Danae - Capitolo 15
Il figlio di Magda è vivo, vivo, vivo. E domani sposerò mio fratello.
Stamattina ho provato a non alzarmi dal letto. Mi sono coperta con il lenzuolo, ho tuffato la testa sotto il cuscino, mi sono aggrappata al coprimaterasso fino a far diventare bianche le dita. Ho provato a riaddormentarmi mentre mia madre mi ripeteva all'infinito di alzarmi, in una cantilena piatta che aspettavo invano che salisse di tono, che diventasse più acuta, che abbandonasse la sua snervante soffocante stabilità. Il tempo non può andare avanti se la giornata non comincia, mi sono detta.
Posso arginare la follia, l'assurdità che sta inondando la comunità; in questa tana dell'incoscienza, tra questi cuscini, posso tenerla lontana.
Alla fine ho dovuto cedere alle pressioni di mia madre, ho bevuto il latte artificiale, indossato la divisa. Lei mi ha guardato di sottecchi mentre mandavo giù di malavoglia la mia colazione. Gli occhi gonfi quanto due noci di cocco non sono sfuggiti allo sguardo attento della mia genitrice, lo so.
«Sai cosa sono le noci di cocco, mamma?» le ho chiesto, un po' per provocarla, un po' per curiosità. Si è limitata a sbuffare e mi ha intimato di darmi una mossa.
«Credo di sapere quale lavoro possa fare per te, sai?» dice mia madre, mentre attraversiamo il corridoio. Si ferma davanti l'ufficio di mio nonno, bussa e preme il bottone che apre la porta. Ofione è seduto alla scrivania, gli occhi piccoli e grigi, infossati, saettano per un attimo nella nostra direzione e tornano subito a perdersi tra le carte.
«Salve, nonno.» Non abbiamo un gran rapporto, io e lui. Ci ignoriamo, tutto qui. La sua posizione all'interno della comunità lo ha sempre tenuto troppo impegnato per occuparsi di sua nipote.
«Tuo nonno ha la terribile abitudine di non rimettere in ordine i libri e le carte. Se te ne occupassi tu magari smetterebbe di mandarmi a chiamare di continuo per aiutarlo a trovare questa o quella cosa» dice la mamma, indicando la libreria a parete.
«Come mai possiedi dei libri tuoi? Non sono un bene pubblico?» domando risoluta. Gli occhi grigi più velati di qualche anno fa si soffermano su di me per la prima volta da quando sono entrata nella stanza. Mi squadra con un'espressione dura, le sopracciglia canute più folte dei capelli sono inclinate, il naso minuto e aquilino sembra un piccolo becco all'ingiù.
«Sono libri di politica, calcolo, sulla Mephista... cose che a nessuno in ogni caso andrebbe di leggere. E poi tuo nonno è il sindaco. Deve avere a portata di mano tutto quello che può servirgli per governare questa comunità» si affretta a dire mia madre.
«Quali sono le manifestazioni fisiche della Mephista?» Devo sapere se c'è la possibilità che il piccolo di Magda ne sia affetto. Ofione continua a fissarmi, non dice nulla, ma ha lo sguardo a metà tra chi ha qualcosa di puzzolente sotto il naso e chi si è appena accorto di avere un'arma pericolosissima tra i piedi.
«La Mephista non ci colpirà più. Puoi starne certa. Non c'è quindi bisogno che ti preoccupi di queste cose» risponde di nuovo lei. Il regnante dell'uovo del mondo lascia che sia la figlia a parlare per lui.
Mio nonno si alza con impeto e la sedia stride sul pavimento.
«Danae, ti dispiace uscire un attimo? Devo parlare con tua madre» non c'è un velo di fastidio nella sua voce al contrario calmissima, mia madre possiede il suo stesso autocontrollo. Annuisco e lascio la stanza, però resto appostata dietro la porta, il padiglione auricolare contro il metallo freddo.
«È troppo curiosa! Quante volte ti ho detto di limare questo lato del suo carattere? Sin da bambina faceva troppe domande» ringhia tra i denti mio nonno.
«Ci ho provato, papà. Ti giuro che ci ho provato. Comunque è una ragazza ubbidiente, non abbiamo motivo di temerla» risponde mia madre.
«Non posso permettere che una ragazzina tanto curiosa sbirci tra le mie cose. Soprattutto in questo momento così delicato. Forse avresti dovuto segregare lei invece che Ares» ribatte categorico. La sedia stride di nuovo, mi scosto dalla porta.
