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Cnidarella

Il brusio della folla sembrò quietarsi nella sala principale quando le lampade a forma di orchidea si spensero sotto la cupola di vetro. Tutte le luci si affievolirono finché l'unica fonte di luce nella stanza non fu il prato di alghe bioluminescenti dell'enorme acquario, palpitanti come fuochi fatui dietro la seta dei veli persiani. I passeggeri della nave da crociera fremettero all'unisono di trepidazione, sorbendo i loro cocktail da lusso e sgomitando con garbo per avere la migliore visuale possibile del palco.
Wei Dongmei si alzò in piedi e si poggiò con la schiena alla colonna. Era la ventesima esibizione a cui assisteva ormai, ma nemmeno lei era immune all'eccitazione collettiva che aleggiava nell'atmosfera. Continuò a strofinare le piastrelle col mocio per qualche istante, ma quando la folla fremette con più forza lo lasciò a terra per avvicinarsi all'orlo della balconata. Il pubblico era più fitto del solito a causa della stagione estiva, perciò la visuale sul palco non era un granché. Wei dovette mettersi in punta di piedi per vederci qualcosa e sgranò gli occhi non appena il sipario iniziò ad aprirsi. L'aria era intrisa di un senso d'eccitazione, gli occhi degli spettatori lucidi di emozione mentre già pregustavano lo spettacolo che sarebbe cominciato da lì a poco. Vederla dal vivo, dopotutto, era un'occasione che capitava una volta nella vita. Le luci della ribalta illuminarono l'acquario per qualche secondo, poi si spostarono verso il terrazzo dalle rifiniture barocche dove il signor Huiliang stava salutando il pubblico, le mani adornate di decine di anelli di rubino.
«Grazie. Grazie a tutti, davvero. È un onore essere qui con voi stasera» annunciò.
«Spero che stiate passando una magnifica vacanza a bordo della Lotus Empyrean e che il viaggio stia soddisfando le vostre aspettative. Noi della Huiliang Enterprise lavoriamo sodo non solo per regalarvi l'esperienza di una crociera indimenticabile, ma anche per immergervi nei segreti più remoti e magici che l'oceano ha da offrire. Ed è per questo che stasera vi offriamo lo spettacolo più esclusivo del pianeta, lo scorcio di un reame abissale che è scrigno di bellezza incomparabile. Ed è con immenso onore che vi presento la figlia della Madre Ancestrale Mazu, la Perla del Pacifico, la Principessa dei Sette Mari. Signore e signori, la splendida Shui Mu!»
La folla proruppe in un boato di grida e applausi non appena il suo nome risuonò nell'aria. I riflettori si spostarono nuovamente sul palco e Wei si sbilanciò in avanti, infilando la testa tra i fianchi di due uomini in smoking. I suoi occhi s'illuminarono quando la notarono lì, sul palco, che entrava in scena strascicando i piedi. Shui Mu avanzò con lente falcate, il viso nascosto dai tentacoli, e un applauso euforico la accolse quando lei alzò la testa. La donna-medusa sembrò indugiare sulle facce degli spettatori per qualche secondo. Forse stava cercando il viso di Wei, ma la possibilità che la individuasse in mezzo a tutta quella gente era infinitesimale. Trascorsi un paio di istanti, quindi, una melodia al piano rempì la sala, seguita dal dolce lamento di un erhu. Il silenzio calò nella sala, stavolta per davvero, e Shui Mu si carezzò i tentacoli sotto l'ombrella con la sensualità di un rapace.
L'opera iniziò con un brano malinconico. Era stato scritto da un famoso songwriter americano come una delicata marcia funebre alla barriera corallina, un aggraziato lamento di commiato. Almeno così aveva sentito dire Wei. La voce di Shui Mu stregò immediatamente gli spettatori, ammutolendo anche i più ebbri d'alcool, e la sala si riempì di una risonanza al contempo melodiosa e aliena. Niente al mondo era ammaliante quanto assistere a quell'esperienza ultraterrena e seguire in prima persona le sue movenze e il suo canto celestiale. Il corpo azzurro e lievemente traslucido di Shui Mu si spostava sul palco con passione e delicatezza, sobbalzando a ogni sussulto diaframmatico. Era lì, di fronte a loro, come un'apparizione. L'autentica materializzazione delle sirene delle leggende antiche, senza le gambe di pesce ma con un canto egualmente ipnotizzante. Un incantesimo che si stava svelando nella sala di fronte ai loro occhi. Presto entrarono in scena i danzatori e l'opera proseguì con la performance che Wei aveva già visto molte volte. Shui Mu cantò il solito brano di Teresa Teng, accompagnata dalla complessa coreografia di luci azzurre e dai ballerini con costumi a tema acquatico. Sporgendosi in avanti, Wei notò che la donna-medusa aveva uno sguardo più annoiato del solito, quasi livoroso. La sua pelle blu sembrava più emaciata del normale, piena di gonfiori grigiastri e opachi, e anche i suoi tentacoli non avevano un bell'aspetto, pendendole dalla testa come grumi di alghe morte. Wei spintonò di più, tentando di farsi notare da lei, ma i due uomini di fronte le lanciarono un'occhiataccia e la respinsero indietro. La donna non poté fare altro che limitarsi ad ascoltare il canto, che a un tratto le parve quasi sofferente. Era energico, certo, ma anche stanco. Eppure dolcissimo. Wei si poggiò alla parete e restò ad ascoltare tutto lo spettacolo, rapita, fino alla fine. Gli applausi alla fine dell'esibizione furono entusiasti, ancora più forti e assordanti di prima. Wei riuscì a scorgere Shui Mu fare un inchino profondo, senza l'ombra di un sorriso, e la vide abbandonare il palco con le gambe che fremevano di spossatezza. Non era un buon segno, pensò. La sua salute doveva essere peggiorata dall'ultima stagione. Adesso il signor Huiliang l'avrebbe portata dai medici della nave, ma i loro farmaci chimici servivano a poco sul suo corpo cnidario. La sua struttura era delicata, in simbiosi con la composizione dell'acqua nell'oceano, e gli antidolorifici le facevano più male che altro. Wei si sentì improvvisamente preoccupata. Sapeva che non c'era modo di scacciare quei pensieri, ma provò comunque a distrarsi col lavoro. Tornò nella sala discoteca per raccogliere la spazzatura e aiutò le colleghe a pulire la cucina. Dopo poche ore, mollò guanti e spazzolone e si diresse verso la prua. Controllò che nessuno la seguisse come di consueto e scese i gradini che conducevano alla passerella telescopica inferiore. Si sedette quindi sul parapetto, sotto i pittogrammi rossi che indicavano il nome nella nave (天人莲花), e aspettò in silenzio ascoltando il rumore delle onde.
