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51

All'ennesimo tentativo il carrello delle pulizie tremò e Bryan mi mise giù.

Mi passò i vestiti recuperandoli da un angolo di stanza.

Emisi un risolino basso quando nell'infilarsi i pantaloni stette quasi per cadere. Dio, si stava comportando come un bambino colto a rubare ed io mi gustavo quella scena perché non lo avevo mai visto tanto rallentato e spontaneo.

«Smetti di ridere e rivestiti, non voglio che qualcuno ti veda così.»
Bisbigliò con fiato intenso.
La sua faccia era estremamente autoritaria ma non riuscivo a smettere di ridere.

«Micol, sono serio, rivestiti subito!»
Mentre era intento ad abbottonarsi i jeans i suoi occhi salirono fino ai miei e bastarono a darmi un freno.

«D'accordo, d'accordo.»
Risposi a quelle parole che suonarono come una ramanzina e mi infilai lentamente i jeans.

Il suo umore era decisamente cambiato, emanava tensione da tutti i pori ma continuava a guardare le mie gambe con la stessa eccitazione di qualche minuto prima.

Ricambiai così il suo sguardo desideroso fissando il suo bacino stretto, quel trapezio mozzafiato. Immaginai di essere circondata da tanti cloni di Bryan, sapevo fosse impossibile trovare una copia identica all'originale ma all'idea la mia schiena si irrigidì.

I suoi jeans skinny lasciavano fuori le mutande nere, mi inumidii le labbra con la lingua.

Quegli occhi nocciola chiusi a fessura rivolti con fame verso di me mi fecero comprendere che ne bastava uno di Bryan a farmi tremare le mani.

Una vampata di insopportabile calore investì prepotente il mio corpo. Sapeva perfettamente l'effetto profondo che mi faceva ma continuava a fissarmi con una brama che mi confondeva. Corrugò la fronte e sollevò un sopracciglio...
«E se non vuoi restare qui altre ore fallo anche in fretta.»

Si passò una mano fra i capelli intercettando ogni movimento dei miei fianchi mentre mi sollevavo i jeans sul sedere. Lui era ancora un asfalto infuocato ed io non potevo né volevo correre in un'altra direzione.

Quando finimmo di rivestirci la persona che aveva tentato di aprire la porta non doveva esserci più perché non vi era alcun rumore.

Spostai il carrello e sgusciai fuori la porta.
«Bryan non c'è più nessuno!»
Dissi a voce bassa.
«Dammi un secondo, sistemo ciò che è caduto.»
Rispose con tono distaccato raccogliendo alcune confezioni che erano finite a terra a causa nostra.

Restai sulla porta assorta, mi mordicchiai la punta del pollice. Che io lo volessi o meno, tutti i miei pensieri erano rivolti a lui.

Sapevo bene cosa frullasse nella mia testa ma cosa accadeva nella sua?

Stetti per poggiare la fronte accaldata contro il muro quando spuntò improvvisamente una signora con i capelli ramati lunghi sino alle spalle.

Trasalii e mi posizionai istintivamente davanti, cercai di sorriderle fingendo quasi di trovarmi lì accidentalmente.

«Oh, ecco chi c'era qui dentro!» esclamò fissandomi «Poco fa non riuscivo ad aprire la porta, sono andata a controllare che le chiavi fossero quelle giuste.»

«Eravamo rimasti chiusi dentro, credo... credo... che la maniglia sia... difettosa.»
Mi impappinai con terrore come se avessi avuto davanti a me un fantasma.
Pessima esibizione Micol, bocciata come attrice, scartata da ogni provino, fine carriera di esaurimenti e improvvisazioni.

Mi sorrise con gentilezza, era una donna sulla quarantina e indossava il grembiule corto del Joy, fissai il nome sull'etichetta all'altezza del seno "Alisia".
«Eravamo?»
Chiese e proprio in quel momento Bryan uscì dal deposito sfiorandomi un fianco.

«Oh ora capisco, Bryan, avresti potuto parlare quando eri lì dentro, vi avrei aiutati ad uscire.»
Obiettò Alisia con poco sospetto.

Si conoscevano ma Bryan aveva l'espressione torva di chi non voleva ascoltare nessuno, oltre a ciò non si preoccupò di risponderle.

