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Giorno 1 - l'eroe nero

Giorno 1 – l'eroe nero

Le crepe sono dappertutto.
Le pietre che un tempo sembravano immortali sono ridotte ad un ammasso di detriti.
I cortili maestosi invasi dalle macerie.
Le fontane, una volta splendide, dove adesso rivoli di acqua stanca cercano di farsi strada tra la polvere.
Sono passati mesi.
Ma siamo in pochi.
E ricostruire quello che è stato un castello pieno di magnificenza, appare un'impresa di giorno in giorno più lontana dalla nostra portata.
Sembra che anche gli incantesimi non bastino più.
Minerva si affanna nel fallimentare tentativo di far apparire tutto in ordine.
Ma non ci riesce.
Non è Albus.
Anche se prova a sostituirlo con tutte le sue forze.
Minerva, ormai la chiamo così.
È finito il tempo dei "professoressa".
Almeno è finito per me.
Dopo una battaglia che ci ha visti tutti uomini, terrorizzati ma risoluti, di fronte al male.
Tutti uguali.
Senza più professori e studenti.
Uniti per una causa che profumava di giustizia.
E adesso siamo qui.
Con le mani screpolate.
Ad impilare pietre che sembrano infinite.
A provare incantesimi che sembrano aiutarci.
Tra una lezione e l'altra.
A ricostruire la nostra casa.
Quella che è stata distrutta dall'odio, meno di una manciata di mesi fa.
Ci siamo tutti.
Almeno tutti quelli ancora vivi.
Persino Piton è tornato al suo posto.
L'eroe nero.
Quello che ha subito l'ingiustizia del dubbio per tutta la vita.
E che adesso gode della gloria del riscatto.
Senza averla mia chiesta.
Senza averla mai desiderata.
Schivandola come ha sempre schivato il mondo.
È rinchiuso nei suoi sotterranei.
Dal giorno in cui ha rimesso piede a scuola.
In quello che resta di questa scuola.
Non parla.
Non che abbia mai parlato.
Ma adesso sembra aver definitivamente smesso di farlo.
Il morso di Nagini gli arrochisce la voce.
Ancora di più.
Lo vedo strisciare nei corridoi.
Lo sguardo duro.
Di chi non ha voglia di accettare scuse.
Di chi non ha voglia di sentire più niente.
Qualche volta incrocia gli occhi di Harry.
Sembra che il tempo si paralizzi per un fuggevole attimo.
Poi tutto torna come prima.
Lui muto e glaciale.
Noi accovacciati a terra per provare a ricomporre macerie.
Questa mattina ho cercato un libro in biblioteca.
Sapevo della sua esistenza.
Lo avevo trovato al quarto anno, in una delle mie folli ricerche di sapere.
Non c'era.
"Il professor Piton lo ha portato via due giorni fa."
Così mi ha detto una madama Pince invecchiata dagli eventi.
È un librone malconcio.
La copertina di pelle sgualcita.
Le pagine sottili e fragili.
Contiene formule antiche.
Penso potrebbero esserci utili per la ricostruzione.
Devo solo trovare il coraggio di scendere nei sotterrai.
Bussare alla sua porta.
E chiederglielo.
Ma ho così paura di non essere in grado di sostenere il suo sguardo.
Perché mi vergogno.
Anche io.
Come tutti.
Mi vergogno di avergli dato dell'assassino.
E soprattutto di avergli dato del codardo.
Severus Piton non è mai stato un codardo.
E il mondo, accecato dalla sua finzione perfetta, non lo ha mai capito.
Ha lasciato che un uomo si distruggesse nel corpo e nell'anima.
Senza muovere un dito.
Ron mi raggiunge ai piedi della fontana a cui sto cercando invano di restituire un minimo di dignità.
Si inginocchia al mio fianco.
Mi sfiora le labbra con un bacio.
-    "Hai quasi finito Herm? Il campo di Quidditch è a posto ormai. Stiamo organizzando una piccola partita. Vieni?"
