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Capitolo 32 - Nel deserto del Sonora

...CONTINUA

Spensi il cervello, ancora piuttosto offuscato dalla serata precedente, mentre Tony mi rimproverava quasi come se fosse stato un padre deluso.

Immaginai che ciò che volesse dire, leggendo tra le righe delle centomila frasi infuriate che pronunciò, è che i miei fratelli si fossero preoccupati a tal punto da pensare di informare la polizia della mia scomparsa.

Inoltre, pur avendo ricevuto, dopo ore, un messaggio da Eva che li informava della mia posizione, nessuno di loro era riuscito comunque a prendere sonno. Persino Mike, che ancora mi teneva il broncio, non aveva fatto altro che macinare chilometri preoccupato nel salotto di casa Cook. 

A quanto pare l'unico dei miei compagni di avventura che era stato tenuto all'oscuro della mia situazione, confinato al piano inferiore come un reietto, era stato proprio Chris. 

Non che mi dispiacesse, ovviamente, l'idea che lui fosse stato in pensiero per me senza che nessuno avesse provato neppure a tranquillizzarlo. Del resto, non ero ancora minimamente pronta per affrontarlo e, forse, ci sarebbe voluto ancora molto tempo prima che io mi fossi sentita abbastanza sicura da poterlo fare. In fondo si trattava del primo uomo che era riuscito a distruggere per sempre un pezzo considerevole del cuore dell'irreprensibile Sophia Harbour-Fitzgerald.

Sospirai più volte, continuando a muovere il capo in segno di scuse, eppure le mie orecchie non recepirono più che qualche parola confusa di tutto il discorso di Tony.

Alla fine ci abbracciammo, come se io fossi stata realmente pentita di ciò che avevo fatto e lui si fosse assicurato che d'ora in avanti avrei imparato la lezione.

E in fondo, forse, sarebbe stato anche così.

Mi ripromisi di non permettere mai più a me stessa di chiudere fuori dalla mia vita i miei fratelli.

Infatti, sebbene in qualche modo fosse stato proprio uno di essi a far scoppiare la bolla felice in cui mi ero rintanata, non era giusto negare loro di conoscere i miei stati d'animo e le mie paure.

In fin dei conti, loro erano una parte di me ed io ero stufa di dovermi nascondere persino da me stessa.

Eva rimase accanto a me per tutto il tempo necessario affinché a turno tutti i Robertson potessero inveire contro di me e contro il mio atteggiamento scellerato. Non fece nient'altro che sostenermi, arrivando persino a mentire riguardo a ciò che era avvenuto la sera precedente. Le fui grata di non aver menzionato la droga e neppure il mio particolare avvicinamento a quel ragazzo che nella mia mente era diventato una versione più sfocata di Chris.

Non ascoltai con grande attenzione né le scuse che lei accampò per proteggermi né tanto meno il modo in cui i miei fratelli reagirono.

Tuttavia, a un certo punto, giunse il momento di salutarla.

Quando fummo davanti alla porta d'ingresso di casa, ci stringemmo l'una al petto dell'altra come se fossimo state realmente due migliori amiche.

C'era un filo invisibile che ci avrebbe legate per sempre. 

Anni dopo avrei capito che era la penna di Jay ad averci accomunate, ma in quel frangente non seppi darmi molte risposte.

Quello sarebbe stato l'ultimo giorno, se non anche il primo, in cui saremmo state unite come due sorelle, da lì in poi, quando molto tempo dopo l'avrei rivista, lei non sarebbe riuscita a perdonarmi il non averle mai rivelato del Cile.

Avrei potuto cambiare la loro storia, il triste finale a cui per anni erano stati obbligati, ma in fondo chi ero io per tessere l'epilogo degli altri.

E allora non appena fui costretta a pronunciare un arrivederci che per me aveva il sapore amaro di un addio, mi trovai ancora una volta davanti ai miei demoni.

In quel caso specifico, concretizzati negli occhi magnetici di mio fratello Mike.