«Vi ha mandati Dan a prendere lo scatolone di coors light in vetro?»
Strabuzzai gli occhi senza parole.
«Sì, giusto, le coors» rispose Bryan e rientrò nel piccolo deposito per recuperare le birre.

Nel frattempo la signora mi squadrò da cima a fondo. Sovrapposi un piede sull'altro imbarazzata da quell'esame.

«Sei bella da mozzare il fiato piccola, da ragazzina avevo anch'io fianchi da far girare la testa agli uomini, oh eccome se la giravano.»
Rise sommessamente.
«La ringrazio, anche lei è molto bella.»
«Ti prego dammi del "tu", sono ancora giovane dentro, a dirla tutta lo sono molto più di tanti altri giovani. Chiamami Alisia.»
La sua freschezza mi strappò un sorriso. Come poterle dare torto, pensai alla mancata di spensieratezza di Fedor.
«Allora grazie Alisia.»
Mi corressi.
«E il tuo invece? Qual è il tuo nome?»
«Micol.»
«Micol» ripetette sbagliandone l'accento «Hai una cosa vicino...»
Non concluse la frase e mi indicò con l'indice il labbro guardandomi proprio in quella zona del viso.

Sbiancai immediatamente dopo.

Micol non pensare cose sporche, è impossibile, Micol non pensare quelle cose, Micol non pensare.

Mi passai rapidamente una mano sulle labbra per cancellare qualsiasi cosa quella donna avesse potuto notare.

Si avvicinò scrupolosamente a me.
«Sembra essere del sangue, ti sarai fatta male con i denti.»
Mi passai la lingua attorno le labbra sentendo il sapore del sangue, era stato Bryan a mordermele, sentii le gote accaldarsi e riprendere vita a quel pensiero.

«Hai conosciuto quindi mio nipote Dan? Oppure si è lasciato sfuggire una ragazza deliziosa come te?»

Nipote?

«Non capisce proprio nulla quel ragazzo, corre sempre dietro a quelle sbagliate.»
Aggiunse sarcastica.

Stetti per rispondere ma Bryan sbatté in modo talmente forte la porta da farci girare entrambe.

«Ecco sono queste, gliele puoi portare tu? Devo riaccompagnare a casa Micol.»
Disse con voce fredda ma vellutata e mi cinse le spalle con un braccio.

Avrei voluto accucciarmi tutto il tempo contro il suo corpo, iniziai a pensare che non avrei mai smesso di subire il suo aspetto.

Alisia tenne con entrambe le mani lo scatolone di birre che Bryan le aveva passato con noncuranza.
«Ah, ora è tutto più chiaro.»
Disse guardandoci, «Ad ogni modo Micol, quando vorrai, anzi quando vorrete, potremmo fare una chiacchierata e magari, perché no, coinvolgere Dan.»
Mi strizzò un occhio.

Le sorrisi e il mio saluto restò sulla punta della mia lingua poiché Bryan mi trascinò via emettendo un lungo sospiro.

Quell'atteggiamento ombroso iniziava a preoccuparmi.
La voce di Alisia alle nostre spalle fece indurire la sua espressione.
«Bryan aspetta volevo chiederti se tuo fratello...»
Bryan non la fece continuare.
«Ora andiamo di fretta Alisia, se vuoi scusarci.»

Dovetti adeguare il mio passo a quello di Bryan veloce e determinato, camminavamo attaccati in quanto il suo braccio mi teneva appiccicata contro il suo fianco.
«Ha detto che Dan è suo nipote.»
Strinsi la mano di Bryan all'altezza della mia spalla.

«È la zia di Dan. Non se la passa bene così Dan l'ha fatta assumere qui per un certo periodo.»
«Perché ti ha domandato di tuo fratello?»
«Perché Alisia un tempo era una persona importante per la mia famiglia, specie per mia madre, era sua amica.»
«Non lo è più?»
«No.»
«Perché?»
Bryan inspirò nervosamente ma io gli mostrai con gli occhi di non voler mollare l'osso.
«Perché quando abbiamo vissuto un periodo difficile è sparita, come fanno tutte le persone Micol.»

La smorfia sulle sue labbra alimentò la mia curiosità ma mi fece comprendere che non avrebbe tollerato altre domande.
«Sembrava una donna piuttosto... simpatica.»
«Si come no.»
Rispose freddo stringendo la presa sulla mia mano.

