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Capitolo 38 - Sempre vostra, Nora (E&B)

Divenni presto consapevole di essere incinta.

Quando tornai a casa, lessi tutto d'un fiato una rivista datata di mia madre.

E capii.

Lo capii senza che ci fosse bisogno di un test di gravidanza.

Sentivo mio figlio dentro di me senza che si fosse neppure formato.

Tuttavia, pur avendone già la certezza, scelsi comunque di tacerlo a Bob.

Avevo compiuto diciotto anni due mesi prima, ma non era così semplice decidere cosa ne sarebbe stato della mia vita e di quella dell'esserino che portavo in grembo. Sebbene i Weiss avessero potere in ogni campo e avrebbero potuto senza fatica rendermi legalmente capace di prendere una qualsiasi decisione, io non avevo ancora capito che cosa volevo dal mio futuro.

Diventai giorno dopo giorno schiava del mio segreto ed esso purtroppo non fu l'unico che fui obbligata a portare sulle spalle come una croce.

Per il ballo di fine anno, Bob fu costretto a minacciare un ragazzo che frequentava un paio di corsi con lui. Lo obbligò a venirmi a prendere e a fingersi il mio fidanzato. Fu molto difficile per lui indossare per la prima volta i panni dei Weiss e farsi valere in quel modo.

Ma, alla fine, fu necessario.

Solo grazie a quello riuscimmo ad avere la nostra serata perfetta.

Fui costretta a mentirgli in più occasioni soprattutto ogni qualvolta provava a offrirmi qualcosa da bere che avesse anche una minima percentuale di alcool.

A parte alcuni piccoli momenti di ansia, tutto andò per il verso giusto, almeno fino a un punto di quella serata.

Io e Bob uscimmo mano nella mano alla ricerca della limousine che ci avrebbe condotti a casa sua, dove ormai, senza che nessuno dei due avesse amici, ci rifugiavamo.

Non appena fummo fuori, però, vidi qualcuno che non avrei mai potuto immaginare di ritrovarmi lì.

Incrociai lo sguardo fuori di sé di mio padre.

Vidi nei suoi occhi velati di lacrime il riflesso delle nostre mani intrecciate.

«Mi ha chiamato un mio collega per chiedermi come fosse possibile che Hannah Weiss si vantasse dicendo che mi aveva in pugno... che mia figlia andava a letto con suo figlio... io... oh mio Dio... Nora, sali in auto» era confuso, amareggiato, distrutto da ciò che aveva appena realizzato.

Una vita per costruire la sua carriera e, poi...

«Nora» mi richiamò fuori di sé.

«Signor Saintclaire, la prego. Io non sono come i miei genitori... glielo giuro... io amo sua figlia» Bob si rifiutò di staccare le sue dita dalle mie «mia madre non si permetterà più di fare certe illazioni... la prego... non mi tolga l'unica cosa che mi fa stare bene nella mia vita. L'unica ragione che non mi permette di diventare come loro» fece molta fatica a non scoppiare a piangere. Non lo guardai in volto, ma lo sentii dal modo in cui gli si incrinò la voce.

Io ero totalmente congelata.

Non riuscivo neppure a sbattere le palpebre.

«Non mi importa niente, ragazzino. Di chi sono i soldi che ti hanno pagato quel vestito? E quella limousine? Persino il corsage che le hai regalato... mi viene il vomito se penso al fatto che milioni di drogati assuefatti abbiano contribuito a pagare persino il bordino di quella camicia che sta sfiorando mia figlia».

«Papà» trovai il coraggio di controbattere.

«Se non entri immediatamente nella mia auto, sarà la polizia a venirti a prendere... e non credo che ai Weiss faccia piacere avere estranei in casa» si avvicinò di più tirandomi per un braccio.

Alla fine, sia io che Bob affievolimmo la presa l'uno sull'altro.

Eravamo già consapevoli che un giorno tutto quello sarebbe accaduto.

