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Capitolo 12 - Casa siamo noi

«Ok, mi stai dicendo davvero che hai corso fino agli uffici dell'orfanotrofio?» domandai a mio fratello, mentre addentavo una patatina fritta rubata dal piatto di Chris.

Quest'ultimo mi guardò in tralice, prelevando a sua volta una delle mie carotine croccanti.

Mike restituì a entrambi uno sguardo enigmatico, fingendo tuttavia di non dare peso al nostro improvviso rapporto così stretto.

«Non riuscivo a smettere di pensare e, poi, una folgorazione improvvisa» gli brillarono gli occhi «sono passato davanti alla vecchia struttura e mi sono ricordato ciò che la receptionist aveva detto. L'archivio è lì Elle, come abbiamo fatto a non pensarci» schioccò le dita davanti ai miei occhi, facendomi sobbalzare.

«Vuoi introdurti lì?» Chris si intromise, aggrottando le sopracciglia preoccupato.

«Ho incontrato Tiffany subito dopo, devo ammettere che ho faticato un po' per convincerla» ammiccò «mi ha rivelato che la stanza degli archivi non è chiusa a chiave e che il turno del guardiano finisce alle tre di notte» fece tamburellare le dita sulla superficie unta del tavolo del diner in cui stavamo pranzando «si era offerta di commettere lei qualche piccolo reato, ma insomma, il mio pene non mi sembrava un premio abbastanza equo».

La coca-cola che stavo sorseggiando mi andò di traverso.

«Cristo... ci sei andato a letto solo per farti dire queste cose?» gli chiesi, inorridita.

«Non proprio... ci sono andato dopo che me le aveva dette... avrei potuto anche evitare» scoppiò a ridere, portando una sigaretta alle labbra «non dirlo, ti prego» si rivolse a suo fratello che era già pronto a rimproverarlo per ciò che stava per fare.

«Non preoccuparti Chri, è solo una sigaretta, non fumerò più fino ai provini» alzò gli occhi al cielo «io ed Elle stiamo per tornare nella casa in cui siamo cresciuti, sono un po' agitato, se permetti» volse il pacchetto verso di noi.

Presi anche io un'American Spirit e l'accesi all'istante.

Grazie al cielo eravamo in un locale per fumatori e non avremmo neanche dovuto sforzarci di uscire all'esterno.

«Il piano è questo» prese una lunga boccata «Chris tu farai il palo, mentre io ed Elle ci introdurremo nella struttura. Tif mi ha spiegato esattamente dove andare e con quale criterio prendere i faldoni. Mi ha assicurato che c'è scritto tutto, non sono proprio aggiornati, ma, per quanto riguarda le loro identità, andremo sul sicuro».

Io e Chris annuimmo passivamente.

Era già stato tutto programmato nel dettaglio e, anche se avessimo voluto obiettare, Mike era così convinto dell'infallibilità del suo piano che non ce l'avrebbe permesso.

«Se ti beccano, la tua carriera va a puttane... non è meglio che lo faccia io?» il fratello minore, come al solito, provò a sostituirsi all'altro, cercando di proteggerlo da eventuali ripercussioni.

«Hai mai sentito di un avvocato con la fedina penale sporca? Per quanto io lo apprezzi, è qualcosa che riguarda noi» indicò prima me e poi lui.

Per la prima volta mi sentii come se valessi più del tempo che loro due avevano passato da veri fratelli, anche se, poi, mi resi conto che il mio era un pensiero fin troppo triste e malvagio perché potesse dirsi giusto.

Nel cuore di Mike c'era posto per ognuno di noi.

Cosa sarebbe accaduto se, una volta ritrovati gli altri, io avessi iniziato a provare gelosia per ogni singolo membro della nostra famiglia?

Forse era giunto il momento di abituare la ricca ereditiera, figlia unica, alla condivisione non solo dei beni, ma soprattutto degli affetti.

Sarebbe presto arrivato il momento di crescere...

«Io sono pronta a fare qualsiasi cosa» mi uscì dalla bocca senza che io potessi controllarlo.

«Adesso però andiamo via di qui e portami a casa» aggiunsi, quasi pregandolo.

