopravvissuto in entrambi a tutte quelle vicende.

Guardai Chris di sottecchi e mi augurai che la relazione che avevamo intrapreso da poco potesse con il tempo trasformarsi in un rapporto solido come quello dei miei genitori.

Sulla scia del mio amore per l'amore decisi di dare qualche dettaglio in più a mio padre.

«Credeva che tu fossi morto... ha sempre pensato che quel proiettile ti avesse ucciso. Eppure, malgrado non avesse più molte speranze di rivederti, non ha mai perso fiducia nel vostro amore. Ha vissuto per tutti questi anni in funzione del momento in cui ci saremmo ricongiunti ed è stata così entusiasta del nostro arrivo da dimenticarsi per un istante di tutto quello che è stata costretta a vivere. È in Messico e aspetta che Hannah muoia per tornare. So che hai la tua famiglia e una sottospecie di vita che forse ti piace anche, ma se la ami ancora quanto lei ama te, credo proprio che dovresti aspettarla... e magari farle sapere che dall'altra parte del confine c'è ancora qualcosa che l'attende» feci qualche passo in avanti anche io, raggiungendo la posizione di Lisa.

«Non è semplice apprendere che tu sei sempre stato così tanto vicino a me, impossibilitato a fare un passo avanti nella mia direzione. Ho sempre avuto l'impressione di avere qualcuno che mi seguisse nel mio cammino e che volesse il mio bene, ma non avevo mai fatto abbastanza attenzione da capire che, dietro tutti i momenti belli, c'eravate voi due. Certo, forse l'approccio di Jer non è stato dei migliori» risi, ricordando gran parte di quella festa vissuta insieme «ma volevo ringraziarti e farti sapere che, seppur il tempo che abbiamo passato insieme sia stato estremamente breve, io sento che saresti stato un padre eccezionale e voglio darti la possibilità di esserlo anche senza che nessuno possa vederci insieme o possa sapere chi sei per me. Bob, Sam o qualsiasi sia il tuo nome... vuoi essere nuovamente nostro padre?» la mia sembrò più una proposta di matrimonio che non una richiesta di ritornare attivamente nelle nostre vite. Ero consapevole di quanto fosse rischioso per lui e per noi, ma non avevo più tempo né voglia di privarmi della sua presenza ora che ero finalmente consapevole della mia storia e della mia identità.

Lui non rispose a parole, preferì farmi capire quali sarebbero state le sue intenzioni in futuro con l'unico gesto eloquente che potesse compiere.

Mi afferrò per le spalle tirandomi a sé, toccandomi per la prima volta da quando ci eravamo ricongiunti.

Mi strinse forte, facendo adagiare il mio petto alla sua pancia.

«Io non ho mai smesso di essere tuo padre, Mini. E ora lo sarò più che mai» mi diede un bacio sulla fronte e poi volse lo sguardo verso Lisa.

La prese per mano permettendole di spostarsi quel tanto che bastava per poter abbracciare anche lei.

«Non ho mai perso la diretta di una tua partita, sono fiero di te e non vedo l'ora di poter essere fisicamente su quegli spalti a tifare per te» appoggiò le sue labbra sulla sua pelle candida così come aveva fatto con la mia.

Tony, Mike e Lena ci raggiunsero, unendosi alla nostra stretta.

«Io vi ho seguiti, tutti quanti... vi ho lasciati sbagliare quando era necessario, ma sono sempre stato sullo sfondo a proteggervi. Da oggi in poi, però, intendo essere il padre che non avete mai avuto e il nonno che Mickey merita di avere».

Avevo perso il conto di quanti abbracci come quello avevo vissuto da quando il mio viaggio era cominciato, ma non riuscivo a credere che all'appello ormai ne mancasse uno solo. Quello che finalmente avrebbe visto i Robertson riuniti, al completo. E presto o tardi sapevo che quel momento sarebbe arrivato.

«Cosa faremo a partire da adesso... papà?» Mike cercò di modulare la voce, provando a combattere contro l'emozione che gli stava impedendo di parlare come avrebbe voluto.

«Non lo so... davvero. Datemi un po' di tempo per pensare a come fare a starvi accanto... ma non dubitate mai che ciò avverrà... state certi che non torneremo più indietro» accarezzò la guancia di Mike, dandogli un piccolo schiaffetto amorevole. Fece subito dopo lo stesso con Tony, evidenziando con il tocco dell'indice il nome "Samuel" che lui si era tatuato a lettere cubitali su un braccio.