Dopo pochi minuti, Shui Mu schizzò fuori dall'acqua e atterrò con un balzo atletico sull'orlo della passerella. Wei le rivolse un sorriso, guardandola sistemarsi i tentacoli dietro la testa, e le corse incontro per un abbraccio.
«Shui Mu, sei bellissima» disse, stringendole le braccia intorno ai fianchi. La donna-medusa si assicurò che nessuno dei tentacoli toccasse la pelle dell'amante, poi ricambiò l'abbraccio con affetto.
«È bello rivederti» rispose con un tono di voce malinconico.
Le due donne sciolsero l'abbraccio e si sedettero a fissare il mare.
«Non hai una bella cera» disse Wei.
Shui Mu emise quello che doveva essere un sospiro, ma che somigliava al fiato di un cetaceo.
«Da un po' mi sento debole. I medicinali non fanno più effetto. Cacciare è più difficile, stare fuori dal mare è più difficile»
Wei si morse le labbra «Non puoi spostarti in altre acque?»
«Migrare? Come fanno le balene?»
«Spostarti in delle acque pulite, che non ti facciano star male»
Shui Mu scosse la testa.
«Non sono come te, che puoi vivere sulla nave e viaggiare per tutto l'oceano,» disse «la mia dimora è in queste acque, ci vivo da prima che la mia memoria si formasse. E poi se decidessi di andarmene non potrei più rivederti»
Wei sentì il cuore sobbalzarle nel petto a quelle parole. Il pensiero che Shui Mu continuasse a lasciarsi marcire il corpo pur di stare insieme a lei era insopportabile. Uno sfocato senso di colpa l'assalì, facendole stringere le dita sul bordo del parapetto.
«Sai che potremmo vederci più spesso di una volta per stagione. Mi basterebbe comprare una barca. Potrei venire a trovarti ogni giorno, se avessi una barca, e portarti io stessa i medicinali per le acque tossiche. Potremmo andare via di qui insieme» disse Wei. La sua voce era roca, le corde vocali intorpidite dall'apprensione.
«E come farai a comprare una barca?» chiese Shui Mu.
«Portami delle perle. Apri delle conchiglie e raccogli tutte le perle che riesci a trovare, poi portamele la prossima volta. Valgono molti soldi nel continente. Con tutti i quei soldi potrei diventare ricca come gli ospiti di questa nave. Così smetterei di pulire il loro vomito e raccogliere i mozziconi che lasciano in giro, e potrei stare con te per sempre»
Un lungo silenzio seguì quelle parole. Shui Mu si strinse affettuosamente a Wei, bagnandole l'uniforme, ed emise un altro sospiro rassegnato.
«Non posso raccogliere le perle per te, lo sai,» disse «non riesco ad aprire le ostriche con la forza. Posso percepire le loro sensazioni, sentire ciò che provano. Aprirle con la forza è come... come violare il loro corpo. È una cosa orribile e io sono la loro custode. Non posso fare una cosa del genere, mi dispiace»
Wei sentì gli occhi tornare a inumidirsi. Se li strofinò per bene e iniziò a ondeggiare le gambe per distrarsi dai pensieri che la tormentavano.
«Che c'è?» domandò Shui Mu, percependo i muscoli dell'amante farsi improvvisamente tesi.
«Nulla. Spettri» rispose Wei.
«Spettri?»
«Brutti ricordi»
«Capisci anche tu questa sensazione? L'hai vissuta anche tu?»
Wei alzò gli occhi verso Shui Mu, stavolta colmi di stupore. Non smetteva mai di meravigliarsi per le capacità empatiche della donna-medusa. Pur non essendo umana, le bastava uno sguardo per capire perfettamente lo stato d'animo delle persone.
«Sì, ma non voglio parlarne» rispose. Era una bugia. In realtà, dopo una giornata intera a pulire cessi e tre mesi di attesa per rivedere Shui Mu, Wei non voleva altro che sfogarsi. Il suo corpo era scosso da fremiti interni, corroso dalla rabbia che aveva accumulato per troppo tempo in un coagulo interno. Un singhiozzo frustrato le scappò dalla gola. La donna-medusa si scostò un poco e si mise a fissarla con gli occhi improvvisamente lucidi.
