Capitolo 39 - Noi siamo infinito (E&B)
Io e Bob in quel giugno del 1994 fuggimmo dalle nostre vite.
Portammo con noi due valigie, non piene di effetti personali, ma di denaro sottratto alla sua famiglia.
Ci stabilimmo a Jamestown, non lontano da Fargo, proprio in quella Dakota del Nord che tanto mi aveva conquistata.
Vivemmo nel terrore per tutti i mesi che mi separarono dal parto.
Eravamo costantemente dominati dalla paura che i Weiss potessero scoprirci e farcela pagare, mettendo a rischio il nostro futuro.
Il 27 dicembre del 1994 all'ospedale di Fargo venne alla luce Anthony Robertson.
Bob, o meglio Sam, mi diede la possibilità di dargli il nome di mio padre. Malgrado Anthony Saintclaire avesse cercato di allontanarci in tutti i modi possibili, sapevamo entrambi che era stato un ottimo genitore e che avrebbe continuato a esserlo anche senza di me.
Amai quel bambino sin dal suo primo vagito. Mi sentii madre pur non avendo mai desiderato esserlo. Non appena lo presi in braccio seppi che non avrei più potuto fare a meno del suo respiro.
Pochi giorni dopo la sua nascita, una lettera giunse alla porta del primo minuscolo appartamento che avevamo deciso di affittare.
Cara Nora,
Ho scritto e riscritto questa lettera un milione di volte. Avrei voluto trovare le parole giuste per dirti ciò che ho da comunicarti, ma tra noi due la più brava in questo sei sempre stata tu. Da quando non ci sei più la casa è vuota e io mi sento come se una parte di me fosse morta per sempre. Mamma e papà hanno pianto una miriade di lacrime, dannandosi per non aver capito che dietro i tuoi silenzi si nascondeva una preoccupazione per il futuro che una ragazza di diciotto anni non avrebbe mai dovuto provare. Spero che un giorno potrai perdonarci per averti lasciata da sola ad affrontare una situazione così complicata.
Se ho scelto di scriverti, però, un motivo preciso c'è. Hannah è venuta da noi, in diverse occasioni a dire la verità. Ci ha minacciati più volte, ma anche di fronte al suo carattere autoritario non ho mai vacillato un secondo, perché soltanto guardandola negli occhi ho capito a quale pericolo sareste potuti incorrere se non aveste deciso di fuggire.
Non ti racconterò bugie, è arrabbiata. I Weiss dei rami cadetti minacciano guerra civile. Werner sta meglio, ma è ancora troppo debole perché possa mettersi al comando con risolutezza. Hannah senza un erede non è che una donna morta che cammina.
Giuro che non userò mai più questo indirizzo per spedire nient'altro se non quando le circostanze lo richiederanno per davvero. Ma voi due dovevate sapere quanto la situazione fosse grave e quanto stiate rischiando a esservi rifiutati di vivere seguendo le sue regole. Vi sta cercando, in lungo e in largo, ma fortunatamente non è ancora riuscita a trovare vostre tracce.
L'unica cosa che posso dirvi è che si è accorta della sparizione di un'ingente somma di denaro. Non ci ha detto quanto, ma dal modo in cui parlava deve essere una cifra astronomica. Ha persino affermato in uno di quei suoi deliri di onnipotenza che pagherete con il sangue quest'affronto; perciò, proteggete voi stessi e il mio futuro nipotino con ogni mezzo possibile.
So che sarai abbastanza intelligente da creare intorno a voi una barriera invalicabile.
Volevo soltanto essere sicura che non sottovalutaste la situazione.
Spero vivamente un giorno di poterti riabbracciare e di poter guardare negli occhi quel bambino che, anche se non crescerà con me accanto, sono certa che saprà ogni giorno della sua vita quanto zia Mer lo ami.
Dovunque voi siate, questo bacio che poso su carta è per voi.
Sempre vostra,
Mary Elizabeth.
