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PROVA FINALE • Guerra al sapere umano

La biblioteca dell'Accademia delle Scienze e delle Arti dell'Universo era la più vasta che Gaius avesse mai visto nella sua intera vita. Corridoi larghi decine di metri, scaffali alti quanto i grattacieli della Terra, con milioni, anzi, miliardi di volumi.

Si destreggiava sul suo magnedon oscillando a più di venti metri da terra, stringendo al petto alcuni libri. Guardò il burrone che si estendeva sotto di lui e la presa dei suoi piedi sul disco metallico rischiò di venire meno. Quelli erano i pericoli per un novizio professore universitario, che doveva sfamare a tutti i costi la sua mente.

Erano passate più di due ore da quando si era intrufolato là dentro. Era notte fonda. In realtà lo era sempre lì, perché all'esterno il buio imperava crudele e gelido. L'Accademia, agli occhi di Gaius, appariva come una stella metallica sospesa nel vuoto. Così vasta, che sarebbe potuta essere scambiata per un satellite naturale. Era come un faro: la sua luce guidava le astronavi di passaggio e gli studenti che vi dimoravano.

Darios, il professore di Parapsicologia, lo aveva aiutato ad intrufolarsi nella biblioteca. Con un trucchetto che sfidava l'inintelleggibile aveva fatto levitare le torce delle guardie, facendole sbatacchiare sulle pareti e mandando in confusione i poveri uomini.

Così la sua ricerca era iniziata. Da regolamento era consentito il prestito di un massimo di cinque volumi alla volta. Gaius, sulla mano destra, ne sorreggeva in precario equilibrio almeno venticinque. Erano perlopiù tutti di Letteratura Terrestre, vecchi di secoli e voluminosi. Ma non temeva minimamente di farli cadere a terra, e farsi scoprire. Qualcuno l'avrebbe considerata una paura ridicola, in confronto al terrore che aleggiava in quei giorni nell'Accademia.

Quell'anno, un numero incredibile di Adhoriani si era iscritto alla facoltà di Diplomazia Galattica. Avrebbero quindi partecipato alle lezioni di Letteratura Hanoviana, il cui nuovo docente era Gaius. Lui, tuttavia, nei suoi lunghi anni di studio, aveva imparato a coltivare la calma, a non lasciarsi trasportare dall'odio.

Un così grosso afflusso di quei guerrieri mercenari spietati all'Accademia, era stato dovuto alla costruzione della seconda Fionda spaziale, che permetteva alle navi di essere lanciate a velocità prossime a quelle della luce. Quella struttura così avveniristica era stata posizionata proprio tra l'Accademia e il Braccio Adhorian. Come se non bastasse, tutto era coinciso con la decisione di estendere l'iscrizione all'Accademia a tutti gli esseri bipedi senzienti. Tra cui anche gli stessi Adhoriani.

Ma la decisione di accoglierli era stata ponderata per mesi. Non ci sarebbe stato alcun pericolo. Quegli assassini avrebbero studiato, e basta.

Gaius lanciò uno sguardo al suo orologio, e si accorse che era scattata la ventottesima ora. Altre due e sarebbe scoccata l'ora zero, che annunciava l'inizio delle lezioni. Afferrò al volo un volumetto di Letteratura Hanoviana da uno scaffale poco più in alto e lo pose sulla cima della sua torre di libri, dove svettava il Simposio di Platone. Azionò dei comandi e atterrò con la piattaforma magnetica a terra. Infilò più volumi possibili nel suo zaino e i restanti li tenne in mano. Poi lasciò la biblioteca e si diresse verso l'Atrio.

Nonostante l'Accademia a quell'ora fosse deserta, impiegò tre quarti d'ora per arrivare a destinazione. I mezzi di trasporto non erano attivi la notte e l'università era così vasta che si estendeva quanto una metropoli. Aveva pochissimo tempo per il suo rituale.

L'Atrio era un'immensa stanza circolare. Metà della sua circonferenza era adibita completamente a vetrata, che si affacciava sulla favolosa nebulosa Arion-Omesis. Al centro c'erano alberi, panchine e un paio di fontane. Mentre, dalla parte opposta della vista sullo spazio, svettavano le due entrate per le aule. E in mezzo, la statua della Cultura.