«È successo qualche mese fa» continuò Wei «di notte, nei bagni della cucina. Ho sentito il rumore delle chiavi del responsabile della mensa. È un tizio che sta molto vicino al capitano, lo temono tutti. Non ha detto neanche una parola, l'ho solo sentito avvicinarsi dietro di me, alzarmi il grembiule e spingermi contro la parete per penetrarmi. Io ero troppo spaventata per reagire, io...»
Wei strinse i denti. Non riusciva più a trattenere le lacrime nonostante gli sforzi. Shui Mu sembrava esterrefatta. Le prese in grembo la testa, stando attenta a non sfiorarla con i tentacoli, e le carezzò i capelli nel tentativo di consolarla.
«Sono mortificata, Wei. Non lo sapevo. Non so che dire, davvero» mormorò con voce sconcertata. Forse la sua mente da organismo acquatico stentava a comprendere la misura della violenza che Wei aveva subito.
«Non permetterò che ti succeda mai più una cosa del genere. Lui come si chiama?» le domandò.
«Si chiama Uda... Uda Irawan. Il responsabile della mensa, ogni tanto fa il caposala,» rispose Wei tra i singhiozzi «devi scusarmi, non volevo che mi vedessi così. È solo che...»
«Non devi scusarti di nulla» la interruppe Shui Mu. Wei poteva sentire attraverso la pelle che la donna-medusa era scossa da un vortice di emozioni estreme nel profondo. Anche se cercava di nasconderlo, dimostrava spesso reazioni molto intense in relazione allo stato d'animo dell'amante. E con quel corpo macilento e fiacco, non c'era da meravigliarsi se stesse sentendo risuonare dentro di sé, amplificata, la desolazione esistenziale che ultimamente tormentava Wei.
«Devi scusarmi. È che sono stanca di vivere su questa nave, di spaccarmi la schiena ogni giorno per pulire la merda dei ricchi, di come mi trattano gli altri dell'equipaggio. Sono stanca di vederti solo una volta ogni tre mesi, di rivederti livida e malata e di sentirmi dire che preferisci morire che stare con me. Io voglio solo stare con te. Non ce la faccio più» continuò Wei, piangendo sottovoce. Le lacrime scivolavano sul vestito bianco di Shui Mu e venivano assorbite dalla sua pelle semitrasparente. La donna-medusa la strinse forte a sé.
«Sono stanca anch'io, Wei. Ultimamente non riesco a pensare con lucidità, sento di odiare la mia vita sempre di più. Ma troveremo una soluzione»
Detto ciò, Shui Mu infilò la mano nell'unica tasca dell'abito e ne estrasse un guscio di nautilo. Era lucido, con delle sfumature purpuree e una piccola crepa sulla parete spiraliforme.
«Tieni, voglio darti questo»
Shui Mu porse il guscio all'amante, che si rialzò lentamente e cercò di frenare i singhiozzi.
«Soffiaci dentro se ti trovi di nuovo in una situazione come quella che hai vissuto. Se sarò nei paraggi, lo sentirò e verrò ad aiutarti. Dovrai usarlo solo in caso di emergenza, però. Me lo prometti?»
Wei accolse il guscio tra le mani tremanti. Alzò lo sguardo e vide che gli occhi di Shui Mu avevano un'espressione serissima, luccicanti di passione e di intensa amarezza.
«Te lo prometto» disse, stringendo la donna-medusa in un forte abbraccio. Le loro bocche si incontrarono e si sfiorarono, umide di acqua salmastra, e Wei sentì tutte le frustrazioni scivolare via per un istante, disciolte come polvere nel buio profondo degli abissi pelagici. Quando si staccarono, Shui Mu non aveva alcun sorriso. Era da molto che non la vedeva sorridere, pensò Wei, mentre si strofinava gli occhi nel buio.

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«Il critico del New York Times mi ha assicurato che scriverà un articolo coi fiocchi, ha trovato lo spettacolo molto esclusivo. Però, ecco, rispetto alle altre volte mi sei sembrata un po' fiacca» disse il signor Huiliang, giocherellando col il temperino elettrico poggiato sopra la scrivania dell'ufficio. Shui Mu mosse un passo in avanti, stizzita, ma i bodyguard la dissuasero dal continuare con un'occhiataccia. Si limitò a scuotere minacciosamente i tentacoli e lanciare uno sguardo pregno di rancore all'uomo d'affari.
«Avete permesso ai dottori di strapparmi dei tentacoli. Questo non era previsto nell'accordo» sibilò.
«Analizzandoli, forse, potranno scoprire perché stai male. La tua salute è il mio primo interesse» rispose il signor Huiliang, aggrottando la fronte.
«Sapete già perché il mio corpo sta morendo»
«Certo, e tu sai che non possiamo farci nulla. Anche con tutti i soldi della compagnia non ho certo il potere di ripulire gli oceani»
«Neanche ci provate, però»
Il signor Huiliang tirò un lungo sospiro, dondolandosi sulla poltrona in pelle mentre digitava distrattamente un'e-mail.
«Sto facendo del mio meglio. Sono disposto a cambiare la rotta della Lotus Empyrean verso acque più a nord, fra uno o due anni, ma non credo funzionerebbe. Non ci sono svaghi e le temperature non sono adatte alla nostra clientela. Per ora l'accordo non varia; la prossima volta ti porterò dei farmaci più potenti ed esclusivi. Questo lo posso fare»
Shui Mu sollevò istintivamente il labbro a mostrargli i denti. La sensazione di rabbia che aveva assorbito tramite lacrime di Wei era ancora forte, le faceva pulsare le viscere e la pelle fino alla punta dei tentacoli. Il signor Huiliang si sentì turbato di fronte al viso scavato della donna-medusa. I suoi lineamenti erano più lividi del solito e la sua pelle emaciata la prosciugava della sua elegante immagine di diva subacquea. No, questa volta era più simile a un animale ferito e stremato, con un guizzo di imprevedibilità predatoria negli occhi stanchi.