Mi guardava, mi studiava, quasi mi ringhiava come se fosse stato un animale pronto all'attacco, ma poi sotto quella coltre di nebbia sbiadita lo rivedevo lì, in bilico verso il perdono.

Sarebbe bastato che io gli avessi chiesto scusa e probabilmente tra noi sarebbe stata annientata ogni incomprensione, ma non me la sentii di farlo così presto.

Volevo rimanere ancora un po' nell'incertezza dell'essere ripudiata da una delle poche persone che avevo scoperto di amare al di sopra di me stessa...

O forse anche quella che credevo essere la mia più grande verità non era nient'altro che una bugia...

Se l'avessi amato non credete che avrei evitato di rompere l'unico legame che per anni gli aveva permesso di sopravvivere sentendosi a casa anche a molti chilometri dalla sua vera casa?

Quanti tormenti... quante domande senza risposta... quanti sospiri strozzati...

Poi, d'un tratto, un terremoto improvviso mise ancora una volta in discussione la calma in cui ci eravamo rifugiati.

Udii un fracasso assordante.

Un rumore di passi e, poi, Chris fu nuovamente a pochi centimetri dal mio corpo.

Teneva stretto nella destra quel dannato libro che nostra madre aveva scelto per noi, mentre con la sinistra tastava il suo petto ansante, cercando a fatica di prendere aria.

C'eravamo solo io e Mike in quella stanza e per entrambi sentire nuovamente la sua voce fu simile a una coltellata in pieno petto.

«Credo...» annunciò, bloccandosi immediatamente.

Fece un respiro profondo, prima di trovare il coraggio per rivolgersi a noi due.

«Penso di aver trovato la soluzione» sorrise con quel sorriso bello che avevo visto soltanto sul suo volto, con quei denti che uno a uno mi avevano lacerato il cuore. Me la ricordavo molto bene la prima volta che avevo visto quell'espressione e, malgrado ciò che stesse cercando di comunicarci suonasse di un'importanza fondamentale, mi persi qualche istante di troppo a volare indietro nel tempo al giorno in cui ci eravamo conosciuti, per rivivere uno a uno i ricordi meravigliosi inerenti alla nostra storia mai iniziata.

Tuttavia, come era accaduto svariate volte da quando il nostro viaggio era cominciato, non appena i palmi di Mike si infransero sul mio corpo, mi risvegliai come percorsa da una scarica di un defibrillatore.

«Tony, Lisa, Lena!» mio fratello gridò con tutta la voce che aveva in corpo. Mi parve di vedere le pareti intorno a me vibrare, così come tutti i vetri delle finestre.

Accorsero in fretta, l'uno con gli occhi incollati per il sonno, l'altra con il corpo ancora grondante d'acqua per la doccia e l'ultima con il cellulare ancora attaccato all'orecchio.

«La verità risiede in quel giorno» Chris citò nostra madre «ebbene...» aprì il libro a una pagina specifica, e lo voltò verso di noi, trattandolo quasi come se fosse stato un testo sacro.

«Questo libro a un certo punto racconta di un viaggio, che se vogliamo a tratti è molto simile al nostro. Quattro persone nel deserto del Sonora, in Messico, sono impegnate a cercare una poetessa scomparsa da tempo. Ci avevo pensato sin dalla prima pagina, ma non avevo voluto darvi speranze infondate. Poi, però, appena ho letto questa parte» ce la mostrò con l'indice, e noi ci avvicinammo rapidi, accerchiandolo «ho capito di aver sempre avuto ragione. Vengono citate spesso date e luoghi, perciò in base a tutto ciò che abbiamo raccolto, tappa dopo tappa, e a ciò che vostra madre ha detto a Tony, sono più che sicuro che la nostra caccia al tesoro si interromperà proprio qui: a Nogales, Messico».

«La nostra fine non era che il nostro inizio» menzionò parte del messaggio che nostra madre aveva impresso sulla copia dei Detective Selvaggi che avevamo consultato a Hollister per farci comprendere ancora meglio il suo punto di vista. 

