7
Il caldo rese una sfacchinata irritante il tragitto di ritorno a casa. Giunta al portone salii estenuata le scale e non credetti ai miei occhi: fra la porta di casa mia e la parete c'era Brianna seduta a terra con le spalle contro il muro. Le lacrime le bagnavano completamente il volto diffondendo strisce di mascara dall'esterno dei suoi occhi color ghiaccio fino agli angoli della bocca.
«Che succede Brianna?».
Gettai a terra la borsa, mi piegai e le scoprii il viso dai lunghi capelli. Alla mia domanda le sfuggirono due singhiozzi, era angosciosamente prostrata.
«Perché stai male così?» mi ostinai a chiederle... finché mi diede una risposta troncata da singulti di pianto.
«Credevo andassero finalmente bene le cose tra noi e invece ho rovinato tutto, io distruggo chiunque mi stia vicino Micol!».
Conoscevo un uomo un tempo...aveva la capacità di rovinare le persone, annullava il loro bene, era il medesimo demone che veniva a cercarmi la notte nei miei sogni. Portava con se una tempesta e inondava le mie fantasie... ed io sguazzavo all'interno di esse fino ad annegarci.
«Ti riferisci ad Anson? Avete litigato?»
«Non mi sopporta più...è andato via. Gli ho urlato contro e ha detto che è stanco di me». Mi dispiaceva decisamente vederla in quello stato.
«Ok...senti vieni entriamo in casa» replicai; sicuramente il corridoio del pianerottolo non era il luogo appropriato per parlare. L'afferrai per un braccio aiutandola a sollevarsi da terra, feci girare velocemente la chiave nella serratura ed entrammo in casa. Versai un bicchiere di spremuta d'arancia fresco e glielo porsi assieme a un paio di fazzoletti. Si sedette sul divano in salotto ed io, aperta la persiana della finestra per far circolare un po' d'aria, la raggiunsi. Bevve un sorso di spremuta e disse quasi bisbigliando «Micol gli ho urlato contro parole indicibili...cattiverie» era incredula di se stessa e delle sue parole.
«Che genere di cattiverie?» scorgevo nei suoi occhi l'assoluto senso di colpa che l'affliggeva e la difficoltà di quella confessione.
«Che è un fallito, un misero che non può permettersi nulla».
«Perché lo hai fatto?» era davvero stata dura.
«Non lo so» urlò disperatamente. «L'ho pregato di perdonarmi... ma lui mi ha lasciata cadere, mi ha piantata capisci?».
Era ben evidente il perché Anson se ne fosse andato dopo quelle parole ma niente motivava il fatto che l'avesse lasciata in preda alla costernazione da sola sul pavimento inerte del pianerottolo.
Si è veramente in grado di lasciare chi si ama in un oceano di lacrime? Ma quanto oltre il temperamento di una persona riesce a spingersi l'amore?
«Forza calmati, sono certa si sistemerà» cercai di rasserenarla.
«Devi trovarlo....per favore. Parlaci, vai da lui e digli che mi dispiace». Di fronte a quell'assurda supplica dilatai gli occhi. Non conoscevo bene nessuno dei due, non ero al corrente dei loro problemi, non mi sarei mai potuta mettere in mezzo alle loro questioni personali.
«So che è una richiesta assurda. Bryan è l'unico che riesce a farlo ragionare ma è irraggiungibile. Devi farmi questo favore».
«Ma non saprei cosa dirgli... io non lo conosco Brianna, perché non andarci insieme così avrete modo di capirvi e parlare» provai a convincerla ma senza alcun successo.
«No... stavolta non vorrà vedermi. Ti prego Micol... devi andarci sola, sarà sicuro all'officina del signor Willelm, è li che lavora, è proprio alle spalle del Simply Market» del tutto sconvolta estrasse dalla tasca dei jeans una chiave allacciata ad una palla pelosa rosa. «Tieni prendi le chiavi della mia Smart». Davanti a quegli occhi imbevuti di lacrime non riuscii a rifiutare.