Era giunta l'ora di fare un tuffo nel passato, poi, avremmo pensato al futuro.

Eravamo arrivati a Jamestown già da un po' quella mattina. I miei due accompagnatori, però, invece di mettersi subito in marcia, avevano deciso di fare tappa prima in quel ristorante per pranzare. Della mia città natale non avevo visto che il cartello che ci dava il benvenuto. Proprio per quella ragione, durante tutto il pasto, non avevo fatto altro che attendere il momento in cui sarei stata finalmente libera di esplorarne ogni angolo.

«L'ultima volta che ho provato a entrare a casa nostra, c'era un orribile anziano che non ci ha permesso neanche di vederne l'ingresso... non voglio che tu abbia false aspettative» Mike appoggiò la mano sulla mia, accarezzandone lentamente il dorso.

«Non importa, mi basterà vederla anche soltanto dall'esterno. La casa, il luogo di lavoro dei nostri genitori, persino le strade che abbiamo percorso... Io e te di nuovo insieme in quel parco... ho i brividi solo a pensarci» non appena feci riferimento alle coordinate che Mike aveva inciso per sempre sulla sua pelle, lui si toccò istintivamente l'avambraccio.
Ormai tra tutti i segni scuri che aveva sul corpo, era diventato difficile riconoscerle. Eppure erano ancora lì, erano reali. E nessuno ci avrebbe più impedito di rendere tangibile, davanti ai nostri occhi, un ricordo che si conservava ancora soltanto sul suo corpo e nella sua mente.

Lasciai sul tavolo le ultime banconote che avevo conservato gelosamente nel portafogli.

Gli altri due mi seguirono.

I nostri passi ormai proiettavano una sola ombra.

Scegliemmo di spostarci a piedi con l'intenzione di non perdere nessun dettaglio della cittadina. Soprattutto perché Mike, per riuscire a ricordare, aveva la necessità di condurre una vera e propria passeggiata nel suo passato.

Camminammo prima accanto a una chiesetta che mi ricordò quella di Starsollow. Da bambina ero una grande appassionata di Una mamma per amica, e mi sembrò strano essere in un luogo che assomigliasse tanto all'ambientazione di quella serie tv.
Dopo la piazza principale, il negozio di alimentari e la scuola elementare che aveva frequentato Tony, giunse finalmente il momento di passare accanto a una delle strutture chiave della vita passata dei Robertson.

In uno spiazzale abbastanza grande sorgeva una struttura interamente fatiscente. Sulla sommità ancora svettava l'insegna "Graceful car", completamente arrugginita. Nella parte più bassa, a fatica, poteva ancora leggersi "Robertson & Smith".

Deglutii molto lentamente, serrando entrambe le mani in due pugni.

Mi sentivo così tanto sopraffatta dagli eventi che, se non avessi avuto Chris alla mia destra e Mike alla mia sinistra, sarei sicuramente svenuta.

La zona era interamente recintata e sul davanti era apposto un enorme cartellone.

Galleria commerciale Weiss - from New York to Jamestown.

Tutto il progetto ci sbatteva in faccia la futura demolizione dello stabile che era stato di proprietà dei nostri genitori e la futura struttura che sarebbe sorta al suo posto.

Come se a nessuno importasse di quello che era stato. Come se l'intero universo volesse cancellare il nostro passato per poterci ingannare sul fatto che esso non fosse mai esistito.

«Quei dannati ebrei newyorkesi» imprecai, guardando il loro cognome sbattuto in bella mostra come a volerne coprire il nostro.

Non potemmo fare proprio nulla per entrare. L'edificio era pericolante e presto sarebbe stato abbattuto con neanche molta difficoltà viste le condizioni.
Per questa ragione Mike potè semplicemente spiegarmi, rimanendo all'esterno, come in passato si componesse la concessionaria, mostrandomi anche la porticina sul retro che dava accesso a una sala interamente vetrata che nostra madre utilizzava per insegnare danza alle bambine.

Mi raccontò del suo desiderio di insegnarmi a ballare, proprio come aveva fatto con Lisa e Lena che, a quanto pare, erano state le sue studentesse più promettenti.

