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Ritardai la sveglia almeno tre volte fin quando si fecero le 6:30 del mattino ed io avevo meno di mezz'ora di tempo per farmi una doccia, vestirmi e rendermi accettabile nonostante le scarse ore di sonno e i profondi solchi sotto ai miei occhi. Erano anni che non dormivo più, semplicemente facevo finta. Non ricordavo notti in cui avevo dormito bene ma rammentavo quelle movimentate tra cui quelle trascorse accanto a mia sorella. Una sera dormivamo vicine nel letto che una volta era di mio nonno. Era una di quelle notti in cui il maltempo sconquassava il sonno. Quella volta Uli si svegliò nella notte, sudata e scossa dall'agitazione, almeno sette volte da quando prese sonno. Io restai sveglia e vigile al fine di assicurarmi che non soffrisse. Lei era tutto ciò che mi veniva in mente quando si parlava di famiglia ed io per difenderla avrei valicato mura di chiodi con addosso un' armatura di carta.
Tuttavia era come se tutti i miei sforzi negli anni non fossero stati sufficienti a risarcirla del tempo perso a subire le conseguenze del mio dolore nascosto. Non mi sentivo, neanche una volta, abbastanza quando si trattava di lei. Iniziai a pensare che fosse andata via a causa mia, per pensare di più a se stessa. Una fitta dolente mi trafisse il costato alla sola idea di averle sottratto gli anni più belli quando già qualcuno aveva pensato di sottrarle quelli più innocenti. Pensai a quanto mi mancasse anche soltanto sentirla blaterare e mi vibrarono le gambe. Essere una persona riflessiva ha nettamente i suoi svantaggi. Nonno diceva che le persone meditative le riconosci: sono quelle che viaggiano con la testa, che guardano la realtà con gli occhi del sognatore, intravedono poesia per mare e per terra. Sono quelle persone che si incantano per qualche minuto in silenzio nel vuoto e pensi che siano degli stolti... in realtà stanno fabbricando emozioni. Ed io ero così, la mia apprensione e ansietà derivano dalla mia inclinazione alla meditazione, avevo nel cuore le radici di un albero che annaffiavo con le mie emozioni e che una volta cresciuto era destinato a sentirsi imprigionato perché infinito.
Mi alzai sobbalzando dal letto e aprii il rubinetto della doccia per far scorrere l'acqua. Nel mentre presi una borsa beige e misi al suo interno un piccolo quadernino, una penna, una bottiglietta d'acqua e il portafogli. Non avevo la più pallida idea di cosa ci si dovesse portare ad un colloquio di lavoro. Mi tolsi di dosso i vestiti ed entrai in doccia. Una bella doccia fredda era quello che il mio corpo implorava. Il freddo contatto con l'acqua mi riportava in vita, lavava le ferite sul mio corpo e liberava la mente svincolandola dagli assilli accumulati. Sarei potuta rimanere ore sotto la doccia solo per godere della sensazione di smisurata leggerezza che mi concedeva.
Mi asciugai in fretta e indossai il vestito a tubino color pesca e ai piedi dei sandali beige dello stesso colore della borsa. Sebbene rivedermelo addosso mi lasciava meravigliata non mi sarei neanche vagamente immaginata di spendere soldi per un vestito così elegante. Ma quel giorno la ragazza incasinata sarebbe stata una ragazza normale che si regalava un'opportunità, forse la prima reale della sua vita.
Non avendo tempo per fare i capelli li sistemai in una coda alta lasciando solo che i due ciuffi laterali ondulati ricadessero sul viso. La faccia era pessima quanto quella di una persona che non aveva riposato neanche un minuto così misi un po' di mascara e un burro cacao rosa. Aprii il frigo e mi versai un bicchiere di latte stando attenta a non macchiarmi in nessun modo il vestito. Uscii di casa e, a terra sullo zerbino, un bigliettino con sopra un numero telefonico attirò la mia attenzione. Lo raccolsi dal tappetino nero e lessi sotto al numero:
"Chiama quando finisci il tuo impegno importante".
Mi guardai intorno pensando che forse l'artefice potesse essere nei paraggi ma il corridoio del pianerottolo era libero e le scale vuote. Pensai alla serata passata... e inevitabilmente alle espressioni inconsuete di Bryan. Per un impercettibile attimo pensai che forse il numero avrebbe potuto essere il suo. O forse in fondo ci speravo? Caddi dalle nuvole e rimossi queste considerazioni patetiche e futili, piegai il bigliettino e lo misi in borsa. Ero di fretta. L'agenzia doveva essere sicuramente nei paraggi poiché vidi nella mappa su internet che distanziava poco dalla mia zona. Camminai circa tredici minuti quando mi trovai dinanzi a due strade parallele assolutamente indistinguibili. Alzai gli occhi e vidi un cartello bianco con scritto in grassetto "VIA TWIN STREET". Capii perché si chiamasse così...le strade erano praticamente identiche. Decidere quale delle due percorrere fu semplice poiché l'insegna gigantesca, tinta con colori vivaci, con al centro la scritta "IASFOC - Imagine A Sky Full Of Colors" mi lasciò a bocca aperta. La forte agitazione d'animo mi rese paralitica, i miei neuroni presero un megafono e richiamarono tutti i beniamini del mio coraggio a rapporto.