«Lo dici solo perché ha insinuato che io possa piacere al nipote?»
Abbassò gli occhi su di me e allargò le narici, scuro in volto.
«No. Ma dici bene, insinuato, perché non ti avrà mai se ci tiene un minimo.»
«Alla vostra amicizia?»
«No, se tiene un minimo alla sua vita.»

Ritrasse il braccio dalla mia spalla.
«Aspettami fuori, trovo Dan per restituirgli le chiavi e prendo dal tavolo le tue cose.»

Fu così veloce e serio che annuii senza replicare. Sembrava avesse fretta di andare via da quel posto.

Le ragazze che ore prima sedevano al bancone non c'erano più. E non era l'unica cosa che constatai, indugiando lo sguardo vidi Anson seduto al tavolo con due amici e un paio di birre, Brianna non era più al suo fianco. Allora dov'era? Era tornata a casa? Oppure era nei paraggi?
Mi guardai istintivamente attorno e appena superai il davanzale che divideva personale e clienti sgattaiolai fuori.

Inspirare l'umidità dell'aria mi fece sentire il costato irrigidirsi, come se non bastava l'ansia generale mi fece camminare avanti e indietro e poi a destra e sinistra ininterrottamente mentre aspettavo Bryan.

Cosa aveva cambiato il suo stato d'animo?

Dopo aver fatto mille ipotesi senza alcuna soluzione mi voltai e lo trovai fisso davanti l'ingresso del Joy, da quanto tempo era lì?!

Con una mano sosteneva debolmente la mia borsa e tra due dita dell'altra mano reggeva una sigaretta.

Restai lontana e lo guardai a fondo, ogni ipotesi si vaporizzò all'istante.

Bryan era un foglio di carta bianco, o meglio era ciò che appariva, le parole impresse su di esso erano semplicemente invisibili. C'erano ma non si potevano leggere. Eppure a differenza degli altri io riuscivo a farlo, i giorni passati mi erano bastati a imparare quel linguaggio e in quell'istante lessi sul suo viso arrossato che qualcosa lo angustiava.

«Ti stavo aspettando, perché resti lì?»
Dissi indicandolo ma riabbassai subito la mano in risposta alla sua indifferenza.

Lo raggiunsi e presi la mia borsa, me la portai sulla spalla.
Lo fissai ma lui sembrava voler guardare qualsiasi cosa tranne me.
«È tutto okay?»
Gli chiesi unendo le braccia al suo collo ma non ottenni la sua attenzione, neanche un piccolo sguardo.

Annuì semplicemente schiudendo gli occhi all'ennesimo tiro di sigaretta.

Gli strinsi le guance fra le mani e lo costrinsi a voltarsi.
«Ho l'impressione tu abbia qualcosa.»
Gli dissi.
Scosse la testa. Che stava accadendo? Perché non parlava? Eravamo tornati al silenzio di una volta?

"Ti prego Bryan non usare il silenzio con me" avrei voluto dire. Perché quella vulnerabile ero diventata io e avevo bisogno che lui continuasse ad essere più forte di me.

«Sei arrabbiato con me.»
Tolsi le mani dalle sue guance ma lui le riprese e se le riposizionò sulla pelle strappandomi un sorriso. Voleva le mie carezze, era un buon segno, non si era chiuso del tutto.

Anche se quegli occhi continuavano a non trasmettermi nulla di buono.
Ci fissammo ed io mossi dolcemente la mano sulla sua guancia.

«Per favore Bryan...»
Dopo qualche attimo di incertezza che ebbe si decise a parlare.

«La reazione che hai avuto prima Micol.»
«Cosa?»
«Non mi è piaciuta, sembravi impaurita e lontana. Lontana da me, lontana da tutto.»
Prese un altro respiro profondo e si tolse via le mie mani dal suo viso.
A quel gesto non riuscii a star calma in alcun modo.

«Non è la prima volta che accade ma stavolta ho avuto l'impressione che ciò che cerchi di dirmi sia più grave di quello che io pensi.»
Oh Bryan, è sicuramente più grave di quello che pensi.
«Io te ne stavo per parlare prima ma quella donna tentava di entrare ed io ho avvertito il panico...»
«Non mentirmi Micol. Non è stata Alisia ad interromperti.»
Tacqui mentre i suoi occhi espressivi sembravano consumarmi.