Nella mia vita non avevo mai chiesto aiuto, talvolta rialzatami a malapena sorreggevo gli altri. Ma se qualcuno soltanto mi avesse teso la sua mano avrei provato, anche se questa si fosse trovata ai lati di una scoscesa rocciosa, ad afferrarla. E la paura di precipitare sarebbe stata inutile davanti alla paura di non riuscire a credere più in qualcosa. E nonostante tutto io credevo ancora nel bene.
Tolsi i sandali beige che avevo ancora ai piedi e misi un paio di sneackers bianche, raccolsi dal tavolo la mia borsa e scesi di casa. Individuai subito la Smart nera nel parcheggio. Non guidavo da tantissimo, capitò non più di due volte che la signora Temper mi lasciasse le chiavi della sua auto per delle commissioni personali ma ricordavo ancora come si facesse. Entrai in macchina e in breve arrivai al market vicino casa, parcheggiai e scesi dall'auto.
Il mio stomaco dirigeva un concerto di beneficenza per sostenere la fame, non avevo pranzato e i mugugni e brontolii erano sempre più acuti. In quei vicoli dietro il market vi era soltanto un'officina meccanica per cui non sbagliai. La porta era aperta e vi entrai. Sparsi per il pavimento vi erano cerchioni di diverso diametro, intorno macchine distrutte, macchine nuove, macchine sollevate e macchine completamente rovesciate. Quell'officina sembrava un' industria metallica. Dietro ad una cassetta degli attrezzi aperta poggiata sul tetto di una macchina c'era Anson che maneggiava strani arnesi con robusti guanti bianchi. Era completamente immerso nel suo lavoro tanto da non accorgersi della mia presenza.
«Ma che diamine ti passa per la testa?»
Sollevò rapidamente il capo e la mia presenza non lo scomodò in alcun modo.
«Scusa? Perché fingi di non vedermi?» dissi.
«Senti non so come tu mi abbia trovato ma fossi in te ne resterei fuori con tutte le scarpe» rispose fermo.
«Te ne stai qui a nasconderti tra batterie e motori mentre Brianna piange disperata» continuava a far finta di non sentirmi parlare.
«Ascolta...piangeva a singhiozzi, a terra, poggiata alla parete, da sola». Descrivere lo stato d'animo di Brianna riuscì a smuoverlo anzi fomentò la sua collera.
«Pensi che non mi dispiaccia? Pensi che non soffra a saperla così?». Era davvero irritato ma la malinconia gli camminava negli occhi.
«E allora perché la tratti così? L'hai lasciata da sola» feci una pausa e aggiunsi «Affrontate così i vostri problemi?»
«Senti tu non sai di cosa stai parlando. Per l'ultima volta fatti i cavoli tuoi» concluse serrando la mascella e colpendo con una chiave inglese il cruscotto di una vecchia auto alla sua destra. Trasalii a quell'improvviso rombo ma la forte reazione di Anson non mi avrebbe per nulla intimorita.
«Anson non me ne frega nulla delle vostre faccende private. Cercavo solo di dare una mano ad una ragazza affranta» il volume della mia voce aumentò istintivamente. Continuai «Non so perché abbiate litigato voi due ma chiunque capirebbe quanto lei tiene a te. Avete lo stesso tatuaggio eppure ora era lì e stava piangendo...l'hai lasciata sola a logorarsi»
«Non posso sempre perdonarla, io ho capito che non posso reggere tutto questo. Dovevi vedere con quale disprezzo mi rivolgeva quelle offese».
«Tutti nei momenti di ira diciamo cose che neanche pensiamo realmente, dettate da rabbia e rancore»
«Non capisci. Domani lei sarà un'altra persona e così sarà sempre. Pensi che non abbia anche io le mie ferite?». Ebbi difficoltà a comprendere le sue parole. Non riuscii a capire perché parlasse in quel modo respingendo ogni considerazione.
«Sai che c'è? Che non credo che una persona innamorata meriti questo» gli voltai le spalle. Sentii da dietro Anson lasciare gli attrezzi e seguirmi a passi decisi.