Gaius s'inginocchiò al suo cospetto, con i pugni alla fronte. Ogni notte veniva ai suoi piedi e pregava. Lo faceva di nascosto perché aveva paura di essere scambiato per pazzo o pagano. Quella volta fu veloce, solo pochi secondi. Accarezzò la guancia della statua e, nel farlo, si accorse di una cosa orribile. La parete di marmo alle sue spalle non era più bianca.

Uno schizzo rabbioso di sangue scuro deturpava la purezza della pietra. Con suo grande orrore, notò che copriva anche una delle due incisioni.

Quella a destra della statua recitava: 'Varcate questa soglia e conoscerete l'anima dell'Universo.' Poco più in là, un arco imponente si apriva sul corridoio che portava alle aule scientifiche.

A sinistra della statua, invece, vi era un'altra scritta. Prima di quel giorno aveva annunciato: 'Varcate questa soglia e conoscerete l'animo dell'Uomo.' Un altro arco, gemello all'altro, portava alle aule umanistiche. Ora era difficile leggere sotto le macchie di sangue. Trasparivano solo alcune lettere sconnesse e l'odio di quel gesto che rasentava la bestemmia.

Gaius indietreggiò inorridito, ancora con le ginocchia a terra. Ricordava ancora quando quella statua gli aveva parlato per la prima volta. Le esatte parole gli erano sfuggite del tutto, ma il suono della sua voce ancora persisteva, minaccioso però di scomparire per sempre. Bramava quella voce. Per questo ogni notte era lì, con la speranza...

Tornò la luce. Le fontane ripresero ad erogare acqua e la vita ritornò nell'Accademia, come ogni mattina. Gaius raccolse di fretta lo zaino e si dileguò, prima che qualcuno potesse coglierlo di fronte al misfatto, e giungere a conclusioni errate.

Il corridoio della sezione umanistica dell'Accademia era sorretto interamente da colonne. Tra esse, si aprivano ad intervalli regolari archi enormi, gli ingressi alle singole aule. Il soffitto era un'ampissima volta a botte cassettonata, così elevata che dava la sensazione che dentro quell'università ci fosse più aria di quella reale.

Dovette percorrere quasi duemila metri, prima di poter giungere all'incrocio. Quella sezione dell'Accademia era una croce. Due lunghi corridoi s'intersecavano al loro centro, dove un'enorme cupola affrescata da artisti nativi del pianeta Laenaan, costringeva anche i meno impressionabili a sollevare lo sguardo in alto. Gaius così fece e, come sempre, un brivido gli corse su per la schiena. Anche la sezione scientifica dell'Accademia era una croce, con una cupola nel mezzo. L'aveva vista una sola volta, e ricordava che fosse costruita interamente in vetro e che si affacciasse sugli anelli di Tuminos, il pianeta attorno a cui orbitava l'Accademia.

I corridoi erano ancora quasi del tutto deserti a quell'ora, ma a breve si sarebbero riempiti di studenti. Gaius si godette il silenzio per quel poco che poteva, fino a quando un braccio non gli cinse le spalle, e una voce triste gli sussurrò all'orecchio.

«Gaius, mio caro.»

«Coriolis, cosa diamine ci fai qui?» Cor deteneva la cattedra di Droghe, cosa che non aveva assolutamente a che fare con le arti.

«Devo parlarti assolutamente, ti accompagno fino alla tua aula.» Gaius annuì e improvvisamente lo stomaco gli si attorcigliò, preparandosi alla domanda. «Hai sentito quale disgrazia accompagna il nostro risveglio?»

Il sangue era stato notato. Come previsto, quella notizia non avrebbe tardato a fare il giro dell'Accademia, e della Galassia. Gaius si limitò ad annuire e si avviò lungo il braccio laterale della grande croce.

«Io ho paura.»

«Sei venuto qui solo per questo, Cor?»

«Non voglio morire al mio primo anno d'insegnamento.»

«Non morirà nessuno. Si sarà trattato solo di uno scherzo.» Ma Gaius sapeva che non era così.

«Allora penso che dovrò assumere qualche sostanza, per calmarmi.»