Proseguimmo nel viale dei ricordi, ripercorrendo le strade che nei primi anni della mia vita avevamo attraversato un'infinità di volte. Fino a quando non fummo davanti a una piccola casetta in mattoni rossi.

Dallo sguardo che Mike mi rivolse, capii che eravamo arrivati a destinazione.

Nulla mi ritornò alla mente, sebbene fosse ovvio. Eppure, malgrado le continue dimostrazioni, continuai a sperare per tutto il tempo che qualche ricordo nebuloso si nascondesse nelle profondità più nascoste della mia mente. Nulla però apparve.
Ma qualcosa, vi confesso, c'era.

Bussammo al campanello piuttosto sconsolati, sicuri che avremmo ottenuto l'ennesima porta in faccia.

Sorprendentemente, invece che il vecchio scorbutico che mio fratello mi aveva descritto, comparvero sulla soglia un'avvenente signora sulla cinquantina, un uomo leggermente più vecchio con uno strano sguardo torvo e infine quello che sembrava il loro dolce figlioletto.
Ci sembrò piuttosto strano che fossero tutti appollaiati dietro il portone, ma la felicità di vederli disponibili, sebbene un po' conturbanti, ci diede il coraggio di entrare e di non farci spaventare troppo dalla possibilità che potessero essere degli assassini.

«In camera mia ho trovato delle foto quando ci siamo trasferiti... le ho tenute» proruppe il più giovane che, se non capii male, si chiamava Tommy, dopo aver ascoltato con attenzione la nostra storia.

«Oh, certo... prendile! Intanto Lory vai a mettere su il caffè, io mostro loro la parete» Rosy, la madre, ci invitò a seguirla nell'altra stanza.

Praticamente i loro nomi erano più strani del loro atteggiamento.

Mi guardai intorno alla ricerca di oggetti contundenti da utilizzare per difenderci, qualora ci avessero attaccati. Le mie, però, furono soltanto delle supposizioni goliardiche, palesate tramite sguardi eloquenti nei confronti sia di mio fratello che di Chris.

«Abbiamo cambiato tutto il mobilio, quindi ciò che vedete non vi ricorderà nulla... ma una cosa abbiamo voluto conservarla» la donna si avvicinò a una parete coperta da un mobiletto bianco. Spostò quest'ultimo a fatica, facendo striderne i piedi sul pavimento. Non appena fu leggermente scostato, dietro di esso, comparvero delle scritte.

Il cuore mi si ridusse in milioni di pezzi non appena scorsi segnati più volte, con una calligrafia armonica, il mio nome e quelli dei miei fratelli.

«Ci misurava ogni anno» Mike si toccò la fronte come se improvvisamente qualcosa gli fosse tornato alla mente.

Mi avvicinai meglio per guardare tutti i numeri che erano stati segnati, con tanto di date, in corrispondenza dei nostri nomi.

«L'ultima volta risale al 20 gennaio 2004» deglutii a fatica «il giorno in cui è scomparsa» mi voltai incredula verso mio fratello.

Perché una madre e un padre che da anni stavano progettando di lasciarci, avevano appuntato con tutta quella premura ogni nostro cambiamento? Perché farlo anche proprio prima di dirci addio per sempre?

Che cosa era accaduto davvero quel giorno?

Niente sembrava avere un senso.

«Il caffè è pronto» il padre comparve alle spalle di Chris, facendolo sobbalzare.

Ci spostammo tutti in cucina.

«Ecco le foto» Tommy le porse a me, facendole scivolare da un capo all'altro del tavolo.

Erano tre.

Mike appoggiò la testa sulla mia spalla per riuscire a vedere.

Nella prima erano immortalati Tony e Mike, probabilmente in occasione della nascita di quest'ultimo.

Il nostro fratello maggiore sedeva su un divano con una fantasia a fiori retrò, tipica degli anni Novanta, mentre stringeva tra le braccia il minore. Quest'ultimo era praticamente minuscolo e indossava una tutina bianca e azzurra, mentre l'altro dei calzoncini corti scuri e una maglietta di Super Mario

Il taglio degli occhi di Tony, i suoi capelli ricci e molto più chiari rispetto all'unica sua immagine che avevo visto a casa degli Eliot, il suo sorriso... mi ricordarono tanto Mike. Sebbene, in parte, mi sembrò di riconoscere quelle caratteristiche anche in me stessa.