Dopo aver letto un'infinità di volte le parole di mia sorella, non potei che piangere tutte le lacrime che avevo in corpo. Tuttavia, quando mi sentii prosciugata a dovere, decisi di accantonare quella lettera, come se fosse stata la concretizzazione della mia vita precedente. Mi imposi per un po' di anni di non pensare più alla mia famiglia e a quell'identità che ero stata costretta ad abbandonare.
Io e Sam aprimmo un'attività e ci dedicammo a essa anima e corpo, mentre il nostro piccolo Tony cresceva contornato soltanto d'amore, senza sapere che nelle sue vene scorreva il sangue bellicoso dei Weiss.
Quando insegnavo danza alle bambine nel retro dell'enorme capannone che Sam aveva voluto acquistare per farne una concessionaria, mi immaginavo ancora tra le vetrate della Grace Dance Academy. Tuttavia, quando ciò accadeva, ero costretta a mordermi la guancia con forza per far sfumare quei ricordi.
Era così che la mia esistenza dopo il 1994 si era articolata, a suon di pizzichi sulla pelle diafana per tornare alla realtà della mia nuova vita.
Per Sam era più semplice, lui non aveva fatto altro che sognare di essere libero dalle imposizioni della sua famiglia. Per me, invece, era diventato un incubo ricorrente quello in cui, ogni qualvolta chiudevo gli occhi, mi ritrovavo catapultata nel bel mezzo del salotto di casa mia, mentre i miei genitori e mia sorella ridevano con gusto di qualcosa che io non avrei mai potuto capire. Sapevo che dall'altra parte degli Stati Uniti, dopo i pianti, presto sarebbero sopraggiunte le risate e non riuscivo a farmi capace del fatto che avrei dovuto accettare che loro fossero felici anche senza di me. A me che invece sembrava toccare sempre una patina di felicità che ricopriva un'intera superficie di tristezza.
Tuttavia, furono i miei figli ad allontanarmi sempre di più dai miei pensieri. Più la famiglia Robertson si allargava e più il distacco dai Saintclaire si affievoliva.
Io e il ragazzo ribelle di cui mi ero innamorata ci sposammo una sera d'estate in una piccola chiesetta di Jamestown. Sebbene Sam fosse ebreo optammo per un matrimonio cattolico. Grace Smith e Samuel Robertson vennero dichiarati marito e moglie davanti a Dio e alla legge, peccato che non sarebbe mai stato lo stesso per Eleanor Saintclaire e Robert Weiss.
Da quel momento in poi la nostra vita in Dakota si arricchì prima del piccolo Michael, a cui demmo il nome dell'unica persona che avesse mai fatto realmente da padre a Sam, il suo maggiordomo dell'infanzia, e, poi, di lì a qualche anno, coronammo il nostro sogno di avere una bambina. In realtà, più che una sola, nel giro di due anni ne avemmo ben tre.
Per loro volli fortemente che quel nome, che il loro padre molto tempo prima aveva scelto per rivolgersi a me, fosse nelle loro iniziali. Perché se Bob aveva potuto conservare la sua vera identità nel loro cognome, io in qualche modo speravo di poter fare lo stesso attraverso i nomi delle mie figlie. Ed è così che vennero fuori Mary-Elizabeth, in onore di mia sorella e di quel El che tanto amavo e che mi mancava sentir pronunciare dalle labbra di mio marito; Eléna, molto simile a Eleanor ma al tempo stesso pregno di uno splendido significato e infine Elle, scrittura diversa rispetto al modo in cui Bob mi chiamava, ma in fondo esattamente la stessa cosa.
Fu soltanto dopo due mesi dalla nascita della piccola Elle che la mia vita da Grace tornò a intrecciarsi a quella di Eleanor.
Ero a Fargo, impegnata a spingere la carrozzina con la mano destra e il passeggino con la sinistra. Mike mi aveva costretta a comprargli in fretta e furia un nuovo completino da basket per poter iniziare gli allenamenti insieme a suo fratello maggiore e a suo padre. Ero persa nei miei pensieri quando, pur essendomi guardata intorno, cominciai ad attraversare la strada senza fare caso al fatto che il semaforo per i pedoni fosse diventato rosso. A un tratto, a metà delle strisce, il rumore di un clacson mi fece sobbalzare. Alzai gli occhi e vidi un furgone bianco con una scritta scura a caratteri cubitali. Non appena riuscii a riconoscere cosa vi fosse scritto, dopo che lo spavento si era placato, restai paralizzata. I Weiss ci avevano raggiunti, i Weiss erano lì per noi; o almeno quello fu ciò di cui mi convinsi. Ero sicura che Hannah ci avesse trovati e che lei non si sarebbe fermata fino a quando non avrebbe ottenuto la sua vendetta.
