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Capitolo 17 - Tre di cinque; Denver, Colorado

Ero su una splendida spiaggia tropicale, distesa quasi del tutto nuda su un lettino estremamente comodo. 

Fissavo compiaciuta la calma dell'oceano. 

L'aria pulita mi riempiva i polmoni. 

Non c'erano preoccupazioni. 

Ero ricca, felice e il mondo era a mia disposizione. 

Poi, d'un tratto, qualcosa di caldo e bagnato mi si abbatté sul viso. 

Una, due, tre volte. 

Alla quarta non fu più possibile non farci caso.

Aprii gli occhi di scatto, ritrovandomi, mio malgrado, nel consunto salotto di casa Williams.

Nike e il suo fiato rovente mi erano a pochi millimetri dal volto.

Un conato rischiò di farmi vomitare sul muso di quel povero cane.

Mi accorsi immediatamente di quanto fossi stata sgarbata, persino con lei, perciò le carezzai lentamente le orecchie e l'abbracciai come avrei fatto con un'altra persona.

Mi sporsi a fatica verso il mio cellulare. Controllai l'orario e, quando mi resi conto che non era ancora il momento di alzarmi, sospirai, a metà tra il felice di poter ancora dormire e il triste perché ancora troppi minuti mi separavano da quell'incontro che avrebbe cambiato la mia vita.

Non fu immediato, ma, quando i miei occhi furono in grado di scollarsi e abituarsi alla luce accecante, mi ricordai che non dovevo essere da sola in quella stanza. 

A quel punto, mi voltai alla ricerca di mio fratello. La sera seguente ero crollata ancor prima che lui facesse ritorno.

Mi ritrovai i suoi piedi a un passo dalla testa.

Dormiva accanto a Lot, nello stesso sacco a pelo sconquassato.

Lei aveva le gambe incrociate attorno alla sua vita, mentre lui riposava con il volto completamente immerso nei suoi capelli.

Non volli farmi domande.

Non mi chiesi nulla.

Era meglio così in fondo.

Sperai che se avessi continuato a far finta di non vedere, allora anche lui avrebbe fatto più fatica a far cadere quel velo che copriva i suoi occhi dall'accorgersi di me e di Chris.

Cosa mi importava degli altri, se nel mio cuore e nella mia mente non c'era spazio che per me stessa e per i miei problemi?

Mi rigirai su un fianco e, tornando alla stessa posizione di prima, non feci altro che chiudere gli occhi per tornare a immergermi nel mio mondo perfetto senza difficoltà.

Scelsi di essere cieca e lo rimasi per molto tempo.

***

«Elle è tardi» Isa mi diede degli schiaffetti sulla guancia per convincermi a svegliarmi e io, a malincuore, alla ventesima volta che pronunciava il mio nome con quell'accento messicano bizzarro, fui costretta a svegliarmi.

«Buongiorno princesa» ironizzò, passandomi all'istante una tazza colma di caffè bollente.

«Che ore sono?» le domandai, accecata da un raggio di sole che puntava precisamente nei miei occhi.

«Tra quindici minuti dobbiamo partire».

Non appena udii ciò che mi aveva detto, mi alzai in piedi.

Uno sbalzo di pressione rischiò quasi di farmi svenire, ma io proseguii imperterrita verso il bagno.

Scacciai mio fratello in malo modo e mi feci una doccia gelida di pochi minuti.

Scelsi l'outfit meno audace che avevo portato con me, visto il luogo in cui saremmo dovuti andare. 

Non mi sembrava il caso di entrare in una prigione maschile con le tette e il culo in bella mostra.

Iniziai a truccarmi, stupendomi della mia velocità nel riprodurre un make-up così elaborato.

Decisi di non alterare il colore delle mie pupille, sia perché ormai non aveva gran senso farlo sia  perché ci tenevo a far sì che Tony potesse ricercare nelle mie iridi delle sfumature che potessero essere simili alle sue. O magari, lui che era più grande avrebbe potuto dirmi se le parti che solitamente celavo di me, perché associate ai miei genitori adottivi, potessero invece essere ricondotte ad altri membri della nostra vera famiglia.

L'unico elemento della vecchia me su cui ero indecisa era la mia parrucca ondulata scura. Mi ero sempre piaciuta più da mora che da bionda. Credevo, infatti, che i colori scuri donassero di più al mio incarnato chiaro e che riuscissero a creare un bel contrasto con i miei occhi glaciali. In verità, però, ciò che volevo evitare con tutta me stessa era portare avanti la tradizione genetica che aveva sempre visto tutte le donne Harbour dotate di lunghi capelli color grano.

