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Capitolo 35 - Clara

Ci addormentammo molto tempo dopo, sazi e appagati.

Non so per quanto ci perdemmo entrambi nei nostri sogni felici, ma quel che è certo è che ci svegliammo contemporaneamente, quando un rumore forte, appartenente a qualcosa che era appena caduto sul pavimento, ci fece sobbalzare.

Cercai il cellulare di Chris, abbandonato per terra al lato del letto, per controllare che ore fossero. Inizialmente, infatti, avrei dovuto lasciare quella camera all'alba per non dare nell'occhio, ma presi com'eravamo stati dagli eventi, entrambi ci eravamo completamente dimenticati di fare caso al tempo trascorso. 

Difatti, mi resi conto immediatamente di quanto avessimo tardato rispetto alla tabella di marcia prevista per la partenza. Erano già le undici del mattino, eppure nessuno si era addentrato nel sottosuolo per venirci a chiamare. Magari una speranza di non essere beccati c'era ancora. 

Che tutti i membri della famiglia fossero ancora intenti a riposare a letto senza essersi accorti della mia misteriosa sparizione dal divano? Beh, qualcuno sveglio doveva esserci a giudicare dal tonfo che avevamo appena udito.

Io e Chris decidemmo di uscire dal seminterrato insieme, mano nella mano, perché, visto che il caso aveva voluto farci restare insieme così a lungo, era giusto che noi non cercassimo di camuffare quella situazione. Avremmo accettato tutto quello che avremmo trovato al di fuori della porta.

L'aprii lentamente, affacciandomi quel tanto che bastava per poter scorgere chi fosse presente nel salotto-cucina. Riconobbi le sagome di tutti i miei fratelli e anche quelle di Lot, Isa e Mickey. Praticamente all'appello mancavamo soltanto noi due. Tutti e sette erano intenti a consumare la colazione, immersi in un silenzio assordante, sebbene una voce buffa da cartone animato provenisse dal cellulare che mio nipote stringeva tra le mani.

La porta cigolò aprendosi.

Ognuno dei presenti volse il capo verso di noi.

Non riuscii a registrare tutti i loro sguardi.

Mike si alzò in piedi alla velocità della luce, abbandonando la stanza senza dare spiegazioni.

Strinsi più forte la mano di Chris.

Sapevamo entrambi che saremmo riusciti a risolvere ogni problema, ma eravamo anche consapevoli che ci sarebbe voluto molto tempo perché lui fosse anche soltanto disposto a comprenderci e, soprattutto, che potesse anche lontanamente fidarsi nuovamente di noi.

«Ragazze» la voce di Tony spezzò il silenzio, distese la mano destra precedentemente chiusa a pugno a metà tra Lisa e Lena che gli sedevano di fronte.

«Ma l'hai mai persa una scommessa?» la più grande delle gemelle protestò, estraendo dalla tasca dei suoi jeans una banconota spiegazzata da dieci dollari.

«Mai» sorrise fiero.

«Sei consapevole che tra qualche ora sarai costretto a restituirci questi soldi?» Lena alzò gli occhi al cielo, adagiando sul suo palmo due banconote da cinque dollari.

«Non importa... è soltanto il sapore dolce della vittoria a piacermi» ironizzò, lanciando un bacio in direzione mia e di Chris.

«Se i belli addormentati hanno finito di riposare... sarebbe ora di decidere come muoverci» mi fece segno di accomodarmi sulla seduta che precedentemente era occupata da Mike.

Mi avvicinai, fingendo che non ci fosse nulla di strano a vedermi improvvisamente vicina a Chris come non era mai avvenuto alla luce del sole prima di quel giorno.

«Ora che siamo in nove ci servono due auto» ci fece notare Lisa.

«Ho già controllato i prezzi degli affitti... è un suicidio» Lena aprì un'agenda su cui aveva segnato tutti gli autonoleggi della zona con relativi prezzi.

«Perché non proviamo a sentire i Cook... ce l'avranno un'auto in più, no?» Tony chiese direttamente a me. Era implicito che dovessi essere io a contattarli per domandarglielo.

«Se Jay acconsente, ho la soluzione» mi ricordai della Porsche con la quale Eva mi aveva riportata a casa.

Chris estrasse dai pantaloni della tuta il suo IPhone. Lo appoggiò sulla superficie del tavolo, selezionando già il contatto memorizzato con il nome di James Cook.