Sentii l'estremità degli occhi bruciarmi e piegai le labbra in uno stato di tristezza difficile da mascherare.

Bryan fissò il mio muso e parve pentirsi della foga con cui aveva accompagnato ciò che disse.

Cacciò via l'ultima nube di fumo e gettò la cicca avvicinandosi a me.
«È tutta colpa mia.»

Di quale colpa stava parlando?

Si grattò la nuca serrando le labbra con rammarico «Sono stato uno stronzo ad averti messa in una situazione difficile, fuori la sala mostra, prima nello stanzino, tutte le fottute volte.»

Restai immobile con lo sguardo fisso sui suoi occhi pazzeschi.
«È colpa mia» ripetette, «Se non sei riuscita a dirlo in questi giorni e anche prima. Lo farai quando vorrai tu... non volevo insistere. È che non sapere cosa ti è successo Micol mi rende nervoso.»

Deglutii facendo con gli occhi un giro attorno al suo viso.
«Scusami.»
Bryan era passato dall'essere agitato ad essere afflitto. Non volevo che provasse un qualsiasi tormento nel cuore, ero io quella sporca.
«Non hai nessuna colpa Bryan. Il problema sono io. Ma ti racconterò ogni cosa, devi solo... credere ancora in me.»
Abbassai lo sguardo, Bryan stette in silenzio mentre la mia voce si inclinava sempre più in un tono decrescente e mortificato.

Sollevai lentamente gli occhi, mi stava guardando con un sorriso obliquo.

Allungò le braccia e mi attirò a se stringendomi il girovita.

Mi adagiai sul suo petto sentendo la sua mano agguantare i miei capelli dolcemente.
«Se tu sei un problema lo sono anch'io.»
Disse premendo le labbra sulla mia testa.

«Non sei più arrabbiato con me?»
«Non sono mai stato arrabbiato con te. Lo ero con me stesso.»
Sorrisi stringendomi il più possibile al suo corpo.

«Non hai motivo di esserlo, tu stai sconvolgendo già la mia vita al di là del mio passato.»
Le sue dita scesero sulla mia bocca, mi passò rude il pollice sulle labbra accarezzandomi il sorriso.
«Voglio solo vederti sorridere sempre.»
Mi scostai per poterlo guardare.

Sentirsi dire quelle parole era strano, forse perché mi ero convinta col tempo di non meritare la felicità. L'emozione che mi trasmetteva Bryan soffiava sulle mie ferite come un vento che toglieva il respiro.

Sorrisi davanti ai suoi occhi curvi verso il basso.
Avvicinò la bocca alla mia e bisbigliò «Così, se mi sorridi così mi sento meglio, tutto ritorna ad avere un senso.»
Mi portai una mano al centro del petto in preda ad una pazzia smoderata.
«Perché ti premi il petto?»
Mi chiese con un moto di preoccupazione, temeva mi stessi sentendo male, invece era solo mio cuore che tremava quando lui parlava.
«Ho il cuore fuori controllo.»
Risposi e Bryan mi baciò.

Le mie labbra vibrarono come il fiato che si consumava, mi lasciai andare indugiando su quella bocca dolce. Gli scambi di energia tra i nostri corpi mi fecero perdere la testa.
La sua lingua attaccava la mia con passione facendomi flettere la schiena.
«Siamo davanti al Joy e alle persone.»
Mormorai.
Bryan guardò ai suoi lati.
«Ma io non vedo nessun altro.»
Affermò e avvolse i miei glutei con le sue mani animali.
«Ma ci sono, perciò giù le mani dal mio sedere.»
«È così grande che non riesco più a trovarle.»
Disse palpeggiandolo e si fece scorrere la lingua lunga sulle labbra.

Non resistetti, mi sollevai sulle punte e scagliai di nuovo la mia bocca sulla sua.

Certi baci hanno l'impeto dell'anima e quella di Bryan era indomabile, era speciale.

