Capitolo 1 - Ogni nuovo inizio segna una fine...
«Buonasera signor non ricordo il suo cognome, sono molto felice di conoscerla, mia madre mi ha parlato spesso di lei e del suo acume negli affari. Oh, sì, ho appena finito le superiori, e adesso mi iscriverò all'università e ovviamente studierò economia come mia madre. Ma no, signor nessuno, non è assolutamente vero, non ho mai fatto domanda alla Juilliard e no, non mi hanno ammessa. Come dice? Mio padre e mia madre hanno litigato furiosamente discutendo del mio futuro e, pur non parlandosi ormai da settimane, ma che dico, forse anni, davanti a lei si sono comportati per tutta la serata come una coppia perfetta? Sì, ci starà confondendo con un'altra famiglia... noi siamo perfetti. Non si vede?» quasi consumai i denti, ripetendo tra me e me il mio monologo. Avrei dovuto semplicemente attenermi al copione che mia madre mi somministrava ogni volta che qualche ospite ci veniva a trovare, ma, anche in quell'occasione non sarei riuscita a mantenere la calma come lei avrebbe voluto.
Ero già perfettamente consapevole di ciò che sarebbe accaduto, dal primo minuto all'ultimo, ancor prima che i due uomini si presentassero alla nostra porta. Avrei scommesso la mia intera eredità su una mia possibile sfuriata, con conseguenti vessazioni da parte di Patricia e con l'ennesima porta sbattuta da parte di mio padre.
Ed è esattamente ciò che accadde... quello che non avevo previsto, però, è che dall'altro lato del tavolo avrei trovato una persona ancor più problematica di me e che, forse, con il suo modo di fare avrebbe messo in ombra il mio.
Non che mi sia strappata i capelli in quell'occasione, sia chiaro. Tuttavia, devo ammettere, che mio padre mi aveva insegnato sin da bambina a essere protagonista sul palco e mai una comparsa, quindi un po' mi dispiacque per una volta cedere il ruolo principale.
Ma per lui, questo e altro...
***
«Buonasera signorina Sophia» un uomo alto, dai capelli lunghi e dagli occhi azzurri si fece strada nel nostro appartamento, rivolgendosi gentilmente prima a me che al resto della famiglia.
«Jack è un piacere rivederti» ancor prima che io potessi ricambiare il suo saluto, andando oltre che un semplice gesto del capo, mia madre si interpose tra noi.
«Buonasera», un saluto stizzito ruppe la finta gioiosità del momento.
La fotocopia dell'uomo adulto, in versione da ventenne, seguì la prima figura all'interno.
«Buonasera signor Cook» riuscii finalmente a farmi strada tra i corpi dei miei genitori per avvicinarmi di nuovo al più grande dei due «sono molto felice di conoscerla, mia madre mi ha parlato spesso di lei e del suo acume negli affari» pronunciai mnemonicamente. Vidi un sorrisetto illuminare il volto dell'uomo. Lanciai un rapido sguardo a mia madre, come per ricercare la sua approvazione. Era lì, in piedi, nel suo abito aderente, ancora impegnata a muovere le labbra come fosse un suggeritore a teatro, mentre mi invitava con gli occhi a continuare.
Non riuscii ancora una volta a proseguire, perché il giovane Cook mi interruppe.
«Jay» allungò la mano verso di me, ma non porgendomi il palmo, bensì stringendola a pugno.
Guardai quel suo gesto con fare interrogativo e poi ricambiai allo stesso modo, facendo toccare le nostre nocche.
Per poco mia madre non ebbe un mancamento, ma non lo diede a vedere, impegnata com'era a mostrare il nostro curatissimo attico al nostro ospite più anziano.
«Stupendo questo vestito, l'hai rubato alla tua prozia di ottant'anni?» mi sussurrò, schernendomi, il mio coetaneo.
