Capitolo 10 - Andate avanti...
Aprii gli occhi nel preciso istante in cui entrammo nel territorio di Fargo.
Sorrisi di gioia non appena oltrepassammo il confine.
Eravamo in North-Dakota.
Eravamo per la prima volta a casa, insieme.
Pensai ai fratelli Cohen e a quell'assurda cittadina che aveva dato il nome sia a un film che a una serie tv. Mi sembrò incredibile che io avessi guardato ogni episodio e ogni minuto di quella pellicola senza mai rendermi conto di come, in realtà, quello fosse proprio il luogo da cui provenivo. Ero nata lì, ero cresciuta per i primi anni della mia vita a poche miglia di distanza, ma, per gran parte della mia esistenza, non ne ero neppure stata consapevole.
Era stato l'orfanotrofio di quella città ad avermi ospitata per qualche settimana, dopo l'improvvisa scomparsa dei miei genitori, ed era stato quello stesso luogo a essere il punto di inizio della mia nuova vita.
Ero nata al Sanford Medical Center come Elle Robertson nel 2004.
Due anni dopo, ero rinata al St. John's orphanage come Sophia Harbour-Fitzgerald.
Chiunque fossi, tutto era iniziato lì.
Tutto era cominciato a Fargo.
«Dove volete andare?» Chris spezzò quell'assordante silenzio in cui ci eravamo avvolti sia io che Mike. Entrambi eravamo rapiti dalla visione di un susseguirsi di costruzioni che sembravano familiari e, che per mio fratello, in effetti, avrebbero potuto esserlo per davvero, ma che per me non avrebbero potuto portare nessun ricordo a galla.
«Facciamo una breve sosta al motel e poi andiamo St. John's» Mike fu più veloce di me nel rispondere.
L'ansia di sapere mi stava attanagliando lo stomaco, così tanto che avrei preferito che avessimo raggiunto direttamente quel luogo ove sedici anni fa la mia nuova identità era nata. Ma, come al solito, qualcosa mi aveva impedito di controbattere a ciò che aveva appena affermato, risoluto, mio fratello.
Una volta giunti a destinazione, Chris ci chiese di potersi rilassare un secondo sotto la doccia. Le diciassette ore di viaggio, distribuite in così poco tempo, lo avevano destabilizzato. Tuttavia, era stato lui a condannarsi a tale fatica, io, infatti, ci avevo provato a chiedergli più volte di farmi guidare, anche soltanto per una breve tratta, ma lui ormai, impuntatosi, me lo aveva impedito.
Colsi la palla al balzo, decidendo di sfruttare quel tempo, che altrimenti avrei perso seduta sul letto ad aspettare di poter partire nuovamente, per prepararmi al meglio.
Patricia mi aveva insegnato che apparire in certe occasioni era l'unica cosa che contava. E, non so esattamente per quale motivo, anche io in quel frangente ne fui più convinta che mai.
Mi truccai come mia madre mi aveva insegnato. Infatti, non avrebbe avuto senso presentarmi come la vera Elle, tutt'al più la falsa Sophia era ciò di cui avevamo bisogno. Anche perché l'aspetto da galeotto di Mike non sarebbe stato certamente d'aiuto per raggiungere i nostri scopi.
Non so perché avessi portato con me, oltre alla parrucca rosa e a quelle scure nelle versioni lunga e corta, anche una con un insulso taglio medio di un castano scuro. Eppure, malgrado fosse rientrata nella mia selezione senza un apparente motivo, quest'ultima fu sorprendentemente la mia prescelta, perfetta com'era per quell'occasione.
La chiamavo la mia parrucca da chiesa, perché era l'unica che Patricia mi permettesse di indossare agli eventi pubblici della nostra azienda.
Scelsi con cura un abito longuette scuro, un blazer bianco e un paio di occhiali da sole grandi quanto tutto il mio viso.