Sentii un'incalcolabile nostalgia di lui. Mi mancarono le sue braccia, malgrado io non ne avessi praticamente memoria.

Accarezzai il suo viso, come se lo stessi toccando dal vivo.

Un giorno non tanto lontano sarebbe accaduto per davvero, ne ero più che certa.

«Volevi stare sempre con lui... quando ci hanno separati non ricordo se tu avessi già imparato a parlare, ma quello di cui sono certo è che avevi già detto "oti". Prima di mamma, papà o qualsiasi altra parola scontata. Ero un po' geloso, in effetti, perché tutte voi gli volevate un bene infinito, ma credo fosse normale sentirmi così... alla fine lui era il modello a cui mi ispiravo, la divinità inarrivabile, il ragazzino che avrei voluto essere...» mi diede un bacio leggero su una guancia, e io ricambiai, sfregando il mio volto contro il suo. Sentii un leggero accenno di barba grattarmi la pelle.

Trovai che quella sensazione fosse incredibilmente bella. È come se sensorialmente mi avesse ricordato qualcosa. Forse un passato tanto lontano che però non si era cancellato del tutto.

Guardai la seconda fotografia e sentii ancora una volta i miei organi contorcersi.

«Mamma e papà?» sussurrai.

«Sì» gli fuoriuscì piano dalle labbra.

Erano abbracciati, stavano ballando.

Lei rideva e lui la guardava.

Mamma era senza alcun dubbio la donna più bella che io avessi mai visto, papà invece sembrava uno di quegli attori di Hollywood che avevano ottenuto senza alcuno sforzo le copertine dei giornali di moda più importanti del globo.

Ero in grado di percepire il loro amore anche semplicemente guardandoli.

«Mini Grace... sei la sua fotocopia... papà si sbagliava a dirti così simile a lui...» pronunciò amorevolmente Mike.

«Magari» risi «è di una bellezza che lascia senza fiato» la mostrai anche a Chris.

Lui espresse tutto il suo gradimento con un'espressione impercettibile del volto, che però io e Mike fummo in grado di riconoscere.

«Per me siete identiche... se togli un po' di quella robaccia che ti sei fatta iniettare, sei praticamente lei» scherzò, cercando di stemperare un po' la serietà della situazione. 

Io fui in grado di capire che, anche dietro quelle parole scherzose, si nascondesse comunque un complimento.

Scostai l'ultima istantanea.

Mamma, papà, Tony, Mike, Lisa e Lena. Le ultime due erano appena nate e stavano rispettivamente una in braccio al primogenito e l'altra al secondogenito. Tutti erano così felici. Sembravano il ritratto della famiglia perfetta. Mi sentii avvampare le guance. Non mi sarei mai abituata a provare ciò. Non sapevo cosa significasse l'amore diviso e distribuito ugualmente. Ma forse, in effetti, ero ancora confusa proprio su cosa volesse dire amare.

«Manca un pezzo fondamentale qui» mio fratello fece passare un braccio lungo le mie spalle, stringendomi in una specie di abbraccio goffo.

«Lo so quello che stai pensando, Mini, ma, senza di te non sarebbe stato lo stesso. Quando mamma ha scoperto di essere incinta era felice come non mai. Lena quasi si sarebbe fatta uccidere per avere di nuovo papà tutto per sé; eppure, persino lei è riuscita ad amarti immensamente. Ci hai fatti dare tutti di matto, Tony per primo. Sono certo che da qualche parte nel mondo nessuno abbia mai smesso di pensare a me, così come a te. Nessuno di noi vale di più. Non dimenticarlo mai» mi fece ruotare la testa verso di lui e mi implorò con gli occhi di asserire. 

Ed è ciò che feci, malgrado fosse complicato. Era difficile, pur sapendo quanto avesse ragione, togliere quei pensieri infelici dalla mia testa. Tuttavia, malgrado tutto, Mike trovava sempre il modo di toccare i tasti giusti. Nessuno, infatti, era mai stato capace di comprendermi così come faceva lui.