Sam provò a spiegarmi che i suoi genitori avevano da sempre progettato di espandere l'impresa oltre il territorio newyorkese, cercò di farmi ragionare sull'impossibilità che i suoi avessero potuto trovarci. Lui era convinto che passati tutti quegli anni loro avessero semplicemente cancellato dal loro passato la nostra esistenza, eppure, io non riuscivo a togliermi dalla testa quella sensazione che avevo provato nel ritrovarmi quel cognome così vicino al volto. Era stato per me un segno inequivocabile di una futura sventura.
Iniziai a mettere insieme un piano, senza che lui fosse minimamente d'accordo con me.
A volte riconoscevo nei suoi occhi spenti il rammarico di avermi costretta a quella folle esistenza. Lui dormiva di notte, io vegliavo tenendo una mano pronta ad afferrare la colt che nascondevo nel doppio fondo del cassetto.
Quando si accorse, a distanza di settimane, di come quell'ansia mi stesse divorando acconsentì a prendere tutte le precauzioni che io avevo continuato a invocare; perciò di lì a poco, sapendo di avere un paracadute, tornai la stessa di sempre.
La prima cosa che avevamo fatto era stata avviare i documenti di perdita della patria potestà sui nostri figli. Non perché non li amassimo con ogni cellula del nostro corpo, anzi. Tutto ciò era stato programmato da me e accettato con rammarico da mio marito. Infatti, sapevo benissimo che, prima che la falce della morte potesse in qualche modo portarmi via da loro, dovevo essere sicura che avrebbero avuto una nuova vita senza il pericolo di ritrovarsi nelle grinfie della loro cara nonnina.
Non so perché mi illusi che lei non avrebbe potuto mettere le sue manacce su di loro con grande facilità anche una volta abbandonati al loro destino, però, in fondo, quello fu l'unico errore che commisi, perché la restante parte del mio piano per lei fu sempre un grande mistero.
Imposi a Sam di progettare un'ipotetica fuga che fosse ben diversa dalla mia. Nessuno dei due si sarebbe mai rivelato la propria destinazione. L'importante sarebbe stato rincontrarci tre giorni esatti dopo la nostra fuga poco più a sud del confine messicano.
Capii quale sarebbe stato il mio piano per il mio futuro e per quello dei miei figli quando mi ritrovai tra le mani i Detective Selvaggi di Roberto Bolaño. Per eliminare ogni tipo di prevedibilità decisi che avrei semplicemente scelto la mia meta in base al giorno dell'anno in cui mi sarei ritrovata faccia a faccia con la verità della caccia che i Weiss stavano organizzando per noi.
Scattai delle fotografie e, poi, con il passare dei mesi, le scattai di nuovo. Avevo pile e pile di istantanee di me e dei miei bambini, ognuna aggiornata a ogni giorno di ogni mese per due anni.
Mi ricordai dell'anello che avevo sottratto a mia madre e, quando riaprii la vecchia scatola in cui l'avevo relegato, mi resi conto di non aver mai davvero fatto caso al fatto che i diamanti fossero proprio cinque. Quasi come il destino avesse voluto impormi di tornare indietro per portare con me un oggetto che, non solo nel passato era già stato in grado di rappresentare il mio futuro, ma che in qualche modo sarebbe stato anche determinante per la mia fuga e per il successivo ricongiungimento con i miei figli.