«Sophia Harbour-Fitzgerald» ripetei più volte allo specchio.
«Col cazzo... sembri proprio una Robertson in versione cazzuta... anzi, ora sembri tale e quale a nostra madre, sei una mini Grace Smith» mi voltai verso mio fratello che, a differenza mia, aveva deciso di presentarsi nella maniera più semplice possibile. Non c'era un suo lembo di pelle che non fosse ricoperto dall'inchiostro e la combo abiti sportivi e capelli arruffati lo facevano sembrare il perfetto criminale di quartiere. Eppure, questo me lo faceva amare ancora di più, perché lui era lui e nessun altro. Non aveva bisogno, come me, di cambiare identità come se più che una persona fosse un camaleonte. Era lo stesso Mike di sempre in ogni occasione e non gli importava cosa avrebbero pensato gli altri.
«Stiamo andando a una festa?» Chris uscì dal bagno ancora tutto bagnato, con un piccolo asciugamano avviluppato attorno alla vita.
Sembrava quasi lo facesse apposta a mostrarsi sempre in maniera così sensuale.
Non so quanta attenzione misi nel non farmi beccare, ma lo osservai in ogni suo muscolo, soffermandomi su un punto in particolare.
«No» pronunciai, cercando di dissimulare «forse in Ohio non ve lo insegnano, ma a New York, sappiamo fin troppo bene che, se vogliamo convincere qualcuno a fare qualcosa di illegale, dobbiamo presentarci quantomeno nel migliore dei modi. Ricca ma non troppo, curata ma non troppo...».
«Bella ma non troppo» mi interruppe lui, schernendomi.
«Anche se volessi, quello mi risulterebbe difficile» mossi leggermente la parrucca per farla aderire meglio alla mia cute e completai il mio look, aggiungendo un rossetto nude rimpolpante alle labbra.
Quando mi voltai, il più giovane degli Eliot era già vestito, malgrado i capelli gli stessero ancora rigando il volto con l'acqua.
Non appena fummo pronti per andare, ci avvicinammo alla porta, rimanendo però tutti e tre come congelati. Prima di convincerci a toccare la maniglia, ci guardammo, e lo capimmo all'unisono: non avremmo lasciato la città fino a quando non avremmo ottenuto dei nomi, degli indirizzi e la verità.
Era ora di cominciare per davvero la nostra avventura.
Alea iacta est.
Il dado è tratto.
***
Il St. John's era una struttura incredibilmente moderna. Le pareti erano quasi interamente vetrate, mentre i soffitti alti erano in legno. Da essi scendevano dei lampadari pendenti di estrema bellezza che contribuivano a dare alla struttura un aspetto da boutique di alta moda più che da semplice orfanotrofio.
Ci avvicinammo cauti al bancone, come se avessimo qualcosa da nascondere o una pistola carica nascosta da qualche parte.
Non appena mio fratello fece per aprire la bocca per primo, gli diedi una gomitata all'altezza dello stomaco. Si piegò in due, tossendo e imprecando.
«Salve» salutai cordialmente.
Solo quando la ragazza, seduta alla reception, mi guardò, dandomi finalmente importanza e accennando una specie di saluto, mi decisi a proseguire «sono Sophia Harbour-Fitzgerald, della Harbour, immagino lei sappia cos'è» le sorrisi, ma lei non sembrò ricambiare, anzi, rimase piuttosto interdetta a seguito delle mie parole.
«Bene, non lo sa... in ogni caso... sono stata adottata nel vostro istituto, circa sedici anni fa. Vorrei richiedere la documentazione riguardante il mio caso e quello dei miei fratelli: Anthony Robertson, Michael Robertson» indicai Mike per farle capire che anche lui fosse presente «Mary-Elizabeth Robertson, Eléna Robertson e Elle Robertson, che sarei io» mi appoggiai con i gomiti alla superficie e attesi che lei mi porgesse quanto richiesto.