«Voglio aggiungere una condizione all'accordo, allora» disse Shui Mu «dovete consegnarmi colui che è conosciuto come il caposala. Il suo nome è Uda Irawan»
«Questo non lo posso fare» rispose il signor Huiliang, cercando di adottare un tono cauto.
«In caso contrario, non mi esibirò più»
«E ti lascerai morire?»
«Ve l'ho già detto. I farmaci non funzionano più. Questa volta in cambio voglio Uda Irawan»
Il signor Huiliang chiuse il laptop e si chinò in avanti per studiare gli occhi della donna-medusa. Non c'era alcun guizzo di esitazione nelle sue pupille contratte, e ciò lo preoccupava parecchio. Diede una rapida occhiata d'intesa alle guardie del corpo, indicando loro di tenersi pronti, prima di rispondere.
«Uda Irawan è un nostro dipendente ed è sotto la nostra protezione. Non scambiamo le vite dei nostri impiegati. Perché lo vuoi avere?»
«Voi potete scambiarvi me, però! Potete strapparmi i tentacoli, prendermi pezzettini di pelle e darli agli scienziati! Anche io voglio un pezzo di voi adesso» la voce di Shui Mu si era tramutata un sibilo minaccioso.
«Il contratto non cambierà. Ascolta, io non posso...»
Il signor Huiliang si interruppe quando vide il corpo di Shui Mu saettare verso di lui a incredibile velocità. La donna-medusa lo raggiunse in un istante, le labbra inarcate a mostrare i denti aguzzi, e le guardie del corpo non ebbero nemmeno il tempo di reagire che un tentacolo era già puntato alla gola dell'uomo d'affari. Il signor Huiliang boccheggiò, bloccato sotto la stretta viscida. Il veleno contenuto in uno solo di quei tentacoli era abbastanza potente da uccidere più di un migliaio di persone durante un'agonia lunga diverse ore. Se avesse anche solo deglutito con troppa forza, sarebbe finita per lui.
«Uda Irawan. Portatelo qui. Subito» ringhiò Shui Mu, rivolgendosi alle due guardie del corpo che erano rimaste imbambolate.
«Shui Mu, ti prego. Ragioniamo...» boccheggiò il signor Huiliang.
«Subito!»
Le due guardie del corpo si scambiarono uno sguardo atterrito. Guardarono il signor Huiliang, aspettando ordini, ed egli strabuzzò gli occhi quando la stretta di Shui Mu si fece più forte.
«Fate come dice! Muovetevi!» sbraitò l'uomo d'affari, il tono intriso di disperazione «Portate qui Irawan e ditegli che è per un colloquio urgente. Non avvertite nessuno»
Le due guardie del corpo annuirono e si precipitarono fuori dall'ufficio. Nel frattempo Shui Mu continuò a tenere i tentacoli a pochi centimetri dalla testa dell'uomo, avvolgendolo con una minacciosa aureola vermiforme. Il signor Huiliang poteva sentire i nematocisti pulsare sopra di sé mentre la fronte iniziava a gocciolare sudore.
«Perché, Shui Mu? Perché mi fai...»
«Silenzio»
Dopo pochi minuti i due bodyguard tornarono nell'ufficio, portando con sé un uomo dall'espressione corrucciata. Era un indonesiano di trent'anni, con un taglio di capelli molto curato e i denti storti. I suoi occhi si riempirono di un misto di sconcerto e terrore quando misero a fuoco la scena che stava avendo luogo nell'ufficio.
«Adesso fuori, voi due. Lasciate a terra le pistole» latrò Shui Mu, gelida.
«Fate come dice» ripeté il signor Huiliang. Il suo volto era madido di sudore e le sue labbra tremavano nel tentativo di formulare suppliche strozzate. Le due guardie ubbidirono e subito Shui Mu si avventò sull'uomo indonesiano, i tentacoli protratti in avanti ad avvinghiarsi intorno al suo viso. Il signor Huiliang boccheggiò, osservando con gli occhi sbarrati il dipendente che iniziava a strillare dal dolore sotto l'abbraccio venefico della donna. Il suo volto iniziò a fumare mentre i tessuti molli venivano corrosi dall'acido e la tossina iniziava a sciogliere i muscoli dall'interno. Shui Mu restò in silenzio, seduta sul petto del malcapitato a bloccargli braccia e gambe. Gli occhi le risplendevano di un odio famelico e selvaggio, mosso da pulsioni incontrollabili. Non era stato solo il suo corpo a marcire nelle acque tossiche, pensò il signor Huiliang. Qualcos'altro si era tumefatto dentro di lei, rendendola preda di istinti ben diversi dalla sua tipica saggezza come madre della fauna acquatica. Il lampo dei suoi occhi voraci e furiosi mentre la vedeva avventarsi sul disgraziato gli mozzò il fiato in gola. Presto i rivoli di sangue inzupparono la moquette bianca e le grida dell'indonesiano si spensero a poco a poco, trasformandosi in gorgoglii disperati prima di cessare del tutto. Shui Mu, tuttavia, non si fermò finché il corpo dell'uomo non fu completamente immobile. Una volta finito, quindi, si alzò con uno scatto, facendo trasalire il signor Huiliang, e si voltò verso di lui. L'uomo d'affari era completamente paralizzato dalla paura.