Sollevo gli occhi al cielo.
Lo guardo con un misto di tenerezza e rimprovero.
-    "Devo finire qui, Ronald... Lo sai! Ci sono cose più importanti del Quidditch!"
Lui sgrana gli occhi come se gli avessi appena rivelato una verità inaccettabile.
Solleva le spalle.
Si volta.
E corre via.
Da me.
Dal lavoro.
Dalla tristezza mista alla speranza che satura l'aria ovunque, in questo posto.
E io rimango sola.
Ancora una volta.
A tentare di mettere i pezzi al loro posto.
Sembra che tutto il mondo riesca a trovare il tempo di divertirsi.
Tutti.
Tranne me.
E un solitario mago dall'anima distrutta nascosto in un sotterraneo umido.
Abbasso la testa.
Chiudo gli occhi per qualche secondo.
È il momento, lo so.
Devo trovare la forza di alzarmi.
Devo trovare il coraggio di scendere quelle scale buie.
Di bussare a quella porta.
E di affrontarlo.
Lui, e i suoi demoni eterni.
Mi alzo dal terreno ormai gelato.
L'inverno ha preso il posto dell'autunno con una rapidità inaspettata.
Tolgo la polvere dai miei vestiti esausti.
Sfrego le mani per cercare di dare al sangue una nuova possibilità di riscaldarmi le dita.
Mi avvio verso al castello con una determinazione che temevo scomparsa.
Mi addentro in corridoi che ancora portano indelebili le ferite degli incantesimi.
Trovo la strada dei sotterranei.
La percorro in silenzio.
Le mani strette in due pugni che provano ad infondermi un briciolo di forza.
L'ingresso dell'aula di pozioni interrompe il mio percorso prima di quanto vorrei.
Deglutisco.
Chiudo gli occhi.
Di nuovo.
Busso alla porta.
Attendo qualche minuto una risposta che immagino flebile.
Non arriva.
Probabilmente non sono riuscita a sentirla.
Abbasso la maniglia.
Socchiudo l'inespugnabile barriera di legno tarlato.
E lui è lì.
Seduto su una poltrona accanto al cammino.
Il giornale stretto tra le mani.
Una teiera fumante su un tavolo abbandonato poco distante.
Piega il grande quotidiano di scatto.
Punta gli occhi nei miei.
Solleva un sopracciglio.
-    "Immagino di poterle essere utile, signorina Granger..."
Lo dice senza spostare lo sguardo.
Il suo sguardo.
Penetrante come un punteruolo e gelato come il ghiaccio.
Mi avvicino.
È finito il tempo in cui la saccente ragazzina Grifondoro tremava davanti ai suoi occhi di abisso nero.
E adesso è arrivato il tempo della donna che vorrebbe chiedergli scusa.
E che non è capace di farlo.
-    "Sto cercando un libro professor Piton..."
Sì, professor Piton.
Perché con lui è diverso.
E ho paura di chiamarlo per nome.
Malgrado tutto.
Forse parte di quella ragazzina impaurita è ancora nascosta da qualche parte, dentro di me.
Lui non muove un muscolo.
Mi osserva con la schiena appoggiata alla poltrona.
Lascia passare secondi che sembrano eterni.
Poi punta le mani sui braccioli.
Fa forza sulle braccia.
Si alza in piedi di scatto.
Si dirige verso la libreria.
-    "Vuole fornirmi qualche informazione supplementare o devo tentare la fortuna, Granger?"
Alzo gli occhi al cielo.
Mi lascio sfuggire un sorriso a denti stretti.
Insopportabile mago!
-    "Incantesimi e pozioni, il titolo mi sembra questo. Non ricordo altro se non il colore della copertina e l'odore delle pagine... Ma non penso possa esserle utile..."
Mi scopro padrona di una spavalderia di cui non mi credevo capace.
Lui si volta.
Mi guarda.
Solleva un sopracciglio.
Sorride obliquo.
Torna verso l'enorme parete di sapere che sorveglia la stanza.