«Documenti, grazie» masticò la gomma rumorosamente e, dopo avermi guardata con disprezzo per un minuscolo istante, passò a fissare intensamente mio fratello.
Le consegnammo quanto richiesto e attendemmo che lei inserisse dei dati nel computer.
«Come sua sorella saprà certamente» parlò a Mike, ignorandomi completamente «la legge per la privacy ci impedisce di dare informazioni circa gli altri membri della famiglia. Posso consegnarvi il vostro fascicolo, ma non quello dei fratelli non presenti. Dovete leggere tutto qui in loco e riconsegnare ogni cosa. Inoltre, il materiale non sarà neppure quello completo. Questa, purtroppo, è una sede provvisoria per i nostri uffici. Ci appoggiamo a un centro diagnostico, in attesa che la struttura centrale sia ristrutturata. Per questa ragione, non posso farvi consultare il faldone originale» scrollò le spalle come se non le importasse nulla. Quel suo gesto fece nascere dentro di me una rabbia cieca che, come una bomba, rischiava di farmi esplodere.
Mike mi fece segno di tacere, non appena si accorse di come io fossi sul punto di trasformarmi in una granata.
«Non può dirci proprio nulla su di loro? Sono già stato qui in passato, da bambino, e mi avevano promesso che da maggiorenne mi avrebbero dato qualche informazione in più... uno Stato, un nome, almeno se sono ancora in vita» la sua voce suonò ancor più disperata di quello che non fosse di solito quando si parlava della nostra famiglia. Immaginai, però, che lui stesse calcando la mano volontariamente.
Patricia disdegnava chi utilizzava quei metodi pietistici per farsi aiutare, e forse in fondo mi aveva trasmesso quello stesso pensiero, ma, almeno in quel caso, quel tipo di atteggiamento, malgrado non approvassi del tutto, sembrò funzionare.
«Senti, solo perché sei tu, e mi sembri davvero un bravo ragaz-».
«E perché vorrei che tu mi scopassi su questa scrivania» aggiunsi a bassa voce, interrompendola.
Lei fece finta di non ascoltarmi e proseguì «Anthony ha mantenuto il suo nome, mentre alle altre due è stato cambiato... non posso dirvi altro, anche perché dovrei cliccare sul loro nominativo e il sistema lo registrerebbe. Non saprei davvero come spiegarlo ai miei superiori... vorrei potervi dire il loro cognome, ma davvero non posso. Sono tutti vivi, però, a meno che non ci sia stato un decesso negli ultimi sei mesi; infatti, sono tutti evidenziati in verde» sorrise, passando poi lentamente la lingua sul labbro superiore.
«Di Grace Smith e di Samuel Robertson avete qualcosa?» chiese ancora a fatica. Le sue parole, infatti, sembrarono come incollate alle labbra e impossibilitate a venir fuori.
Faceva male, ogni giorno di più, pronunciare quei due nomi. I nostri cuori, tutte le volte che si faceva riferimento a loro, prendevano a battere in maniera incontrollata, sintonizzandosi sulla stessa aritmia, dimostrando come entrambi ci tenessimo allo stesso modo.
«Nulla, come vedete anche sui vostri fascicoli, risultate abbandonati e le ricerche delle autorità non hanno portato a nulla. Caso archiviato» ci porse quattro fogli ciascuno e ci invitò a consultarli in una stanza attigua.
Mike rimase a ringraziarla per qualche minuto - come solo lui sapeva fare - mentre io e Chris ci congedammo per iniziare a leggere le diverse informazioni contenute nei due plichi.
Oltre le mie generalità, l'indirizzo di residenza e il giorno in cui ero stata abbandonata, non trovai nulla su di me che fosse interessante, così come nulla di particolarmente rilevante riguardo ai miei genitori biologici. Ebbi la conferma che Patricia e Dominic erano stati i primi ad arrivare e conobbi finalmente il giorno preciso in cui quel cognome così pesante aveva sostituito il mio originale.