Dopo qualche secondo gli tolsi via le mani dal mio fondoschiena e lo spinsi ad indietreggiare.
«Tu non sai cosa mi scateni dentro quando tenti di respingermi vero?»
Sorrise e guardai i suoi denti lucidi abbagliata.
«No ma ho qualche idea a riguardo» lo sfidai. Sapevo che quando lo respingevo provava un'avida eccitazione.
«Pulce pensi che la presenza degli altri possa davvero frenarmi?»
Era scaltro, occhi appuntiti contro i miei fragili.
«Risponderò io per te» disse sfiorandomi la guancia «No, ed è per questo che devi dirlo a Brianna, la mia capacità di starti lontano si è ridotta a cinque secondi.»
Riprese con prepotenza il contatto con il mio corpo stringendomi un fianco. In modo del tutto inconsapevole avanzai e mi appiccicai a lui per abbracciarlo.
«E anche la tua.»
Disse e ridemmo. Era vero, riuscivo a stargli lontana pochissimi secondi, anche quando ero io stessa a respingerlo, motivo per il quale non potei in alcun modo ribattere a quell'affermazione.

In macchina tutto sembrava incredibilmente naturale, a parte la mia voglia di restare ancora con lui.

Perché non si può muovere il tempo e decidere di vivere la mattina, la sera, la notte a nostro piacimento?

Me lo chiedevo ogni volta che le ore passavano tra di noi con velocità.

Mi piacevano le smorfie che Bryan faceva quando qualche tonto provava a sorpassarlo, mi piaceva persino il modo in cui si portava, appena il semaforo si illuminava di rosso, le dita sulle labbra, come se stesse elaborando una via di fuga. In questo eravamo diversi.
Io le vie di fuga non le sapevo proprio calcolare, mi bloccavo a pensare e la maggior parte delle volte restavo impigliata.

Iniziai ad avvertire dolore al collo, anziché stare dritta sul sedile guardavo Bryan e anche quando se ne accorgeva continuavo a guardarlo. Io una via di fuga non ce l'avevo più, o meglio l'avevo avuta quella sera in spiaggia quando Bryan mi aveva raggiunta e l'avevo persa subito dopo in mare quando Bryan mi aveva baciata.

Si fermò davanti al palazzo e si voltò ad osservarmi.
Eravamo già arrivati a casa mia ed io non riuscivo ad essere felice.
Girò le chiavi e spense il motore.
Mi rannicchiai sul sedile su un fianco e continuai a fissarlo.
Con i finestrini chiusi e il silenzio nell'aria anche il minimo respiro faceva rumore, i suoi occhi erano due luci soffuse e si allontanavano dai miei solo quando le ciglia sbattevano.

«Dimmi che guardi solo me così Micol.»
La sua frase ad interrompere quell'essere tanto vicini alla fine di entrambi, perché ci stavamo rimpicciolendo ognuno sotto gli occhi dell'altro, sino a sparire.

«Bryan in qualsiasi modo io ti stia guardando dubito possa essere lo stesso con qualcun altro.»

Abbozzò un mezzo sorriso orgoglioso e compiaciuto che guardai affascinata.

Bum, bum, 80 bpm.

«Piuttosto... mi chiedo se tu guardi le altre così come guardi me.»

La solita maledetta timidezza voleva impedirmi di reggere quello sguardo ma la sua risposta sarebbe stata troppo importante per me per potergliela dar vinta.

«Altre?»
Bryan chiuse gli occhi e sospirò frustrato «Impossibile.»
«Perché?»
«Perché io vedo te anche quando chiudo gli occhi.»

Ebbi per brevi istanti un'improvvisa difficoltà a respirare.

90 bpm.
Me li sentivo rimbombare nel petto. Andiamo dannato cuore non è il momento di fare i capricci!

Mi avvicinai al suo viso e strisciai lentamente la bocca sulla sua mandibola sentendone la ruvidità. Emise un flebile mormorio di piacere così continuai a sfiorarlo.
«Davvero?»
«Sì Micol.»
«E come sono?»
Gli domandai e il rischio sismico all'interno del mio petto mi stava facendo impazzire.

Quella domanda infantile lo fece sorridere, mantenne gli occhi chiusi ma allungò la mano sulla mia coscia.

«Mia.»
Le sue dita strinsero forte la mia pelle.

100 bpm.
Pensai alle possibili conseguenze di una tale attività cardiaca mentre il mio respiro si faceva pericolosamente corto.

Mi immaginava sua e un fervido entusiasmo mi accapponò la pelle.

Il mio corpo si avvicinò ancora di più al suo spinto da un moto naturale e improvviso, silenzioso, come se a spingermi fosse stata la sola energia, le mie particelle comunicavano con le sue in perfetto equilibrio.