Bastarono soltanto due squilli, e poi «Chi non muore si risente» la sua voce metallica rimbombò contro le pareti della casa in cui era cresciuto.

«Ciao mio salvatore... come stai?» era giusto che dessi spazio anche a lui, prima di chiedergli un ulteriore favore.

«Meglio di ieri, peggio di domani. Tu? Siete ancora a Encino?».

«Sì... e a proposito di questo... siamo in partenza per il Messico. Abbiamo trovato la chiave che ci condurrà sempre più vicini alla verità... solo che... avrei un altro piacere da chiederti. Ovviamente, dopo tutte queste scocciature, non solo ti restituirò tutto quello che ci hai prestato in termini economici, ma potrai veramente considerarti il depositario di tutti i diritti della nostra storia» la presi alla lunga preoccupata di aver tirato troppo la corda con lui. In fondo, non avrei mai capito, neppure a distanza di un decennio, che cosa lo avesse spinto a essere così determinante nella vita di una persona che altro non era per lui che una sconosciuta.

«Chiedimi quello che devi chiedermi Elle... senza giri di parole... lo sai che farei di tutto per te» percepii il suo sorriso, e mi sembrò di poterlo vedere lì davanti a me. Quanto avrei voluto essere abbastanza vicina a lui per poterlo abbracciare.

«Avremmo bisogno della tua auto... siamo un po' lievitati di numero e non abbiamo più spazio nel pick-up. So che la tua Porsche è rimasta a Malibu e ti prometto che Tony la tratterà meglio di sua moglie, se acconsentirai a prestarcela».

«Posso assicurarti che mio marito mi tratta muy bien» Isa ci tenne ad avvalorare la mia tesi.

«Spero tu sia assicurato per furto, perché quella è l'unica cosa che non posso controllare... per il resto, mio caro Jay, sei in una botte di ferro» anche Tony decise di intervenire pur di aumentare le nostre chances di ottenere il suo veicolo.

«Sì ragazzi, non c'è bisogno... era un sì anche prima di tutte queste precisazioni. Se posso aiutarvi ancora una volta lo faccio senza problemi. Chiamo immediatamente JJ e ve la faccio portare... promettetemi soltanto che alla fine di tutta questa avventura ci incontreremo... non sto nella pelle, voglio conoscere tutti i dettagli» parlò con entusiasmo e io fui così felice di averlo conosciuto. Era così difficile da credere, eppure, quello che avrebbe dovuto essere un estraneo, si era trasformato in così poco tempo nel mio angelo custode.

Senza di lui, nulla sarebbe mai stato possibile.

I Robertson sarebbero rimasti nient'altro che un paio di frammenti di Harbour-Fitzgerald, Eliot, Williams e Wolf, tutti slegati tra loro.

E i nostri genitori, isolati chissà dove, sarebbero morti senza poterci mai più rivedere.

Se solo quel giorno non avessi scelto grazie alle sue parole di abbandonare ogni maschera, tutto quello che avevamo vissuto fino a quel momento non sarebbe mai esistito.

Tutto era merito di Jay.

***

Partimmo qualche ora dopo.

Per la prima volta da quando quel viaggio era iniziato io e Mike non fummo insieme.

Il nostro rapporto, non proprio idilliaco in quel momento, ci costrinse a separarci.

Tony, la sua famiglia e Mike nell'auto di Jay e io, Chris, le gemelle e Lot nel pick-up.

Ci aspettavano ben dodici ore di auto, ma l'intenzione di tutti noi era quella di non fermarci per la notte. Le gemelle avevano ottenuto il permesso di proseguire avvicendandosi alla guida quando Chris sarebbe stato troppo stanco, così come Isa avrebbe dato il cambio a suo marito.

Non eravamo in vena di fare soste e, infatti, oltre a quelle necessarie per andare in bagno, avevamo deciso persino di consumare un pasto veloce rimanendo sempre in marcia.

Ora che eravamo sulla strada giusta non ci sembrava fosse più opportuno perdere tempo.

A Nogales ci aspettava la verità.

E più ci avvicinavamo e più ce la sentivamo addosso.

«Secondo voi quale sarà la destinazione?» Lena abbassò il volume della radio e si rivolse a me e alla sua gemella che eravamo le uniche due persone ancora sveglie. Fuori ormai era notte. Il caldo messicano si era appiccicato alla nostra pelle, facendoci boccheggiare. Avevamo accolto più insetti dai finestrini nelle ultime ore che in tutto il precedente viaggio. Le zanzare mi avevano punta persino sul sedere pur non avendolo mai mosso dal sedile.