Fu Chris a individuare, sull'ultimo foglio presente nella pratica di nostro fratello, qualcosa che valesse la pena leggere.
Me lo porse in fretta, invitandomi a consultarlo rapidamente.
«Mike», lo chiamai a gran voce, e lui accorse trafelato.
«Avevi già letto l'interrogatorio della polizia a Carol?» gli domandai ansante.
Scosse la testa.
«Grace è venuta da me con i bambini, sembrava preoccupata e mi ha detto che c'era una cosa che doveva fare assolutamente... poi, agente... non lo so... è fuggita via. È stato tutto così veloce che non ci ho capito niente. Le sono corsa dietro, pensando fosse uscita a prendere qualcosa nella sua auto e, invece, ho trovato sul portico le loro valigie. Una volta tornata all'interno, il maggiore mi ha indicato delle lettere. Una era indirizzata a me. Mi chiedeva di portare i suoi figli all'orfanotrofio e di affidare loro le buste restanti, pregandomi di non aprirle. Così ho fatto. Ho consegnato tutto a suor Violet, quando sono arrivata» lessi tutto d'un fiato.
«Lei crede che la signora fosse sotto minaccia di qualcuno? Le ha parlato del signor Robertson?» anche la domanda posta dallo sceriffo era stata riportata fedelmente.
«Ho ragione di credere di sì. Grace non avrebbe mai abbandonato i suoi figli se non fosse stata costretta... e no, non so altro riguardo Sam. In realtà credo che sia fuori città».
«Abbiamo provato invano a contattare anche lui. I colleghi in Indiana hanno setacciato tutti i luoghi in cui è stato... sono scomparsi nel nulla».
«Tuttavia, signora Rooney, la lettera della madre parla chiaro, entrambi hanno chiesto esplicitamente, firmando e sottoscrivendo ogni cosa con tanto di autentica, che i bambini siano messi in adozione con effetto immediato. Continueremo a cercarli, solo per chiarire se possa esserci qualcosa sotto... ma... sono liberi di affidare i loro figli all'orfanotrofio se hanno deciso di rifiutare il loro ruolo. Perciò, capisco la sua fretta di dichiarare questa preoccupazione, ma ho il timore che non servirà a molto».
«Ne sono consapevole... vi chiedo solo un'altra cosa, come su richiesta di Grace... dovete aggiungere le mie dichiarazioni ai fascicoli dei bambini... e dovete allegare una parte della sua lettera consegnata a me, cosicché loro da maggiorenni possano leggerla».
"C'è stato un tempo in cui credevo che l'amore non esistesse, poi, a uno a uno, siete entrati nella mia vita. Tuttavia, è solo quando vi ho avuti tutti e cinque tra le mie braccia, che ho capito davvero cosa significasse amare. Ed è proprio perché vi amo, che ho capito che devo darvi un'altra possibilità. Tenete stretto tutto quello che vi ho consegnato nella nostra ultima notte e tenete a mente ogni ricordo... ma... andate avanti... perché vi meritate molto più di quello che io e vostro padre avremmo mai potuto donarvi. So che un giorno troverete il modo per riunirvi, perché nel vostro essere fratelli c'è qualcosa che va al di là delle nostre decisioni. Dovrete soltanto avere il coraggio di perseguire delle strade impervie...
Vi voglio bene, oggi, e per tutto il resto dei miei giorni,
sempre vostra, Mamma."
«Ci siete andati da Carol?» domandò Chris a mio fratello. Era l'unico di noi che fosse ancora in grado di parlare. Io e Mike avevamo il volto inondato di lacrime e faticavamo anche solo a restare in piedi.
Trovare Tony, Lisa e Lena era la nostra priorità. Eppure, imbatterci in quelle dichiarazioni stava mettendo tutto in dubbio.