Il problema è che nessuno oltre me sapeva che a vivere quel dramma eravamo in tre.

***

Mi tennero chiusa in casa fino al diploma.

Mer finse di non sapere niente di quella storia e almeno lei continuò a fare da anello di congiunzione tra me e Bob.

Lui comunicava con me inviandomi dei bigliettini incredibilmente dolci e, a volte, quando mamma usciva per fare delle commissioni e papà era al lavoro, mi fiondavo sul telefono pur di sentirlo.

Il tempo passava e la pancia cominciava a crescere.

Non riuscivo più a fingere che avessi soltanto molto più appetito del solito.

Dovevo dirlo almeno a Bob, dovevamo prendere una decisione insieme.

Avevamo due possibilità.

La prima era piegarci ai Weiss, la seconda farci uccidere dai miei genitori.

Non avrei saputo sceglierne una.

Alla cerimonia del diploma ci guardammo da lontano tutto il tempo.

Werner e Hannah erano da un lato e la mia famiglia dall'altro.

Esattamente come in una suddivisione dicotomica tra bene e male.

La signora Weiss ogni tanto lanciava occhiate di vittoria a mio padre, il quale non riusciva a non imprecare contro quella donna e suo marito ogni minuto che ci avvicinava alla fine di quello che lui definiva un incubo.

Era convinto, infatti, che sarebbe bastata la fine della scuola per dare una conclusione alla mia relazione con Bob.

Quanto si sbagliava...

«Tanti auguri Eleanor».

Mi venne quasi un infarto a sentire quelle parole provenire proprio da quella voce.

«Ehm, grazie» sorrisi appena, scrutandomi attorno per capire quale fosse la posizione dei miei genitori.

«Sbaglio o sei un po' più... come dire... rotondetta?» tremai al solo pensiero che lei avesse capito.

«Ho messo su qualche chilo... sa... non sono molto felice da quando qualcuno ha fatto in modo che io e Bob venissimo separati» allusi a lei e alla sua lingua lunga. Sperai che i malumori causati dalla brusca interruzione della mia relazione con suo figlio potessero convincerla a non indagare oltre.

«Sarà tesoro... un mucchio di strane coincidenze... ma sappi una cosa... se ci fosse dietro qualcosa di più, io ne sarei felicissima. So che non apprezzi ciò che io e Werner facciamo, ma c'è anche da dire che potremmo darti tutto ciò di cui hai bisogno, persino protezione da padri troppo severi» sorrise in maniera esagerata, non appena scorse mio padre avvicinarsi a noi furente.

«Ciao Tony caro... ci si vede in tribunale... ciao mia dolce Eleanor» rivolse un occhiolino a entrambi e scomparì tra la gente.

***

Dovevo dirlo a qualcuno.

Il segreto mi stava uccidendo, così come il bambino che portavo in grembo.

Vomitavo così tante volte in una sola giornata che ormai chiunque intorno a me si era allarmato. Non sarebbe passato molto tempo prima che i miei genitori sarebbero riusciti a collegare i pezzi. Loro mi credevano una vergine illibata, ma Hannah dal canto suo ci aveva tenuto a dire a tutta New York che ero andata a letto con suo figlio. Tuttavia, l'unica persona di cui mi importava veramente era Bob. Avevo aspettato fin troppo tempo per renderlo partecipe di un qualcosa che coinvolgeva tanto me quanto lui.

Un pomeriggio saltai una delle ultime prove fondamentali prima dello spettacolo finale. Sapevo che in qualche modo i miei genitori l'avrebbero saputo, ma non potevo lasciare che il tempo scorresse ancora senza ricongiungermi all'amore della mia vita.

Quando ero arrivata, non era neppure in casa.

Mi avevano costretta ad aspettare nel corridoio come fossi stata un'estranea qualsiasi e, poi, quando finalmente l'avevo visto, avevo cominciato a piangere senza controllo.