«Ora l'accordo è ancora valido» disse con tono gelido «ci rivedremo domani»
Detto questo, Shui Mu si voltò e se ne andò gettandosi dall'oblò della parete. Il signor Huiliang rimase paralizzato dallo shock ancora per diverso tempo, gli occhi fissi sulle striature di sangue sul volto del disgraziato che lasciavano intravedere le ossa del cranio. Dovette compiere un considerevole sforzo per ricominciare a respirare, le gambe prese da tremori incontrollabili. Shui Mu era cambiata negli ultimi tempi, certo, ma egli non immaginava che sarebbe stata capace di un orrore simile. La situazione era ben più grave di quello che aveva previsto. Non era più una questione di diplomazia e manipolazione. La faccenda per lui si era trasformata in una lotta per la sopravvivenza. Il signor Huiliang pigiò il pulsante sul telefono della scrivania e ordinò alla sicurezza di scoprire quante più informazioni possibile sul signor Irawan. Disse anche di chiamare qualcuno che si disfacesse del cadavere senza destare sospetti. Dopodiché, si sedette sulla poltrona e ricominciò in silenzio a scrivere l'e-mail, le pupille pregne di nervosismo che guizzavano di tanto in tanto sul corpo martoriato dell'indonesiano.

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Wei stava lucidando gli oblò in una delle camere al secondo piano della nave quando qualcuno bussò alla porta. L'occupante di quella camera se n'era andato da poco dopo averla chiamata per pulire e per redarguirla su come svolgere il suo compito, insistendo che il vetro dell'oblò era il più lercio che avesse visto. Wei aveva annuito senza rispondere come al solito, recitando la parte della sottomessa con svogliatezza, finché l'uomo le era parso soddisfatto.
«Anche perché da come parla il mandarino si vede che non è mai andata oltre la scuola primaria. Lei è del Guangxi, non è vero? Che ci fa qui? Io sono laureato in diritto commerciale e pretendo del rispetto. Se lei avesse svolto diligentemente il suo lavoro, non l'avrei chiamata in primo luogo» aveva detto il passeggero, ma lei aveva scrollato le spalle. Ormai era del tutto indifferente alla sufficienza con cui la trattavano i passeggeri.
«Wei? Il signor Huiliang in persona vuole vederti urgentemente» disse la voce dietro la porta.
Era la voce del manager del suo reparto, Qiang. Wei aggrottò la fronte. Si riferivano a lei? Aveva sempre mantenuto un profilo basso nella Lotus Empyrean, a malapena scambiando qualche parola con i colleghi del personale di bordo. Le sembrava inusuale che quella convocazione personale fosse diretta a lei, tantopiù se era di natura urgente. Qiang aprì la porta ed entrò nella camera. Sembrava leggermente più inquieto del solito, con gli occhi infossati nelle orbite e la fronte sudata.
«Seguimi, è una faccenda seria» disse, rivolgendo uno sguardo severo alla donna delle pulizie. Detto questo, si voltò e si avviò lungo i corridoi della nave da crociera. Wei mollò i guanti e il detergente per vetri e lo seguì con titubanza. I due camminavano in fretta; presto oltrepassarono le cucine e la cambusa e presero le scale per scendere giù, nei piani più interni e remoti della Lotus Empyrean. Wei fu tentata di chiedere spiegazioni a Qiang, ma l'innaturale silenzio dell'uomo la intimoriva. Le sue mani s'infilarono istintivamente nella tasca dei pantaloni per stringere il guscio di nautilo e giocherellarci nervosamente. Dopo qualche minuto i due entrarono in uno stanzino di fianco alla sala macchine: una camera da letto abbandonata e illuminata da una singola lampadina penzolante dal soffitto. Sulla parete c'erano un oblò dall'aspetto malmesso e poco più in là un paio di letti in disuso dai materassi pieni di muffa. Il signor Huiliang era lì, accompagnato da due guardie del corpo, e sul suo volto era dipinta un'espressione indecifrabile.
«Puoi andare» disse.
Qiang si congedò con un inchino. Non appena l'eco dei passi dell'uomo fu sufficientemente distante, quindi, il signor Huiliang prese una sedia di plastica e la poggiò davanti a sé.
«Legatela»
Wei sgranò gli occhi. Per un attimo credette di essersi immaginata quella richiesta, ma le guardie del corpo le furono subito addosso. La strattonarono verso la sedia, costringendola a sedersi mentre ella scalciava in preda al panico, e le legarono mani e piedi usando cime d'ormeggio e nodi marinareschi. Wei si divincolò, troppo sconvolta per riuscire anche solo a gridare, ma non poté nulla contro la forza bruta degli energumeni. Il cuore prese a martellargli violentemente nel petto, il suo corpo sopraffatto da brividi di sconcerto. La donna gemette con un sibilo quando il volto impassibile del signor Huiliang si piantò di fronte a lei.
«Wei Dongmei?» domandò l'uomo. Wei non rispose, limitandosi ad ansimare e fissare il volto dell'uomo d'affari con gli occhi strabuzzati per lo shock. Il signor Huiliang restò in silenzio per qualche istante, studiando il volto della donna, poi fece un passo indietro.
«Che tipo di contatti hai con Shui Mu?» chiese.
Shui Mu? Il nome della donna-medusa investì Wei come un pugno in pieno petto. Tutto il suo corpo sembrò avere un tumulto, un brivido così intenso da scuoterla fin nelle radici delle ossa. Non poteva essere. Era sempre stata accorta nel non farsi vedere mentre scendeva a prua, avvolta nell'oscurità della notte oceanica. Il respiro le si mozzò in gola mentre lo sbigottimento si tramutava pian piano in terrore. Il signor Huiliang parve studiare con interesse la reazione viscerale della donna, che evidentemente confermava i suoi sospetti.