«Ci sono quattro biblioteche a Nogales... Chris dice che nel libro non è specificato il nome... quindi immagino che a orario di apertura dovremmo girarle tutte».

«Sono soltanto due quelle nei confini messicani. Ricordatevi che Nogales è una città che è per metà in Messico e per metà negli Usa» sussurrò Chris, mentre si voltava a darmi le spalle ancora mezzo addormentato «ci conviene restringere il campo a quelle... non avrebbe senso se lei fosse rimasta in Arizona».

«Una è per adulti e una per bambini... io direi di dirigerci direttamente alla prima» Lisa che in quel momento era alla guida ci fece riflettere.

Per quanto stessimo continuando a pensare che ci sarebbe voluto ancora molto per trovare la strada giusta, in realtà non era rimasta che un'opzione davanti a noi. Ormai non c'erano molte possibilità di sbagliare. Nonostante ciò avevamo comunque paura. Perché per quanto provassimo a scervellarci, nessuno di noi sembrava neanche lontanamente vicino alla risposta.

Cosa era accaduto il 20 gennaio del 2006? E quale evento aveva convinto i nostri genitori a fuggire abbandonandoci ai nostri destini?

***

Erano le sette del mattino.

Stanchi e provati sedevamo davanti alla porta d'ingresso della Biblioteca Pùblica.

Mancava un'ora all'apertura e non vi era anima viva.

«Che ne dite se mangiamo qualcosa?» Isa ce lo domandò nell'esatto momento in cui il suo stomaco produsse un rumore assordante. Mickey, appoggiato sul ventre di sua madre, si spostò spaventato.

Tony cominciò a ridere fino alle lacrime.

Lei tentò di picchiarlo con la borsetta, inseguendolo per qualche metro, prima che lui decidesse di farsi prendere.

Di comune accordo, dopo il loro bizzarro siparietto, decidemmo che fosse giusto non nutrirci semplicemente di sigarette. Perciò, cercammo un diner non lontano da lì e lo raggiungemmo a piedi.

A eccezione di Isa e Lot, noi Robertson e Chris ordinammo tutti quanti i pancake allo sciroppo d'acero.

Mi ricordai della prima volta in cui mi ero fermata a mangiare con Chris, quando io e lui eravamo partiti dalla Penn. In quell'occasione mi aveva detto che a casa Eliot avevano sempre e solo consumato un'unica colazione, perché così Mike aveva voluto. Immaginai a quel punto che tutti noi, almeno io senza saperlo, avessimo mantenuto una tradizione che era radicata molto più in profondità di quanto avessimo potuto pensare.

Mi fece sorridere riflettere su come fossimo rimasti tutti e cinque collegati per sedici anni. Apparentemente distanti, non ci eravamo mai allontanati per davvero. C'erano persino degli stupidi pancake a tenerci uniti. Che idea folle doveva essere stata quella di cercare di separare l'inseparabile.

Ci intrattenemmo lì per tutto il tempo che ci avrebbe permesso di trovare la biblioteca finalmente aperta.

Chris ricontrollò per l'ennesima volta la pagina dei Detective Selvaggi afferente agli eventi del venti gennaio, confermando che fossimo nel posto giusto.

Mike non ci rivolse direttamente la parola, ma lo beccai un paio di volte a guardarci. Ci stava studiando, cercando di decidere se darci o meno una possibilità. Io scelsi volutamente di lasciargli il suo tempo, senza pressarlo con inutili discorsi che non avrebbero fatto nient'altro che indispettirlo ancora di più.

Ero consapevole di quanto gli mancassero i momenti insieme e di quanto lui stesse penando a stare così lontano da suo fratello che, pur non avendo il suo stesso sangue, era per lui un rifugio non indifferente.

Inoltre si era venuto a creare uno strano rapporto tra Mike e Lot. Lei aveva scelto di viaggiare nella nostra auto pur di rimanere a distanza da lui, ma, cosa si fosse consumato tra i due dopo ciò che era successo la notte precedente nessuno lo sapeva.

Nemmeno Lisa, che solitamente non aveva alcuna vergogna a impicciarsi negli affari degli altri, sembrò disposta a indagare.