Avevo indossato per quella serata un abito castigato della collezione che mia madre aveva composto per me. Nella mia cabina armadio c'era una sezione in cui predominava il nero, con picchi di colori fluo, ovviamente appartenente alla vera me, e un'altra adibita agli abiti da chiesa che Patricia mi obbligava a usare per gli eventi mondani della famiglia Harbour-Fitzgerald, soprattutto quelli lunghi e da suora che servivano a incontrare i miei facoltosi, quanto noiosi, nonni materni.
Guardai, squadrando dalla testa ai piedi, il suo outfit, concentrandomi soprattutto sulla sua camicia spiegazzata e sui suoi pantaloni strappati in fin troppi punti. La Sophia di tutti i giorni amava quello stile, ma la ragazza che stavo impersonando non avrebbe mai potuto accettare una cosa del genere.
«E tu, invece, sei appena uscito da un centro di recupero?» parlai a bassa voce a mia volta. Nell'istante successivo, presi a mordermi il labbro. Cazzo, urlai dentro di me.
«Touché» rise di gusto. Non credevo avrebbe potuto reagire davvero così a una battuta di pessimo gusto come la mia, sebbene fosse stata totalmente involontaria.
"Non parlare di dipendenze" era la prima cosa di cui si era raccomandata mia madre e io, ovviamente, da brava figlioletta ubbidiente, avevo aspettato soltanto dieci secondi per infrangere quella promessa.
«Volete accomodarvi?» Patricia invitò i nostri ospiti a prendere posto attorno al grande tavolo, apparecchiato in maniera impeccabile con il nostro servizio migliore.
Non era difficile notare quanto fosse intenzionata a fare colpo sul signor Cook. Evidentemente le voci sulla crisi della compagnia erano vere e lei aveva una stringente necessità di assumere qualcuno che potesse farla rinascere.
Magdalena, la nostra collaboratrice domestica, versò, a uno a uno nei bicchieri di cristallo, un ottimo vino, importato da mio padre direttamente dalla Francia. Quando fu il turno di Jay, Jack appoggiò una mano sul suo calice, sorridendo timidamente alla cameriera. «Per lui no, è astemio» si scusò per il gesto improvviso, continuando a mantenere la sua finta espressione. Peccato per lui che tutto il mondo conoscesse fin troppo dettagliatamente i vissuti del figlio. Infatti quest'ultimo, di tutta risposta, afferrò la forchetta stringendola saldamente tra le mani, fino a farle diventare bianche e al tempo stesso violacee per lo sforzo. Era incazzato nero per il comportamento di suo padre e non fece nulla per nasconderlo.
«Ho accettato di venire qui solo perché non potevo tornare a Los Angeles, non farmi pentire» parlò piano, sperando che soltanto lui potesse sentirlo, ma in realtà tutti fummo colpiti dal suo tono e dalla sua espressione.
La cena proseguì in assoluto silenzio, fino a quando mia madre non sciolse finalmente la seduta per parlare in privato con il nostro ospite più anziano. Mio padre decise di ritirarsi nella sua camera, ormai da secoli separata da quella di Patricia. Sebbene lui fosse quasi sempre uno special guest nel nostro quotidiano - non che lei passasse più tempo a casa - rimaneva comunque l'unica guida che io avessi mai avuto. Malgrado, cumulativamente, avesse passato a New York soltanto un mese all'anno sin da quando ero venuta al mondo, la sua presenza, anche se assenza nel concreto, avevo comunque continuato a percepirla. Per vederlo di più, soprattutto quando ero più piccola, ero stata costretta a seguirlo in tournée per tutta l'Europa.
L'unica cosa positiva di quei mesi passati in giro per il globo era stata la nascita della mia passione per la musica. Difatti, l'unica cosa a differenziarci in questo ambito era il suo maggiore interesse per la lirica e la mia attenzione per la contemporaneità. Se non fosse stato per questo, avrei veramente riconosciuto nei suoi interessi i miei, cosa che al contrario non valeva affatto per quelli di mia madre.