«Sta tutto il giorno a girare per la sezione. L'ho trovata un paio di sere anche vicino al portellone di contenimento dopo il coprifuoco. Non è forse più saggio tenerla impegnata in un'attività?» chiede mia madre così piano che riesco appena a sentirla. La porta viene aperta e mia madre mi fa segno di entrare.
«Devi mettere i libri in ordine di genere. Sulla sinistra quelli di politica, al centro quelli di medicina e a destra tutti gli altri» dice Ofione, non appena siamo soli. Io mi metto al lavoro, lui continua a leggere i fogli che ha tra le mani e finge che non ci sia.
«Sei contenta che tra meno di una settimana sarai una donna sposata?» All'apparenza sembrerebbe una domanda innocua, ma io so bene che sta cercando di studiarmi.
«Non vedo l'ora che arrivi il momento del banchetto» dico. L'idea di mangiare più del solito non mi dispiace davvero, a dire la verità. Vorrei aggiungere che sogno di sfornare una dozzina di marmocchi, ma le parole non vogliono uscirmi di bocca. È troppo. Dovrà accontentarsi della prima risposta. Non dice nulla, credo sia ancora sospettoso.
Poi a un certo punto va via. Si alza con poca grazia e resta in piedi sul posto a osservarmi per qualche secondo.
«Torno tra poco. Tu continua pure a lavorare» dice.
Rimango a sistemare e spolverare i libri. Chissà se la polvere è la stessa di quando vivevamo lì fuori, mi domando. Nei libri non ho trovato riferimenti al riguardo. Mi perdo un po' a leggere, ogni tanto. Sfoglio qualche pagina sulla storia della nostra comunità, sul progetto iniziale e sul trasferimento. Alcune cose le ho studiate, ma altre le apprendo per la prima volta.
Trovo un libro sulla Mephista. Tra i sintomi leggo febbre, vomito, emorragie, pus, pustole, diarrea, convulsioni e altre cose terribili. Come immaginavo, però, non c'è nessun riferimento agli occhi gialli: il neonato non ha la Mephista. Ma allora, cosa ha? Perché mia madre ne ha finto la morte? Ha forse a che fare con il rumore proveniente dalla sezione deserta? C'entrano, per qualche ragione, le scarse provviste?
Nel pomeriggio raggiungo mia zia nella sua camera. Ha modificato il vestito del mio
fidanzamento, che domani sarà il mio abito nuziale, e devo provarlo. Non riesco ancora a credere che il mio matrimonio sarà domani. Mentre lo penso una morsa mi stringe lo stomaco. Penso al fatto che diventerò la moglie di Ares, e che da domani dovrò fare ciò che tutti si aspettano da me: dovrò sacrificarmi per la mia gente, per dare una possibilità al genere umano.
Il vestito è bellissimo. Solo tessuto, colore e spalline sono uguali al precedente, per il resto se non sapessi che è lo stesso non ci crederei. Sul davanti è stato aggiunto uno strascico. Le ali morbide sulla schiena non ci sono più e adesso essa è tutta scoperta e stretta da due lembi di stoffa annodati a metà di essa.
«Nervosa?» domanda mia zia.
«Un po'» ammetto.
«Il diventare sua moglie non cambierà il vostro affetto, anzi lo intensificherà» mi assicura.
La sera non riesco a chiudere occhio. Oggi non ho visto Ares e sento il bisogno, impellente, di parlare con lui. Devo parlargli del bimbo di Magda e di quello che succederà domani. Non posso essere sincera con nessun altro e se non parlo con qualcuno impazzisco. Mi alzo e raggiungo la sua stanza.
Busso piano, perché ho paura che qualcuno possa sentirmi. Ares, quando apre la porta, ha un'espressione stupita, come se non si aspettasse di vedermi.
«Ciao...» dice, «che succede? Non pensavo di vederti, oggi. Cioè, domani sarà... domani...»
«Già!» dico, interrompendolo. «Che ne dici di spostarci da qui?» sussurro. La possibilità che mia madre sia nei paraggi o per controllare me o il figlio di Magda non è da escludere. Mi fa un cenno di sì con la testa e ci muoviamo verso il corridoio che porta alla mia stanza.
«Allora, si può sapere che succede?» domanda di nuovo, questa volta in un sussurro. Mi fermo. «Succede che se non butto fuori tutto quello che ho dentro impazzisco. E posso parlare solo con te. Non è la Mephista, ne ho letto i sintomi su un libro.»