Presi tutte le foto e le inserii nella mia borsa. 

Era incredibile che io avessi finalmente una chiara immagine dei miei genitori, non speravo di poterli vedere mai più nella mia vita. Non sapevo effettivamente se fossero ancora in vita, né dove si nascondessero, ma almeno adesso, pur continuando a cercare i loro volti in quelli di tutte le persone che incontravo, avrei saputo meglio quali fisionomie rintracciare.

«Forse è ora di andare» Chris spezzò il silenzio che si era creato tra tutti noi. Dopo aver bevuto il caffè, ci eravamo persi tutti quanti nei nostri pensieri. Persino la strana famiglia che ci aveva ospitato.

Mike, da come avevo potuto intuire, era rimasto un po' deluso dalla visita in quella casa. Forse negli anni si era immaginato di poter ritrovare tutto com'era. E invece anche quella struttura, così come la nostra esistenza, era andata avanti, cancellando tristemente come un'onda tutto quello che era stato prima di quel gennaio del 2004.

Io, dal canto mio, non avrei mai accettato di lasciare tutto quello che era stato nell'oblio. Avrei sfruttato ogni mio potere per fare in modo che qualcosa dalla sabbia risorgesse, anche dopo tutti quegli anni. 

Lo dovevo a me stessa, a lui e a tutto il resto della nostra famiglia.

Prima di andare via fotografai la parete, stando attenta a far entrare nell'inquadratura ogni singolo nome e misura che mamma avesse appuntato. Poi, ci congedammo in fretta e furia, ringraziandoli per aver avuto la premura di mostrarci quel poco della nostra famiglia che ancora si era conservato in quell'appartamento. 

Mentre camminavamo verso il parco giochi, scelsi di sostituire il mio sfondo precedente proprio con quell'immagine che avevo appena scattato.

Avrebbe potuto essere l'ultima cosa che avrebbe accumunato me e i miei fratelli... anche se già allora, in cuor mio, sapevo che non sarebbe stato così.

«Non ci posso credere!» mio fratello urlò all'improvviso, causandomi un principio d'infarto. «Che cazzo è questo?!» io e Chris ci voltammo contemporaneamente, cercando di capire a cosa alludesse, senza però riuscire a comprendere. Di fronte a noi c'era un semplice Starbucks, così come ce n'erano a migliaia in tutta America.

«Mi sono tatuato le coordinate di un cazzo di caffè per snob» si accasciò sul marciapiede, portando le mani sulla testa. 

Rimasi impalata come una stupida a sentirlo piangere. Mi si bloccarono tutti gli arti, inferiori e superiori senza distinzione.

Fu suo fratello a piegarsi sulle ginocchia e ad abbracciarlo, io non ebbi neppure il coraggio di combattere contro me stessa.

«Lo so che fa male Mike... ma non è l'esistenza concreta di un luogo fisico a determinare se i tuoi ricordi possano o non possano sopravvivere» appoggiò la fronte alla sua, senza vergogna, sebbene agli occhi degli altri apparissero come due pazzi.

«Ci sei stato con mà e papà... ed esisterà sempre qui» toccò il suo cuore «qui» sfiorò le tempie «e qui» passò la mano sul suo braccio.

Li lasciai fermi in quel punto, le mie gambe infatti cominciarono a muoversi da sole allontanandosi da loro. 

Mi avvicinai all'insegna del locale e non potei non notare un particolare. Presi a calci quella scritta una, due... cento volte. Solo quando iniziai a temere che le mie scarpe con il tacco avrebbero potuto sfondarsi, feci retromarcia, sotto gli occhi confusi dei due fratelli Eliot.

«Andiamo via... ha ragione Chris. Che bruci pure questa fogna di Jamestown! L'importante siamo noi... Casa non sono quelle quattro mura, quello stabile in demolizione o il suolo dove sorgeva quel parco, casa siamo noi Mike. Io, tu, Tony, Lisa e Lena. Che si fottano anche i nostri genitori! Andiamo a fare quello che avremmo dovuto fare tanti anni fa, troviamo le vittime, e per un momento lasciamo perdere i carnefici».