«Non hai pensato ad una cosa.»
Sussurrai e montai sul suo corpo a cavalcioni con la delicatezza di un elefante. Avevo troppa voglia di stargli addosso.
«Ahhh mi hai sfondato il fianco.»
Protestò divertito facendomi ridacchiare e prima che potesse riaprire gli occhi gli misi le mie mani sopra.
«Scusami scusami» dissi sistemandomi sui suoi pantaloni e gli baciai gli angoli della bocca «Però non aprire gli occhi.»
Bryan trattenne con i denti un sorriso e le sue mani si aggrapparono alla mia vita. Con quei piccoli baci ero riuscita a controllarlo e obbedì.
Il fatto che avesse gli occhi coperti mi permise di scrutarlo attentamente senza ritegno.
«Sentiamo chiacchierona a cosa non ho pensato?»
«Appartenere a qualcuno equivale a dipendere da questo.»
«Lo so.»
Rispose secco.
«Ma noi due non dipendiamo l'uno dall'altro Bryan...»
«Riesci davvero ad esserne ancora sicura Micol?»
Bisbigliò mandandomi in tilt.

Dipendevo davvero da Bryan? Lui dipendeva da me?

C'erano stati momenti in cui avevo sentito di dipendere da Bryan, i suoi comportamenti, le sue parole avevano ripercussioni sulla mia vita e sulle mie scelte, avevo tuttavia sempre creduto fosse una sensazione momentanea. E ora che me lo stava chiedendo in modo diretto non ressi la consapevolezza.

Bryan impaziente davanti al mio silenzio afferrò le mie mani facendosele scivolare via dagli occhi.

Mi guardò intensamente, «Se non dipendiamo l'uno dall'altro perché quando dobbiamo lasciarci mi sento più morto che vivo? Mh?»
Le nostre bocche schiuse si stavano sfiorando, i nostri respiri si alternavano perfettamente, provavamo a resisterci come se entrambi fossimo curiosi di sapere quanto saremmo durati prima di baciarci.

Le sue mani strisciavano lentamente su di me.
«Perché le dipendenze portano a morte Bryan.»
«È vero ma io continuo ad avere voglia di divorarti pur sapendo che sei tu la mia condanna a morte.»

Fummo entrambi a cedere, Bryan perché spinse le sue labbra sulle mie ed io perché insistetti a tenerle premute.

Oltre 100 pulsazioni al minuto mi facevano sentire sul filo, avrei potuto concentrami sulla respirazione per tentare di rallentare i miei battiti ma quella dolce tachicardia era il riflesso di quello che mi stava facendo provare Bryan e non c'era modo di riassestarla.

Prese a divorarmi il collo di baci e di morsi, poi caldo, freddo, paura, voglia, precipitare, volare.

Gli strinsi il viso tra le mani.

«Sai invece quanto mi sento morta io senza il mio scostumato?»
Bryan scosse la testa e mi osservò negli occhi in un modo insolito.

Era rimasto colpito da ciò che dissi, i muscoli delle sue cosce si contrassero sotto i miei glutei e le sue pupille si espansero in quell'oceano dorato.

Pensai che un simile sguardo poteva appartenere solo a chi aveva i sogni che gli danzavano nella testa.

«È come se non esistessi più quando vai via Bryan, sono terrorizzata da tutto questo.»

Senza dire nulla mi baciò infilandomi con impulsività la lingua in bocca.

Le sue mani mi stavano già tenendo con possessione da un pezzo stringendomi le natiche.

«Non possiamo passare ore a toccarci e a baciarci. Non è un modo normale di passare le giornate.»
Ridacchiai toccando il suo petto.
«Chi l'ha detto che non è normale?»
Rispose affondando la testa tra il mio collo e i miei capelli.

Restammo abbracciati per molto tempo, socchiusi gli occhi con la testa chinata sulla sua spalla, avrei potuto addormentarmi in quel modo senza alcun ostacolo.

