4. Ospite e padrone
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Amber aveva appena terminato di scendere le scale, quando si rese conto che due giovanotti, uno dai capelli rossi e uno dai capelli neri, la fissavano, parlando tra di loro. Amber arrossì un po'. Quando, all'improvviso, sentì un colpo sul braccio destro. Si voltò.
«Oh, scusate!»
Era stata una ragazza, che doveva aver avuto l'età di Amber, a scusarsi.
«Non fa niente, davvero. Non c'è bisogno che vi scusiate.»
Si fecero un breve inchino. La ragazza aveva i capelli corvini e mossi, raccolti in uno chignon, e un paio di occhi neri sorridenti.
«Sono Marianne Jones» disse. «O semplicemente Mary.»
«Amber Durant» si presentò l'altra. «Siete di Brighton?»
«Sì, anche se la mia villa è leggermente fuori città. E voi?»
«Anche io» disse Amber.
«Non ballate?»
«Non gradisco molto la danza. E voi? Posso chiedere come mai non ballate?»
«Aspetto che qualcuno mi inviti, in realtà.»
«Oh.»
Ci fu un silenzio un po' imbarazzante.
«Vado a prendere qualcosa da bere» disse Marianne Jones. «Voi desiderate qualcosa?»
«No, vi ringrazio» rispose Amber. Si inchinarono brevemente, poi Marianne Jones si allontanò.
Amber non fece neanche in tempo a guardarsi intorno, che il gentiluomo dai capelli neri che prima la osservava, accompagnato dall'altro con i capelli rossi, le si avvicinò.
«Scusate, signorina...»
Amber si voltò. E riconobbe il viso e il portamento del giovane dai capelli neri. I due giovani chinarono brevemente il capo, cosa che fece anche Amber.
«Voi siete colui che stamane occupava la mia panchina?»
«Sì, sono io» disse il giovane. «Sono Edward Hamilton. Lui» indicò il suo amico «è Lawrence Fields.»
«Piacere» disse il ragazzo dai capelli rossi.
«Amber Durant» si presentò la ragazza. «Piacere mio.»
«Voi continuate a dire che la panchina è la vostra,» esordì Edward Hamilton, «ma...»
Fu interrotto dal suono di un cucchiaino contro un calice. I presenti tacquero e si voltarono. Ad aver prodotto quel suono, era stato un uomo di mezz'età: il signor Hamilton, che era in piedi accanto a sua moglie.
Si schiarì la voce.
«Buonasera a tutti» disse. «Vorrei fare un piccolo brindisi prima di aprire nuovamente le danze.»
Dei camerieri si muovevano per la sala distribuendo calici. Edward ne prese due, e il secondo lo tese ad Amber.
«Grazie» mormorò la ragazza, mentre anche Lawrence si serviva.
«Vorrei brindare a mio figlio,» disse il signor Hamilton, tenendo il calice in alto, «che è il migliore che si possa desiderare. A Edward!»
«A Edward!» ripeterono tutti, alzando il calice e bevendo alla salute del giovane.
«Figlio mio, apri le danze!» gridò il signor Hamilton.
Edward si voltò verso Amber, lasciando il proprio calice in mano a Lawrence.
«Volete ballare con me, signorina Durant?» chiese, tendendole la mano. Amber, lusingata, annuì, afferrandola, e lasciando anche il suo calice a Lawrence.
Quest'ultimo sorrise tra sé e sé. Il suo colpo era andato a segno.
Edward condusse Amber al centro della sala. Erano l'unica coppia in pista, essendo Edward incaricato di aprire quel secondo giro di danze. I musicisti iniziarono a suonare. Un valzer. Era un valzer.
Amber portò la propria mano sinistra sulla spalla di Edward, che posò la destra sulla vita della ragazza. Le loro mani libere si intrecciarono, fermandosi all'altezza delle loro teste. O, meglio, a quella di Amber, dato che Edward era più alto.
Il ragazzo iniziò a condurre la danza, e, presto, molte altre coppie si unirono a loro.
«Quindi siete di Londra» affermò Amber.
«Sì, sono di Londra» disse Edward.
«Posso chiedere il motivo secondo il quale vi siete trasferito?» chiese la ragazza.
Quando lui non rispose, lei si sentì a disagio.
«Mi dispiace» disse.
Fece una piccola pausa.
«Sono mortificata, non... non credevo che fosse qualcosa di importante... mi dispiace davvero, io...»