«Cosa ci fanno diecimila messicani nel deserto? Si sentono soli e si sono persi. E se quelli soli e persi foste voi in realtà? Il Messico è sempre stata la meta, era palese per via dell'ambientazione del libro, ma il luogo in cui andare, quello l'avreste scoperto solo una volta che vi sareste persi tra le righe... Nessuno se non voi - beh, in questo caso io - avrebbe potuto capire, senza gli innumerevoli indizi che vi ha lasciato, dove andare a cercarla» aggiunse ancora, rendendoci sempre più chiaro a cosa stesse alludendo.

Su quella maledetta pagina, posta quasi alla fine del gigantesco libro, si narrava di come i quattro personaggi fossero giunti proprio il venti gennaio di chissà quale anno a Nogales, in Messico, nei pressi di una biblioteca che però non era precisamente indicata. 

Pertanto, non ci volle molto prima che tutti noi, un Robertson alla volta, capissimo che la prossima tappa del nostro oramai infinito viaggio sarebbe stata proprio la nazione confinante alla nostra, teatro delle vicende che Bolaño aveva raccontato in quel romanzo.

Fummo tutti concordi con l'intuizione di Chris, soprattutto perché ci sembrò totalmente coerente con quelli che erano stati gli altri step che avevamo già affrontato, considerando ovviamente che uno dei luoghi più importanti che già era stato depositario di una delle grandi verità che nostra madre ci aveva affidato era stata proprio una biblioteca. 

Ci parve, a quel punto, assolutamente possibile che lei avesse scelto nuovamente di assegnare qualcosa di così importante a quel tipo di luogo. Restava, però, un dubbio che avrebbe continuato a tormentarci fino a quando non avremmo solcato il territorio messicano: avremmo ritrovato lì i nostri genitori, e con loro le motivazioni che li avevano spinti a quel gesto, oppure non avremmo fatto altro che avvicinarci un po' di più a loro attraverso l'ennesimo indizio?

Non ci importò granché in quel frangente.

Eravamo troppo felici del passo in avanti che avevamo compiuto per renderci conto di cosa avremmo scoperto una volta arrivati nella regione del Sonora.

Le nostre vite sarebbero state messe nuovamente in subbuglio.

Le poche certezze che credevamo di aver maturato sarebbero crollate su loro stesse.

Ma noi non potevamo saperlo, quando ci stringemmo tutti e cinque consci che presto saremmo dovuti tornare sulla strada.

Ormai la nostra esistenza pareva un susseguirsi infinito di chilometri.

Passo dopo passo guadagnavamo qualcosa e, inesorabilmente, lasciavamo qualcos'altro dietro di noi.

Quel viaggio mi aveva convinta a sbarazzarmi delle lenti colorate e a fare a meno delle parrucche, mi aveva dato la possibilità di comprendere ancora meglio cosa volessi fare del mio futuro, ma, al tempo stesso, mi aveva privato di una parte fondamentale del mio essere. Se non fossi mai partita non avrei mai saputo cosa potesse significare avere il cuore in frantumi. Al contrario, però, se avessi scelto di non seguire Chris in Ohio, sarei rimasta sempre l'arida Sophia Harbour-Fitzgerald, senza che il mio io potesse arricchirsi e nutrirsi di ogni parte, bella o brutta che fosse, dei miei fratelli.

La mia mente venne offuscata da un continuo susseguirsi di pensieri, un groviglio di paure misto a terribili consapevolezze.

L'orologio continuava inesorabilmente a far tintinnare le sue lancette, e ciò avrebbe presto determinato lo scorrere, fino all'esaurirsi, del tempo che avrei avuto a disposizione con il sangue del mio sangue.

Come sarebbe cambiato il nostro rapporto una volta raggiunta Nogales?

Cosa sarebbe stato di noi di lì in poi?