Ridemmo e scherzammo tra noi come se non avessimo dovuto di lì a poco varcare la soglia del luogo in cui ipoteticamente si stavano nascondendo da anni i nostri genitori.

Il tempo scorse inesorabilmente e, quando la lancetta dell'orologio si spostò sulle ore 8.00, convenimmo che fosse arrivato il momento di entrare in quella biblioteca.

Arrivati davanti all'ingresso, finalmente aperto, Isa propose a Lot e Chris di aspettare sulla soglia, così da dare a noi cinque la possibilità di avvicinarci al bancone da soli.

Cercai gli occhi chiari di Pollo.

Le sue iridi brillanti e il suo sorriso contagioso mi diedero la forza di seguire i miei fratelli.

Mi voltai a guardarlo un'ultima volta, prima di varcare l'ingresso.

Mimò con la bocca "ti amo" e per me fu più difficile di quanto non lo fosse di natura non sciogliermi sotto il sole messicano.

«Hola, podemos pedir información?» Tony si rivolse a una signora seduta al bancone all'ingresso.

«Dime» lei sbuffò. Stava chiaramente pensando a quanto fosse strano avere dei visitatori nell'esatto momento in cui la biblioteca era stata aperta al pubblico.

«Conoces a Grace Smith o Samuel Robertson?» domandò ancora.

Non appena sentii i loro nomi, pensai che mi sarebbe esploso il cuore nel petto.

Lei scosse la testa confusa.

«Parla americano?» Lisa si avvicinò di più alla donna.

Quando lei fece un gesto con la mano per indicare "così così", lei decise di provare comunque a chiederle qualcosa nella nostra lingua. «Ha mai visto queste due persone?» estrasse dalla borsa tutte le fotografie che avevamo. Le indicò i volti dei nostri genitori nelle diverse istantanee.

«Su hombre no es Grace» disse accarezzando con l'indice il viso di nostra madre «ella es Clara» guardò in direzione di Tony per essere sicura che noi riuscissimo a capire cosa stesse dicendo.

«Clara?» pronunciammo tutti e cinque all'unisono.

«Trabaja aquí. Su nombre es Clara Martín» era così sicura delle sue parole.

«Clara donde estas? Puedes venir a la entrada?» parlò, tenendo premuto un tasto rosso, attraverso un walkie-talkie.

«Que pasa Miranda? Estoy en el carril nueve» una risposta da una voce disturbata dalla pessima ricezione di quell'aggeggio, datato almeno a un ventennio fa, non tardò ad arrivare.

Io e le gemelle non lo capimmo immediatamente, ma Tony e Mike sì.

Il primo appoggiò una mano sul petto, piegandosi leggermente in avanti come se stesse per morire d'infarto. L'altro, invece, reagì afferrando il maggiore con forza «dimmi che anche tu stai pensando ciò che ho pensato io... dimmi che non l'ho immaginato. Dimmi che quella non era davvero la sua voce, ti prego Tony, dimmelo... non sopravvivrei a questa gioia» alzò il tono molto più di quanto si addicesse al luogo in cui eravamo. L'euforia però ci colse tutti nel medesimo modo, quando a quella domanda di Mike, seguì la risposta del maggiore.

«Sì» gli uscì flebile dalle labbra come se quel monosillabo si fosse impigliato tra i denti «deve essere lei» una miriade di lacrime gli solcarono il viso ancor prima che potessimo rendercene conto.

«Non perdiamo tempo» Lisa afferrò la mia mano e quella di Lena. Cominciò a correre trascinandoci con lei, gli altri due ci seguirono.

Corridoio 1, corridoio 2, corridoio 3... li guardai a uno a uno sfilare accanto a me. Quando finalmente vidi il numero 9, ebbi come un blackout. La vista mi si annebbiò per qualche secondo. Diventai totalmente sorda e incapace di articolare persino una frase semplice.

Quando tornai a vedere, mi ritrovai in piedi accanto a una scala alta.

Alzai lo sguardo lentamente, come al rallentatore, e ciò che vidi mise fine a ogni mio timore.

C'era una donna, alta ma non abbastanza per arrivare a quel libro che stava cercando di prendere. Era in piedi su quella scala, appoggiata sulle punte delle sue scarpe proprio come se fosse stata una ballerina professionista. Allungava il corpo in avanti, portando la testa completamente calva all'indietro.

«Miranda habría venido a ti en dos minutos» pronunciò sicura che quei rumori che avesse udito fossero ricollegati all'arrivo della receptionist.