«Noi torneremo da mamma a breve, l'abbiamo lasciata con una scusa ed è giusto farle un po' di compagnia. Anche perché ad attenderci con lei ci sono Isa, Mickey e Lot» lo informai «adesso abbiamo altri due problemi da risolvere e poi saremo pronti ad andare» preferii non riflettere troppo su quale dei due fosse il più doloroso da affrontare.

«Qualsiasi cosa vi attenda, se posso aiutarvi sono a vostra completa disposizione. Se avete bisogno di due braccia in più, Jer non vi dirà di no per qualsiasi richiesta voi abbiate» indicò con il pollice alle sue spalle. Suo fratello era ancora seduto nello stesso punto, ma, rispetto a prima, un sorriso, che pareva non essere fatto per le sue labbra, gli illuminava il volto.

«Mi fa piacere che lui mi usi come il vostro baby-sitter a suo piacimento... ma per quanto vorrei mandarlo a quel paese, ha ragione. Se avete bisogno di me, io sono disposto a fare qualsiasi cosa per voi. Solo se ovviamente comincerete a chiamarmi zio Jer, sebbene sia nettamente più giovane di molti di voi» il suo era decisamente un modo di esprimersi molto vicino al nostro "metodo Robertson", che mai avremmo ribattezzato "metodo Weiss".

«Beh, credo che per quanto riguarda i miei genitori non possiate fare molto, dovrò affrontarli da sola... ma per l'altro punto forse potete aiutarci... conoscete per caso l'indirizzo di Mary-Elizabeth Saintclaire?» non appena pronunciai il suo nome il volto di entrambi si rabbuiò.

«Mer vive ancora qui a New York... ma perché volete sapere dove abita?» papà mi rivolse uno sguardo preoccupato.

«Mamma ci ha chiesto di farle sapere che era viva e di dirle chi siamo. Tuttavia, non vuole che le riveliamo la sua posizione né tanto meno che la incoraggiamo ad andarla a cercare. Anche lei è ben consapevole che in qualche modo tutti i Saintclaire siano sotto sorveglianza» gli presi la mano «c'è qualcosa che non va papà?».

«Il giudice Saintclaire è al primo posto della lista delle persone che Hannah vorrebbe neutralizzare. A quanto pare lei ha costruito la sua intera carriera, sulla scia di Anthony, sul voler distruggere i Weiss. Non sa che Bob è a capo della "famiglia" tanto quanto lo è nostra madre e sta diventando molto complesso non farglielo sapere» fu Jer a rispondere al posto di nostro padre «però, fratello, non credi sia arrivato il momento di fare una chiacchierata con lei? Sappiamo entrambi quanto tu non voglia far sapere alla famiglia di El che lei è da sola chissà dove e che in qualche modo senti di averla abbandonata, però, non pensi sia il caso che almeno Mer lo sappia?».

«4 Park Avenue, il suo ufficio è in quello stabile. È pieno di avvocati e giudici, Hannah non manda mai nessuno lì a controllarla. È più sicuro che voi andiate lì. Vi consiglio di non arrivarci insieme e guardatevi sempre le spalle. Non posso sapere se nostra madre abbia saputo o meno che vi siete riuniti. L'unica cosa che voglio chiedervi, però, è di non dire a Mer che sono qui. Non raccontatele la verità, ditele semplicemente che vostra madre vi ha mandati a dirle che sta bene, il resto tenetelo per voi. Fate in modo che sia un incontro veloce e fatele giurare di non raccontare a nessuno del vostro arrivo. Siete d'accordo?».

«Le porteremo soltanto il messaggio di mamma, poi, andremo via il più velocemente possibile. Quando potremo rivederci?» Tony glielo chiese come se fosse tornato a essere quel bambino spaventato che si era ritrovato orfano da un giorno all'altro.

«Jer vi invierà una comunicazione ai vostri numeri di cellulare come ha già fatto, non appena saprò come aggirare mia madre e i suoi seguaci. Nel frattempo voglio dirvi alcune cose prima di salutarci...» prese tempo, cercando di capire quale fosse il miglior modo per spiegarsi.

«Elle non te lo dico perché voglio aggravare ancora di più il tuo rapporto con la donna che ti ha adottata, ma è importante, prima di incontrarla, che tu sappia due cose. Innanzitutto, la Harbour e la Weiss stanno collaborando da un po' di tempo, anche se ho cercato di mantenere i nostri rapporti su un piano del tutto legale. L'ho fatto perché sapevo della crisi dell'azienda e volevo dare una mano a lei per proteggere di riflesso te e il tuo patrimonio. Ma, a parte questo, che non credo ti peserà, c'è un'altra cosa molto più grave... Ho pagato la Juilliard per riaccogliere la tua candidat-».