Non ero più una di loro e forse non era così sbagliato liberarmi per sempre delle mie paranoie adolescenziali.

Appoggiai sui miei capelli, stretti in uno chignon, la parrucca.

Mi osservai indecisa nel mio riflesso riprodotto sullo specchio tondo posto in salotto.

Cosa avrei dovuto fare?

«Tony si merita di vederti così come sei» Chris si materializzò alle mie spalle, riuscendo immediatamente a capire quale fosse il mio problema.

Fu lui a quel punto a convincermi definitivamente a non indossarla.

Me la sfilò lentamente dalla testa, appoggiandola sulla sua, e accarezzandomi il mento.

Sorrise a me e alla sua immagine, osservandosi con i capelli lunghi allo specchio.

Vedendolo così, non potei non scoppiare a ridere di gusto.

Mi venne una voglia incredibile di baciarlo per ringraziarlo dell'aiuto che era disposto a darmi ogni volta, ma non appena feci per avvicinarmi, mi ricordai di dove fossimo e del fatto che mio fratello avrebbe potuto letteralmente sbucare da qualsiasi direzione senza che noi ce ne rendessimo conto.

Mi guardai intorno sia per dissimulare sia per controllare, ma, fortunatamente, l'unica persona che vi trovai fu Isa.

Ci stava osservando con un'espressione estremamente buffa, aveva le sopracciglia così in alto da essere praticamente arrivate a sfiorare l'attaccatura dei capelli, mentre la bocca era contratta da una smorfia tipica di chi stesse dicendo, senza dirlo davvero, di aver capito qualcosa di scottante.

«Che hai Isa?» non appena Chris la notò, non riuscì a capire il motivo del suo atteggiamento.

«Io? Cosa? No! Continuate pure» fece ciao con la mano, giusto per aumentare ancora di più il disagio che stavamo provando nel vederla così irrequieta, e poi sparì fuori dalla porta.

Scuotemmo il capo all'unisono e decidemmo di lasciar correre.

Ormai a non aver capito che tra me e Chris ci fosse un'amicizia particolare erano rimasti soltanto Mickey e Mike... ma se riguardo al primo non ne ero certa, sulla cecità del secondo, invece, avrei scommesso tutti i soldi della compagnia della mia famiglia, ancora a lungo.

***

Parcheggiammo davanti alla prigione della contea di Denver, appena in tempo per l'inizio dei controlli ai visitatori.

Isa ci aveva persuasi, dopo svariati minuti di convincimento, ad andare con la sua monovolume familiare ridicolmente decorata con la pubblicità del suo ristorante messicano su entrambi i lati degli sportelli posteriori.

Probabilmente, se fossi stata una spettatrice dello spettacolino della nostra discesa da quell'auto mi sarei fatta tante risate.

Chris alla guida; mia cognata copilota; io, Lot e Mike sui sedili posteriori e, poi, rinchiuso sul retro, il nostro povero nipotino che in un solo giorno aveva scoperto di avere due zii folli e una situazione familiare più intricata di quello che potesse mai immaginare.

«Noi vi aspetteremo qui... purtroppo per oggi sono consentite solo due persone, ma so che Tony sarà molto più felice di vedere voi che noi. Non se lo aspetta per nulla, quindi inizialmente potrebbe essere un po' confuso» Isa saltellò sul posto, non riuscendo a tenere a bada la gioia.

Ogni volta che nominava mio fratello mi commuovevo a pensare a quanto lo amasse. 

Malgrado tutto, soprattutto la vita di merda che era stato costretto a vivere, un premio l'aveva ottenuto anche lui ed era stato senz'altro la famiglia stupenda che era riuscito a crearsi con le unghie e con i denti.

«Ci perquisiranno?» le chiesi un po' intimorita dai due grossi agenti all'ingresso e da un enorme cane antidroga.

«Sì, è una prigione di minima sicurezza perciò vi permetteranno di entrare e di incontrarlo di persona senza impedimenti. Sono persino permessi i contatti fisici poco prolungati... l'unico prezzo da pagare è farsi palpeggiare» alzò gli occhi al cielo, quando si accorse che uno dei poliziotti la stava salutando calorosamente, leccandosi già i baffi, pensando a come sarebbe stato toccarla per l'ennesima volta.

Io e Mike non ci eravamo parlati per tutta la mattina, ma entrambi sapevamo, senza il bisogno di dircelo, che eravamo assolutamente sempre l'uno dalla parte dell'altro.