Le sue dita indugiano sul dorso dei volumi per qualche istante.
Si blocca.
Ne afferra uno.
Il mio libro.
Lo riconosco, seminascosto dalle sue mani.
Raggiungo il centro della stanza.
Lui è in piedi davanti a me.
Si avvicina.
Incatena lo sguardo al mio.
E io mi paralizzo.
Perché, nonostante tutto, riesce ancora a farmi tremare.
La sua anima oscura.
La sua vita piena di ombre.
La sua solitudine eterna.
Tutto di lui mi affascina e mi intimorisce allo stesso tempo.
Apre il libro.
Gira frettolosamente alcune pagine alla ricerca di qualcosa che sembra ricordare.
Lo trova.
Si ferma.
Il libro aperto fra le mani.
Mi guarda.
Io mi avvicino.
Resto immobile al suo fianco.
Osservo il suo profilo per un istante.
Poi punto gli occhi sulla pagina dai contorni sbiaditi.
Faccio per prendere il piccolo volume che odora di muffa e vecchia pergamena.
La sua voce mi paralizza.
La sento recitare le prime righe.
Invadendo l'aria con i suoi accenti baritonali.
Per poi proseguire su un testo quasi incomprensibile.
Almeno per me.
È roca.
Sottile ma profonda.
La sento saturare la stanza che profuma di cenere.
Scivolare sul mio collo, nella gola, fino a riempirmi i polmoni, a farmi vibrare lo sterno.
Lui continua a leggere.
Dimentico di me e del mio stupore.
E io chiudo gli occhi.
Scoprendomi in un'aula calda, circondata dal sapere e dalle pozioni, intrisa delle note profonde del suono della sua voce che sento pronunciare parole sconosciute.
E non so perché, ma per la prima volta dopo tanto tempo, avverto nuovamente la magia da cui è sempre stato avvolto questo castello.
Lascio che il tempo scorra, accarezzato dagli accenti bassi dei suoi toni sensuali.
Lascio che il fuoco del camino mi sfiori la schiena.
Per un attimo averto il suo profumo solleticarmi le narici.
Pervaso di note di muschio ed incenso.
Apro gli occhi.
Lui si interrompe.
Sposta lo sguardo nel mio.
Il suo sguardo immobile che adesso mi sembra velato da un luccichio di incredulità.
-    "Immagino non abbia capito quello che ho appena letto, Granger..."
Scuoto la testa.
Sorrido.
-    "La sua intuizione è corretta. È stata anche la mia. Questo libro può essere utile. Mi dia solo il tempo di modificare alcuni passaggi."
Lo dice con una voce diversa.
Come se per un attimo avesse capito di avere di fronte qualcuno a cui portare rispetto.
E io mi sento sulla cima del mondo.
Perché sono brava.
Lo so.
Lo sono sempre stata.
Ma sentirmelo dire mi riempie di una carica che temevo dimenticata.
Sentirmelo dire da chi pensavo non me lo avrebbe mai detto mi fa sentire le costole troppo strette e il cuore intrappolato.
-    "Torno domani?"
Lo dico con un'eccitazione che non avrei voluto lasciar intuire.
Chiude il libro di scatto con una mano.
Me lo porge.
Le sue dita sfiorano il mio palmo.
-    "Lo tenga signorina Granger, lo legga... E torni domani."
Resto immobile per un istante troppo lungo.
Qualcosa di lui mi fa contrarre lo stomaco.
Mi accorcia il fiato,
Mi solletica la mente.
Solleva un sopracciglio.
-    "Posso fare altro per lei?"
La sua voce torna glaciale.
Quella che conosco.
Che conoscono tutti.
Scuoto la testa.
Finalmente prendo il libro che lui continua a protendere verso il mio corpo paralizzato.
Lo stringo al petto.
Abbasso lo sguardo.
Corro via.
Lontano da quest'aula umida, da questa oscurità quasi impenetrabile e dall'eroe nero che per un attimo mi ha fatta tremare.

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