Mi aveva presa per mano, conducendomi nella sua camera da letto, là dove avevamo commesso quello splendido errore che sarebbe diventato il nostro primogenito. Aveva cercato di farmi parlare, ma, quando si era reso conto del mio stato di shock, mi aveva fatta adagiare sul suo petto e aveva atteso paziente che io trovassi il coraggio.

«Devo dirti una cosa... e non so se ti piacerà» riuscii a dire tra un singhiozzo e l'altro.

«Se sei entrata a Berkeley verrò con te... stai tranquilla» mi accarezzò il capo, pensando che il problema sarebbe stato il nostro futuro accademico. 

Beato lui che ancora credeva che ne avremmo avuto uno.

Mi alzai di poco, giusto quanto bastava per specchiare le mie iridi nelle sue.

«Sono incinta» sussurrai a bassa voce.

Lui sbatté gli occhi confuso, scosse leggermente la testa, e poi, proprio quando avrei creduto che si sarebbe messo a urlare, un sorriso enorme comparve sul suo viso.

«Questa è una notizia fantastica» appoggiò il palmo destro sulla mia pancia «non posso crederci» diede un bacio all'altezza del mio ombelico.

«Sei impazzito forse? Come faremo?» non ce la feci a vederlo così felice grazie a una notizia che mi stava logorando.

«El, questo bambino è nostro. Non è della tua famiglia e non è della mia... farà parte della nostra famiglia. Abbiamo entrambi diciotto anni e non mi importa dell'opinione degli altri. Io amo te e imparerò ad amare allo stesso modo questa creatura...».

«Sì, ma pensiamo a cose più concrete... Bob non abbiamo soldi che siano nostri, non abbiamo un lavoro, non abbiamo prospettive di vita futura che includano la possibilità di avere un figlio. E soprattutto i miei genitori non accetteranno mai che io partorisca un Weiss».

Ero disperata.

Mi vedevo già annegata nelle preoccupazioni insieme al feto che cresceva con me e dentro di me.

«E allora non sarà un Weiss. Se loro vorranno sarà un Saintclaire... a me non importa nulla di tutto questo. Io voglio soltanto stare con te».

«A tua madre non farà piacere» ancor prima di parlare con Hannah sapevo che lei non avrebbe mai accettato quell'eventualità.

«Lei è qui... scopriamolo» afferrò la mia mano e mi trascinò controvoglia verso l'ufficio dei suoi genitori, luogo fino ad allora inesplorato per me.

«Ìmma» salutò Hannah in ebraico «dobbiamo dirti una cosa».

Alle parole di suo figlio, lei sorrise.

E forse poté ingannare lui, ma non me.

Quell'espressione non preannunciava nulla di buono.

«Finalmente Eleanor» alluse al fatto che lei lo avesse capito anche prima di me «congratulazioni figlio mio. Non credevo che avresti realizzato il mio sogno così presto, ma ne sono felice. Chiunque sia in quella pancia, sarà un tuo degno successore alla Weiss». E già con il suo discorso iniziale partimmo molto male.

«Tu sai benissimo che io non sarò alla guida di nulla» Bob scosse la testa, mordendosi il labbro inferiore.

Anche lui adesso stava iniziando a essere terrorizzato.

«Credi che tuo padre sia sopravvissuto a Birkenau per vedere te buttare all'aria ogni sacrificio? Pensi che Adrial, mio padre, sia morto in quella guerra perché io accetti che la mia stirpe si estingua? Oh, Robert... cresci un po'» i suoi occhi si trasformarono, colorandosi di un rosso intenso quasi infernale.

Non compresi neppure mezza parola di quelle che rivolse a suo figlio, ma semplicemente confermò ciò che già sapevo in cuor mio.

Non saremmo mai stati liberi.

«Ci sono tutti i nostri cugini... non devo essere io» non so come lui riuscì a risponderle, considerato quanto fosse stato preso dal panico.