Ci avevano lasciati perché era ciò che volevano davvero o perché c'era qualcosa di più complicato sotto?
Quali strade avremmo dovuto perseguire?
«No» singhiozzò mio fratello «non ricordavo né il suo cognome, né dove abitasse» proseguì a fatica.
«Beh, ora lo sappiamo» gli indicai il suo nome completo e il suo indirizzo stampato sui nostri fascicoli.
Attenti a non farci vedere, fotografammo ogni dettaglio, prima di riconsegnare il materiale che ci era stato fornito alla reception.
Non dicemmo nulla, ma, inserire il domicilio di Carol nella barra del navigatore fu una scelta unanime.
Avremmo cercato un modo per recuperare le informazioni su nostro fratello e sulle nostre sorelle più tardi, visto quanto la tappa intermedia dai Rooney avesse improvvisamente acquistato priorità.
Ci fermammo davanti alla scintillante vetrina di una gioielleria. Sull'insegna luminosa la scritta al led: Lot's jewels.
«Sì, ricordo a malapena il luogo... ma sicuramente vendevano gioielli... ora mi stanno tornando alla mente alcune cose» Mike si toccò la fronte come se tutto quello che stesse guardando fosse troppo. Il suo cervello stava rischiando, ancor più del mio, di andare in cortocircuito.
Non mi feci scoraggiare e avanzai con passo sicuro verso il citofono.
Una volta premuto, non ci fu bisogno di dire nulla, la porta blindata si aprì automaticamente.
«Benvenuti da Lot's jewels, io sono Lot, come posso aiutarvi?» una ragazza, qualche anno più grande di me, sedeva dietro il bancone. Il suo sguardo era fisso su un portatile, mentre stava mordicchiando distrattamente le sue labbra carnose.
«Ehm, ciao. Cercavamo Carol, c'è?» le chiesi, schiarendomi la voce.
Prima che lei potesse rispondere, nell'esatto frangente in cui alzò lo sguardo, mio fratello mi superò, posizionandosi davanti a me.
«Lot! Oh, mio Dio... Lot!» urlò come impazzito, utilizzando un tono di voce talmente tanto entusiasta da farmi domandare se quella che avessi davanti non fosse in realtà una celebrità.
Lei piegò la testa, cercando di capire chi fosse lo strano tipo che le stava sorridendo in faccia come uno psicopatico.
«Mike?» portò il volto all'indietro come scioccata da quella visione «non ci posso credere!» anche lei balzò in piedi, non riuscendo a tenere a freno l'entusiasmo.
«Mamma!» rischiai di perdere l'udito dopo quell'acuto improvviso.
«Non è possibile» circumnavigò il bancone per raggiungerlo. Si strinsero così forte che per qualche secondo fui gelosa. Mi sembrò quasi si fossero ricongiunti con più entusiasmo di noi.
«Lot cosa sta succedendo?» la madre quasi inciampò per raggiungerla. Aveva ancora sugli occhi la maschera protettiva e in mano un bracciale che molto probabilmente stava saldando sul retro.
«Mamma... Mike... Mike Robertson» balbettò, quasi avesse dimenticato come parlare.
«Cosa?» Carol si appoggiò al bancone per non cadere per terra «sei davvero tu?» strabuzzò gli occhi incredula.
«Sì» lui confermò con un filo di voce.
«Io sono Elle» alzai una mano. Il modo in cui lo dissi fu un po' sgarbato, ma per deformazione professionale, anzi familiare direi, avevo bisogno di avere i miei cinque minuti di gloria ogni tanto e non mi andava che fosse calcolato sempre e solo Mike.
«Cazzo» Lot mi guardò incredula, lasciandoselo scappare. Si coprì la bocca, scoppiando a ridere. «Tu non credo sia Tony» aggiunse, soffermandosi un po' troppo a lungo, su Chris.
Togligli gli occhi da dosso o ti uccido, pensai tra me e me.