«Mamma siamo noi» non so chi di noi fu a dirlo, perché la voce di chi parlò fu per metà oscurata dal tonfo di un libro che cadde ai nostri piedi.

Dopo quel rumore, udimmo quello di un corpo che crollava esanime.

Fortunatamente Mike non faceva così schifo come diceva nella ricezione, e fu capace di afferrarla prima che il suo corpo minuto si scontrasse con il pavimento duro.

Nostra madre era appena caduta dal cielo, svenuta, tra le nostre braccia.

La nostra fine non era che il nostro inizio.

Ma il vero principio della nostra nuova vita fu proprio quello.

***

«Mamma, mamma, mamma» la scossi cercando di farla rinvenire.

A un tratto, i suoi occhi così simili a quelli dei miei fratelli si spalancarono.

«Non ci posso credere» tossì forte «i miei bambini» sbatté le palpebre, dando avvio alla discesa di un'infinità di lacrime.

«Tony» guardò lui studiando ogni centimetro della sua pelle tatuata fino a concentrarsi sulle sue iridi lucide. «Mike» proseguì nell'osservare il suo secondogenito, sembrò turbata nel trovarlo così tanto decorato come l'altro. «Lisa» si rivolse a mia sorella posizionata accanto alla sua gemella, «Lena» si asciugò le lacrime «siete così simili a lei» aggiunse, senza che noi potessimo comprendere a chi si stesse riferendo. «Elle, bambina mia» riuscì ad afferrarmi la mano, visto che ero l'unica più vicina a lei «eri così piccola... e guardati adesso» mi sorrise, con la bocca, gli occhi e persino con il cuore.

«Non pensavo che» si interruppe «io» lo fece di nuovo «ci sono troppe cose che» non riuscì a continuare.

Qualcosa le balenò d'improvviso nella mente, facendola pietrificare.

«Mamma fai un respiro profondo... non c'è fretta... siamo qui per restare» Mike si inginocchiò davanti a lei, stringendole l'altra mano libera.

«Non potete rimanere qui» si guardò intorno circospetta «si faranno troppe domande... dovete andare via» si alzò in piedi di scattò, asciugandosi gli occhi con i palmi. Si rimise dritta, in piedi, si lisciò la gonna lunga leggermente scomposta e, come se si fosse dimenticata di non avere capelli in testa, si aggiustò il capo come a pettinarsi.

«Andate a C. Vistas Del Sur al numero undici» estrasse dal reggiseno una chiave e la consegnò nelle mani di Lena «sarò da voi alla fine del mio turno. Se qualcuno ve lo domanda, vi siete sbagliati... non era me che cercavate. Se uno dei vicini vi chiede chi siete fingete di essere i miei nipoti venuti a trovarmi da San Diego, i figli di mio fratello Lucas... va bene?» sebbene quelle fossero fin troppe informazioni da elaborare, annuimmo tutti e cinque. 

Era incredibile la maniera in cui si fosse trasformata. Dal modo in cui aveva cambiato tono e atteggiamento non era difficile capire come avesse fatto a mettere insieme tutto quel piano. Era capace di interpretare più parti contemporaneamente, senza mai tradirsi.

«Vi spiegherò tutto più tardi, ve lo giuro. Vi amo talmente tanto che mi manca il fiato, ma devo proteggere me stessa e anche voi» sorrise cercando di rassicurarci e, poi, semplicemente si voltò, lasciandoci attoniti accanto al corridoio nove.

Il retro del suo corpo ci svelò un altro dettaglio che tra milioni ci avrebbe permesso di riconoscere in lei nostra madre.

All'altezza del collo, come un marchio a fuoco, aveva tatuate cinque cifre:

9 5 0 2 3.

***

Non ci scambiammo alcuna parola fino a quando non fummo davanti a quella che lei ci aveva indicato come casa sua.

Lena inserì nella toppa la chiave che nostra madre le aveva consegnato.

Fu costretta a girarla più volte prima di riuscire ad intravedere finalmente l'ingresso.

Si trattava di una piccola struttura a due piani.

Quello inferiore ospitava un garage e una piccola entrata che dava immediatamente sulle scale.

Una volta al piano di sopra, non c'erano che una camera da letto, un bagno e una piccola cucina adibita anche a salotto.

Le pareti erano ammuffite e spoglie.

I mobili sembrava che fossero stati messi insieme dopo averli trovati in una discarica.