«Quanto spesso vi vedete? Dove vi vedete?»
Alla terza domanda senza risposta il signor Huiliang sospirò. Fece un cenno con la testa a una delle guardie del corpo, che si avvicinò alla donna e la colpì con forza sul ventre. Wei emise un acuto gemito di dolore. La vista le si annebbiò per un secondo e un orribile formicolio si propagò per i suoi tessuti addominali, costringendola a rantolare per mantenersi lucida.
«Ogni stagione. Sulla passerella di prua» mormorò con un singhiozzo. Il suo tono era disumano, incrinato dalla paura e dalla disperazione. Il signor Huiliang annuì senza scomporsi.
«Da quanto la conosci?»
«Tre anni. No... quattro anni» il dolore al ventre si fece cocente e Wei dovette stringere i denti per rispondere.
«Per quale agenzia lavori? Chi sono i tuoi capi?»
«Io non lavoro per nessuno. Io... noi ci amiamo. Io la amo»
Insoddisfatto dalla risposta, il signor Huiliang fece un secondo cenno alla guardia del corpo. Questa volta, il pugno le arrivò sulla tempia. La testa di Wei si torse sul collo ed ella sentì le ossa del cranio crepitare e ammaccarsi sotto la forza del colpo. Il sapore del sangue le bagnò le gengive e del muco iniziò a colarle sulle labbra. Wei impiegò qualche secondo a rispondere, irrigidita da un'asfissiante sensazione di stordimento.
«Io non lavoro per nessuno! Lo giuro! Noi ci amiamo e basta!»
«Quindi è solo per motivi personali che le hai ordinato di eliminare il signor Irawan?» insistette il signor Huiliang «Vuoi farmi credere che avete un rapporto solo di tipo affettivo?»
Wei sbatté le palpebre ripetutamente, «Eliminare?» mormorò. Il dolore era troppo intenso, non le permetteva di riflettere lucidamente. La donna sgranò gli occhi e si rinchiuse in un silenzio agonizzante, immobile a fissare le ombre dipinte dalla luce giallastra della lampadina. Il signor Huiliang la osservò attentamente, poi confabulò con le due guardie del corpo.
«D'accordo, Wei Dongmei» disse, avvicinandosi alla donna «tra un'ora Shui Mu si esibirà di nuovo sul palco, come da accordi, perciò per il momento ti devo lasciare. Ma so che ci sono dei patti tra voi due, e dovrai riferirmeli. Se mentirai, ti riserveremo lo stesso trattamento che è toccato al signor Irawan. Concluderemo dopo questa conversazione, nel frattempo ti consiglio di riflettere attentamente su ciò che vorrai dirmi»
Detto questo, il signor Huiliang si ritrasse, si sistemò le pieghe della giacca e uscì dallo sgabuzzino. Le due guardie del corpo si avvicinarono a Wei e le legarono uno stretto bavaglio sulla bocca, in modo da impedirle di gridare. Questa volta la donna non ebbe la forza di resistere. Il suo corpo era accasciato sulla sedia in una posa inerte, il suo sguardo del tutto vacuo. Una volta finito, i due uomini se ne andarono sbattendo la porta.
Wei restò per un lungo tempo a fissare il vuoto. Una sensazione di totale desolazione incominciò a crescere dentro di lei, soffocandole ogni respiro finché un pianto devastante eruppe dal suo corpo. Il suo volto si fece livido, completamente in balia di un sovraccarico emotivo che offuscava la ragione per lasciare spazio solo al dolore. "Eliminare" aveva detto il signor Huiliang. Wei sapeva perfettamente a cosa si riferiva. Si maledisse internamente per non aver percepito i sintomi dell'avvelenamento di Shui Mu, il repentino squilibrio nel suo comportamento. La sacca colma di rancore nella donna-medusa doveva essere scoppiata una volta per tutte, esplosa in un'infezione di odio primitivo e incontrollabile dopo il racconto dello stupro. E il suo amore passivo si era tramutato in un'estrema aggressività protettiva. Il pianto di Wei continuò per un tempo indefinito prima che lei riuscisse a fermarsi. La gola si era totalmente consumata dai singhiozzi e il suo corpo era scosso da fremiti .
Solo allora si ricordò del guscio di nautilo di Shui Mu. Forse, vista la posizione in cui l'avevano legata, Wei poteva raggiungere la tasca dei pantaloni con la mano. La donna strinse i denti e dimenò il braccio con tutte le sue forze, stirandosi i tendini del polso e ghermendo le pieghe del tessuto con le dita. Le corde erano ruvide come carta vetrata e le spellavano gli avambracci, ma Wei ignorò il dolore. Tirò verso di sé il tessuto dei pantaloni, avvicinando la tasca verso di sé finché non poté sfiorarne l'orlo. Poi, dopo un paio di minuti di sforzi, riuscì a ghermire il guscio di nautilo e a tirarlo fuori dai pantaloni. Il suo avambraccio si era spellato e ora somigliava a un reticolo di rivoli di sangue, ma a Wei non importava. Con uno scatto del polso, lanciò il guscio verso di sé per farlo atterrare sullo spazio in mezzo alle gambe. Fu un lancio preciso, guidato dal torrente di adrenalina che le galoppava nelle vene, e Wei tirò un sospiro di sollievo quando lo vide atterrare tra le cosce. Il guscio ora era a portata della sua bocca. La donna si piegò in avanti, ignorando il dolore al ventre, e lo prese cautamente tra le labbra. Il bavaglio che le avevano messo le guardie le impediva di parlare, ma non di muovere la mascella, perciò riusciva a tenerlo stretto tra i denti. Quindi, dopo un respiro, profondo, soffiò più forte che poté.