«Vai ora, penso tu sia in estremo ritardo.»

«Dannazione sì, odio la mattina.» Sbuffò, armeggiando con la sua mano dentro la borsa. «Invidio i professori di Materia Oscura e Relatività, che hanno lezione solo al pomeriggio. E non ricordo nemmeno qual è la mia aula. Penso che dovrò prendere qualcosa anche per la memoria.»

Gaius sorrise divertito, cercando di scacciare l'angoscia che lo attanagliava.

«Eccola, diamine!» Finì di lottare con il contenuto della sua tracolla e tra le sue dita emerse un sacchetto pieno di pasticche gialle. «Amico, queste sono per te.»

«Non me ne faccio nulla di queste vostre schifezze» disse Gaius indietreggiando.

«Prendile lo stesso, è un regalo. Sono pasticche di Jadron, stimolano coraggio e idee geniali, credo.» Si sistemò gli occhiali sul naso, e strinse il sacchetto nella mano di Gaius. «Forse ti aiuteranno...»

«Ci penserò su, grazie mille. Devo scappare, alunni da sorprendere mi aspettano.»

Si salutarono. Gaius non avrebbe mai assunto quella roba, anche se era legale da anni. Causava assuefazione, e lui non aveva intenzione di dipendere da quelle sostanze per poter ragionare al meglio.

Inspirò profondamente, poi entrò nell'aula. L'arco si apriva in un tunnel buio, che sfociava all'interno di un piccolo spazio circolare. Le postazioni degli studenti si disponevano intorno e si elevavano fino a centro metri d'altezza. Appoggiò i suoi libri e lo zaino, e ammirò tutti gli alunni. Dopo anni, era finalmente lui a gestire l'orchestra.

Riconobbe immediatamente gli Adhoriani. Indossavano vistose divise colorate, con spalline e bottoni sul davanti. Avevano una carnagione azzurrina, zigomi appuntiti e un'espressione perennemente arcigna. I restanti studenti erano in prevalenza Terrestri, con una minoranza di Laenann e qualche sparuto Kooton. Inspirò, poi parlò per la prima volta da professore.

«Benvenuti alla prima lezione di Letteratura Han–»

Si bloccò. Non perché improvvisamente perse la parola davanti a quella moltitudine, bensì, notò delle volute di fumo levarsi da qualche parte nella settima od ottava fila.

«Signori, per cortesia» disse Gaius «all'interno dell'Accademia non è permesso accendere fuochi.»

Un paio di Adhoriani con le divise rosse sollevarono lo sguardo e lo fissarono. «Non stiamo accendendo fuochi, professore» disse uno dei due. Avevano una voce vibrante, come prodotta da miliardi di corde.

Silenzio. Gaius avrebbe voluto sistemare immediatamente la faccenda e iniziare la lezione. Quelli erano pericolosi.

«Stanno fumando, quelle bestie malate di tabagismo.» La voce giunse dalle spalle di Gaius, molto in alto nell'aula. Si voltò e vide che un Terrestre si era alzato in piedi, e puntava il braccio contro i due Adhoriani.

«Per favore,» disse Gaius, rivolto ai due, «avrete tempo più tardi per gli svaghi.»

Quello che prima non aveva parlato si alzò in piedi, con una calma che aveva del pericoloso. L'individuo era alto, molto di più della media dei Terrestri. Sbracciò davanti a sé, per dissipare la nuvola di fumo che si era creata.

«Voi potete assumere quelle droghe, ma noi non abbiamo il diritto di inalare questo fumo?»

Cosa dico? Gaius fissò l'interlocutore. Qualche bisbiglio serpeggiò per l'aula.

«Per favore, spegnete quel fuoco e iniziamo la...»

«Chi diamine credete di essere, eh?» L'Adhoriano non si arrendeva. «Pensate di avere l'Accademia tra le mani? Da quest'anno, più che mai, non siete più i soli.» Si guardò attorno e allargò le braccia. Altri suoi simili si alzarono, svettando sugli altri. Qualcuno raccolse le sue cose e si dileguò, salendo le scale di fretta.