Il disordine la faceva da padrone.

Nelle dispense non c'era nulla, così come nel frigo. L'unico indizio che vi fosse mai stato cibo in quella casa era rappresentato da un cartone di pizza posizionato sul divano che emanava un profumo non proprio roseo.

Ficcanasammo in tutti i posti possibili, alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarci a comprendere di più della nostra storia. Tuttavia, in tutto l'appartamento non riuscimmo a trovare niente che fosse degno di nota.

Gli unici due indizi interessanti furono una pagina del New York Times stampata su un foglio A4 e datata a quattro anni prima con un articolo che trattava delle acquisizioni da parte di una compagnia newyorkese di molti terreni in Dakota del Nord e poi una fotografia sfocata, nascosta sotto il cuscino, di tutti noi Robertson. Sul retro quella calligrafia che ormai avrei riconosciuto tra mille recitava: Clara, Lucas e i cinque piccoli Martìn.

Chissà da quanto tempo stava interpretando quella parte, tanto che ormai doveva essere diventato difficile per lei uscire da quel personaggio.

Persino nei suoi scarabocchi il nome che scriveva non era più Grace, ma dappertutto era presente il suo nuovo appellativo.

Ci organizzammo per riuscire a far fluire il resto della giornata.

I ragazzi furono incaricati di fare la spesa e sistemare alcuni mobili sgangherati, mentre noi donne decidemmo di occuparci della pulizia della casa e della conseguente preparazione di un pasto caldo per tutti. Ovviamente di quello se ne occupò Lena, io invece finsi di rendermi utile nell'organizzare cromaticamente l'armadio di nostra madre, mentre Lisa, Lot e Isa facevano il lavoro sporco.

Mickey fece un disegno per lei da attaccare al frigo spoglio.

Disegnò tutta la nostra famiglia, persino quella nonna che ancora non aveva avuto il piacere di incontrare.

Sorrisi nel guardarlo mentre lo faceva, perché immaginai il momento in cui lei avrebbe scoperto di essere nonna. Come si poteva non commuoversi a sapere di avere un nipotino meraviglioso come Mickey? Soltanto a vederlo ridere da lontano, mi si apriva il cuore ogni volta. Nei suoi abbracci affogavo ogni tristezza e rinascevo infinite volte, ogni volta sempre più serena.

Ci vollero ore prima che quella casa diventasse quantomeno accettabile, ma riuscimmo a trasformarla in un luogo abitabile.

Attendemmo con ansia il suo ritorno, sussultando ogni qualvolta ci pareva di udire un rumore simile a quello di una porta.

Alla fine, quel momento giunse davvero, soltanto che, ovviamente, non avendo le chiavi, lei fu costretta a suonare al citofono.

Mi fiondai sulle scale e andai ad aprirle la porta.

Chiusasi quest'ultima alle spalle, lei crollò in ginocchio.

Finalmente poteva essere di nuovo Grace.

Finalmente poteva essere nuovamente vulnerabile.

«Ti stavamo aspettando» mi abbandonai sulle ginocchia accanto a lei.

«Io sono sedici anni che vi aspetto» replicò, riprendendo a piangere copiosamente.

«Sei pronta?» allungai la mano verso di lei, per cercare di aiutarla a rimettersi in piedi.

«Mi sono preparata per anni a questa eventualità... al momento in cui avrei dovuto dirvi la verità... ma ora non so se riuscirò a farlo senza vergognarmi di chi ero e degli errori che ho fatto» mi confessò tra un singhiozzo e un altro.

«Chiunque tu sia, noi siamo qui perché ti amiamo e perché ti rivogliamo nelle nostre vite» fu Tony a parlare dal punto più alto della scala.

«Dov'è papà?» le chiese, pronunciando ad alta voce una domanda che nessuno di noi aveva avuto il coraggio di porre fino a quel momento.

«Devo dirvi delle cose ragazzi... ma perché voi possiate capire dobbiamo partire dal principio... dobbiamo tornare a quando noi due ci siamo conosciuti e a quando abbiamo firmato col sangue la nostra condanna» riprese coraggio, trasformandosi nuovamente nella donna che era diventata anche in biblioteca.

«Mamma loro sono Isa, mia moglie, e Mickey, mio figlio» Tony, pur sapendo che quello non fosse proprio il momento adatto, decise di introdurre nostra madre alla sua famiglia.