«Che vuol dire?» lo interruppi immediatamente.

«Hai ancora la possibilità di iscriverti, ma solo perché ho dato a chi si occupa delle ammissioni una controfferta, Patricia aveva a sua volta pagato per farla respingere».

Il mondo mi crollò addosso per l'ennesima volta.

Chi era davvero la donna con la quale ero cresciuta e come poteva ancora fingersi una madre se tutto ciò che era in realtà non era nient'altro che una persona intenzionata a distruggere la vera me per costruire un automa dalle sue sembianze?

«Lo so che è difficile da accettare, ma volevo essere sincero con te. E voglio esserlo allo stesso modo con tutti. Io non ho mai interferito con ciò che voi volevate essere. Non l'ho fatto nemmeno quando Tony si è messo nei guai. Ho pensato tante volte di venire da te a Denver e di offrirti un lavoro pur di non vederti collaborare con quelle persone. Ma poi ho capito che probabilmente includerti nei traffici della Weiss, congiuntamente a farti conoscere tua nonna, sarebbe stato molto peggio che vederti immischiato nelle faide messicane. Tutto questo ve lo dico perché voglio incoraggiarvi a inseguire i vostri sogni e a essere e a fare tutto ciò che vi rende felici. Se avete bisogno di me, io ci sarò. Smuoverò mari e monti per voi se sarà necessario, ma promettetemi che amerete chiunque vogliate con ogni cellula del vostro corpo, che sorriderete alla vita ogni giorno e che affronterete gli ostacoli che vi si presenteranno facendo sempre l'uno da scudo all'altro. Se avere un fratello in tarda età mi è servito per imparare qualcosa è che sono sicuro che nessuno di voi sarà mai solo, perché quando al mondo c'è qualcuno che è fatto di tutto quello di cui siete fatti voi non ci sono sbagli che tengano... persino l'andare a letto con il fratellastro di tuo fratello o mentirgli per il suo bene, anche se poi tanto bene non era, non varrà niente quando sarete nuovamente l'uno accanto all'altro, vero?» ci spronò, osservando prima Mike e poi me. Rivolgendo subito dopo uno sguardo anche agli altri tre. La sua intenzione era proprio quella di ricercare la convinzione nei nostri volti, per poter capire se fossimo riusciti ad intendere ciò che ci aveva detto.

Come fosse stato in grado di sapere di me e Chris sarebbe rimasto sempre un mistero, ma immaginai che davvero lui avesse un immenso potere. Persino quello di entrare nelle nostre teste e di conoscere, sebbene da lontano, ogni nostra paura e tutti i nostri sbagli ancor prima di commetterli.

«Beh, di quel problemino tra me ed Elle se n'è già occupata mamma».

«Ne ero certo... non c'è niente che lei non sia in grado di capire o di risolvere... sarò sempre un passo indietro a lei, e va bene così... dietro le sue spalle sarò sicuro di poterla proteggere finché sarò in vita».

Quello era il vero amore. Conoscersi e guardarsi le spalle anche dopo sedici anni di lontananza. Anche dopo essersi persi e con l'incertezza di potersi ritrovare.

***

Separarci da nostro padre, dopo così poco tempo che avevamo avuto la possibilità di ricongiungerci a lui, fu molto dura. Malgrado ce l'avesse promesso in tutti i modi, non riuscivamo a credere che lui sarebbe riuscito ad aggirare Hannah a tal punto da poter passare del tempo con noi. Avevamo paura che tutto quello che stavamo immaginando per il nostro futuro potesse infrangersi ancor prima di avverarsi almeno parzialmente.

Cercammo di farci forza a vicenda, pensando immediatamente, sin da quando avevamo lasciato quello scantinato, a come riuscire ad arrivare senza pericolo all'ufficio di nostra zia.

Ancora una volta fu Chris a prendere in mano la situazione, suddividendo i nostri spostamenti in tre gruppi diversi.

Lisa e Lena avrebbero raggiunto il mio appartamento in metro, Tony e Mike in taxi, mentre io e lui avremmo preso l'autobus e fatto un piccolo tratto di strada a piedi per arrivare a Park Avenue. Una volta lì, per non destare sospetti, avrei fatto il mio nome, per convincere, prima, la sicurezza a farci entrare senza appuntamento e, poi, Mer a venire con noi fino a casa mia. Ci era parso troppo rischioso presentarci in quel luogo in sei e avevamo preferito spostare l'incontro in un'altra sede. Il tempo a nostra disposizione era ormai poco, considerando che Patricia sarebbe dovuta rientrare di lì a poco nel nostro attico. Quindi cercammo di sbrigarci il più possibile, arrivando persino a correre nell'ultimo tratto di strada che dalla fermata dell'autobus ci avrebbe condotti all'indirizzo datoci da mio padre.