Una porta scorrevole di vetro era l'ingresso di quella gigantesca e colossale agenzia. All'interno ogni parete era guarnita da quadri moderni, articoli di giornale incorniciati e cartelloni raffiguranti persone famose con in mano il depliant dell'agenzia. Ai lati vi erano lunghi divanetti bianchi in pelle con al centro tavolini di vetro aventi sopra piccoli vasi trasparenti con fiori oleandro di un rosa dolce e fresco. C'erano persone ben vestite che nell'attesa, probabilmente di esser ricevuti, leggevano i giornali lasciati sui tavolini da salotto apposta per gli ospiti. Mi avvicinai a passo lento al bancone dove vi era una donna dai capelli platino corti assolutamente distinta.
«Salve» dissi.
«Salve, lei è?» era molto sorridente e ci impiegai poco a riconoscere la voce, esattamente quella della chiamata.
«Sono Micol Ward, sono qui per il colloquio».
«Ah lei è l'ultima dei ragazzi che hanno fatto proposta compilando il form online. Sono Brenda la referente del signor Joe Kolligan direttore generale della IASFOC. Ora la farò seguire da Robert che le mostrerà l'azienda e le farà un breve colloquio».
«Perfetto grazie mille» cercai di mantenere il tono moderato senza farmi tradire dall'ansia che sentii crescere in pancia. Avevo dormito poco e non avevo preparato assolutamente nessun discorso, inoltre disse che ero l'ultima dei ragazzi dunque in molti dovevano essersi proposti. Prese il telefono e disse soltanto «Sala accettazione,ora».
Dopo due minuti vidi arrivare da delle scale a chiocciola un uomo abbastanza giovane in camicia azzurra, pantaloni scuri e un paio di occhiali da vista specchiati. Mi guardò dal basso verso l'alto.
«Buongiorno sono Robert Bruxe, l'Art Director dell'agenzia...imposto la parte visiva della pubblicità come ad esempio la dimensione del marchio, il font» era molto coinvolgente e quel modello di occhiali gli attribuivano un indiscusso fascino.
«Io sono Micol Ward».
«Bene Micol, è stato semplice trovare il nostro annuncio online?» era chiaro gli interessasse sapere della concorrenza con le altre aziende e agenzie della zona.
«Si era fra i primi in cima!» risposi.
Compiaciuto della risposta mi disse «Bene ti faccio fare un giro nella struttura e poi faremo due chiacchiere» sorrise e mi fece strada. Mi limitai ad annuire poiché se avessi pronunciato qualsiasi cosa mi si sarebbero spezzate le parole sul sorgere.
Seguivo Robert esplorando uno dei tanti corridoi standogli al passo e dando retta a tutte le sue parole man mano che indicava gli uffici. Si fermò a mostrarmi una stanza con poco meno di un centinaio di computer tutti esattamente allineati.
«I responsabili dei media controllano le nostre reti di pubblicazione. Abbiamo uno spazio dove riceviamo sondaggi sulle campagne andate in porto. Questo è uno dei lati più importanti della nostra agenzia». Disse enfatizzando ogni parola.
Guardai quell'enorme stanza tecnologica sbalordita. Come se dovesse suggerire spiegazione alla mia espressione Robert disse «La gente ama esprimere il proprio parere e noi con tale sistema siamo in grado di accontentarli» fece spallucce.
«Cerchiamo un gruppo di giovani creativi che comprenda i bisogni dei consumatori, che raccolga informazioni sul pubblico e che generino in onor della collaborazione idee originali che permettano di mantenere un elevato standard di qualità e soprattutto che ami fare questo lavoro poiché richiede determinazione e tanta pazienza». Restò a fissarmi per darmi modo di assimilare le sue indicazioni. Camminammo più avanti nel medesimo corridoio della stanza super tecnologica e si fermò sulla sinistra di questo.
«Vieni sediamoci pure qui, nel mio ufficio». Aprii una porta e la stanza era davvero incredibilmente bella. Si appoggiò alla cattedra in legno scuro ricoperta da fogli e fascicoli e mi fece cenno di accomodarmi su una delle due poltroncine davanti.
Sprofondai nella poltroncina e il mio stomaco fece un rombo improvviso. Probabilmente cambiai dieci colori in volto dall'imbarazzo. Dovevo dimostrami capace e adatta a quel ruolo e per farlo avrei dovuto mantenere una certa serietà nonostante mi venne da ridere a crepapelle per i rumori e boati che il mio stomaco emetteva sempre nei momenti meno opportuni. Robert si tolse gli occhiali e li sistemò sulla scrivania. Tutto fu chiaro: era il momento dell'interrogatorio. Deglutii attendendo che facesse la sua mossa. Prese un foglio ed una penna e mi guardò sorridendo.