«Non ti permetto di dire una cosa del genere... non sai cosa ho accettato per lei. Perché non chiami mamma, ti fai venire a prendere e te ne torni da dove sei venuta?». Io non avevo un posto di partenza e non lo avrei certo avuto di ritorno. Nel mio cuore era improvvisamente inverno e dentro nevicava. Non avrei mai più trattenuto una sola parola, mai più soffocato un solo grido nella mia vita. Mi voltai e ormai fuori di me mi lanciai addosso ad Anson pronta a mollargli un pugno dicendo a denti stretti «Io non ce l'ho mai avuta una mamma e se...» non riuscii a completare la frase che qualcuno mi afferrò dalla vita e poi per il braccio tirandomi indietro. La mia schiena poggiava al corpo che mi stava cingendo per mantenermi ferma e placare la mia rabbia. Mentre i battiti si accavallavano mi girai e vidi Bryan spostarmi. Aveva per certo ricevuto le chiamate incessanti di Brianna presentandosi li. Non tolse la mano dal mio braccio ma non la stringeva. Per qualche strana preoccupazione interna corrugò la fronte. Provai istantaneamente a congelare le mie emozioni ma quando ci guardammo i miei occhi diventarono più lucidi dei riflessi della luna sull'acqua del mare alla sera, anche solo respirare divenne difficile davanti a quegli occhi. Senza distoglierli dai miei allentò la presa e prontamente liberai il mio braccio dalla sua morsa, rivolsi uno sguardo perforante ad Anson e mi misi a correre verso l'auto. Solo quando fui vicino casa realizzai cosa sarebbe potuto accadere se Bryan non mi avesse trattenuta.
Sul divano Brianna dormiva sfiancata, dopo quel lungo pianto convulso si era addormentata. Non la svegliai. Andai di sopra e feci scivolare il vestito a terra, entrai nella vasca e feci una rapida doccia. Indossati una felpa lunga nera e un paio di leggings grigi tornai in salotto. Brianna sistemava i suoi lunghi capelli in una spettinata coda. Non appena mi vide si alzò e con infantile imbarazzo disse
«Micol... scusami per tutto io non avrei dovuto chiederti così tanto...ma lui come.... come stava??»
Le rivolsi un sorriso di fiducia «Era soltanto un po' nervoso... okay forse ha pensato mille modi per farmi fuori ma si leggeva nei suoi occhi quanto stava male» l'umore di Brianna cambiò decisamente rotta.
«Dio grazie Micol...non voglio creare altro disturbo...è meglio che vada» parlava in modo estremamente svelto. Era stata una giornata pesante per entrambe ed era ormai tardo pomeriggio. Prima che potesse raggiungere la porta la superai e le dissi «Brianna perché non resti... se preparassi due toast?». Le spuntò un sorriso ampio e contagioso, era tornata ad essere la ragazza energica di prima. Non mi andava di rimanere da sola, in quella enorme casa sarei finita in preda ad un esaurimento nostalgico. La compagnia di Brianna tutto sommato mi faceva bene, mi distraeva, sconvolgeva in modo del tutto inaspettato le mie giornate. Pensai a quanto sarebbe stato bello abbracciare Uli, pensarla accanto a me fu inevitabile e soprattutto mi salvava.
Brianna mi seguì in cucina e misi a fare quattro toast con uova e avocado.
«Bryan e Anson sono come fratelli...è grazie a lui che ci siamo conosciuti. Io e Bryan frequentavamo gli stessi posti, stesse scuole» cominciò a dire.
«Sembra un tipo solitario» espressi.
«Si lui è molto riservato, ma deve questo suo carattere a suo fratello, sai gli ha portato un sacco di guai a lui e al padre. Bryan per salvarlo ha fatto delle cose delle quali si pentirà per sempre. Parla poco di se stesso ma dentro ha un cuore grande e buono».
Non le dissi nulla del bigliettino, decisi di tenermelo per me. Brianna aveva preso parola ed io dovetti trattenermi dal farle domande per il resto della serata, mi limitai ad ascoltarla.