«L'Accademia l'abbiamo fondata noi.» Lo stesso folle di prima, alle spalle di Gaius, saltò sul suo banco. «Terrestri. Ecco chi crediamo di essere, coloro che dettano le regole in questo luogo.»

Silenzio. Scintille focose volarono da una parte all'altra dell'aula, rischiando di attizzare un fuoco pericoloso.

Un Adhoriano saltò addosso al ragazzo che aveva osato controbattere, agguantandolo al collo da dietro. Attorno a lui tutti scapparono, arrampicandosi sui banchi o saltando in basso. Il mercenario che aveva attaccato capitombolò sui gradoni inferiori, portandosi con sé la vittima.

Non avrebbe voluto mai farlo. Ma Gaius ebbe la sensazione di non avere forza, al centro dell'uragano che si stava generando. Ignorando il caos, approfittò del momento per afferrare una pasticca dal sacchetto che gli aveva offerto Coriolis. Poi ne inghiottì una, serrando gli occhi e deglutendo.

L'effetto sarebbe stato potente? E quando sarebbe arrivato? Coraggio e idee geniali... Aspettò con calma che succedesse qualcos...

Una scossa gli pizzicò il cranio. Gaius picchiò un pugno sulla cattedra e si voltò.

«Siete stati voi a compiere lo scempio nell'atrio, cari Adhoriani?» Era stato lui ad urlare. Se ne accorse solo quando catalizzò ogni sguardo, creando il silenzio.

Erano rimasti in pochi nell'aula, qualche coraggioso Terrestre e tutti gli Adhoriani. Uno di essi mollò la presa dal collo di qualcuno e parlò.

«È stata opera nostra. Non ti sbagli, professore.»

«Per quale motivo?» chiese Gaius ancora.

«Questa Letteratura, come la chiamate voi, è inutile. E del vostro animo, non ce ne facciamo nulla.»

«Andatevene, allora.»

«L'Accademia non vi appartiene più. È di tutti, ormai.»

«Lasciate. Questo. Posto.»

Probabilmente non avrebbe mai pronunciato quelle parole, in condizioni normali. Dannate droghe. Potevano davvero essere utili, ma si impossessavano del tuo corpo, come parassiti affamati. Gaius ebbe anche la sensazione che qualcuno gli avesse bisbigliato ciascuna di quelle parole all'orecchio, e che quella voce fosse stata così convincente da non poter essere ignorata.

In quell'istante la sentii ancora più chiaramente.

Giù... sussurrò.

Gaius stavolta non avrebbe ceduto. Quella voce era finta, un prodotto del suo cervello. Sarebbe rimasto in piedi, a fronteggiare con lo sguardo l'interlocutore.

Giù...

L'Adhoriano con cui aveva parlato, incominciò a muoversi. Lentissimo, si voltò, e con una mano si appese alla fila di banchi alle sue spalle. Ruotò un'ultima volta il collo per osservare dall'altro lato dell'aula. Sembrava una dannata presa in giro. I movimenti di quell'alieno arrogante assomigliavano tanto a quelli di un bradipo assonato. Serrò gli occhi, e ci mise così tanto che Gaius fu in grado di percepire un'altra volta la voce.

GIÙ!

Si abbassò. L'aria gli frusciò addosso violentemente, anche se si era spostato solo di pochissimi centimetri. Un rombo nel frattempo esplose alle sue spalle, e fu seguito da un fischio.

Gaius vide il fischio nell'aria sopra di sé. Lo vide chiaramente, districarsi nel silenzio ovattato che si era formato. Era un dardo fatto d'aria, diafano, che si muoveva alla velocità di un proiettile sott'acqua. Gli sfiorò i capelli, sollevando da terra un vento poderoso, che gli fece tremare i vestiti e le ossa. Gli avrebbe perforato la nuca, se quella voce non gli avesse consigliato di gettarsi a terra. Il dardo proseguì dritto, puntando ad un posto a sedere nella prima fila dal basso. Un altro paio di metri e avrebbe impattato il legno dello schienale. Ci avrebbe messo una decina di secondi, con quella velocità.