Esattamente come Chris aveva preventivato, all'ingresso c'era una hall con una schiera di segretarie e guardie infinita. Mi aggiustai il trucco sbavato a causa del pianto e i capelli arruffati, motivandomi a entrare nuovamente in un personaggio che non mi apparteneva più.

«Salve, dovremmo incontrare il giudice Saintclaire» tenni il mento alto e la schiena dritta per dare maggiore illusione di sicurezza alla persona seduta dietro quel bancone.

«Buongiorno e benvenuti alla Temi's Tower, avete un appuntamento?» la ragazza sorrise cercando di fingersi cordiale il più possibile.

«No, ma-» mi bloccò ancor prima che potessi parlare.

«Mi dispiace ma non è possibile incontrare il giudice... ha un'agenda fitta d'impegni. Se volete potete fissare un incontro in base alle vostre necessità e alle disponibilità della Saintclaire».

«Senta è molto importante... io sono Sophia Harbour-Fitzgerald e ho urgenza di parlare con Mary-Elizabeth Saintclaire. La chiami pure e le dica che sono qui, non credo esiterà a darmi udienza per qualche minuto. E se dovesse ancora dubitare di farmi salire, le dica che mi manda Nora e sono certa che si spalancheranno le porte del Paradiso» schioccai le dita invitandola a sbrigarsi.

Lei incredibilmente scocciata mi diede ascolto senza troppe esitazioni.

Quasi fui delusa dalla sua disponibilità, mi ero già prefigurata mille modi diversi per convincerla utilizzando la mia posizione.

«Pam c'è Sophia Harbour-Fitzgerald per Saintclaire, non ha appuntamento, ma dice che è urgente e che è venuta per conto di Nora. Mi ha chiesto di riferirlo al giudice... è con te?» ci diede le spalle, avvicinando la cornetta all'orecchio come a non volerci dare alcuna idea della risposta della sua collega.

«Ok, va bene» attaccò, alzando leggermente gli occhi al cielo. Era quello l'effetto che solitamente facevo alle altre persone quando interpretavo il ruolo che Patricia mi aveva cucito addosso.

«Potete salire» ci porse due card da appendere al collo che ci potessero identificare come visitatori «ottavo piano, stanza 237».

Non aspettammo altro tempo, ci fiondammo sul primo ascensore libero che potesse portarci alla meta.

Quando arrivammo sul piano giusto, la porta del suo ufficio era spalancata cosicché non fummo obbligati neppure a parlare con altri per poterla raggiungere.

Una donna dai capelli chiari con addosso un tailleur verde smeraldo ci dava le spalle, persa nell'osservare lo skyline Newyorkese che si intravedeva dalla sua parete interamente vetrata.

Chiusi la porta alle nostre spalle senza nemmeno annunciarmi.

Quando lei udii quel rumore si voltò confusa.

Non doveva essere abituata a quel tipo di comportamento.

Mi studiò in silenzio, facendo percorrere interamente la mia figura dal suo sguardo. Fece lo stesso con Chris, non riuscendo comunque a venire a capo di quell'improvvisata. Il tutto durò poco tempo, ma a me parve trascorsa un'eternità da quando io stessa avevo fatto vagare le mie iridi su tutti quegli elementi del suo corpo e del suo volto che mi ricordavano mia madre, le mie sorelle e persino me.

«Signorina Harbour-Fitzgerald a cosa devo l'onore?» sembrò delusa di accorgersi che la persona che si era annunciata fossi veramente io. Pensai che probabilmente avesse creduto, nel sentir nominare Nora, che si sarebbe ritrovata sua sorella sull'uscio.

«Elle Robertson» la corressi.

«Non capisco» aggrottò le sopracciglia.

«Non so davvero come dirtelo Mer... » feci un respiro profondo «ma forse il miglior modo è anche quello più rude... beh, io non sono davvero chi credi che io sia, o meglio lo sono in parte, perché in realtà io sono anche la più piccola dei figli di El e Bob. Mamma mi ha mandata qui...».

«El? La mia Nora?» si sedette sulla poltrona girevole posta dietro la scrivania, quasi lasciandosi cadere su di essa.

«Sei mia nipote?» portò entrambe le mani sul volto, incredula.

«Sì» confermai.

«Dobbiamo andare via di qui... potresti essere in pericolo» guardò attraverso la porta in vetro, sospettosa nei riguardi di tutti gli impiegati che vi stavano semplicemente passando davanti.