«Devi per forza andartene?»
«Mi aspetta tanto lavoro Micol, non posso lasciare Grilson solo, l'evento sarà tra pochi giorni.»
Mi morsi le labbra, non volevo separarmi da lui. Ci guardammo silenziosi.
«Non vuoi che ti tratti come una bambina ma dovresti guardarti allo specchio in questo momento.»
«Cos'ho che non va?»
Bryan espirò intensamente come per cercare di contenersi.
«Merda Micol hai su un broncio degno di una bimba.»
Disse passandoci sopra il pollice.
«È solo che è stata una giornata piena ma è come se fosse finita in fretta.»
«Anche io non vorrei allontanarmi.»
Il suo dito si bagnava tra le mie labbra rendendomi quasi difficile parlare. Il suo sguardo era fisso sulla mia bocca.
«Allora non farlo, puoi salire da me e potremmo stare abbracciati come l'ultima volta.»
Ripensando a quella sera non potei far altro che sorridere. Il ricordo suscitò anche nell'espressione di Bryan una scintilla di eccitazione.
«Appena ci sarà la mostra passeremo più tempo insieme pulce.»
«D'accordo.»
Mi emozionai e lo strinsi forte.

«Me lo dici prima di andartene come hai fatto a compromettere l'impianto della IASFOC?»
Scesi dalle sue gambe tornando sul sedile passeggero. Le sue mani accompagnarono il mio sedere fin quando non mi sedetti.
«Te lo dirò solo se non mi farai stare in pensiero.»
«Perché mai dovrei? Cosa vuoi che faccia?»
«Voglio solo che nelle prossime ventiquattro ore tu non faccia guai come guidare un furgone portandolo a distruzione e rischiando la vita, andare alle feste organizzate da quegli stronzi in spiaggia o indossare le sciarpe di altri uomini.»

«Bryan quella sciarpa era di Carl e mi serviva perché tu mi avevi lasciato un succhiotto poco più grande del tappo di una bottiglia. Non ti andrà mai giù vero?»

Bryan ci pensò e poi restando impassibile scosse la testa «No, mai.»

Scoppiai a ridere e Bryan mi sorrise ampiamente.
«Promesso, niente più furgoni. E riguardo le feste... hai detto che andrai a quella organizzata da Megghi.»
«Ho dato la mia parola ad Anson. Ma non porterò nessuno né tantomeno te Micol.»

Guardò davanti a sé.
«Cosa? Per quale ragione?»
«Micol sarò sempre con Anson e gli altri ragazzi e a quella festa ci saranno quei balordi ed io non potrò avere gli occhi su di te. Me ne andrò da lì il prima possibile.»

«Non ho bisogno che tu abbia gli occhi su di me tutto il tempo, so come cautelarmi Bryan.»

Si voltò sconcertato e nervoso.
«L'ultima volta quei coglioni ti hanno circondata e mi parli di cautela? Cazzo, non voglio neanche ricordarlo.»

«Se non sbaglio alla festa in spiaggia li hai terrorizzati con facilità.»
Tutto sommato era bastato poco per far retrocedere i ragazzi del surf club.

«Esatto ma non potrò stare con gli altri e rompere il setto a quegli stronzi contemporaneamente Micol.»

Incrociai le braccia al petto mandando giù l'ennesimo trattamento da bambina.

«Pensi che alla prima occasione non proveranno a vendicarsi? Micol non capisci, sono molto peggio di come credi proprio come Calvin.»

«Perché ti ostini a dire così?»
Osservai i suoi occhi agitati mentre stringeva con una mano il volante nero.

«Puoi solo cercare di darmi ascolto per una volta?»

Vacillai ma poi guardando l'apprensione nel suo sguardo mi addolcii. Inspirai e gli toccai la gamba.
«Va bene Bryan ma per quanto riguarda questo discorso ne riparleremo.»

Lo baciai profondamente e portò le mani sulle mie tette che strizzò.

«Sei mia Micol» mormorò fra le labbra «Fa' la brava ti prego.»

Gli sorrisi sentendomi talmente bene da sognare ad occhi aperti. E anche quando scesi dall'auto stordita tutto aveva le sembianze di qualcosa di irreale.

Salutare Bryan era stato difficile, ma lo sapevo, dover affrontare Brianna lo sarebbe stato ancor di più.

Non mi va di dilungarmi troppo sotto ad un capitolo, mi sono accadute così tante cose che persino io stento a crederci.

Ci tengo però a ringraziare chi ha continuato ad aspettare un nuovo capitolo della mia storia.
Buon anno, siete speciali, siete sognatori, amate leggere, amate immaginare, amate perdervi,  non sapete quanto siamo simili.
🖤

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