Il guscio non emise alcun suono, o almeno nessun suono che le orecchie di Wei potessero udire. Tuttavia, le era parso di sentire un fastidioso ronzio nell'aria. Forse quel guscio emetteva degli ultrasuoni, come quei fischietti che potevano udire solo i cani e i cetacei. Wei ricominciò a soffiare, il guscio di nautilo ben stretto tra le labbra tremanti. Non le restava altro che pregare che Shui Mu lo sentisse. Immaginò il fischio viaggiare silenzioso attraverso i corridoi della nave, un richiamo vuoto come un insignificante spiffero di vento nell'immenso spazio della nave da crociera. La carne vicino alla tempia, nel frattempo, si era gonfiata in un livido che pulsava dolorosamente. Wei continuò a fischiare, ondeggiando la testa al ritmo dei suoi singulti di pianto. Il nautilo si bagnò delle sue lacrime. Shui Mu doveva essere a bordo in questo momento, intenta a prepararsi per la seconda esibizione. Ma non avrebbe mai risposto. Improvvisamente un suono di passi giunse alle orecchie di Wei, ovattato dalle pareti. Wei si drizzò sulla sedia, chiedendosi se fosse un'allucinazione, ma aguzzando l'udito le parve di sentirlo di nuovo. La donna ricominciò a fischiare energicamente, svuotandosi i polmoni fino ad accartocciarseli nel torace, e batté i piedi a terra con tutte le forze che le erano rimaste. Ecco, i passi sopra di lei accelerarono nervosamente, tentennarono, scesero le scale. Presto qualcuno iniziò a ormeggiare con la maniglia della porta e il guscio di nautilo scivolò dalle labbra di Wei, abbandonata a singhiozzi disperati e incontrollabili.
Shui Mu spalancò la porta e il suo volto si contrasse in una smorfia di orrore. I suoi tentacoli si fecero rigidi e i suoi occhi neri si dilatarono, del tutto increduli di fronte alla vista dell'amante deturpata dal pianto.
«Wei?» mormorò, esitando prima di avvicinarsi.
«Shui Mu!» le parole uscirono dalla gola sudata di Wei come un latrato strozzato.
La donna-medusa si guardò intorno con circospezione, poi entrò nello sgabuzzino e le tolse il bavaglio dalla bocca, che nel frattempo si era inzuppato di saliva e sangue.
«Sono qui, Wei» mormorò, cercando di usare un tono confortante. La sua espressione si fece ancora più inorridita quando notò il livido violaceo che pulsava sul volto della donna delle pulizie. Si guardò intorno per cercare qualcosa con cui tagliare le corde e notò una cassetta degli attrezzi piena di ragnatele poggiata vicino a dei cavi metallici. Dentro c'erano un paio di forbici da lavoro con cui Shui Mu recise le corde, stando attenta a non sfiorarle il corpo coi tentacoli. Il suo sguardo era stravolto. Una volta libera, Wei si alzò dalla sedia e subito stritolò l'amante in un abbraccio.
«Ci hanno scoperte» mormorò, singhiozzando «perché? Cos'è successo?»
Shui Mu non rispose, limitandosi a ricambiare l'abbraccio con esitazione. La donna-medusa era esausta, completamente drenata di ogni tipo di energia emotiva. Il suo aspetto era più emaciato che mai e il suo sguardo troppo rassegnato per dimostrare alcun tipo di rimorso. Le due donne si guardarono negli occhi. A un tratto erano due esseri completamente isolati dal resto del mondo, avvolte in un dolore distaccato e condiviso nel silenzio dei loro sguardi. Dopo un lungo silenzio, Wei parlò.
«Ora che facciamo?» chiese, strofinandosi il volto per raschiare via le lacrime.
«Non lo so» rispose Shui Mu «ma tra poco verranno a cercarmi. Lo spettacolo dovrebbe iniziare a momenti»
Wei tirò su col naso «Non abbiamo nessuna possibilità?»
«Non dopo quello che ho fatto»
«Allora che facciamo?»
Shui Mu non rispose. Invece, fece qualche passo avanti e si guardò intorno. Osservò per qualche istante l'oblò sopra i letti, immersa in un silenzio contemplativo. La stanza era sotto il livello dell'acqua, vicina alla chiglia della nave, e per questo si poteva solo vedere una distesa di acqua blu illuminata dai raggi solari che trapelavano dalla superficie. Shui Mu sfiorò il vetro con la mano, ammirando i riflessi del mare che danzavano sulla sua pelle.
«Che cosa ci succederà?» disse Wei.
Shui Mu non aprì bocca, ma il suo sguardo diceva tutto: si era rassegnata. Wei non l'aveva mai vista così scossa, sembrava che avesse perso ogni sintomo di vitalità negli occhi. Solo uno sconcertato e profondo dolore era rimasto. Tutto dentro di lei si era spento, eccetto un primitivo furore passionale, intrecciato in amore e odio, che divampava nelle sue profondità più ancestrali e che non aveva mai arso con una tale intensità. Qualcosa si era spezzato definitivamente dentro il suo petto, piegatosi dopo anni di lenta macerazione corporea e mentale nelle acque tossiche del Pacifico. Wei poteva percepirlo nel suo sguardo.