Qualcuno non aveva ancora fatto in tempo a fuggire dalla prima fila. Un Terrestre era lì, immobile, e fissava da qualche parte nel vuoto. Aveva in mano lo zaino, ma non si decideva a levarsi di torno. Gaius provò ad urlargli di lanciarsi all'indietro, ma percepì l'aria fluire nella sua gola troppo lentamente. Incominciò a pizzicargli le corde vocali, ma non avrebbe mai fatto in tempo a fuoriuscirgli dalle labbra. Poi dovette chiudere gli occhi.

L'esplosione giunse troppo in anticipo.

Quando Gaius spalancò le palpebre, tutto sembrò ritornare a fluire alla velocità normale. L'alunno che era stato troppo lento a fuggire non esisteva più. L'Adhoriano che aveva provato ad arrampicarsi di sopra aveva perso i piedi e la parte inferiore delle gambe. Era appeso precariamente alla fila di banchi superiore con la sola mano destra. Guaiva, ma poi si zittì del tutto quando perse l'appiglio e crollò nel buco nero dove il proiettile aveva colpito. Non si vedeva il fondo, polvere e schegge di legno ne ostruivano la visione.

Gaius si alzò, con le braccia in alto per coprirsi la testa. Si voltò appena poté e vide l'autore del disastro. Un Adhoriano con la giacca gialla e le spalline e i bottoni neri stringeva in mano una pistola, il dito gli tremava ancora sul grilletto. Gaius si fiondò ancora dietro la scrivania, mentre un nuovo frastuono esplose a pochi metri dal primo. Un altro turbine gli aveva sfiorato la testa, eppure era stato istantaneo, a differenza di quello precedente.

Gli Adhoriani rimasti nell'aula si alzarono in piedi, sbucando da dietro le file di banchi. Poi si arrampicarono su per l'aula, scomparendo nella sommità, dove il corridoio di scaffali e librerie circondava l'aula.

Qualcosa cadde con un tonfo metallico alle spalle di Gaius. Sperando che anche l'individuo con l'arma si fosse dileguato, osò uscire allo scoperto. Lo vide arrampicarsi per gli ultimi scalini e fuggire verso una delle uscite superiori.

Che disastro. Metà dell'aula era stata completamente rasa al suolo. Era deserta, Gaius l'unico rimasto, che ammirava dal basso ciò che era accaduto. Si chiese se tutti gli altri Terrestri fossero riusciti a fuggire in tempo, sperando che nessun'altro di loro fosse stato inghiottito dall'esplosione. Quando il primo dardo d'aria era stato sparato, aveva perso di vista tutto il resto, ammaliato unicamente da ciò che quella pasticca gli aveva permesso di vedere.

«Gaius!»

La figura in sovrappeso di Coriolis prese forma nell'oscurità del tunnel che portava nell'aula. Corse verso di lui affannato, grondante di sudore e col fiatone.

«Tutto bene, amico?»

«Sono un po' sconquassato...» Entrambi lanciarono un'occhiata alla cattedra, dove il sacchetto di plastica aveva riversato una manciata di pillole gialle. «Quella roba è potente» continuò Gaius.

«Ho sbagliato.» Guardò in basso. «Sono tornato indietro... Sarei pure entrato durante la lezione, per avvisarti di non prenderla. Ma poi è successo questo e...»

«Cosa diamine mi hai dato?» Gaius lo afferrò per le braccia.

«Non sono Jadron, sono... dannazione. Non ricordo nemmeno il nome.»

«Cosa fanno?»

Lo fissò negli occhi. «Istinto. Percezione sensoriale esponenzialmente aumentata, credo.» Coincide alla perfezione. «Ne hai assunta qualcuna?»

Gaius annuì. Coriolis indietreggiò impaurito, protendendo le mani.

«No, Cor, mi sento bene. Tranquillo.»

Cor fece di no col capo e si allontanò ancora. Lanciò uno sguardo alle spalle di Gaius, che si voltò temendo per il peggio.

«Fermo, stronzo!»

Un Terrestre – quello che aveva avuto il coraggio di prendere parola prima – afferrava per il collo un Adhoriano. Gaius fece il giro della cattedra, pronto a salire le scale, in realtà non sicuro di cosa volesse fare. Era ancora la droga?