Ma che cazzo ti prende Elle? mi domandò, rinsavita, la stessa voce nella mia testa.
«No, sono il fratello di Mike... Chris» fu tutto ciò che rispose lui, prima che io gli lanciassi uno sguardo di disapprovazione che però non colse pienamente nella sua essenza.
«Sono così felice che voi stiate bene... non sono riuscita a smettere di pensarvi per anni... vi ho cercati in lungo e in largo, ma non mi hanno voluto dire nulla» la signora Rooney si asciugò le lacrime, mettendosi seduta cautamente su uno sgabello.
«Carol, noi abbiamo alcune domande da farti» presi in mano la situazione. Non avevamo tempo da perdere.
«Anche io ne avrei un milione per voi... ma è ovvio che le vostre siano più importanti. Vi dirò tutto bambini miei» annuì, pronta a raccontarci ogni cosa di quell'ultima notte.
«Dicci tutto quello che sai e cercheremo di ricavare le nostre risposte» si inserì mio fratello, per correggere i miei modi più rudi.
«Io e vostra madre eravamo diventate amiche per caso. Frequentava questa gioielleria da un po', quando ci propose di acquistare un'auto nella concessionaria di vostro padre a un prezzo scontato, dopo aver saputo di una nostra improvvisa necessità, ma di una scarsa disponibilità economica. Da quel momento avevamo iniziato a vederci sempre più spesso, e forse voi due, Lot e Mike, vi ricorderete molto bene l'uno dell'altro, visto che eravate praticamente inseparabili. Ve la faccio breve» si soffiò il naso, tamponando poi con lo stesso fazzoletto di stoffa anche gli zigomi bagnati «una sera è venuta da me, senza avvertirmi... non lo faceva mai... è entrata dal portico sul retro portando con sé tutti voi... mi ha detto qualcosa come "Carol ho bisogno di una mano" e io non ho fatto in tempo a chiederle di cosa avesse bisogno che lei non c'era più. Mi sono voltata per prenderle dell'acqua ed eravate rimasti soltanto voi. Sono corsa fuori e quasi ho rischiato di inciampare sulle vostre valigie».
«Non ha detto altro?» non riuscii a rimanere in silenzio, tutto stava assumendo delle tinte così fosche.
Scosse la testa rammaricata.
«Non c'è stato tempo... ho aperto a uno a uno i bagagli e non c'era niente di strano. Vestiti, giocattoli e pannolini per te. In casa sul tavolo c'erano sei lettere. Tony mi ha detto "Mamma ne ha scritta una per te, devi leggerla"».
«Lui sapeva?» questa volta a inserirsi nel suo racconto fu la voce di Mike.
«Non aveva capito, ma vostra madre gli aveva parlato... si era assicurata che lui mi ricordasse di leggerla. Ed è proprio ciò che feci. Vorrei potervela consegnare, ma è stata acquisita come prova dalla polizia» il telefono prese a squillare e lei con un gesto veloce declinò la chiamata.
«In sostanza mi chiedeva di portarvi all'orfanotrofio e di consegnare le vostre cinque lettere alla direttrice. Spiegava che era stata una scelta sofferta ma necessaria e un sacco di altre stronzate alle quali non ho creduto neanche per un istante. Ho fatto quello che mi ha chiesto, però, ci sono riuscita soltanto il giorno dopo. Dovevo rispettare la sua volontà, anche se farlo mi ha procurato più dolore di quanto mi sarei mai immaginata».
«E che c'era nelle buste con i nostri nomi?» avevo fretta di riunire tutti i tasselli.
«Documenti autenticati con firma di entrambi i vostri genitori, questo è ciò che mi hanno detto... non so altro purtroppo» scrollò le spalle dispiaciuta.
«Qualcuno li aveva validati?» Chris, da futuro avvocato, ci tenne a fare quella domanda.
«Un notaio, Garrett credo si chiamasse... era tutto legale».