***

Dieci minuti prima che i nostri orologi segnassero le tre del mattino, ci avviammo con l'auto verso la vecchia sede dell'orfanotrofio. Aspettammo in silenzio che l'unica luce presente in tutto lo stabile si spegnesse. Quello sarebbe stato l'unico segnale che ci avrebbe garantito l'ingresso, decretando così l'abbandono della struttura da parte della guardia.

Fireworks di Katy Perry riempì improvvisamente l'abitacolo.

Il mio cellulare, connesso allo schermo del pick-up di Chris, proiettò la chiamata in arrivo da parte di Jay.

«Ehm, scusate» feci per allungarmi e premere il tasto rosso, ma prima che potessi farlo, mio fratello pigiò sul verde.

«Sophia» udì la sua voce più roca del solito. Mi parve di percepire, soltanto dal modo in cui aveva pronunciato il mio nome, uno stato d'animo tutt'altro che roseo.

«Cook, ok che a Oxford sarà già ora di colazione, ma qui sono ancora le tre del mattino» lo dissi a metà tra l'infastidito e l'ironico, sebbene subito dopo me ne pentii, ricordandomi della sua situazione. 

Come avevo potuto dimenticare, anche solo per un istante, il contenuto del messaggio che mi aveva inviato qualche giorno prima.

«Sono stato sveglio tutta la notte e... ti pensavo» ammise a fatica.

«Ciao Casanova, sei in vivavoce, quindi risparmia dettagli sconci» mio fratello gli parlò con stizza e a me, per la prima volta da quando lo conoscevo, venne una voglia pazzesca di tappargli la bocca.

«Non ascoltarlo... è solo che è un momento complicato. Stiamo per fare irruzione nell'archivio dove sono conservati i nostri dossier di adozione... e, come potrai immaginare, è leggermente illegale» risi, anche se dentro di me stava iniziando davvero a preoccuparmi ciò che di lì a poco avremmo fatto.

«Ciao, chiunque tu sia, immagino suo fratello... beh, comunque, sono Jay e puoi stare tranquillo. Soph, ti chiamo domani allora, non è il momento per ascoltare le confessioni depressive di uno sfigato».

Me lo immaginai seduto sul pavimento della sua camera, con gli occhi gonfi e le occhiaie profonde. Sperai con tutta me stessa che accanto non avesse nessun alcolico.

«Non disturbi mai, ci sono sempre per te, ricordalo... siamo pur sempre due ricconi insoddisfatti».

«Sei l'unica amica con cui posso parlare di lei. Tutti gli altri hanno chiuso ogni ponte, persino mia sorella... ho una voglia matta di spararmi in questo momento» lasciò in sospeso la frase.

«E menomale che non hai una pistola allora» scherzò Mike, come se fossero amici da una vita e potesse permettersi di ironizzare così sulla sua situazione.

Lo spintonai, aggrappandomi al sedile del passeggero «puoi per favore evitare di comportarti come un dodicenne demente?» gli urlai addosso, aprendo subito dopo lo sportello e catapultandomi fuori dall'auto.

Staccai il bluetooth e proseguii la conversazione dal mio IPhone.

«Scusami davvero, ti richiamo domattina... e non pensarci neanche. Devi ripartire da questo momento per ricostruire te stesso, forse è un bene che non sia venuta, il tuo processo di guarigione non è ancora terminato... magari un giorno, in futuro, sarete di nuovo pronti per stare insieme» parlai in fretta, e sembrò che lo stessi facendo con rabbia, ma in realtà tutto ciò che stavo dicendo lo pensavo davvero, lo stato d'animo alterato era del tutto rivolto a mio fratello.

«Stai attenta... buonanotte a te e buongiorno a me. Ciao Soph» attaccò prima ancora che riuscissi a salutarlo.

Nel momento esatto in cui alzai la testa dallo schermo del cellulare, la luce si spense.

Qualche minuto dopo, un uomo tarchiato uscì, richiudendosi la porta alle spalle.

Infilai la testa in auto, troppo nervosa anche soltanto per dare a mio fratello la soddisfazione di guardarlo negli occhi.

«Diamoci una mossa» lo invitai a sbrigarsi, facendo ticchettare la suola della scarpa sull'asfalto umido.