«Guarda cos'avete fatto...» Lo studente bisbigliava all'orecchio della sua vittima, spingendolo con forza su uno schienale.

«Io, io... non c'entro...»

«Non ci casco, bastardo. Avete polverizzato un'aula, con libri e studenti

«Ti giuro che non sapevo nulla di...» La sua voce vibrava, come il verso di una cicala.

«Non mi interessa. Dovresti pagarla solo per essere come loro.» E gli sganciò un pugno sullo sterno. L'Adhoriano rimbalzò con la testa sul banco e crollò a terra, latrando.

Gaius raggiunse i due, dopo aver scansato il cadavere riverso sulla scalinata di quello che probabilmente era stato un Laenann. Aveva il braccio teso verso lo studente furioso e stava per bloccarlo, temendo che forse il ragazzo potesse sbagliarsi.

Un cupo borbottio, che fece tremare il pavimento e crollare qualche asse di legno alle sue spalle, lo bloccò. Un'altra esplosione, da qualche parte nella sezione umanistica dell'Accademia. Molto lontano.

Una mano gli afferrò la spalla.

«Gaius.» Cor lo aveva raggiunto col fiatone. «Andiamocene da qui» disse, spostandosi i capelli sudati dalla fronte.

Nel frattempo lo studente di prima infieriva sull'Adhoriano, tartassandolo di calci sulla faccia e alle costole. Gaius ignorò Coriolis e osservò il pestaggio che avveniva a pochi centimetri.

«Fermati» disse. Lo studente non ascoltò. «Fermati, è morto.» Allungò il braccio verso di lui, che sembrava stesse tirando calci ad un pallone. Percepì un formicolio nel cranio, ed ebbe paura per quello che sarebbe potuto avvenire. Temette di perdere il controllo ancora.

Ma qualcuno gli prese la mano e lo trascinò verso il basso.

«Gaius, andiamo via.» Coriolis lo tirò giù per la scalinata, e per poco non inciampò su un cadavere. «Ho un magnedon parcheggiato qui fuori.»

Gaius non oppose resistenza e si fece trasportare, osservando la furia del suo alunno sull'Adhoriano. Cor continuava a parlare, ma non lo stava a sentire, perché troppo impegnato a tenere a bada il formicolio che aveva in testa.

Attraversarono il tunnel e furono nel corridoio. Sembrava che l'intera Accademia si fosse riversata all'esterno. Davanti a loro sfrecciarono dei medici con una barella. In molti erano riversi a terra o abbandonati alle pareti, feriti o forse morti.

«È successo pure qua fuori?» chiese Gaius.

«Stavo tornando di qua, per avvisarti. E li ho visti, due Adhoriani che fuggivano anche loro su dei magnedon. Per poco non mi sono venuti addosso.» Cor si diresse verso il suo mezzo di trasporto. Più che parcheggiato era stato abbandonato alla parete con noncuranza. Si chinò per raccogliere il disco metallico e lo sistemò a terra davanti a loro.

«Andiamo verso i dormitori, è più sicuro» disse, mentre estraeva un palo metallico dall'estremità superiore del disco. Sulla cima aveva una piccola plancia di comando. La sfiorò con l'indice e il magnedon si levò in aria di pochi centimetri, emettendo un suono simile a quello di un barrito.

Salì a bordo e Gaius lo seguì. Quando entrambi furono sopra la piccola pedana, essa perse quota e sfiorò di poco il pavimento. I magnedon erano fatti per ospitare al massimo una persona alla volta.

Cor tirò il palo verso di sé ed entrambi ricevettero una spinta all'indietro, e poi furono lanciati in avanti in una corsa sfrenata.

«Dove si sono diretti gli Adhoriani?» urlò Gaius, contrastando l'ululato del vento attorno a loro.

«Nell'Atrio, penso. Stanno...»

Gaius diede una spallata a Cor, facendogli perdere la presa sui comandi. Lui rischiò di cadere dal magnedon, ma si appese all'amico, rischiando di trascinarlo a terra.

«Cosa...» cercò di urlare, a denti stretti.

Il veicolo s'inclinò pericolosamente a sinistra. Gaius si lanciò dall'altra parte, sterzando nello stesso verso, ancorato con i piedi sulla pedana.