Per quel motivo mi prese la mano, stringendola forte alla sua.

Gli graffiai teneramente l'interno del palmo con le unghie lunghe e affilate, e lui mi sorrise con amore, celando dietro quell'espressione uno stato d'animo fin troppo ansioso.

Quando fummo davanti a quelli che avrebbero dovuto controllarci, rilasciai un sospiro di sollievo, notando la presenza di una donna.

«Io prendo Cenerentola» lo stesso uomo che aveva salutato Isa si fece avanti.

«Io invece credo che sarai tu a perquisire me...» mio fratello alzò la voce senza timore.

Io lo guardai male, immaginandolo già come il nuovo compagno di cella di Tony.

Il temperamento doveva essere il medesimo.

«Altrimenti?» l'agente tastò il manganello incastrato nel tessuto dei suoi pantaloni.

«Stevenson conosci le regole, a te tocca il ragazzo» la donna ammonì l'altro, interponendosi tra lui e mio fratello.

Ringraziai indistintamente tutte le divinità per aver evitato di far scatenare una rissa.

Il poliziotto controllò Mike in ogni angolo del suo corpo, strattonandolo più e più volte.

Lui rimase in religioso silenzio, contraendo i muscoli, ma decidendo saggiamente di non utilizzarli.

A me la perquisizione andò molto meglio. Fui lasciata passare in pochi secondi.

Mi consegnarono il mio badge di visitatore e mi diedero istruzioni riguardo il tavolo dove avremmo dovuto sederci.

Soltanto diedi minuti dopo, mio fratello mi raggiunse.

«Mi hanno fatto tutti i controlli possibili e immaginabili... deve ringraziare Dio che è nella polizia, altrimenti gli avrei spaccato quella faccia di cazzo» si morse le unghie, strappandole con veemenza. Era così arrabbiato che avrebbe preso a schiaffi chiunque gli si sarebbe avvicinato.

Gli indicai la panca su cui sedere e ci accomodammo ad aspettare Tony.

«Come stai?» gli chiesi a fatica, mentre il mio respiro diventava sempre più corto.

«Come uno che sta per incontrare suo fratello dopo sedici anni» mi strinse una spalla, avvicinandomi a sé.

«Ho paura che le cose cambino... mi ero abituata ad avere solo te... e, invece, tappa dopo tappa, dovremo fare i conti con gli altri» decisi di essere sincera con lui, aprendogli il mio cuore colmo di preoccupazioni.

«Lo so e hai ragione... ma il rapporto che avremo singolarmente con Tony, Lisa e Lena non cambierà quello che abbiamo tra noi... mai, Elle. Sei la mia sorellina cocciuta e stravagante e io ti amo così come sei» mi diede un bacio sulla guancia che mi fece arrossire.

L'imbarazzo non era dettato dal suo gesto così intimo e gentile, quanto più dall'assurdità delle mie paure.

Tuttavia, avevo bisogno che lui lo sapesse perché, soltanto dopo che Mike mi ebbe consolata, fui veramente pronta ad aggiungere un nuovo pezzo fondamentale nel puzzle della mia vita.

E non appena mi decisi a fare spazio nel mio cuore all'ennesimo membro di una famiglia biologica che fino a poco tempo prima non sapevo neanche di avere, lo vidi arrivare da lontano.

La tuta arancione gli stava incredibilmente bene, sebbene apparisse più magro rispetto a come l'avevamo visto nelle fotografie pubblicate sui social. Anche il viso era scavato, aveva un accenno di barba incolta e i capelli ricci più lunghi rispetto al periodo pre-detenzione, ma, malgrado quei piccoli elementi di disturbo, restava comunque estremamente bello. 

Si voltava a destra e a sinistra con gli occhi, cercando Isa e Mickey.

Ci notò soltanto nel momento in cui un secondino gli disse «Williams sei al 463» indicandogli il nostro tavolo.

Tony aggrottò la fronte, passando la lingua sulle labbra. Sembrò sorpreso ma neanche troppo. Avanzò calmo verso di noi, sedendosi con un gesto atletico sulla seduta messa a disposizione per i detenuti.

Io e Mike restammo in silenzio e anche lui non sembrò disposto a dire molto.

Noi due eravamo ancora stretti l'uno all'altro, e Tony ci studiò cercando di ricordare chi fossimo.

Quando proprio non riuscì a venire a capo di quel mistero, decise di parlare.