«Non scusatevi» disse Edward, stringendo un po' più forte la mano di Amber. «Non è colpa vostra. Capisco che è normale possedere un po' di curiosità. Ma devo deludervi. Non credo di potervi raccontare cosa ha spinto me ed i miei genitori a lasciare la casa in cui abitavamo e la nostra città.»
«Mi dispiace moltissimo.»
Ci fu un breve silenzio.
«Siete nata qui?» domandò Edward, facendo fare una giravolta alla ragazza, in contemporanea con le altre coppie.
«No» ammise Amber. «Io... sono nata a Edimburgo.»
«Posso chiedervi cosa vi ha spinto a cambiare città? Tra l'altro avete cambiato anche nazione...»
«Sono rimasta orfana quando ero piccolissima e l'unica a potermi adottare era mia zia Catherine, che abitava a Brighton» spiegò Amber. «Così mi sono trasferita e... be'... eccomi qui.»
«Mi dispiace tanto» disse Edward. «A quanto pare i primi discorsi che abbiamo cercato di iniziare non sono andati proprio come speravamo.»
«Già» concordò Amber.
Edward le fece fare un'altra giravolta.
«Possiamo sempre parlare di... non so... cibo?» propose Amber.
«Be', vediamo... amo, più di ogni altra cosa, un buon cornetto» disse Edward, sorridendo.
Aveva un bel sorriso.
«Quindi siete per il dolce?»
«Assolutamente sì. E voi?»
«A me piace il pane» rispose Amber, sorridendo.
«Quindi preferite il salato?»
«Certamente.»
Sorrisero entrambi. La musica cessò, e loro si allontanarono.
«Desiderate qualcosa da bere?» chiese Edward.
«Sì, vi ringrazio, ma non preoccupatevi» disse Amber. «Faccio io.»
«No» disse Edward. «Voi sedetevi. Io sono il padrone di casa, e voi siete ospite. Ci penso io.»
Si inchinarono brevemente, poi il ragazzo le diede le spalle, allontanandosi. Amber si sedette su un divanetto, che trovò molto comodo.
~•~
Edward prese un paio di calici da un cameriere, che girava per la sala con un vassoio, e si voltò per tornare da Amber, quando sua madre lo fermò. Era una donna dagli occhi e dai capelli scuri, legati in un'elegante treccia.
«Edward, tesoro, posso parlarti un attimo?»
«Sì madre, scusatemi un secondo»
Edward si allontanò con i calici, e ne portò uno ad Amber. Con un veloce inchino si congedò, tornando dalla madre.
«Scusatemi madre, ero impegnato.»
Con un cenno del capo indicò Amber, che, seduta sul divanetto, era stata appena affiancata da Marianne Jones, la ragazza dai capelli castani.
La signora Hamilton guardò in quella direzione.
«Oh, molto bene. Comunque, volevo presentarti una persona. Vieni.»
Edward, lasciando il calice ad un cameriere, seguì sua madre in un angolo, dove il signor Hamilton conversava animatamente con un uomo, una donna e una ragazza, che doveva essere la figlia della coppia.
Edward fece un breve inchino, che fu ricambiato. Quando alzò lo sguardo incontrò i freddi occhi grigi e severi della ragazza. I capelli, lisci e di un biondo platino così chiaro da sembrare bianco, erano sistemati rigorosamente in un perfetto chignon. Lei era talmente perfetta ed impeccabile che Edward provò un po' di fastidio nell'osservarla.
Il padre della fanciulla, con gli stessi capelli biondi e la stessa espressione severa della figlia, lo guardava con superiorità, dall'alto al basso, come per verificare ogni sua singola mossa.
La madre della ragazza, invece, aveva lunghi capelli castani e ricci, i lineamenti del viso dolci, e gli occhi, dello stesso colore di quelli della figlia, trasmettevano gentilezza, non severità o superiorità.
«Edward,» esordì il signor Hamilton, «loro sono i Michaelson. Questa splendida fanciulla è Karen Michaelson.»
Edward baciò il dorso della mano della fanciulla.
«Sai, Edward,» disse la signora Hamilton, «noi speriamo che tu e Karen possiate conoscervi un po', magari scoprire interessi in comune»
«Fantastico» disse Edward, con un'espressione indecifrabile e il tono della voce atono.
«Vorreste ballare con me?» chiese Karen Michaelson.
«Io... sì, certo» disse Edward, controvoglia.
Che cosa doveva pensare di questa situazione?
Che era tutta una messa in scena. Un piano a cura dei suoi genitori e dei Michaelson per arrivare a qualcosa di più grande, non a una semplice conoscenza.
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