«Anson è tutto per me. Non te l'ho detto ma lui ha rinunciato a stare con la sua famiglia per seguirmi ed ora ho così paura di perderlo che per poco non perdo me stessa» era drammaticamente onesta.
Il suo modo profondo di rivelare quei dettagli minuziosi del suo sentimento per Anson mi fece venire la pelle d'oca. Addentai il mio toast quando saltammo entrambe: qualcuno bussò alla porta. Brianna sgranò gli occhi ed io mi alzai per andare ad aprire. Capelli arruffati, occhi rossi e maglietta sporca di olio di macchina. Era Anson.
«È qui Brianna?» con gli occhi cercò di andare oltre la mia figura per cercare il volto di Brianna.
«Si» dissi aprendo completamente la porta. Brianna, che sentì subito la sua voce riconoscendola, corse al suo incontro e si gettò fra la sue braccia. Non sentii le loro parole di rappacificamento poiché alle spalle di Anson riuscii a scorgere Bryan. Stava scendendo le scale per andarsene, evidentemente lo aveva accompagnato fino a casa per poi andarsene.
«Ehi aspetta» lo seguii per le scale ma non si girò neanche per sogno. Usciti dal portone finalmente mi prestò attenzione voltandosi a guardarmi. Ore prima all'officina fui così agitata da non accorgermi della vernice sparsa a chiazze sulla sua t-shirt nera. Ma i suoi occhi erano sempre gli stessi, per mia sfortuna.
«Grazie per aver evitato che litigassi con Anson, mi dispiace per il gesto... sono uscita fuori di me» spiegai.
«Tranquilla» fece per andarsene ma poi si girò e tornò davanti a me.
«Dovresti dare meno importanza alle parole degli altri!» la sua voce era rauca quanto calma.
Aveva ragione, bastò una frase di Anson per sentirmi il sangue ribollire ed una sola di Bryan per riflettere.
«Avrei dovuto farmi i fatti miei»
«Sono tornati insieme grazie a te...li hai aiutati, pur non sapendo» rispose.
«Cosa non so?». C'era qualcosa che Bryan celava riguardante Brianna ed Anson.
Non rispose, mi diede le spalle e andò verso la macchina. Tirai fuori svelta il bigliettino che avevo messo nella tasca della felpa dopo la doccia. «L'hai lasciato tu questo?» alzai la voce per indurlo ad ascoltarmi.
«Cosa?» assunse un'espressione confusa.
«Questo bigliettino» si avvicinò a me ed io glielo mostrai meglio in difficoltà per quella vicinanza. Bryan prese dalle mie mani il biglietto, guardò il numero, lesse il messaggio e rispose un secco e indifferente «No». Fuori era buio ma con lui mi sentivo come sotto mille fari. Solo allora mi resi conto che, quando parlai del mio impegno riferendomi al colloquio, Bryan avesse lasciato già casa di Brianna da un pezzo quella sera. Sorridevo, ero sollevata dal fatto che non avesse fatto lui un gesto così vuoto, stupita dalla mia mancanza di memoria nel ricordare quel piccolo dettaglio. Mi guardò sbigottito quasi sconcertato dalla mia risatina silenziosa.
«Cosa c'è da ridere?» mi chiese e cercai di ritornare seria allineando le labbra trattenendo il sorriso.
«Allora, cosa non so di Brianna e Anson?» quel mio cambio improvviso lo fece quasi sorridere.
«Non c'entra Anson».
«Allora, cosa non so di Brianna?»
Scosse la testa sospirando e si girò per andar via senza neanche salutarmi. La sua impassibilità mi bloccava, diminuiva il mio coraggio. Salii le scale totalmente abbattuta dalla giornata trascorsa, finalmente cessata. Sul pianerottolo non c'erano più Brianna ed Anson. Entrai in casa e senza pensarci troppo mi buttai sul letto ma un pensiero comparve alla mia mente: Bryan aveva portato con se il mio bigliettino.
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