«Vuoi farmi fare qualcosa o devo chiamare un taxi?» Jay si appoggiò alla parete, incrociando le braccia in attesa di una mia proposta.
«Se vuoi uscire devo cambiarmi, ma non credo che a mia madre farà piacere vedermi in altre vesti» decisi di essere sincera con lui, in fondo l'aveva capito sin dal primo sguardo che non ero chi volevo far credere.
Mi seguì senza aggiungere altro fino alla mia camera. Entrando mi sedetti diretta alla toeletta, tirai fuori le lenti a contatto e, come se fosse stato il gesto più naturale possibile, mi coprii le iridi chiare con altre molto più scure. Presi a stendermi il trucco senza stare realmente attenta a ciò che facessi, concentrandomi sullo sguardo del ragazzo che mi seguiva silente in ogni mia azione.
Quando aprii un'anta dell'armadio rivelandone il contenuto, quello fu davvero troppo, e la sua curiosità esplose.
«Parrucche? Ma che cazzo...» lasciò in sospeso la sua frase, ma del resto non ne fui sorpresa. Non era di certo la prima volta che mi trovavo a dover spiegare il perché di questa mia scelta.
«Mi piace cambiare» soffiai fuori come fosse un respiro.
«Perché non li tingi davvero?» chiese ancora curioso.
«Probabilmente perché è più semplice così... in un solo giorno posso essere due persone diverse, o infinite, dipende da mia madre e da quanti soldi mi permette di spendere. Per ora ne ho tredici diverse, ma mi piacerebbe ampliare la collezione» gliele mostrai una a una, mentre decidevo quale indossare per la serata. Alla fine optai per i capelli lunghi, mossi e neri, quelli con i quali mi sentivo più bella.
«Puoi scegliere tu i miei vestiti» lo stuzzicai, invitandolo a entrare con me nella cabina armadio.
«Credo tu sia una delle persone più affascinanti che io abbia conosciuto ultimamente, neanche i miei compagni del centro di recupero a Oslo erano così particolari. Hai letteralmente da una parte gli abiti da cocktail di una quarantenne e da un'altra i vestiti di una ragazza della tua età, con poca stoffa e scollature pronunciate oltre i limiti della decenza» afferrò un top trasparente, con una lunga spaccatura al centro, e solo due rose in prossimità dei capezzoli. Non gli diedi neanche il tempo di propormelo che lo indossai, avendo almeno la decenza di dargli la schiena. Rimasi in mutande davanti ai suoi occhi, e aspettai che fosse lui a fare la prima mossa, ma nessuna azione si concretizzò.
«Di solito non sono così sfacciata, o forse sì... ma, hai ancora intenzione di uscire o vuoi passare in maniera diversa questa serata? A me non dispiacerebbe la seconda opzione» vidi i suoi occhi indugiare sul mio capezzolo trapassato da un minuscolo, però molto visibile, anellino in argento.
Deglutì a fatica, prima di trovare le parole per rispondermi.
«Sei stupenda Sophia, ma non posso» utilizzò un tono di scusa al quanto patetico, non ne capii il motivo, ma volli saperne di più.
«Oh, scusami... non ti ho neanche chiesto se stavi con qualcuno» indossai la prima gonna corta che incontrai con lo sguardo. Mi sentii un po' rifiutata, ma al tempo stesso sollevata. Tutti i miei uomini erano uguali a Jay e le cose, dopo il sesso, non andavano mai bene, tutto diventava sempre fin troppo complicato.
«Non lo so» mi rispose sospirando. Si avvicinò alla finestra ed estrasse dalla tasca un pacchetto di Marlboro Gold, me ne offrì una e io la accettai, sebbene non fossi una fan di quel marchio.
«Com'è possibile che tu non sappia se hai una ragazza» risi di lui e con lui della situazione, mi parve di capire immediatamente che la sua non fosse affatto una relazione normale.