Mi seguì senza aggiungere altro.

Chris mi richiamò alle spalle, facendomi tornare indietro.

«È un momento molto difficile anche per lui... fa sempre così quando è agitato. Adesso non è il caso di essere arrabbiati, è necessario che voi siate uniti. Non è detto che lì dentro ci siano solo notizie belle e dovete essere pronti a sostenervi qualora ce ne fossero di brutte» mi diede una carezza sulla spalla «e poi hai anche dimenticato questa» mi porse la torcia, sorridendomi.

Non fu necessario che ci dicessimo altro.

Sapevo che aveva ragione, ma alle volte il suo voler difendere l'indifendibile diventava complicato da sopportare anche per me che di lui apprezzavo sempre tutto.

Non appena varcammo l'ingresso del cancello, indossammo il cappuccio per renderci il meno riconoscibili possibile dalle telecamere, qualora qualcuno le avesse guardate. Circumnavigammo lo stabile, raggiungendo il retro. Una volta in posizione, bastò una leggera spinta verso l'alto per aprire la finestra. Mike mi aiutò a salire e poi si arrampicò come se fosse l'attività più semplice del mondo.

Accendemmo le torce e seguimmo esattamente la mappa che Tiffany aveva disegnato su un fazzoletto. Quando appoggiai la mano sulla maniglia della stanza giusta, mio fratello mi bloccò.

«Aspetta» mi implorò «scusami» pronunciò con grande fatica «so di essere un coglione il più delle volte... ma, non voglio entrare lì dentro se non ci parliamo... è un momento importantissimo Elle, è ciò che sogniamo entrambi sin da quando ci siamo incontrati.  Dovremmo tenerci la mano e affrontare qualsiasi cosa scopriremo insieme» quasi mi pregò di perdonarlo, più che con le parole, con l'espressione.

«Hai ragione... anche se sei stato uno stronzo e a volte trovo soffocante la tua gelosia... sei sempre mio fratello e qualunque cosa accada, questo non cambierà mai. Credo mi toccherà rimproverarti mille volte, ma al tempo stesso, perdonarti mille e una» appoggiai la mano destra sul dorso della sua.

Con l'altra libera feci scattare la serratura.

La stanza in cui entrammo non era proprio grande, ma aveva degli scaffali così alti da sfiorare il soffitto.

Illuminammo prima un lato e poi l'altro. 

Ci volle un po' prima che fossimo in grado di orientarci. Dopo qualche piccola peripezia, riuscimmo a identificare la parete giusta, quella contrassegnata da una grande R stampata.

«Tif ha detto quarto ripiano estrema sinistra» seguimmo con le torce la direzione che ci aveva indicato.

Rimanemmo entrambi congelati davanti alla scritta Robertson.

Il rumore della suoneria del mio cellulare, ancora una volta, interruppe un momento importante. Mi spaventai a tal punto da perdere la presa, facendolo cadere per terra.

Sul display, crepato a metà, scorgemmo la scritta: Pollo.

Risposi senza rifletterci, davanti allo sguardo confuso di mio fratello.

«Sta tornando indietro cazzo, cazzo, cazzo» imprecò alla velocità della luce.

«Tienilo occupato per pochi secondi» la mia più che una frase fu un lungo ansimo.

Attaccai la chiamata, allungando subito il braccio verso il faldone.

«Se non vogliamo andare in prigione, questo è il momento di utilizzare le tue doti di atleta».

Mike afferrò la mia mano libera e annuì.

«Via» decretò, iniziando a correre all'impazzata, trascinandomi dietro di lui.

CONTINUA...

Spazio autrice:

Siamo vicini alla prima grande scoperta...

la verità, però, è ancora piuttosto lontana.

Siete pronti a continuare questa avventura?

Grazie perché siete ancora qui con me,

premete sulla stellina e lasciate un commento, se vi va di sostenermi.

A mercoledì prossimo,

Vi voglio bene,

Non mi abbandonate🥀,

sempre vostra, Maty.

Ps. Per chi volesse commentare, ci vediamo su Instagram. Come al solito vi lascio il link per le domande in anonimo e per qualsiasi cosa, sapete dove trovarmi ❤️‍🩹.

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