«Ci conosciamo?» domandò perplesso, non smettendo di fissarci.

«D-direi di sì» balbettai, intrecciando la mia mano attorno al suo polso tatuato.

Sfiorai con l'indice l'iniziale del mio nome che, insieme a tutte le altre, gli ornava la pelle come fosse un bracciale.

Lui ritrasse il braccio, alzandosi immediatamente in piedi.

«Non è possibile» scosse la testa «no, no, no» continuò «come cazzo ho fatto a non capirlo!» portò le mani sopra la testa e un gruppo di guardie si avvicinò a lui insospettito.

«Dwayne cazzo, sono i miei fratelli!» si voltò verso uno dei due che era più vicino e lui si bloccò immediatamente.

«Ragazzi! Williams ha finalmente trovato i suoi fratelli!» il secondino urlò all'intera sala.

I carcerati drizzarono in piedi, iniziando a saltare sul posto, urlare, applaudire e mi parve di ricordare che addirittura uno di loro scoppiò in lacrime.

Io e Mike restammo attoniti, ma quella condizione non durò a lungo, perché furono le braccia di Tony attorno a noi a impedirci di rimanere congelati.

Ancora una volta, un amore che non avevo mai provato prima dentro di me mi bucò il cuore, intaccando ogni organo e fuoriuscendomi dalla pelle, dalle labbra, dalle narici, dagli occhi...

Il suo profumo, malgrado fosse intaccato dal tanfo della prigione, mi fece avere un flash che mi riportò al passato.

Mi rividi insieme a lui, da bambina, mentre pronunciavo «Toti» e lui rideva.

Un'immagine di pochi secondi, che non sapevo di aver conservato, venne fuori alla velocità della luce.

Qualcosa esisteva anche dentro di me.

Era inconsueto che una bambina così piccola avesse immagazzinato qualcosa nel suo cervello, eppure, quel ricordo era sopravvissuto a tutte le intemperie della mia esistenza.

Il nostro legame andava oltre il tempo e lo spazio e quella non sarebbe stata l'unica volta in cui ne sarei stata consapevole.

«Non credevo che vi avrei più riabbracciati» Tony sussurrò commosso.

«Quanto mi sei mancato» Mike asciugò una lacrima che gli stava solcando la guancia «mi sembra un sogno» dovette trattenersi per evitare di iniziare a piangere ininterrottamente.

«Come ce l'avete fatta?» nostro fratello ce lo chiese curioso e dalle sue parole intuii che anche lui ci avesse provato in passato.

«Ci siamo letteralmente macchiati di un crimine» risposi scherzando, sebbene effettivamente ciò che stavo dicendo corrispondesse alla verità.

«Lisa e Lena?» domandò, prendendo nuovamente posto sulla panca destinata ai detenuti «mamma e papà?» aggiunse speranzoso.

«Abbiamo l'indirizzo delle gemelle... ma dei nostri genitori, niente» Mike pronunciò l'ultima parola con profondo rammarico.

«È già tanto... cazzo, quando uscirò da qui avrò tutta la mia famiglia riunita... non ci credo» portò le mani alla testa, scosse il capo e continuò a farlo a lungo «è uno dei giorni più belli della mia vita» proseguì incredulo.

«Tony» cercai di riportarlo alla realtà «dobbiamo chiederti delle cose importanti, e abbiamo poco tempo per farlo» mi decisi ad arrivare al dunque il più in fretta possibile. Ero ormai troppo consapevole che dietro ciò che avevamo scoperto si nascondesse un segreto più complesso di quello che credevamo.

Lui annuì, incatenando le sue iridi alle mie.

«Abbiamo visto l'anello di Isa» mi imposi di non sbattere le palpebre per continuare a reggere il suo sguardo «abbiamo bisogno che tu ci dica qualcosa di quell'ultimo giorno» appoggiai la mano destra sulla sua, accarezzandone il dorso.

«Eravamo a casa, come sempre, era un giorno assolutamente come tutti gli altri... poi, papà chiamò la mamma e da quell'istante tutto assunse delle tinte fosche».

Tony, 20 gennaio 2006.

«Mamma, Lisa e Lena hanno colorato tutta la faccia di Elle» irruppi nella camera dei miei genitori. Trovai mia madre china su una grande valigia, indaffarata come mai prima di allora.

«Che fai?» mi distrassi subito dal problema che mi aveva portato da lei «qualcuno parte?» aggiunsi, quando mi accorsi che, malgrado il mio ingresso, non avesse cessato per un attimo di piegare i vestiti.