«Abbiamo letto le tue dichiarazioni allo sceriffo. All'epoca non sembravi molto convinta che la loro fosse una decisione volontaria» puntellai i gomiti sul bancone freddo, sentii un brivido risalirmi lungo la schiena. Sapevo bene che ciò che stava per dire avrebbe reso tutto più complicato.
«Non li hanno più trovati ragazzi... nessuna traccia... com'è possibile?» chiese retoricamente al vento più che a noi.
«Pensi siano...» Chris fece una pausa, guardando prima suo fratello e poi me, sembrò preoccupato di proseguire «credi che, insomma, siano morti?».
«Vorrei poter rispondere di no... ma... la verità è che dopo più di quindici anni, io non sono riuscita a darmi una risposta» scoppiò in un pianto fragoroso e io in quel momento mi sentii improvvisamente così estranea a quel tipo di sentimento.
Malgrado mi stessero dicendo che il sogno di una famiglia unita potesse essere stato infranto ancor prima che io iniziassi a sperarci davvero, non riuscivo a provare altro che il vuoto dentro di me.
«C'è qualcos'altro che dovremmo sapere?» fui fredda nel chiederlo, ma non fu per una mia scelta razionale, chiudermi era il mio unico modo per tenermi a distanza dalle brutte sensazioni.
«Purtroppo non so altro. Le indagini sono state un buco nell'acqua, il loro abbandono sulla carta era valido a tutti gli effetti e non avevate alcun parente in vita che potesse prendersi cura di v-».
«Cosa? Mamma diceva che i suoi genitori vivevano lontano... non si sono fatti avanti?» Mike la interruppe con irruenza. Finalmente riconobbi un'ennesima analogia tra noi. Si impegnava a fare il pacato per educazione, ma poi, alla fine dei giochi, era profondamente simile a me.
«No tesoro... la polizia non ha trovato nulla... non conosco i dettagli, ma a quanto ho capito erano entrambi orfani e figli unici».
Aggrottai le sopracciglia, «che strana coincidenza» pensai ad alta voce.
«Come vi ho già detto... non torna nulla in questa storia... ma non hanno lasciato traccia» sfilò la fede e giocò con essa facendola passare da un dito all'altro «Tony, Lisa e Lena?» mi parve avesse quasi la lingua incollata al palato quando cercò di pronunciare i loro soprannomi.
«Siamo qui principalmente per ritrovare loro» Mike passò un braccio lungo le mie spalle, avvicinando maggiormente il suo corpo al mio. Doveva aver intuito quanto avessi bisogno di lui in quel momento.
«E voi come avete fatto a trovarvi?» mi ero quasi dimenticata della presenza di Lot, quando lei parlò improvvisamente alle mie spalle.
Passammo l'ora successiva a raccontare a madre e figlia di come ci fossimo rincontrati e di cosa fosse accaduto nelle nostre vite a partire dal gennaio del 2006.
Poi, io e Mike ci guardammo negli occhi e, ancora una volta, senza la necessità di confrontarci ad alta voce, decidemmo di abbandonare il Lot's jewels alla volta di un'altra tappa fondamentale che aveva segnato la nostra infanzia per sempre.
Paul Garrett, Fargo, 17th Avenue.
Continua...
Spazio autrice:
Finalmente siamo tornati a casa.
Abbiamo un po' di persone con le quali parlare... ma tutto sta diventando più chiaro (sebbene si stia complicando ancora di più😂).
Se siete curiosi di sapere come si evolverà la storia... ci vediamo mercoledì prossimo con un nuovo capitolo (11 - Il resto... verrà da sé).
Se vi va premete sulla stellina o lasciate un commento per sostenere me e CODE 95023,
Grazie perché siete ancora qui con me,
Non mi abbandonate🥀,
Matilde.
PS. Come sempre, se vi va, su Instagram vi lascio il link per commentare in anonimo il nuovo capitolo.
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