Con le braccia flosce e gonfie di microplastiche nei pori, Shui Mu afferrò le forbici da lavoro e se le portò alla testa cupoliforme. Wei non disse nulla quando la vide cominciare a tagliarsi i tentacoli. La donna-medusa li recise uno alla volta, il volto contratto in una lieve smorfie di dolore e gli occhi socchiusi a osservare le appendici precipitare al suolo. Qualche goccia di sangue blu iniziò a colare dai moncherini, ma lei le strofinò via con malinconica grazia. Le sue movenze erano stanche, eppure lei riusciva a mantenere la sua eleganza, quasi come quell'estrema automutilazione fosse un gesto degno di finezza. Wei era troppo scossa per dire alcunché, perciò si limitò a fissare la scena finché i tentacoli non furono tutti ai suoi piedi come un mucchio di anguille bluastre.
«Shui Mu...» mormorò infine, incredula di fronte a quel sacrificio corporale massimo.
«Mi dispiace, Wei» le rispose la donna-medusa.
Le due donne si gettarono sul materasso, avvinghiate nella stretta che Wei aveva sempre desiderato ma aveva potuto immaginare in proibiti sogni erotici.
«Che vuoi fare, Shui Mu?»
Le loro labbra si incontrarono, incuranti dei sapori salmastri o sanguigni, e si cercarono con una passione spasmodica, disturbata. Si lasciarono soccombere al desiderio di restare sole, abbandonate a cercare un'estasi che cancellasse un'ultima volta le loro sventure, intrecciate in un mistico annichilimento del sé. Wei esitò prima di strappare l'hanfu di Shui Mu, scoprendole il corpo smunto ma bellissimo nel suo colorito bluastro e nelle forme sinuose. Ne percorse i fianchi con la mano, assaporando col palmo l'umidità salina, e una cascata di brividi di piacere la fece gemere. Il letto scricchiolò sopra il peso delle due donne mentre il medio e l'anulare di Wei, congiunti, carezzavano il pube glabro di Shui Mu e ne cercavano l'organo sessuale. La consistenza della mesoglea, robusta eppure innaturalmente morbida, era talmente piacevole che qualche lacrima di commozione le rigò il viso scavato da infiniti pianti. Shui Mu iniziò a emettere dei versi di piacere angelici, quasi melodiosi, immersa nel bagno di feromoni dell'amante. Si lasciò baciare per tutta l'estensione della viso, fin sopra la bolla timpanica e sotto l'ombrella, nella zone più sensibili. Wei non sentiva più il dolore per il pugno al ventre. Non sentiva più niente, improvvisamente beatificata dall'estasi di un coito totale e allucinato. Le due donne erano un'esplosione di passione solitaria, l'unione vibrante di umano e pelagico, i loro corpi lucidi mentre si strofinavano sul materasso ammuffito. Le labbra si baciarono fino a consumarsi, le loro braccia un guizzo bicromo che danzava di una passione sempre più impetuosa. Shui Mu gemette. Gemette ancora, con gli occhi semiaperti. Ogni zona erogena era invasa da sensazioni che non viveva da millenni, e che non aveva mai vissuto con tale intensità. Wei emise un lungo sospiro quando l'orgasmo definitivo proruppe dalle labbra della donna-medusa, finalmente elevata in uno stato di estasi dal flusso di dopamina. Le due amanti rimasero a fissarsi negli occhi, i loro visi solo a pochi centimetri di distanza e i loro petti pulsanti in ansiti di liberazione. Si sfiorarono le guance con un ultimo sospiro di affetto prima di sentire dei passi echeggiare nel corridoio.
«Sono qui!» gridò una voce maschile.
Shui Mu si alzò in piedi, i denti scoperti, e ringhiò in direzione della porta quanto questa si spalancò. L'intero corpo di guardia della nave era fuori dalla soglia e la schiera di uomini armati emise un sussulto collettivo alla vista della donna-medusa con la schiena inarcata come un animale. Shui Mu sibilò minacciosa, lanciando verso di loro i tentacoli abbandonati al suolo.
«Shui Mu! Che hai fatto!» la voce del signor Huiliang provenne dal corridoio offuscata dai tremiti di paura. La donna-medusa ringhiò ancora una volta, ignorando le armi da fuoco puntate su di lei, poi si avvicinò all'oblò di fianco ai letti. Era un oblò arrugginito, coi bulloni erosi dalla salsedine e il vetro piegato dopo anni di pressione acquatica. Shui Mu non ebbe difficoltà ad afferrarlo con entrambe braccia e strapparlo via dalla parete con forza disumana. Un possente getto d'acqua eruttò dalla parete, travolgendo le guardie fuori dalla porta e trascinando i tentacoli velenosi verso il corridoio. Le urla strazianti dei soldati e del signor Huiliang in un attimo riempirono la stanza, atroci oltre ogni limite, e costrinsero Wei a tapparsi le orecchie, ancora rannicchiata sul letto. Shui Mu le tese la mano. Era tempo di andare. Wei strinse la presa e inspirò profondamente, riempiendo i polmoni di quanta più aria poteva. Dopodiché, Shui Mu si fiondò fuori dall'oblò con l'amante stretta tra le braccia. Le due figure si allontanarono dalla Lotus Empyrean con rapidità impressionante e la loro sagoma si fece sempre più piccola fino a svanire. Tutto ciò che si riusciva a scorgere­ era un puntino azzurra in lontananza, una stella quasi invisibile in mezzo alla densa enormità blu della massa oceanica. 

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