«Quali cugini Robert? I figli dell'uomo che ha ucciso mio padre? Come puoi dimenticarti del fatto che io sia una Schultz. Ho sposato tuo padre perché l'amavo, ma anche perché avevo uno scopo preciso... riprendermi ciò che era mio di diritto!» urlò, forte, tanto forte che dovetti combattere con la voglia di fuggire lontano.

Stavano dicendo cose che io non avrei potuto comprendere, se non quando Robert in separata sede me le avesse spiegate con le lacrime agli occhi.

Werner, quando era ancora un bambino, era stato liberato dai russi in un campo di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale ed era riuscito a raggiungere suo zio paterno a New York, dopo che la sua intera famiglia polacca era stata sterminata.

Nella Grande Mela, a quell'altezza cronologica, c'erano due grandi famiglie ebraiche che lottavano contro le altre mafie che si erano stabilite in città, prima fra tutte quella italiana.

Gli Schultz e i Weiss, insieme, erano riusciti a prendere il controllo delle maggiori piazze di spaccio in un modo molto diverso da come ancora avveniva nella nostra contemporaneità. Infatti, ciò di cui si occupavano maggiormente all'epoca era la produzione di un rum che fatto evaporare si tramutava in cocaina o in altre droghe in polvere.

L'avidità dei Weiss, capitanati dallo zio di Werner, li aveva portati a dare vita a una guerra civile contro gli Schultz, il cui capo era Adrial, il padre di Hannah.

C'era stato un agguato una notte.

Hannah aveva visto morire entrambi i suoi genitori per mano dello zio di quello che sarebbe diventato suo marito e da quel giorno aveva nutrito in sé una voglia di riscatto che nessun altro essere umano sarebbe riuscito a sopportare.

Non vedeva che la voglia di riprendersi ciò che era suo, e nel più anziano Werner aveva trovato un'opportunità.

Lui, pur non essendo figlio diretto di Levi Weiss, era stato adottato e reso a tutti gli effetti un erede al trono.

E, proprio quando era stato il momento di scegliere un successore, la spada metaforica dello zio era ricaduta sulla sua spalla.

Era lì che Hannah era entrata in azione.

Aveva ammaliato il suo futuro marito e aveva preso insieme a lui le redini di quell'Impero.

Avevano avuto, però, un unico figlio: Robert.

L'unica speranza, vista ormai la malattia di Werner, che un Weiss-Schultz potesse continuare a regnare con accanto sua madre.

Hannah, infatti, sapeva sin dal giorno in cui era diventata ufficialmente la signora Weiss che i cugini di suo marito avrebbero tramato contro di lei e la sua famiglia.

Se Robert avesse abdicato sarebbe stata la fine.

A quel punto nessuno, morto Werner, sarebbe stato capace di salvarla da quello stesso colpo di pistola che anni prima aveva sterminato la sua famiglia.

Bob rappresentava l'unica salvezza, e con lui il bambino che io portavo in grembo.

Avevo capito, ancor prima di entrare in quella stanza, che la mia gravidanza si sarebbe trasformata in un enorme trappola, ma non potevo mai immaginare quanto lo sarebbe stata.

Hannah mise sul piatto una sola proposta, non negoziabile.

Avrebbe pagato qualsiasi università per entrambi, ci avrebbe fatto vivere nel migliore dei modi possibili ma, quando Werner sarebbe passato a miglior vita, Bob sarebbe dovuto tornare al comando. Come un fantoccio, diceva lei, giusto quel tanto che bastava perché i cugini non le muovessero guerra. Ma io e lui non avremmo mai potuto accettare quella possibilità.

Era tempo di crearci un futuro che fosse tutto nostro.

Era arrivato il momento di abbandonare le nostre vecchie vite.

Lo dovevamo a noi e a nostro figlio.

Eravamo Giulietta e Romeo, ma avremmo cambiato l'epilogo.

Eleanor, Giugno 1994, New York.

Era trascorso altro tempo da quando avevamo deciso di comune accordo di mettere insieme il piano più folle che fosse mai stato creato.