«Dobbiamo necessariamente organizzarci bene prima di partire» le prime parole che riuscii a udire, dopo qualche interminabile minuto in cui mi ero chiusa in me stessa, erano state pronunciate da Tony.

«Siamo a corto di soldi» replicò Mike.

«Ho bisogno di correre... le idee migliori mi sono sempre venute mentre facevo sport» se ne uscì Lisa all'improvviso.

Le rivolsi uno sguardo stranito.

Possibile che fosse mia sorella?

Le idee migliori mi erano venute mentre ero a letto, possibilmente con un bel ragazzo a farmi compagnia... altro che sport.

«Propongo di prenderci un'ora per pensare, per razionalizzare e capire... ci rivedremo tutti qui, in questo salotto, e ognuno di noi porterà un piano. Non possiamo lasciare che delle piccole difficoltà ci impediscano di avvicinarci al traguardo... a costo di compromettere il futuro di Mickey... noi andremo in Messico! Domani stesso!» Tony, da bravo fratello maggiore, ci invitò a riflettere con calma.

Ognuno di noi si sarebbe impegnato al massimo per far funzionare la propria idea, anche se, nel profondo, io avevo già maturato la mia risposta.

Dovevo soltanto avere il coraggio di dirlo ad alta voce.

E, a dir la verità, l'audacia che mi mancava e che non credevo sarei mai riuscita ad ottenere si fece strada dentro di me come una certezza sempre più inevitabile soltanto qualche minuto dopo.

Mike rimase accanto a me sul divano, seppur mantenendo una specie di religioso silenzio. Tony e Lisa scelsero di uscire a correre insieme per scaricare la tensione e permettere all'adrenalina di fare il suo lavoro. Mentre Lena, ovviamente, cominciò a lavorare a una torta come se da essa potesse dipendere la pace nel mondo.

Una quiete fin troppo rapida la nostra interrotta in men che non si dica dalla suoneria del mio IPhone.

Interpretai quella chiamata come un segnale divino.

In fondo ero sul punto di prelevare tutti i soldi presenti sul mio conto per permettere alla mia famiglia di proseguire quel viaggio senza più intoppi di nessun genere. Pertanto, immaginai che se dall'altro capo del telefono ci fosse stata mia madre quello sarebbe stato il momento perfetto per rivelarle tutto ciò che era accaduto nella mia vita da quel giorno di maggio.

Quando rivolsi lo schermo verso l'alto, però, rimasi quasi delusa di leggervi il nome di Lot.

Mi ricordai improvvisamente che proprio quella mattina Eva mi aveva elencato tra le altre ricevute una chiamata persa proprio da lei.

Dunque, pensai che se avesse deciso di ricontattarmi, persino dopo il mio silenzio prolungato dall'altra notte, voleva dire che ciò che aveva da dirmi dovesse avere perlomeno una qualche rilevanza.

Mio fratello rizzò le antenne, mettendosi immediatamente dritto, pronto a origliare quanto lei mi avrebbe detto.

«Lot...» fui costretta a ripetere il suo nome un paio di volte prima che si decidesse a rispondermi.

«Ho bisogno di aiuto» fu tutto ciò che disse, tornando subito dopo a sposare il silenzio.

«Ti è successo qualcosa?» a quelle mie parole, notai come Mike si fosse inspiegabilmente avvicinato di più a me. Stringeva nervosamente le mani e pareva fosse sull'attenti pronto a correre chissà in quale parte del mondo.

«Non ho più soldi e mi vergogno infinitamente di chiamare mia madre... siete ancora a Seattle?» domandò con la vana speranza che saremmo potuti arrivare a salvarla il più in fretta possibile.

«Siamo a Los Angeles adesso... ma cos'è successo?».

Sentii chiaramente come stesse cercando di trattenere le lacrime per rispondermi.

Iniziai ad agitarmi al pensiero che le fosse accaduto qualcosa di brutto.