«Tra qualche giorno partirò per il Cile e lì avrò la mia risposta» aggiunse un altro dettaglio senza però riuscire a placare la mia ardente curiosità.
«Vi siete lasciati per il tuo problema?» uno dei miei più grandi difetti era da sempre voler conoscere ogni sfaccettatura della vita delle persone con le quali venivo a contatto. A volte è stato un pregio, non lo nego, ma nella maggior parte delle situazioni, almeno per mia madre e i miei nonni, è stato tutt'altro.
«Ci siamo lasciati per un milione di motivi, colpa mia principalmente, ma la amo... spero si presenterà» alzò le spalle, scrollandole poi lentamente. Fece una lunga boccata, trattenendo il più possibile il fumo nei polmoni.
«Tu, invece, perché stravolgi così tanto la tua immagine?» mi diede nuovamente attenzione, dopo qualche secondo perso a riflettere. Probabilmente in quel momento avrebbe preferito essere con lei, piuttosto che bloccato con un'insulsa strana ereditiera come me.
«Da quando ero piccola non mi sono mai riconosciuta nei miei lineamenti... mi sembra sempre di star recitando una parte, quando sono quella che gli altri si aspettano che io sia. Quando ho gli occhi azzurri, i capelli biondissimi e il volto pulito, mi sento il robot di mia madre, il trofeo di mio padre e la nipote che un giorno porterà al fallimento la Harbour. Non so spiegare ciò che mi accade, ma... so di essere la vera me solo quando mi allontano il più possibile da me stessa. La mia immagine allo specchio mi disturba, mi fa stare male guardarmi. So che sono stupenda, non fingerò di credermi brutta» risi per stemperare la serietà delle mie affermazioni precedenti, in fondo non lo conoscevo, non era da me aprirmi in quel modo «però c'è sempre stato qualcosa in me di sbagliato, di rotto, di confuso. In questa famiglia non c'entro niente, forse sarà questo, ma è quasi come se i miei genitori mi avessero generata così perfetta soltanto per usarmi come uno strumento per il loro tornaconto» terminai il mio discorso insensato, respirando a fatica. Il cuore batteva nel petto e sentivo dentro di me una rabbia crescere a dismisura. Se avessi avuto il coraggio, avrei rasato ogni singolo boccolo color grano e avrei persino grattato via le pupille fino a rimanere cieca.
«E io che mi aspettavo più una risposta come: mi vedo più sexy così! Ok, decisamente inaspettato» si allontanò dalla finestra e da me, sedendosi sulle lenzuola perfettamente squadrate del mio letto.
«Mi ricordi molto me e allo stesso tempo la mia Oph, quasi come se tu fossi l'unione perfetta di noi due. È strano da dire, ma mentre parlavi ho sentito una nostalgia tale che vorrei partire seduta stante per raggiungerla... miei pensieri contorti a parte, riguardo la tua situazione... hai mai pensato che forse dovresti darti la possibilità di essere te in un contesto non familiare? Forse potresti scoprire che il problema non è Sophia, ma tutto il mondo che le hanno costruito intorno. Io sono la fotocopia di mio padre con gli stessi fottuti occhi di mia madre, che per la cronaca è la persona che odio di più al mondo e che al tempo stesso quella che ho capito di amare e venerare maggiormente, eppure ho imparato grazie alla mia fidanzata a guardarmi allo specchio e a non odiare più il mio riflesso, per quanto esso continui a proiettarmi ogni fallimento e ogni sbaglio. Credo che tu debba darti una possibilità» sorrise prima di abbandonare interamente il corpo sul materasso, fermandosi a osservare il soffitto che ancora una volta divenne per lui luogo di proiezione dei suoi ricordi.