Riuscì a cavarsela, dopo aver tirato a sé Cor, e approfittò della spinta guadagnata per svoltare a destra, all'incrocio dove c'era la cupola affrescata.

«Dove vai?» Cor tentò di riacquistare il controllo, ma Gaius lo zittì con una gomitata sul mento.

Si lanciò a tutta la velocità verso l'Atrio. Dall'ultima volta che aveva gareggiato con quegli aggeggi era stato anni prima, ma si ricordava ancora qualche trucchetto. Era uno sport vietato gareggiare con i magnedon nei corridoi, ma ogni studente lo aveva almeno provato una volta nella vita.

L'arco svettava di fronte a loro e diventava sempre più grande, ad una velocità impressionante. Percorsero l'intero corridoio in meno di un minuto e intravidero le fontane e gli alberi farsi sempre più vicini. Gaius non fu più sicuro di riuscire a frenare in tempo e temette di poter sfondare la vetrata e venire inghiottito dallo spazio. Così, disattivò completamente i propulsori magnetici del magnedon, che sussultò verso il basso e colpì il pavimento. Rimbalzò più volte, come un ciottolo sulla superficie di un lago, gettando scintille ai lati, in uno stridio insopportabile. Durante la folle frenata attraversarono l'arco e slittarono nell'Atrio, piegati pericolosamente all'indietro.

Poi li vide. Due Adhoriani stavano in fondo, in piedi, eleganti nelle loro giacche abbottonate. Uno di loro stringeva tra il braccio e il petto una testa. Grigia, di donna.

«Nooo!» Gaius si lanciò in avanti, atterrando malamente sulle sue costole e roteando senza controllo. Quando si fermò, non ebbe il tempo di alzarsi in piedi, per fronteggiare i due criminali. Sperò che quella dannata droga facesse ancora il suo effetto, ma non successe nulla. Fu troppo lento e osservò i due Adhoriani voltarsi, scattare verso la vetrata e lanciarsi verso di essa.

La sfondarono. I loro corpi si gonfiarono immediatamente nel vuoto crudele dello spazio e furono sul punto di saltare in aria. Ma non accadde.

Un secondo di quiete amara.

Poi l'intera vetrata collassò su sé stessa.

Una forza distruttiva trascinò tutto l'Atrio verso l'esterno. Gaius si aggrappò al pavimento, che d'un tratto sembrò trasformarsi in un pendio ripidissimo. Guardò in avanti – o in alto –, dove alberi, acqua dalle fontane, blocchi di marmo crollarono verso di lui. Non c'era più aria, né un suono, ogni cosa era stata risucchiata.

Cor, ancorato al suo magnedon, si fece trasportare per qualche metro insieme al tutto, avvicinandosi a Gaius, che non tentennò e afferrò il bordo del disco metallico.

Il veicolo accelerò. Non abbastanza da schizzare fuori dall'Atrio, ma quanto bastasse per contrastare quella forza esagerata e avanzare di pochissimi centimetri. Si trovavano in balia del tutto, osservando l'Accademia sgretolarsi attorno a loro.

La statua della Cultura non c'era più. Braccia e gambe di pietra sfrecciarono accanto a Gaius. Lui si voltò un'ultima volta, ammirando il disastro. Intravide la testa della Cultura fluttuare nell'Universo, accanto ai corpi deformati dei due Adhoriani.

Gaius si era rassegnato. Non avrebbe mai più sentito la voce dolcissima di quella statua, sgozzata e trafugata da quei criminali, che avevano dichiarato guerra al sapere umano.

*****

L'immagine del capitolo dovrebbe rappresentare l'Accademia. Ho scelto la Morte Nera perché è l'unica cosa che ho trovato che si avvicinasse di più (ovviamente non sarebbe così grande l'università!) E poi siamo in tempo di Star Wars e mi sembrava un giusto tributo.

È finito questo percorso incredibile, davvero estenuante ma soddisfacente. Sto scrivendo un piccolo capitolo di ringraziamenti, dove faccio anche qualche considerazione personale sul tutto. In questi giorni lo pubblico. Vorrei aspettare di aver letto le prove di tutti i finalisti.

Grazie a tutti ♥






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