Per quanto non fossimo mai state amiche e avessimo passato insieme un tempo così breve che probabilmente se non avessi ricevuto quella telefonata avrei finito presto per dimenticare, c'era qualcosa nella sua voce che non mi permetteva di essere tranquilla e che mi implorava di aiutarla.

«Diciamo che non avevate tutti i torti a consigliarmi di non venire qui... lui si è dimostrato molto diverso da come appariva e due giorni fa sono stata costretta a lasciarlo. Ho dormito in un motel, ma non ho più un centesimo e ho il terrore di chiamare i miei per chiedere loro una mano. Non sai quanto ho combattuto con loro per convincerli a venire in Canada» un singhiozzo strozzato riuscì comunque a fuoriuscire dalla sua bocca, causandomi qualche palpitazione di troppo.

«Ti richiamo tra un'ora... e avrò la soluzione. Stai tranquilla, non ti abbandoneremmo mai lì».

Cercavo disperatamente qualcosa che mi convincesse a dare inizio a quella spirale che avrebbe inghiottito per sempre ogni parte della vecchia me che ancora resisteva ai continui assalti sferrati dalla mia nuova identità. Quel coraggio che mi mancava per dare avvio alla morte conclamata del mio rapporto con gli Harbour-Fitzgerald si materializzò all'improvviso quando capii che quella era per davvero l'unica strada percorribile. L'unica via che, non soltanto ci avrebbe concesso di portare avanti il nostro viaggio con quanta più tranquillità possibile, ma soprattutto, la decisione che mi avrebbe permesso di riportare Lot al sicuro, senza condannarla a una terribile umiliazione con i suoi genitori.

Non appena decisi di interrompere la nostra conversazione, i presenti cominciarono a bombardarmi di domande. Come se io fossi stata a conoscenza di qualcosa in più rispetto a ciò che la ragazza mi aveva appena raccontato restando comunque sempre sul vago.

Alla fine, senza dare loro troppa importanza, scelsi di andare a cercare l'unica persona che mi avrebbe concesso di raggiungere la prima banca disponibile per mettere in atto il mio piano sgangherato.

Scesi le scale rapidamente.

Quando fui nel seminterrato, lo trovai chino su una scrivania.

L'indice sinistro impegnato a digitare incessantemente sui tasti della calcolatrice, mentre con il destro appuntava ogni conto su un foglietto spiegazzato.

Si accorse tardi della mia presenza, quando ero ormai praticamente a un soffio da lui.

Restò sorpreso di vedermi così vicina.

«Tutto bene Lu?» chiese trafelato. 

Il mio volto non doveva essere dei migliori in quel momento.

«Ho bisogno che mi accompagni in banca» mi fece male, fin troppo, rivolgermi nuovamente a lui, e sentirlo, dopo ore di silenzio, rivolgersi a me ancora una volta con quel nomignolo.

«Che vuoi fare?» me lo domandò, conoscendo perfettamente la risposta.

«Lo sai» replicai atona.

«Gli altri sono d'accordo?».

«Non ho bisogno del benestare di nessuno per distruggermi la vita» mi voltai, ricominciando a salire le gradinate «ti aspetto accanto all'auto, è urgente» aggiunsi con tono freddo.

Non proferì parola alcuna, ma seppi fin da subito che era dalla mia parte, non appena cominciai a sentire i miei passi raddoppiati dei suoi.

Come un treno raggiungemmo entrambi il pick-up, restando totalmente muti davanti alle domande degli altri due Robertson presenti.

Non c'era tempo da perdere.

Lot, malgrado tutto, meritava un soccorso tempestivo.

La banca più vicina, dove potessi richiedere di prelevare una somma più ingente dalla mia American Express, era quasi a un'ora di distanza dalla casa di Jay. Pertanto, ringraziai tutte le divinità di aver portato con me le mie Airpods. Scelsi volutamente di coprire il silenzio imbarazzante che c'era tra me e Chris con la musica e di impedire ai miei occhi di concentrarsi troppo sull'analisi di ogni parte del suo corpo, obbligandoli a tenersi fissi sul paesaggio circostante. Mi sedetti sul sedile dando praticamente al mio accompagnatore la schiena e volgendo quasi del tutto il busto verso il finestrino.