La mia pancia ormai era sempre più visibile, e con la mia famiglia non avremmo più potuto fingere oltre.

Tutto quello che dovevamo fare doveva essere concluso in pochi giorni, altrimenti tutti i nostri progetti sarebbero saltati.

Bob pagò un medico specialista per darmi una diagnosi di un'infiammazione grave ai tendini plantari. Quello mi permise di fare una terapia fasulla con dei medicinali che potesse spiegare il mio aumento di peso, nonché darmi un alibi per qualche pomeriggio passato fuori casa.

Non fui più costretta a fingere di essere la stessa Nora di un tempo, a ballare in un saggio di danza che non sentivo assolutamente più mio, e così io e Bob ottenemmo ben due giornate da passare insieme per raggiungere i nostri scopi.

La prima cosa che facemmo fu rubare quanto più denaro possibile dalla cassaforte di casa Weiss.

Werner aveva una nuova speranza di vita grazie a una chemio più forte che però avrebbe portato entrambi i coniugi a qualche km in più del solito dal loro centro di comando. Hannah aveva chiesto a Bob di sostituirla, ma lui aveva finto di avere degli impegni riguardanti la mia gravidanza.

Alla fine, ovviamente, pur di prendere tempo, avevamo dovuto mentirle. Le avevamo fatto credere, infatti, che ci saremmo rifugiati sotto la sua ala.

Con l'immenso bottino, avevamo raggiunto la Pennsylvania, là dove Bob sapeva avremmo potuto acquistare delle identità false.

«Che nome volete assumere?» ci aveva chiesto in un inglese stentato un italiano fin troppo sovrappeso.

Avevamo acquistato il pacchetto più costoso. Non solo ci avrebbero fornito tutti i documenti di identità, ma anche certificati di nascita per noi e di morte per i nostri genitori fittizi. Avremmo ricominciato d'accapo, assumendo una nuova identità in tutto e per tutto.

«Io vorrei che i miei figli conservassero, pur senza saperlo, un'appartenenza a me in quanto Robert» mi sussurrò Bob mentre quell'energumeno ci fissava ansioso.

«Io credo che userò il nome dell'Accademia... ho sempre sognato di chiamarmi Grace. Tu scegli quello che più ti piace, alla fine non è niente di che... è soltanto una scelta per la vita» risi, provando a sdrammatizzare. In realtà, me la stavo facendo letteralmente nelle mutande.

«Per me, allora, va bene Samuel Robertson... un nome ebreo e un cognome prezioso» mi guardò felice.

«Sei ebreo?» domandò l'uomo losco dietro il bancone.

«Oh, no...» rispose Bob «è soltanto un nome che mi piace... io sono irlandese».

«Devo scrivere sul mio registro le vostre vecchie identità, quindi chi siete? E tu signorina, dimmi qual è la tua scelta che non ho tutto il giorno».

«Grace» annunciai «Smith» aggiunsi, pensando a un cognome diffuso e poco caratterizzato. Alla fine, mi sarebbe servito a poco. Ero sicura che presto Bob mi avrebbe resa la signora Robertson.

«Ottima scelta amore mio» mi prese la mano accarezzandone il dorso «per quanto riguarda i nostri nomi, immagino che questi cinquemila extra ti facciano dimenticare di doverli segnare lì sopra» estrasse dalle tasche una mazzetta di dollari perfettamente ripiegati.

«Datemi soltanto le vostre foto tessere e per il resto... non so di cosa tu stia parlando... non devo annotare niente» mostrò la sua dentatura, un mix tra denti d'oro e denti marci. Mi venne voglia di vomitare.

Gli consegnammo ciò che ci aveva chiesto e ci congedammo con l'accordo di vederci due giorni dopo per il ritiro.

Era quella la nostra scadenza.

Venerdì avrei smesso di essere Eleanor e sarei diventata Grace.