«Se mai dovessi averne bisogno, potresti farmi da mental coach o qualcosa del genere? Evidentemente i centri di recupero ti rendono saggio» lo raggiunsi, stendendomi accanto a lui. «Grazie per il consiglio, credo ci proverò davvero, non mi costa nulla restare nei miei panni per una volta» avvolsi un braccio attorno alla sua vita, per poi appoggiare la testa sul suo basso ventre. Sarei rimasta così all'infinito, se non fosse stato per l'irruzione di mia madre.
«Jay tuo padre è pronto ad andare» non ci guardò, ma intravidi nel suo volto un misto di felicità e fierezza. Amava quando usavo il mio corpo per mantenere i suoi rapporti di lavoro, non perché me lo dicesse esplicitamente, ma in fondo lo sapevo, gli Harbour-Fitzgerald dovevano rimanere alla vetta della piramide, sempre, con o senza dignità.
Il mio amico per una sera mi salutò calorosamente prima di andare via, gli feci i miei più sinceri auguri per la sua partenza e lo incoraggiai a non smettere di amare quella ragazza che gli aveva permesso di capire così tanto su se stesso.
Mi ripetei che sarebbe stato bello avere accanto una persona come lei, ma, dopo un paio di riflessioni, mi resi conto che, se è vero che nessuno si salva da solo, nel mio caso era palese che l'unica in grado di fare del bene a me stessa fossi solo e soltanto io.
Prima di andare a dormire, ricevetti un suo messaggio su Instagram. Nel testo mi lasciò prima il suo numero di cellullare e poi un invito: Provaci Sophia, mal che vada mostrerai al mondo una quattordicesima e pazzesca versione di te.
Decisi di rispondergli soltanto con un'emoticon e passai tutta la notte a guardare i suoi post. Rimasi folgorata davanti alla bellezza della sua fidanzata e, al tempo stesso, la invidiai per avere accanto un uomo come lui. Poi, però, scorsi in una delle fotografie una luce nei suoi occhi fin troppo simile alla mia, ne fui spaventata e decisi perciò di obbligarmi a riposare.
***
Il mattino seguente mi alzai con un atteggiamento completamente diverso. Ero stranamente in pace con me stessa e con il mio aspetto. Le parole di Jay continuarono a risuonarmi nella mente, tanto che nel momento esatto in cui mi avvicinai alle parrucche e ai trucchi per prepararmi per uscire, decisi di non farne uso. Mi vestii come mi piaceva, non indossai le lenti scure, lasciando per la prima volta dopo tanto tempo che i miei occhi azzurri potessero essere mostrati fuori dalle mura di casa. Credo che molti miei amici fossero convinti fino a quel momento che io fossi una sorta di Biancaneve, riscoprendomi, poi, improvvisamente Cenerentola.
Optai per una nuova versione di me, che però era molto più vicina alla Sophia della realtà, che non all'artifizio che tutti gli altri avevano conosciuto sino a quel momento. Una volta soddisfatta, agguantai il telefono per scrivere alla mia migliore amica:
Sophia: Ieri dicevi sul serio? Dobbiamo davvero andare alla stazione degli autobus?
Digitai sulla tastiera ancora incredula.
Allison proveniva da una famiglia ancor più facoltosa della mia, vivevamo una situazione molto simile con i nostri genitori ed eravamo diventate amiche sin dal mio primo giorno di scuola, avvenuto soltanto tre anni fa. Infatti, prima di allora, non mi era mai stato permesso interfacciarmi a una vita da studentessa normale. Soltanto dopo le costanti preghiere a mia madre, che invece era convinta che un'istruzione a casa sarebbe stata la scelta più opportuna, neanche fossi stata l'erede al trono d'Inghilterra o che so, un ricco nobile facoltoso del XIX secolo, venni iscritta nel più prestigioso degli istituti privati newyorkesi.
In ogni caso, sembrava strano che Allison Cooper mi avesse chiesto di vederci lì, anche se, in effetti, non era nulla di troppo bizzarro, considerando che i ragazzi con i quali si accompagnava provenivano quasi sempre dai bassifondi, al contrario dei miei che invece erano quasi sempre ricchi con problemi di dipendenze di ogni genere.