Ogni tanto riuscivo a sentire il suo sguardo vagare su di me, ma mi obbligavo a non dare alcun segno di cedimento.

Tutto quello che era accaduto faceva ancora troppo male perché io potessi essere aperta a un dialogo.

Infatti, nell'esatto momento in cui stazionammo l'auto davanti all'ingresso dell'American Express, fu proprio un confronto quello che Chris tentò di ricercare.

«Mi darai mai almeno la possibilità di chiederti scusa?» approfittò dell'esatto momento in cui riposi le cuffiette nella borsa.

«Forse un giorno» non mi voltai, continuando a dargli le spalle.

«Per quello che vale se non mi fossi trovato in quella situazione assurda, non mi sarei mai azzardato a dire una frase del genere. Anche perché, malgrado tutto quello che è accaduto con Mike, io so bene quanto sia stato reale tutto ciò che abbiamo provat-» lo bloccai prima che potesse terminare la sua frase, apponendogli una mano sulle labbra.

Quanto avrei voluto toccargliele, lasciare che quella bocca perfetta baciasse le punte dei miei polpastrelli, ma tutto ciò che feci fu soltanto zittirlo.

«Non è il momento giusto» tuonai con il cuore in gola «puoi decidere se accompagnarmi o no, ma ora come ora, ho altre priorità» aprii lo sportello, adagiando con un saltello le mie sneakers nuove di zecca sul marciapiedi.

Ancora una volta, pur non replicando a ciò che gli avevo appena detto e al modo in cui mi ero comportata, udii comunque il rumore dei suoi passi dietro di me.

«Buongiorno, potrei parlare con il direttore» mi presentai a una donna di mezza età piuttosto minuta, seduta dietro il vetro antiproiettile di un gabbiotto, intenta a digitare sulla tastiera del computer.

«Il suo ufficio è al piano di sopra, è libero da appuntamenti, perciò le basterà bussare» fu accomodante soltanto perché quando alzò gli occhi si ritrovò a un passo dal suo naso la mia platinum.

«Vado da sola, aspettami qui» mi rivolsi a Chris senza far trasparire alcuna emozione dalla mia voce.

Mi incamminai prima sulla rampa di scale e, poi, lungo un corridoio piuttosto stretto, prima di raggiungere l'unica porta con una targhetta apposta sopra.

Bussai con decisione e, quando mi venne dato il permesso, feci il mio ingresso in un ampio ufficio interamente vetrato.

Un uomo bassino, calvo e piuttosto rachitico mi attendeva dietro una scrivania in legno massello.

«Salve signor direttore, sono Sophia Harbour-Fitzgerald» immaginai che il mio cognome avrebbe potuto dargli già un'idea di che tipo di cliente io fossi.

«Buongiorno signorina...» sorrise a trentadue denti e, dal modo in cui lo fece, capii subito che dovesse avere una precisa idea della famiglia dalla quale provenivo.

«Ho un conto presso la vostra banca che però è in qualche modo limitato» gli porsi la carta, per permettergli di digitare tutti i numeri sul suo computer «vorrei sapere qual è il massimale di prelievo che mi è consentito e se, a prescindere dalla quantità di denaro, mia madre sarà allertata alla stessa maniera».

Il signor Moore, lessi il suo nome apposto sulla sua giacca elegante, premette ogni pulsante della tastiera con una lentezza impressionante. Alla fine, però, dopo un numero incalcolabile di minuti, fu pronto a darmi tutte le informazioni di cui necessitavo.