«Ehi» la bloccai «siamo al sicuro, zia Mer... non preoccuparti di Hannah adesso...» mi avvicinai, appoggiando entrambi i palmi sulle sue mani. «Anthony, Michael, Mary-Elizabeth ed Eléna ci aspettano nel mio appartamento, vogliono conoscerti... ti va di venire insieme a noi?» la guardai sin nel profondo dei suoi occhi e, per qualche istante, fui incapace di riconoscere chi avessi davanti. Mi parve che quella donna fosse mia madre. Persino le sue iridi avevano perso il loro colore brillante a causa della stessa ombra che velava quelle di El.

«Ha chiamato una delle sue figlie come me?» la sua bocca si contrasse in un sorriso talmente tanto grande da apparire innaturale.

«Sì zia, ti racconteremo qualcosa in più una volta che saremo tutti insieme... allora, hai tempo per seguirci? Anzi, in realtà, dovresti condurci tu lì... non abbiamo mezzi a disposizione».

«Annullo tutti i miei impegni della mattinata. Possiamo andare anche subito» si avvicinò di più alla scrivania, utilizzando la sedia girevole, per afferrare la cornetta del telefono «ehi, chiama Lou e la Stevens e dì che oggi non posso riceverli. Torno più tardi» annuì, rispondendo a chissà quale domanda postale dalla sua segretaria «a dopo, e se qualcuno dovesse chiederti il motivo della mia assenza, inventa una scusa plausibile» mise giù soddisfatta, pronta a seguirci in qualsiasi posto l'avremmo condotta.

Prendemmo l'ascensore per raggiungere il piano interrato, stando attenti a non farci notare da nessuno. Zia Mer mise in moto la sua BMW e guidò senza rispettare neppure una legge, collezionando un numero enorme di infrazioni. Io e Chris ci guardammo, chiedendoci come fosse possibile che quella donna fosse un giudice, se lei era la prima a non seguire il codice della strada.

Una volta davanti al parcheggio sotterraneo di casa mia, mi resi conto di quanto quell'incontro nel mio appartamento potesse essere pericoloso, considerando che l'arrivo di mia madre in aeroporto era previsto per i minuti successivi. Presi un respiro profondo e mi dissi che qualsiasi altra cosa in quel momento avesse più rilevanza dell'incontro, ormai non più rinviabile, che dovevo avere con Patricia.

Diedi al nostro dipendente l'ordine di lasciarci passare e chiesi a Mer di stazionare l'auto in corrispondenza del posto di mio padre, conscia che lui sarebbe arrivato dopo ore, guardando con ansia al parcheggio di mia madre ancora vuoto.

La condussi in quelli che per sedici anni erano stati i corridoi che avevo attraversato, leggendo nel suo volto e nelle sue espressioni l'addensarsi di domande circa la mia nuova identità. Doveva essere complicato per lei rendersi conto che io per davvero ero Sophia Harbour-Fitzgerald e che a quel punto doveva essere successo qualcosa a sua sorella e a Bob.

Mi parve addirittura per qualche istante che lei avesse iniziato a temere che la mia visita non fosse stata altro che una trappola.

E, quando io aprii la porta rivelandole la presenza di alcune persone in quell'appartamento, ne ebbi la conferma.

Non sapevo che lui sarebbe stato lì.

Non sapevo che zia Mer conoscesse la sua ombra senza però aver mai capito chi fosse.

Restò impalata davanti all'omone tutto vestito di scuro che ci stava aspettando in piedi nel bel mezzo del mio salotto.

Le tremarono le mani, ma poi quel suo sorriso così tanto caratteristico le illuminò il volto.

«Robbie» corse a infrangere il suo corpo contro quello di nostro padre «sei veramente invecchiato di merda» esordì, dopo averlo stretto a sé.

Ridemmo tutti in quella stanza, nessuno escluso. Persino zia Mer che fino a quel momento aveva pensato che stesse per morire per mano di uno dei suoi nemici.

Chissà, però, se una volta venuta a conoscenza della verità avesse continuato a ridere...

Spazio autrice:

Tassello dopo tassello abbiamo costruito la nostra verità.

Non resta che mettere insieme i pezzi e andare a prenderci il nostro futuro.

Grazie perché siete ancora qui con me,

Mancano pochi capitoli alla fine e spero vivamente che questa storia vi abbia trasmesso qualcosa, sebbene io ne dubiti ogni giorno che passa...

A mercoledì prossimo,

Vi aspetto su IG con il link per le domande in anonimo, se mai dovessero essercene.

Vostra,

Matilde.

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