Ali: Sì, Scott torna dal North Carolina e ha bisogno di qualcuno che passi a prenderlo. E no, prima che tu lo dica, non ci andrò mai da sola. Mi devi un favore, xoxo.
Lessi ogni parola più volte, alzando gli occhi al cielo man mano che mi rendevo conto del luogo in cui mi sarei dovuta recare. Mi aveva incastrata, non solo ad accompagnarla in un posto dove non ero mai stata, ma, sicuramente, anche a partecipare a qualche uscita malsana con il suo nuovo fidanzato della settimana e con qualche suo amico problematico.
Un po' di sesso non mi sarebbe dispiaciuto, ma quel falso preambolo di finta conoscenza mi disturbava sempre infinitamente.
Non sarebbe stato meglio passare direttamente al dunque?
***
Arrivammo insieme alla stazione, sedendoci entrambe sul bordo più esterno dei seggiolini unti messi a disposizione per i pendolari. Guardammo autobus partire e altri arrivare, aspettando con ansia quello proveniente da Albany. Lei perché aveva voglia di riabbracciare Scott, io perché volevo fuggire da quel posto il più rapidamente possibile.
A un tratto, mentre ero distratta a guardare una famigliola felice e spensierata, un gruppo nutrito di ragazzi si avvicinò a noi. Serrai i denti e contrassi tutti i muscoli. Mi calmai soltanto quando mi resi conto che non avevano nessuna intenzione di disturbarci, piuttosto la loro era semplice necessità di raggiungere un autobus che stava per partire.
Correvano rapidamente verso un'unica direzione, partenze per la Pennsylvania, tranne uno. Lo osservai sfilare con tutta la calma del mondo, mentre stringeva nella destra un borsone consunto. I nostri sguardi si incrociarono per quello che, a posteriori, non fu nient'altro che un secondo, ma gli bastò un mero frangente perché restasse come folgorato.
Quasi inciampò sui suoi piedi, bloccandosi davanti a me.
Il volto gli si contrasse, mentre continuava a osservarmi, e io, a mia volta, studiai ognuno dei suoi tatuaggi. Ne era completamente ricoperto, tanto da avere un aspetto da losco trafficante di droga, eppure, il suo volto sembrava buono e i suoi occhi vispi e intelligenti.
Per un istante mi sembrò di conoscerlo, di specchiarmi in lui e di vedermi finalmente per ciò che ero davvero.
Poi lui ruppe il silenzio, domandandomi con voce tremante «Elle, sei tu?».
Da quell'istante il mio mondo non fu più lo stesso.
Ogni nuovo inizio segna una fine...
Sophia morì, Elle nacque.
Spazio autrice:
Ebbene sì, non ce la facevo più a mantenere il segreto...
Non so quando inizierò a pubblicare regolarmente, ma lo dovevate sapere...
Jay, Jay... mio caro Jay... quanto mi eri mancato.
Ti vedremo poco, ma sarai protagonista... chissà se qualcuno di voi ha già capito😂.
Per chi si fosse imbattuto nella mia storia, senza aver letto The Art of Being Art (il mio romanzo precedente), sappiate che non è assolutamente necessario recuperarlo, sebbene le vite dei protagonisti si incroceranno più volte. Poi, vabbè, se proprio siete interessati... vi consiglio la lettura di TAOBA (sono certa che le mie lettrici appassionate sapranno dirvi perché...).
Fatemi sapere cosa ne pensate,
magari vi lascio come ai vecchi tempi il box domande in anonimo su Instagram.
Mi siete mancate come l'aria.
Vi amo,
Non mi abbandonate🥀,
Matilde.
PS. Per chi non avesse completato TAOBA, tranquilli, non c'è nessuno spoiler sul finale (per ora). CODE 95023 va di pari passo...
🪞💍❤️🩹...
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