«Purtroppo da quanto vedo, sebbene lei sia maggiorenne, il suo conto è cointestato. Pertanto, qualsiasi movimento, che sia persino di un centesimo, viene rendicontato immediatamente anche a sua madre. Per quanto riguarda il numero massimo di dollari che può prelevare in un solo giorno, non è molto alto ma neppure così basso. Si tratta di circa cinquemila dollari, per l'esattezza quattromila novecentonovantanove» aggiustò gli occhiali sul naso, aspettando un mio cenno per capire cosa fare.

«E se invece volessi bonificarli sul conto di qualcun altro?» azzardai. Dovevo prendere quanto più possibile per assicurarci un viaggio e una permanenza sicura. In fondo prima o poi ognuno di noi avrebbe necessitato di un biglietto di ritorno per la propria vita e, se non l'avessi pagato io per tutti, chi lo avrebbe fatto?

«Duemila dollari, se volesse superare questa soglia servirebbe l'autorizzazione anche di sua madre».

«Bene, allora procederemo esattamente in questo modo» cercai sul mio cellulare il messaggio che avevo inviato a Jay tempo prima per fornirgli l'Iban di Mike per spostare sul suo conto il necessario per pagare il meccanico. Quando riuscii a trovarlo, porsi l'IPhone al direttore, cosicché lui potesse autorizzare il bonifico al mio posto.

Una volta conclusa la prima transazione, l'uomo ruotò su se stesso volgendosi, ancora seduto sulla sua sedia da ufficio, verso una piccola cassaforte.

Mosse più volte qualcosa fino a quando non si udì un rumore particolare che ne indicò l'apertura.

Prese una manciata di dollari e li contò stendendoli davanti ai miei occhi.

«Ecco, sono tutti» si fermò «beh, ne ho presi quattromila novecento novanta, se non le dispiace».

Asserii con il capo, pronta finalmente a intascarmi un numero adeguato di banconote.

«L'avviso per sua madre è appena stato inviato» mi comunicò, leggendo qualcosa sullo schermo del computer «è automatico, purtroppo, non avrei potuto fare nulla per ritardarlo».

«Non si preoccupi» mi alzai in piedi, dandogli immediatamente le spalle.

Nell'ultimo mese non avevo fatto altro che rimandare io stessa quel momento.

Tuttavia, il tempo delle menzogne era finito.

La verità ci attendeva dall'altra parte dei confini statunitensi.

E con essa, necessariamente, un'altra verità che per troppo tempo era rimasta taciuta.

Il confronto con la mia madre adottiva si avvicinava sempre di più, ma non sarebbe comunque stato quello il momento giusto. Era necessario che io ce l'avessi davanti agli occhi per convincerla a scoprire tutte le ferite che negli anni mi aveva provocato, fino ad arrivare alla più sanguinolenta, quella che mi aveva privato della storia della mia infanzia.

Eppure, tutto quello che avrei voluto dirle, proprio come immaginavo, rimase incastrato nella mia gola, non appena scorsi sullo schermo del mio cellulare comparire una chiamata in entrata da parte sua.

Quando si trattava di soldi era capace di trovare tutto il tempo del mondo.

Chissà, invece, quella volta trattandosi di me e della mia identità che cosa ne avrebbe pensato.

CONTINUA...

Spazio autrice:

Finalmente abbiamo una meta... Nogales, Messico!

Quasi un anno fa ero chiusa nella mia camera con il covid e i Detective selvaggi erano la mia unica compagnia.

Code è nato proprio tra le pagine di Bolaño...

Prima di partire, però, c'è bisogno che la squadra aumenti leggermente dei suoi membri, perché se si è una famiglia bisogna esserlo fino alla fine... e perciò...

Mercoledì prossimo, tempo e salute permettendo, arriverà il capitolo 33 - Attraverso i tuoi occhi.

Patricia ci attende... ma la resa dei conti è ancora lontana...

Alla prossima settimana, 

Grazie perché siete ancora qui con me,

Non mi abbandonate,

Sempre vostra, Maty.

Ps. vi aspetto su Instagram per pormi in anonimo tutte le domande che volete e, se vi va, premete sulla stellina o lasciate un commento per sostenere me e Code 95023.

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