Carol era diventata la mia migliore amica sin da quando ci eravamo trasferiti in Dakota del Nord e sapevo che avrebbe tenuto la bocca chiusa su quelle cinque incisioni persino se alla sua porta si fosse presentato il presidente degli Usa con una pistola puntata alla sua tempia. Non le spiegai perché avessi urgente bisogno che quel gioiello unico fosse trasformato in cinque diversi anelli, né tantomeno volli darle una spiegazione sul perché io dovessi pensare così bene alla scelta da prendere, quando le chiesi tempo per riflettere su quali numeri incidervi all'interno.
Ricordo perfettamente il giorno in cui mi sedetti a tavolino per decidere quale sarebbe stato il luogo in cui avrei metaforicamente seppellito il mio testamento.
Mio marito mi si avvicinò, dopo qualche ora di riflessione, sorpreso dal mio atteggiamento così distratto per tutto il corso della giornata.
«Come mai oggi sei così concentrata a scrivere su quell'agenda?» me lo aveva domandato all'improvviso, prendendomi alla sprovvista. Mi ero quasi spaventata ad aver udito la sua voce così vicina senza preavviso.
«Sto scrivendo la nostra storia su questo diario da un po'... se mi succede qualcosa voglio che tu lo dia ai bambini quando saranno abbastanza grandi» lo guardai distrattamente con la coda dell'occhio, senza alzare il capo dai quei fogli bianchi sporcati d'inchiostro nero.
«Dovranno passare sul mio cadavere per farti del male... non potrò darlo ai nostri figli perché se tu sarai morta, lo sarò anche io» mi prese la mano e iniziò a giocare con le mie dita facendole congiungere alle sue.
«Sam ti prego, non è uno scherzo. So che tu sei di altro avviso, ma ho davvero bisogno che tu mi dia una certezza per riuscire a sopravvivere... Se dovesse trovarmi e darmi la punizione che lei crede io meriti, tu dovrai dare ai ragazzi quel diario al compimento della maggiore età di Tony. È raccontata ogni cosa qui sopra, sto spiegando loro anche il mio piano. Magari un giorno ti sarà utile per ritrovarmi se sarò costretta a fuggire» staccai il mio palmo dal suo. Attesi che lui mi confermasse la sua disponibilità a rispettare i miei progetti prima di concedergli nuovamente il mio tocco.
«E va bene...» sbuffò «che cos'è questo numero?» indicò il 95023 che avevo segnato a matita nella parte sommitale della pagina.
«Spero che i nostri figli non debbano mai scoprirlo» sorrisi amaramente «ho assegnato loro un numero in base a una descrizione dei loro caratteri e di ciò che significano per la nostra famiglia. Ascolta e dimmi se ho sbagliato qualcosa... ne va del nostro ipotetico futuro... quindi sii sincero».
Cominciai a leggere ciò che avevo segnato con tanta cura su quella carta.
In senso elevato il nove è il numero dell'iniziazione, perché essendo l'ultima e la più alta delle cifre elementari segna la fine di una fase dello sviluppo spirituale e l'inizio di un'altra fase superiore, simboleggiata dal passaggio dalle unità alle decine.
«Io e te quando abbiamo avuto Tony siamo stati costretti ad abbandonare le nostre vite e la nostra quotidianità. Tutti i nostri errori li abbiamo commessi a causa di quella gravidanza inaspettata che ci siamo trovati a vivere così giovani, eppure, mi sono sentita una donna migliore la prima volta che ho sentito il pianto di nostro figlio. Tony è senza dubbio un nove, perché ci ha concesso di diventare persone migliori mediante ogni sorriso, ogni risata e persino ogni pianto. Chi sta accanto a nostro figlio non può che imbrattarsi della purezza che emana».
Gli individui cinque sono persone multiformi perché il pentagono, loro simbolo, ha molti lati. Il cinque è esattamente a metà strada della serie delle cifre elementari da uno a nove, essi pertanto possono essere versatili e adattabili, ma anche esitanti e incerti, con gli occhi che si volgono in avanti e all'indietro alternativamente.
«Quando ho letto questa definizione del numero cinque non ho potuto che pensare al nostro Mike. Lui è tutto. In lui ci sono infinite sfaccettature. È la perfetta metà di ognuno dei suoi fratelli, persino di Lisa che sin da neonata è sembrata l'opposto del nostro secondogenito. Affidandogli questo numero io gli assegno simbolicamente il ruolo più complesso. So che sarà lui a ricondurre tutti al futuro tenendo sempre un occhio fisso sul passato».