«Sì» rispose flebilmente «Tony ho bisogno che tu mi prometta una cosa» alzò finalmente i suoi occhi per guardarmi «devi prenderti cura dei tuoi fratelli finché non tornerò».

Mi stupii sentirle dire determinate cose, non sapevo neanche lontanamente che saremmo stati costretti a vivere un periodo senza di lei. Mi sembrò piuttosto strano che avesse deciso di lasciarci, considerando che papà era fuori città per lavoro da qualche giorno e che non avevamo nessun parente che potesse farci compagnia. Quasi credetti che mi avrebbe lasciato badare a tutti i miei fratelli da solo. Ero grande, sì, e anche piuttosto responsabile, ma ero pur sempre un bambino al pari di tutti gli altri.

«Vai da papà?» provai a indagare per capire quale fosse la sua versione dei fatti ufficiale.

«Non è importante» rispose di scatto, quasi innervosita «quello che conta è che tu non dimentichi mai alcune cose... sai chi sono, sai cosa mi appassiona e sai meglio di chiunque altro cosa mi passi per la testa. Ragioni esattamente come me, e so che sarai in grado di capire dove andrò. Anzi, credo tu sia l'unico al mondo in grado di farlo» mi sorrise, ma non come faceva di solito, ciò che la sua espressione indicava non era gioia, felicità o contentezza, tutto ciò che si celava dietro ai suoi movimenti facciali altro non era che una profonda tristezza.

«Indossa questa» mi passò una maglietta con una stampa di un surfista «e prendi questo» aprì un porta gioie e vi estrasse un anello «Tony, questa è la cosa più preziosa che possederai, proteggilo con tutto te stesso e fa che sopravviva al tempo. Verrà un giorno, te lo giuro, in cui dovrai guardare attraverso le cose... e solo in quel frangente la verità nascosta tra le righe ti verrà a cercare» parlò volutamente in maniera criptica e io aggrottai le sopracciglia confuso «Cosa fanno centomila messicani in un deserto?» mi pose quella domanda come se avesse un benché minimo senso.

«Mamma, sono confuso» provai a farla ragionare, appoggiando entrambe le mani attorno alle sue guance.

«Si sentono soli e si sono persi, Tony... si sentono soli e si sono persi... ricordatelo, ti prego» allontanò i miei palmi da lei, stringendomi subito dopo tra le sue braccia.

«Oggi è il Venti Gennaio» indicò il calendario facendomi voltare verso di esso «ti sembrerà di non conoscermi più dopo la mia partenza... ma sono certa che saprai custodire dentro di te l'immagine di quella che sono davvero. Fai in modo che anche i tuoi fratelli lo sappiano... troverete la strada» aprì una catenina e vi infilò l'anello. Me la legò al collo, facendo adagiare il cerchietto d'oro sul mio petto.

«Un codice che tu saprai risolvere... ti basterà ricordare la tua immagine allo specchio per avere la risposta, ok?» mi fece posizionare davanti alla superficie riflettente, ma quella situazione assurda mi confuse talmente tanto che non fui neppure in grado di vedermi bene. Gli occhi erano velati di lacrime a tal punto da rendermi cieco.

Tuttavia, dentro di me, pur non sapendolo per davvero, sentivo che quello sarebbe stato il preludio di un addio.

E così fu.

***

«Nel tuo anello c'è un nove, in quello di Mike un cinque e nel mio un tre... cazzo, Tony, è un codice! Vuol dire qualcosa!» urlai non appena lui cessò di raccontarci, almeno la prima parte, di ciò che ricordava di quel giorno di molti anni fa.

«Ne avete anche voi uno?» sembrò sorpreso.

«Sì, ognuno di noi... un numero diverso inciso all'interno. La direttrice dell'orfanotrofio ci ha detto che è convinta che soltanto quando saremo tutti e cinque potremo avere una speranza di ritrovare mamma e papà... a questo punto credo che avesse ragione. Soltanto quando riuniremo quell'anello, avremo un codice completo e da quei numeri potremo ricavare qualcosa!» improvvisamente sentii crescere dentro di me una voglia di partire e raggiungere Seattle, e non soltanto perché io sentissi il bisogno di conoscere le mie sorelle, ma, soprattutto, perché stavo iniziando a essere insofferente, dovevo ottenere al più presto gli altri due numeri che mancavano.

«Beh, credo tu abbia ragione... se ripenso alle sue parole, vedo chiaramente un piano prestabilito» si toccò il braccio tatuato. 