«Allora Micol hai mai avuto altre esperienze lavorative?»
«Ho fatto solo un paio di esperienze in giro nel Wisconsin, ho lavorato in un bar, in un negozio di alimentari e con un' equipe di pulizie in un hotel!» mentii. In realtà lavorai per qualche mese di nascosto nel bar della signora Temper, servivo i tavoli e a fine serata mi occupavo di ripulire la cucina e gli stanzini, mi venne incontro dandomi metà delle mance finché mio padre non lo venne a sapere venendomi a prendere. Quando tornammo a casa divenne feroce e mi scagliò addosso una sedia. Temeva andassi in giro a raccontare le sue perversioni peccaminose e i suoi sporchi vizi.
«Perché vorresti lavorare per noi?» mi chiese.
«Detto con estrema sincerità signor Robert» mi interruppe.
«Chiamami Robert e basta.»
Lo guardai con così tanta autenticità e schiettezza che gli occhi mi pizzicarono.
«D'accordo Robert, detto tra noi ho bisogno di un guadagno. Sono sola e...farei qualsiasi cosa per darmi una stabilità, che è sempre... mancata nella mia vita».
Mi guardò con insolito rispetto, aveva compreso la sincerità delle mie parole.
«Come mai sei rimasta senza lavoro per così lungo tempo?»
«Ho attraversato un periodo difficile della mia vita segnato da trasferimenti e altre faccende di famiglia, per cui sono stata ferma per un po'».
Fece un mezzo sorriso «Capisco...hai qualche certificazione linguistica?»
«No... ma parlo molto bene il portoghese».
Mi guardava incuriosito come se dovessi spiegarne il motivo.
«Mio nonno era nativo del Mozambico, mi raccontava spesso favole in portoghese quando ero più piccola» dovetti inspirare profondamente per insabbiare quel ricordo pesto. Quel colloquio stava diventando un gioco a freccette e il mio cuore ne era il bersaglio rosso.
«Ottimo...Micol abbiamo ricevuto molte domande in seguito all'annuncio pubblicato, non ci aspettavamo di ricevere così tante richieste. Dunque stiamo facendo una selezione basandoci su una chiacchierata breve, che ci dia indicazione sul lato umano, e ponendo una sorta di competizione»
«Che genere di competizione?» balbettavo.
«L'agenzia sta attraversando un grande periodo pressorio, a breve dovremo presentare un progetto in merito al lancio di una caramella alla cannella di un noto marchio che produce prodotti interamente biologici. Avrete da domani dieci giorni di tempo per presentare presso il nostro ufficio un'idea digitale o cartacea che valorizzi il marchio e il prodotto da lanciare. I primi tre progetti idonei verranno assunti e saranno il punto di partenza della nuova campagna». Fece il giro e andò dietro la sua scrivania, aprì un cassetto e tirò fuori un foglio e me lo porse.
«Qui troverai tutti i dati in merito al marchio, vecchi prodotti, la storia del fondatore e informazioni sul nuovo prodotto»
«Certo...» mi sentii appena appena confusa e Robert lo percepì.
«Tutto ok? Se hai qualche domanda chiedi pure».
«No è davvero tutto chiaro e sei stato molto esplicito e cordiale!»
«Vieni, ti accompagno all'uscita».
Mi aiutò a sollevarmi dalla poltroncina come un vero signore e mi accompagnò sullo stesso punto in cui ci eravamo ritrovati qualche ora prima. Aveva dei modi veramente nobili, era educato e comprensivo. Qualsiasi donna ne sarebbe rimasta folgorata.
«È stata davvero una chiacchierata interessante. Sono rimasto molto colpito... ti auguro un grande in bocca al lupo e spero di rivederti qui in vesti di collega».
«Ti ringrazio tantissimo. Arrivederci».
Uscii da quella lussuosissima struttura determinata come non lo ero mai stata prima. Ero stanca di vedere passare treni nei quali non potevo permettermi di salirci. Questa volta avevo davanti un aereo e avrei fatto qualsiasi cosa fosse stato nelle mie capacità per non perderlo.
Sistemai il foglio che mi aveva lasciato Robert nella borsa e mi ricordai del bigliettino che trovai la mattina sullo zerbino. Non avevo intenzione di chiamare quel numero, magari l'avrei fatto più tardi, ero ancora sconvolta dal colloquio alla IASFOC e non avevo altri pensieri per la testa se non trovare un'idea per guadagnarmi il posto. Chiunque volesse incontrarmi o sentirmi sapeva dove trovarmi, aveva una bocca per parlare e delle gambe per raggiungermi. Questi giochetti noiosi non facevano per me. Non più. Per qualche sconclusionata ragione mi sentii lievemente scoraggiata al pensiero che quel Bryan potesse essere un tipo così frivolo da lasciare un bigliettino senza esporsi. Sciolsi i capelli dalla morsa dell'elastico, li districai e feci per tornare a casa.
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