***

Quella sera finsi con i miei genitori di andare a dormire con Mer da Madison, ormai era diventato il nostro rituale. Mia sorella non protestava nemmeno più. In cuor suo l'aveva già capito che presto sarebbe accaduto qualcosa e, seppure non le avessi parlato della mia gravidanza, lei sembrava semplicemente in attesa che fossi io a renderla partecipe.

Io e Bob facemmo l'amore per l'ultima volta nella sua stanza.

Ripassammo il piano di fuga più volte e, poi, non appena si abbandonò al sonno, io mi alzai dal letto, troppo agitata per poter riposare, e cominciai a camminare insonne per la casa.

Mi soffermai a leggere un vecchio giornale riverso sulla poltrona su cui abitualmente sedeva Werner e, a un tratto, rimasi folgorata da un'immagine.

Malgrado fosse in bianco e nero, vi era rappresentato il Lago Sakakawe.

Mi diede una tale libertà che, non appena chiusi gli occhi, immaginai il mio bambino correre nella natura.

Sentii la felicità pervadermi ogni parte del corpo e allora lo seppi.

Seppi che il luogo che avremmo chiamato casa sarebbe diventato lo Stato del North-Dakota.

Abbastanza lontano da qui perché Hannah non potesse trovarci, o almeno così credevo.

Su quel giornale, poi, mi imbattei anche in un altro annuncio pubblicitario interessante. Bob mi aveva consigliato di non dire a nessuno quale sarebbe stata la nostra destinazione, anche perché sua madre, una volta accortasi della nostra scomparsa, avrebbe sicuramente tentato di estorcere informazioni a chiunque avesse persino scambiato un solo saluto con noi due.
Eppure, io non volevo semplicemente partire. Non credevo fosse giusto non lasciare uno spiraglio almeno per Mer, che in tutta quella storia era stata l'unica a dare una possibilità a quella relazione che agli occhi degli altri appariva soltanto come un errore o come un'opportunità da sfruttare. Per quella ragione telefonai dalla cabina telefonica a poca distanza da casa di Bob a quel numero verde e acquistai con la promessa di spedire loro un ingente assegno per i successivi vent'anni, una cassetta della posta. Si poteva decidere di far arrivare in Missouri le proprie lettere e da lì, comunicati un paio di indirizzi diversi, farla giungere direttamente nella mia nuova casa. Decisi di intestare quella cassetta, casomai qualcuno ci sarebbe arrivato in qualche modo, alla mia defunta bisnonna.

Preparai con cura un messaggio per Mer l'indomani.

Mary Elizabeth Paul, Private Postal Service, St. Louis, MO, Stati Uniti.

Custodiscilo come uno di quei segreti che mi sussurravi da bambina. Usalo soltanto per comunicazioni di vitale importanza. Sappi che ti amo con tutta me stessa e che se questa creatura che porto in grembo sarà una femmina prenderà il tuo nome. Perché tu sei stata la mia prima bambina e lo sarai sempre anche se sarò costretta a fuggire dall'altra parte del mondo.

Per sempre tua, Nora.

Quell'ultima notte dormii con lei.

La nostra ultima notte insieme.

Lei non mi fece domande, non si ritrasse disgustata ai miei baci come spesso accadeva. Mer era intelligente, fin troppo. Vidi due lacrime solcarle gli zigomi, eppure lei finse per tutto il tempo che andasse tutto bene.

La mattina uscì presto e io mi rammaricai di non poterla salutare per davvero.

Riposi quel biglietto in una scatola in cui raccoglieva tutti i suoi ricordi, e in cui sapevo che nessuno, a parte lei, una volta saputo della mia fuga, avrebbe messo mano.

Raccolsi poche cose e le inserii nel mio borsone da palestra.

Avevo finto di dovermi recare a fare riabilitazione, così che loro potessero lasciarmi libera di uscire senza problemi.

Vidi mio padre sorseggiare il caffè e mia madre gustare un pancake con sciroppo d'acero.

Li guardai con il cuore infranto e, quando i loro occhi furono su di me, non ce la feci.