Lo zero è un potente simbolo di nuovi inizi e ha un potenziale infinito. Questo numero appare quando sei chiamato a creare qualcosa di nuovo nella tua vita.
«L'aggettivo potente si addiceva così bene a Lisa che non c'è stato neanche bisogno di consultare il resto, prima di decidere quale numero le avrei assegnato. Lei ha rappresentato per noi qualcosa di nuovo, il nostro inizio felice con la nostra famiglia sempre più numerosa. Lo zero non è il nulla come molti potrebbero pensare, lo zero è l'infinito che vedo ogni qualvolta la guardo negli occhi».
Sensibile e consapevole, la persona del numero due è predisposta, ove necessario, a porgere sostegno al prossimo, oltre che a se stesso, dimostrando amicizia, comprensione e tatto in tutti gli aspetti della vita quotidiana.
«Neanche per Lena credo ci sia molto da spiegare. Lei è due. Lei è Lena e Lisa; è Lena e me quando mi guarda con affetto e mi accarezza il volto; è Lena e te ogni volta che sale sulle tue spalle e che ci si appoggia come se quella fosse casa sua; è Lena e Elle tutte le volte che finge di odiarla perché ha paura di perdere il nostro amore, ma poi è la prima che le corre dietro quando piange; è Lena e Mike quando restano stretti in un abbraccio asfissiante mentre guardano la tv; è Lena e Tony quando ci sono soltanto quattro merendine e tu dici a lui di lasciarle per i suoi fratelli e lei ne mette in tasca una e poi gliela regala sottobanco senza che tu te ne accorga. Lei è lei, e le auguro di esserlo per sempre».
Tre, numero perfetto in quanto tale.
«Elle è soltanto una bambina piccola, così tanto che a volte mi spaventa il pensiero di non vederla mai crescere. Ho paura di non riuscire a immaginare quella che diventerà per davvero. Ma io lo so, una madre sa sempre dal primo sguardo chi avrà davanti. Elle è stata il coronamento ultimo della nostra famiglia, del nostro immenso amore, e lei sarà sempre un po' di me, un po' di te, un po' di Tony, un po' di Mike, un po' di Lisa e un po' di Lena. Ma di tutti noi, sarà sempre il meglio. E io le affido quel numero, perché so che anche in un mondo difficile senza i suoi genitori lei sarà in grado di donare la perfezione a qualcun altro nel globo e a far in modo che la stessa giunga anche a chilometri di distanza ai suoi fratelli».
«E... e per me che numero sceglieresti?» balbettò con le lacrime agli occhi. Era da tempo che non lo vedevo così commosso.
Non necessitai nemmeno di un secondo per dargli la mia risposta. Dare un numero a noi due non sarebbe servito a nulla tenendo conto del piano che avevo per i nostri figli, ma non ero mai stata in dubbio su ciò che io e lui avremmo potuto essere da un punto di vista simbolico.
«Io e te siamo un otto. Perché se l'otto è il numero della rinascita, io e te l'abbiamo fatto fin troppe volte da quando ci conosciamo... io e te rinasciamo insieme e rinasceremo insieme qualsiasi cosa accadrà. Perché un otto in orizzontale è pur sempre un infinito e noi, mio caro Sam, malgrado alle volte mi guardi come una pazza, noi siamo infinito».
«Ti amo Bob» pronunciò di getto quelle tre parole che non ascoltavo da anni.
Sentii un dolore irradiarsi nel petto e prendere possesso di ogni centimetro del mio corpo.
«Non lo puoi dire Sam... non lo devi d-» mi bloccò, appoggiando l'indice sulle mie labbra.