Tra tutti i segni presenti sul suo corpo riconobbi un ritratto sull'avambraccio.

Era il suo volto.

«Hai una sua foto o sei stato capace di descriverla così bene a Isa?». Se era riuscito a farsela incidere sulla pelle in maniera così realistica, doveva per forza possedere una sua immagine, a meno che sua moglie non fosse la tatuatrice di ricordi più brava del mondo.

«Una sola... nell'album...» sembrò ancora una volta scombussolato dalla mia domanda.

Ripensai alla fotografia che Mike aveva conservato e alla scritta criptica che era stata incisa con calligrafia elegante sul retro.

Fui la prima a capire che quella che nostra madre aveva organizzato era una sorta di caccia al tesoro, ma decisi di non svelare ancora le mie supposizioni agli altri, almeno finché non avessi guardato anche l'istantanea custodita a casa Williams. Forse tutto sarebbe stato ancora più chiaro in quel momento.

«Tu cosa pensi sia accaduto?» nostro fratello interruppe qualsiasi cosa ci fosse tra me e Tony. Non era sicuramente una domanda errata da porgli. Forse lui aveva più elementi di noi per riuscire a ricostruire ciò che era avvenuto sedici anni prima.

«Di papà non so nulla... non era chissà quanto distante per lavoro, ma non è comunque mai tornato e nessuno è stato in grado di ritrovarlo. È stato quasi come se Samuel Robertson non fosse mai esistito. Ho fatto ricerche approfondite sul caso. Per mamma, la stessa cosa, ma avendole parlato fino a poco prima che ci lasciasse dalla signora Rooney, posso dire con certezza che sapeva esattamente quello che stesse facendo. Aveva tutto pronto e si muoveva come se avesse ripercorso un centinaio di volte quel tragitto nella sua mente... e non intendo soltanto quello con l'auto, ma anche per il modo in cui ha fatto a ognuno di noi una valigia e per come ci ha fatti sedere in macchina. Sembrava già tutto programmato» si morse il labbro a lungo, perdendosi nei suoi pensieri intricati.

«Io ho dei ricordi stupendi di papà... ma pensi sia per colpa sua che è fuggita? Credi che le cose tra loro- insomma- che lui potesse- hai capito» Mike fece fatica a parlare, ma per tutto il tempo in cui tentò di completare quella frase, Tony scosse la testa.

«C'è qualcosa che non sappiamo ragazzi... qualcosa che ha a che fare con il prima... dobbiamo capire chi fossero davvero i nostri genitori... prima di diventare mamma e papà, sono stati Grace e Sam. La soluzione è lì, ne sono sicuro» sbatté una mano sul tavolo, accompagnando il suo gesto con un movimento del capo.

Tutti e tre ci guardammo a vicenda, convinti all'unanimità di essere più vicini a una scoperta fondamentale.

In realtà in quel momento non sapevamo quanto fossimo lontani dalla verità, ma almeno eravamo stati finalmente capaci di comprendere che c'era qualcosa per cui lottare.

Proprio nel frangente in cui Tony stava per aggiungere qualcosa, le guardie ci interruppero, decretando la fine del nostro incontro.

«Scusami Williams... so quanto sia importante per te questo momento, ma è ora di tornare in cella» un uomo sulla sessantina, estremamente gentile, gli porse il braccio come a volergli indicare il momento di andare. Tony lo ignorò, alzandosi in piedi e venendo nella nostra direzione.

Il tempo non era dalla nostra parte, perciò potemmo soltanto abbracciarci rapidamente.

«Andate da Lisa e Lena e ricomponete il codice... ci vedremo appena esco. Vi voglio bene» è tutto ciò che riuscì a dirci, prima di scomparire dietro le sbarre dell'ingresso.

Io e Mike ci guardammo, consci che quello sarebbe stato un nuovo inizio.

Dio, quanti nuovi inizi avrei dovuto vivere.

Spazio autrice:

Ebbene sì... era tutto programmato.

Ma perché?

Come hanno fatto?

Sono ancora troppe le domande...

La strada per Seattle sarà ancora lunga... ma ne varrà la pena.

Ci vediamo mercoledì prossimo.

Grazie perché siete ancora con me,

Non mi abbandonate,

Sempre vostra, Maty.

Ps. ormai non c'è neppure bisogno di chiedervi se avete premuto su quella stellina, vero? In più, vi invito a venirmi a trovare su Instagram (maty_riisager), il link per le domande in anonimo vi aspetterà anche oggi.

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