Capitolo 7
"Oh oh, forgiving who you are, for what you stand to gain
Just know that if you hide, it doesn't go away"
Little Dark Age, MGMT
Mercoledì
19.14
22 giugno, 2035
Scontato dire che quel giorno aveva deciso di non presentarsi dallo psicologo, a causa del tormento che lo attanagliava sempre di più. Come un vecchio amico che non ti abbandonerà mai, lui era presente, che gli provocava quei dannatissimi sensi di colpa. Jared si trovava lì, con la testa fra le mani e con le sue lacrime che sgorgavano a fiumi.
Ironico pensare che il bullo percepisse un malessere interiore dopo aver insultato lo sfigato, vero?
Si sentiva così colpevole, lo era perennemente: ogni cosa che lo circondava, ogni disgrazia che gli accadeva, era solo e solamente colpa sua: i due bambini a cui si era affezionato molto non avrebbero dovuto assistere a quella scenata tra lui stesso e il loro padre, il quale aveva trattato male più volte non casualmente.
Era difficile ammetterlo, ma l'unico a provocarli quei sentimenti negativi e problemi era proprio se stesso, non gli altri.
Inutile fingere ciò che lui non si sentiva: non era una persona buona, bensì un mostro. Sapeva di esserlo da sempre, fin dal momento in cui vide la sua intera infanzia crollargli addosso dolorosamente: ricordava alla perfezione quel giorno, quando lui e la sua adorata nonnina stavano attraversando la strada sulle strisce pedonali, fino al momento in cui un auto che non rispettò il codice stradale e investì i due, non riflettendo alle conseguenze.
Il sapore della polvere e terra dopo essere stato spinto al riparo era ben impresso nella sua mente, gli occhi sgranati dalla paura e una fitta atroce alla caviglia destra, per non parlare dell'urlo straziante della donna, infine la sirena dell'ambulanza portarli con emergenza in ospedale: erano le uniche immagini che ricordava di quella mattinata.
A malapena ricordava il colore dell'auto, non aveva minimamente avvistato la targa e per questo non aveva avuto la possibilità di denunciare lo spiacevole incidente.
Uno dei tanti casi irrisolti archiviati dalla polizia. Una vera ingiustizia.
Lui era stato fortunato, aveva solo subito una frattura all'arto inferiore e delle abrasioni sul corpo, in fondo poteva capitargli di peggio; mentre invece sua nonna, sfortunatamente, non sopravvisse a lungo. Passò due giorni in terapia intensiva, non dormì per due notti per assistere all'anziana signora, nonostante gli infermieri gli intimavano di chiamare i genitori per ritornare nella sua abitazione, proponendo di utilizzare il telefono dell'ospedale se lui non ne era in possesso di un cellulare.
Se solo sapessero che era lei la sua casa, probabilmente non avrebbero insistito molto, ma come dirglielo se l'unica cosa che riusciva a fare era tenere stretta la mano fino sua nonna, in coma?
Doveva esserci lui al sui posto, non lei! Doveva salvarla, eccome se doveva. Doveva sacrificarsi per la sua vita, dato che non meritava di vivere.
Non aveva nessun talento, seppur il suo terapista gli ribadiva ogni qualvolta che ne aveva la possibilità che aveva una grande dote artistica. Jared, però, non ci credeva, assumeva una smorfia di disappunto e continuava con la sua piccola grande opera. Non era bravo nel sopravvivere, allora perché continuare a farlo? C'era così tanta gente che meritava di essere al suo posto in quanto aveva una ragione per continuare a farlo.
Lui aveva perso la motivazione - o forse non l'aveva mai posseduta.
Tirò un pugno sul tavolo, come se fosse lui la causa del suo sovraffollamento di idee e scene disturbanti impresse nella sua memoria. Sospirò pesantemente, per poi afferrare con forza sovraumana la prima tela vuota che avvistò, agguantò il nero e iniziò a dipingere con una velocità esorbitante. Desiderava così tanto che l'acrilico scuro che manteneva tra le mani potesse non solo cancellare la parte bianca della tela, ma anche i suoi maledetti pensieri negativi e la sua voglia di affondare l'intera testa in quel prodotto chimico, probabilmente letale se fosse entrato in contatto con i suoi occhi, era immensa.
A distoglierlo dal quel quadretto e dal pennello fu lo squillo del cellulare, segno che qualcuno lo stesse telefonando. Tentennante, si alzò dalla sua postazione da lavoro e afferrò con le mani tremanti lo smartphone e accettò la chiamata di quel numero sconosciuto:
- Pronto? - fu in grado di pronunciare solo quelle parole.
- Jared? Sei tu? - Non era possibile. In men che non si dica, il soggetto in questione, sgranando gli occhi, riattaccò con la pelle d'oca e gettò il display al suolo, frantumandolo in mille pezzi.
Il passato gli si stava ritorcendo contro, proprio nel momento in cui cercava di scappare da esso. Sarà il karma che stava provando a punirlo dai suoi mali?
Si mise le mani tra i capelli, tirandoli con una ferocia tale da distruggere qualsiasi cosa e a pieni polmoni lanciò un urlo così forte quasi da essere in grado di frantumare i vetri della finestra. Tra i vari squilli e telefonate perse, Jared incominciò a disintegrare con le sue mani la tela sporca di nero.
Tra calci e pugni riuscì finalmente a lacerarla gravemente. Con ansito, si gettò sul materasso del letto, con le mani sulla sua fronte, macchiandosela di pittura, frattanto sul suo cellulare non partì il segnale acustico della segreteria e non fece mostrò il messaggio inviatogli.
- Ciao, Jared. Non sai per quanto tempo ho cercato il tuo numero, devo ammettere che mi sei mancato molto in questi anni. Dal momento in cui è avvenuta quella vicenda, non ti riconosco più. Hai cancellato il tuo numero ed è stato un compito arduo ricontattarti nuovamente. Ho trascorso lunghissimi anni a rintracciarti, temevo di non ritrovarti mai più e che tu avessi abbandonato la nostra città.
Eppure sei qui, sei con me.
Mi manchi, Jared, tantissimo. So che probabilmente stenterai a ricordarmi, eppure io non ti ho mai dimenticato. Voglio rivederti, e subito. Che ne dici del Caffè Maria, in via Mazzini? Spero che tu ce l'abbia presente. Ci vediamo venerdì alle dodici, desidero tanto che tu ti presenti.
A Presto, da Ettore. -
Ettore, ci mancava solo lui.
Stentava a crederci; cosa diavolo gli era passato per la mente quando aveva deciso di chiamarlo? ma soprattutto con quale scopo?
L'unica cosa certa era che Jared preferiva di gran lunga subire i suoi stessi attacchi di ira al posto di rivederlo nuovamente. Incontrarlo di nuovo equivarrebbe a scontrarsi ancora con il lui di quattordici anni fa e dubitava di potercela fare psicologicamente.
Ah, se solo sapesse che di lì a poco si sarebbe scontrato con un'altra disgrazia.
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