Li abbracciò entrambi, tenendo a stento a freno l'emozione che stava provando nel conoscerli.

«Tu lo sai Mickey che io sono tua nonna?» glielo domandò singhiozzando.

«Sì» mio nipote asserì «papà mi ha detto che io prima avevo una nonna sola, Dolores, ma che adesso ne ho due, e una sei tu» sorrise, mettendo in mostra una finestrella causata dalla perdita di un incisivo.

«Io ci sono sempre stata... io non sapevo che tu ci fossi, ma ho pregato e pensato ogni giorno ai miei nipoti pur non avendo la certezza di averne, così come non ho mai smesso di tenere stretti nei miei pensieri tutti i miei figli» si asciugò le lacrime con il palmo della mano destra, portandolo poi ad accarezzarsi il cranio nudo.

«Perché non hai capelli?» Mickey glielo chiese spontaneamente.

«Michael Perez-Williams» Isa lo rimproverò pronunciando il suo nome completo.

«No, cara... non è un problema» Grace si volse tranquilla verso Isabela per rassicurarla «sono calva perché molto tempo fa, l'ultima volta che ho visto i miei bambini, avevo deciso di tagliare tutti i miei capelli lunghissimi per rendermi meno riconoscibile... e, quando sono arrivata qui in Messico, ho deciso che non li avrei più fatti allungare fino a quando non li avrei rivisti, perché allo specchio non potevo più vedermi senza di loro e per riuscire a tollerare il mio riflesso avevo bisogno di pensare a me stessa come ad un'altra persona. Clara Martìn non sarebbe potuta essere ciò che è stata negli ultimi sedici anni se avesse avuto l'aspetto di Grace Smith».

«Signora Robertson» Lot uscì dalla camera da letto e, appena se la ritrovò davanti, la salutò con un affetto che in lei non si era mai sopito.

Avrebbe voluto dirle tante cose, ma si sentì di troppo in quella situazione, dando a noi la priorità.

«Charlotte?» mamma parve confusa «sei tu?» le chiese incredula.

«Sì, Grace» lei asserì, muovendo appena il capo.

«E tu chi sei?» interrogò Chris, non riuscendo a ricondurre il suo volto a nessuno di quelli che avesse conosciuto in passato.

«Sono il fratello di Mike, piacere di conoscerla». 

Mamma ricambiò il suo gesto del capo con un sorriso smagliante.

«Beh, in realtà lui non è mio fratello, è il fidanzato di Elle... o sbaglio?».

Mike sembrò tranquillo nel dirlo, ma in realtà dietro il suo tono si nascondeva un velo di animosità. Mamma se ne accorse più di chiunque altro, ma fece finta di niente, ritardando volutamente il momento in cui avrebbe indagato sulla questione. Si concentrò piuttosto su quello che avrebbe dovuto raccontarci sul suo passato e su quello di papà. 

Erano sedici anni che aspettava quel momento e, se prima pareva non avesse alcuna voglia di rivangare ciò che era accaduto, in quel frangente si rivelò impaziente di rivelarci finalmente la verità.

«Non so se siete pronti per ascoltarmi... e forse sarebbe meglio che il bambino non fosse presente» ci diede le spalle, avvicinandosi al balcone per osservare il tramonto aranciato.

«Perché non andiamo a prendere un gelato Mickey? Ho visto proprio qui vicino un locale carinissimo» Lot si alzò in piedi, prendendo per mano il nostro nipotino e portandolo via con sé. Fu l'unica ad andare via, Chris e Isa restarono lì con noi.

Mamma fece un respiro profondo e poi pronunciò una frase che sembrò avere tutta l'aria di essere il principio di un lungo viaggio...

«Tutto ebbe inizio nel 1993...».

Spazio autrice:

Da adesso per un po' abbandoneremo i nostri protagonisti per dare il benvenuto ad altri...

Siete pronti a scoprire la verità?

Il passato scalpita per essere rivelato... ma sarà solo l'inizio...

Grazie perché siete ancora qui,

Non mi abbandonate,

Sono sicura che vogliate scoprire anche voi tassello dopo tassello quello che è accaduto ai Robertson...

A mercoledì prossimo, e non stupitevi se vi sembrerà di star leggendo un altro romanzo...

Ps. vi aspetto su Instagram con il link anonimo per le domande e, se vi va, premete sulla stellina e lasciate un commento per sostenere me e Code 95023...

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