Provai a dirglielo, non avrei potuto vivere la mia nuova esistenza da Grace senza sapere che per Eleanor non c'erano davvero delle possibilità. In fondo, mi ero lasciata spaventare da Hannah, senza dare ai miei genitori la possibilità di difenderci da lei.

Perciò, con la voce rauca e il cuore a mille, annunciai «vi devo parlare».

«Ti prego non dirmi che ha ancora a che fare con quel delinquente Nora... eravamo così felici di sapervi finalmente lontani» fu mio padre a parlare prima che potessi farlo io.

«No, è che-».

Mi interruppe nuovamente.

«Lo so che adesso ti sembra che ti stiamo facendo un torto enorme, ma guardati tesoro, sei una giovane donna promettente. Hai Berkley davanti a te... e tu credevi che non saresti mai stata ammessa... e così come pensavi di non essere abbastanza, magari adesso credi di non essere all'altezza di nessun ragazzo perbene. Ma non ti devi accontentare di Robert perché pensi a diciotto anni di aver trovato il tuo grande amore... ne incontrerai tanti come lui e ognuno di loro sarà molto più rispettabile di quanto non lo sarà mai un Weiss» le sue parole erano serie ma al tempo stesso cariche di un amore che solo un padre poteva provare verso sua figlia. 

Ogni genitore non fa altro che augurare il bene al proprio figlio, peccato che non sempre ciò che loro desiderano per noi, equivale a ciò che noi vogliamo.

«Nora cara, cos'è che vuoi dirci? Siamo qui per ascoltarti... noi ti vogliamo bene. Se c'è qualcosa che ci stai nascondendo, a modo nostro, ti saremo accanto» mamma guardò prima la mia pancia e poi me. Anche lei sapeva. Fingeva di non vedere, ma conosceva bene il modo in cui il corpo di una donna cambiava durante una gravidanza. Il problema, però, era stato quel "a modo nostro". Quelle tre parole non potevano che significare che Bob sarebbe stato tagliato fuori dalla mia vita. E quello che volevo in quel momento non era nient'altro che stare con lui e costituire insieme la nostra famiglia. Pertanto, la decisione di andare via venne confermata.

«Oh, no. Era qualcosa su Berkley... ma è meglio se ne parliamo dopo. Adesso prendo una cosa che ho dimenticato di là e scappo in palestra» corsi in camera di mia madre.

Aprii il suo portagioie e strinsi tra le mani uno dei suo anelli preferiti.

Montatura di oro bianco con ben cinque diamanti luccicanti.

Non so perché tornai indietro a prendere proprio quello, ma avevo bisogno di qualcosa che mi ricordasse materialmente il mio passato. E quell'oggetto, come un auspicio, rappresentò il mio futuro senza che io potessi ancora saperlo.

Lasciai nello stesso portagioie che apriva di rado un biglietto.

Un giorno mi perdonerete per aver anteposto la mia felicità alla vostra. Questo bambino merita un padre e una madre. Invece di venire a cercarci, proteggeteci da quanti vorranno la nostra testa. Vi amo con tutta me stessa. Non incolpatevi dei miei sbagli.

Sempre vostra, Nora.

Uscii di fretta, riempiendomi la bocca di due ultimi baci.

Grace Smith era dietro la porta ad aspettarmi, Eleanor Saintclaire rimase per sempre su quell'uscio.

Spazio autrice:
Questo capitolo ve lo dono così com'è.
Sono in vacanza e non ho il tempo materiale di revisionare.
Ora come ora siete in grado di immaginare ciò che è accaduto... Ma tranquilli, ve lo racconterò step by step. Mi auguro che dopo tutti i prossimi capitoli non abbiate più nessuna domanda e nessun dubbio irrisolto.
Grazie perché siete ancora qui con me.
Non mi abbandonate🥀.
Vostra Maty.
PS. Vi lascio su Instagram il link per le domande in anonimo, lasciate anche qui una stellina e un commento se volete sostenere me e Code.
Alla prossima!

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