«Qualche giorno fa mi hai chiesto di scegliere una parola che possa farci intuire la presenza di un pericolo, una sorta di parola di sicurezza... ebbene, se per qualche triste motivo mi ritroverò a doverti dire addio, l'ultima frase che voglio sentire è proprio questa... dimmi ti amo El, e io saprò che quello è il nostro segnale. Ti prometto che non lo pronuncerò mai più se non vi sarà ragione di farlo, ma adesso ricambia, perché ho bisogno con tutto me stesso di sapere che sotto questa coltre problematica di Grace e Sam sono rimasti ancora integri Bob ed El. E che qualunque cosa accada, chiudendo gli occhi, potrò immaginare nuovamente questo momento in cui mia moglie, dopo aver analizzato alla perfezione la nostra famiglia, ha voluto suggellare questo momento dicendomi per l'ultima volta, dopo più di un decennio, il nostro ti amo al contrario. Perché è in quel nostro ti amo al contrario che risiede il nostro infinito».
«Ti amo El» pronunciai a gran voce, guardandolo dritto nelle sue iridi profonde.
«Ti amo Bob» si avvicinò a me stampandomi un bacio casto quanto pregno di significato sulle labbra.
Proprio in quell'istante udimmo uno strano mormorio di disgusto e non a molta distanza notammo la presenza di Mike e Lisa sporchi dalla testa ai piedi di fango.
«Papà, quando avete finito di dare vita a questi spettacoli vomitevoli, potresti aggiustare la bicicletta di Lisa? Ci ho provato, ma forse non è stata una buona idea farlo a ridosso di una pozzanghera» risero all'unisono, allargando le narici allo stesso modo.
«Tocca a te, mi dispiace!» sogghignai, felice che fossero rientrati dal giardino per chiamare lui e non me.
Mio marito mi mandò a quel paese stando ben attento a non mostrare quel gestaccio prodotto con la mano ai nostri figli.
Quando rimasi nuovamente da sola, potei continuare nell'articolare il mio piano.
«95023 è il codice di avviamento postale di quale cittadina?» aprii il National Zip Code Directory e cercai con attenzione il numero che avevo ottenuto dalla definizione dei miei figli, nonché quello che avrei fatto incidere a Carol nei cinque anelli ricavati da quello di mia madre.
«Eccolo qui» esclamai ad alta voce come se ci fosse stato qualcuno a cui dirlo «Hollister, California».
Digitai sulla tastiera del computer quella città e attesi che la nostra lentissima connessione a internet mi riproducesse, dieci minuti dopo, il risultato.
Cercai tutte le informazioni che mi servivano e da quelle decisi ancora meglio come organizzare la mia fuga.
Scrissi dietro una fotografia il nome della biblioteca di quella cittadina e il numero seriale corrispondente ai Detective Selvaggi, pregando che quello con gli anni non sarebbe stato modificato.
Tutto era pronto.
Niente sarebbe stato lasciato al caso.
Ogni giorno sarebbe stato di preparazione al momento fatidico.
Sapevo che presto sarebbe arrivato.
E infatti, un giorno freddo di gennaio la verità bussò alla nostra porta, ed io non mi feci trovare impreparata.
Fui pronta ad accoglierla e combattere una battaglia mortale con essa.
Ciò che accadde a Sam, però, resta ancora per me un mistero.
CONTINUA...
Spazio autrice:
Eccoci con la penultima parte della storia dei nostri amati Bob ed El...
Sapete sempre di più su di loro e sui sacrifici che sono stati costretti a fare negli anni che hanno preceduto la loro fuga...
La prossima settimana il quadro, almeno per quanto riguarda Grace, sarà completo.
Chissà, però, cosa è accaduto a Sam...
In ogni caso spero vivamente che questa lunga parentesi non vi stia annoiando, purtroppo per me era necessario spiegare ogni passaggio nel modo più approfondito possibile.
Non trovate che 9 5 0 2 3 siano dei numeri azzeccatissimi per descrivere ognuno dei Robertson?
Per qualsiasi chiarimento io sono qui, ricordatevelo sempre.
Grazie per essere ancora con me,
Non mi abbandonate🥀,
Sempre vostra, Matilde.
Ps. Se avete già premuto sulla stellina e se avete già lasciato un commento vi invito a raggiungermi su Instagram per porgermi qualche domanda in anonimo.
A mercoledì prossimo!
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