«E allora cos'ha? Qualunque cosa sia, comunque, deve avere a che fare con la singola somministrazione del vaccino a Magda. Ci hanno sempre detto che alle donne in gravidanza spetta la doppia dose annuale.»
«È vero, alla madre di Selene, prima che la piccola nascesse, gliene hanno somministrato due, lo ricordo. Ma non capisco cosa abbia a che fare il vaccino per la Mephista se il piccolo ha qualcos'altro.»
«Ragiona. Se il piccolo è nato malato per la mancata somministrazione di quel vaccino cosa significa?»
«Che quello che ci stanno somministrando non è il vaccino per la Mephista. Ma allora per cosa ci stanno vaccinando?»
«Non lo so, però sono certo che i vaccini siano finiti e che le scarse provviste non siano il nostro unico problema. Hai idea di dove possano essere i vaccini?»
Sì, lo so. Lo scoprii a dodici anni. Per un periodo mi convinsi che il nonno avesse un sottomarino. Ne ero certa non so per quale stupida ragione. Fu per qualcosa che disse a una delle riunioni, forse, o per uno stralcio di conversazione che mi sembrò di sentire. Ovviamente si trattava di una costruzione della mia fantasia, però per alcuni mesi nessuno riuscì a distogliermi da quell'idea. Mi immaginavo che il coprifuoco fosse tutta una copertura per i viaggi notturni. Nella mia mente lo vedevo uscire, in tenuta da notte, con il suo sottomarino segreto e risalire in superficie, guardare il cielo stellato e respirare l'aria della sera. Nei libri ha sempre un odore la sera, non riesco a immaginarmelo. Anni fa ho stabilito che per me sa di fodere appena lavate e di pane caldo quando si ha tanta fame. Adesso che sono cresciuta mi sembra stupido, lo ammetto. Come può il cielo odorare di cibo? Non si può. Però, in fondo, quando penso al cielo lì fuori mi figuro ancora quell'odore.
A ogni modo un giorno seguii mio nonno. Ero certa che stesse andando a controllare il suo sottomarino. Sarei stata disposta a giurare. Lo seguii corridoio dopo corridoio e mi schiaffai nella stanza dove entrò. Non c'era nessun sottomarino, era il magazzino con i vaccini.
Ci muoviamo di soppiatto, proprio come quando seguii mio nonno tra questi corridoi convinta che esistesse un sottomarino capace di portarci via di qui, anche solo una notte ogni tanto. Raggiungiamo la stanza. Il mio presentimento non era tutto frutto della mia infantile fantasia, comunque. Ofione non ci ha nascosto un sottomarino, ma ci sta somminastrando un vaccino per qualcosa di sconosciuto, e io non riesco a immaginare perché.
La porta si apre, trattengo il respiro.
Migliaia di boccette di vetro brillano sugli scaffali che ricoprono le pareti, proprio come quella volta. Ares ha torto, non siamo a corto di vaccini. Questo significa che o la mancata somministrazione non ha niente a che vedere con questa bizzarra anomalia del neonato oppure il sindaco ha deciso di suo libero arbitrio di non vaccinarlo.
Perché? Per cosa ci stanno vaccinando? Ha a che fare con la Mephista? Ne ha mai avuto a che fare?
Nota dell'autrice: Ciao, ho una spiegazione per questo ritardo imperdonabile, giuro. Questo per me è stato un periodo molto particolare, pieno di cambiamenti e impegni.
Ho compiuto ventisette anni, sono stata a Torino, ho iniziato un nuovo lavoro. Ma a tenermi lontana da Wattpad sono stati soprattutto il pc rotto e la linea internet assente (ho infatti cambiato gestore). In più in questi giorni ho ricevuto un'altra bellissima notizia, presto te ne parlerò. <3
Intanto cosa ne pensi di questo capitolo? Qualcosa non ti ha convinto? Hai consigli per me? Sai che tengo molto al tuo parere e che mi fido del tuo giudizio, se sei giunto fin qui significa che sei un mio fidato lettore e che hai seguito questa bozza informe sin dall'inizio. Perciò oggi ho un quesito per te: Trovi che azioni e descrizioni siano equilibrati o mi consigli di limare o approfondire uno dei due?
Trovi le descrizioni lunghe e noiose o senti la mancanza di descrizioni ambientali e dei personaggi?
La trama è troppo lenta oppure succedono troppe cose in poco spazio?
Ti ringrazio per avermi dimostrato ancora una volta il tuo affetto passando di qui. Fammi sapere che sei passato con un commento.
A presto, buonanotte.
P.S. -1 alle nozze più importanti di Antevorta.
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