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39

Chiusi il libro e posai la testa umida sul cuscino.
Ma continuavo a sentire quei colpi contro il legno.

Mi alzai a metà busto e fissai la porta.

Non era per nulla un abbaglio, quel rumore lieve non era tutto frutto della mia testa, qualcuno stava realmente battendo il pugno contro la porta.

Ricordai a me stessa che avevo del coraggio dentro, dovevo smetterla di immaginare ogni situazione come una fottuta trama horror.

Scattai in piedi strisciando i calzini lunghi di spugna sul pavimento, cosicché i passi non venissero sentiti da chi aveva bussato.

Aprii e Brianna, la quale si era poggiata alla porta, stette per finirmi addosso.

La luce gialla del piano mise in risalto l'enorme sciarpa rossa che le avvolgeva il collo.
Buttai fuori tutta l'aria che avevo contenuto.
«Cos'era quel sospiro? Ti ho spaventata?»
Iniziò a ridacchiare, era quasi del tutto senza voce.
«Brianna credevo tu fossi...» mi bloccai in tempo prima di dire quel dannato nome. «Perché sei senza voce?»
Sorrisi, era sempre così bizzarra.
«Aspetta, credevi fossi chi?»

Cercai di scappare dalla sua domanda in un batter d'occhio.

«Nessuno. Che hai da dirmi a quest'ora?»
«Volevo avvisarti che starò due giorni da Anson. Se venisse qui i Ford non mi darebbero tregua, lo detestano. Certo, non quando detestino me.»

«Così vai da lui per i Ford» gli sorrisi guardandola maliziosa.

«Cosa?» mi chiese stringendo gli occhi.
Mi poggiai alla porta e incrociai le braccia.
«Niente» feci spallucce, «Allora divertiti.»
Abbassò la testa scuotendola cogliendo le mie allusioni.

«Anche tu. Proprio tu Micol, sappi che quel faccino non mi frega, so che mi nascondi qualcosa.»

«Conversazione finita Brianna.»
Sogghignai e mi abbracciò prima di salutarmi.

Rientrai e feci un enorme sospiro, ancora più liberatorio del primo.

Mi diressi al frigo per prendere qualcosa da bere ma dopo soli pochi minuti sentii di nuovo bussare alla porta.

Non ebbi il tempo di mandare giù tutta l'acqua perché alle mie spalle due colpi furono ancora più ostinati.

Brianna non aveva bussato con la stessa intensità precedentemente, aveva sicuro dimenticato di dirmi qualcosa.

«Brianna che altro c'è?»
Spalancai la porta ridendo.

E ciò che vidi oltre mi fece traballare sul posto.

Bryan incappucciato con una scatola di cereali tra le mani.

Il mio sorriso si fermò. Era come se il vento avesse improvvisamente spento il fuoco.

Ma certo, pianerottolo buio e silenzio dall'altra parte della porta.

Questo voleva dire soltanto una cosa. Bryan.

Restai impalata con agitazione, per timore forse o per la semplice sorpresa.

Mi fissò addosso e aprì la bocca ma non gli diedi il tempo di dire nulla perché richiusi subito la porta totalmente stravolta.

Cos'altro voleva da me? Offendermi ancora?

Il mio maledettissimo cuore stava battendo troppo in fretta. Lasciai che la testa ricadesse indietro contro il legno. Confusione, ecco cosa provavo.

«Apri questa porta.»
Disse e la sua voce fu decisamente alta.
«No.»

«Micol sai benissimo che sono in grado di aprirla anche da solo.»

Mi faceva così incazzare il fatto che alzasse la voce infischiandosene che l'intero condominio potesse sentirlo.

Volevo sentirlo parlare ma volevo anche mantenere alti i muri che mi proteggevano da quelle emozioni forti.

«Smettila di urlare e vattene via.»

Dopo qualche minuto trascorso nel silenzio pensai che fosse potuto andare via. Ma appena avvicinai l'orecchio contro la porta sentii di nuovo la sua voce graffiata.

«Ultimo avvertimento. O apri tu o apro io.»

Si era precipitato a casa mia, di nuovo in piena notte, di nuovo al buio, di nuovo per me.

Aprii velocemente la porta e afferrai la scatola nelle sue mani per poi richiuderla.

Guardai la confezione sentendo di aver consumato tutto il fiato. Erano i cereali alla mela e alla cannella che mi fece assaggiare una volta nel suo magazzino. Se n'era ricordato.

«Che significa tutto questo?»

«Non conosco le parole giuste per fare pace ma...»

Strinsi con i denti le labbra perché quando sentivo la sua voce tutto il resto non aveva alcun senso.

«Ma?.»
«Prima la porta Micol.»

«No. Prima le parole.»

Riuscii ad ascoltare il suo verso di irritazione.

«E va bene, oggi ho esagerato.»

Fece una pausa e avvicinò rumorosamente la mano alla porta.

Il leggero tonfo giunse esattamente all'altezza del mio orecchio destro, era come se sapesse che avrei appoggiato la testa proprio in quel punto.

«Soddisfatta?.»

Strinsi la scatola contro al petto.

«Per nulla.»

Dissi, anche se dentro morivo dalla voglia di fare pace con lui e quel gesto mi stava ingarbugliando il cuore.

«Che cazzo! Mi dispiace Micol. Non sarei qui altrimenti.»

Affermò fiaccamente prima di aggiungere una frase più decisa «Ora apri questa maledetta porta o la butto giù.»

Sorrisi strizzando gli occhi per poi tornare seria ad aprire la porta.

Bryan entrò lentamente ed io, dopo avergli rivolto una smorfia ancora offesa, andai a sedermi sul divano con la mia scatola di cereali sotto al braccio.

Sentii tutto il tempo i suoi occhi accompagnare il mio corpo.

Mi seguì e venne a sedersi sul divano.

Presi un paio di cuscini e li incastrai tra me e lui. Dopodiché incrociai le gambe, aprii la scatola e iniziai a mangiare con nervosismo senza staccargli gli occhi di dosso.

«Quindi ti dispiace... e si può sapere cos'altro vuoi?»

Mi guardava sgranocchiare i cereali con un'espressione divertita.

Portarmi quella confezione fu un gesto così terribilmente dolce che pensai nella mia mente a mille modi diversi in cui avrei voluto stringerlo.

Spalancò le braccia e toccò i cuscini.
«Questi sono per?»

«Sicurezza. Nulla di personale, è che preferisco tenermi lontana dagli scostumati egoisti», gli sorrisi strafottente.

Incurvò le labbra in alcuni punti tagliate.

«Ho notato che elencare i miei difetti è un'attività che ti diverte parecchio.»
Ammise e tolse ad uno ad uno i cuscini che ci dividevano. «Ma questi non servono.»

Sentii la necessità di scrollarmi di dosso quell'agitazione, ma con Bryan così poco distante era praticamente impossibile.

Strinsi di più le gambe raccolte contro il mio corpo e Bryan spiò sotto la felpa chinando leggermente la testa con il ghigno di chi prova piacere per qualcosa.

«Ma che fai? Sbirci?»
Lo rimproverai vergognandomi.

«Questa se non sbaglio è mia.»
Disse passandosi la lingua fra le labbra infiammate che guardai incantata.

Certo che lo era e lui ne toccò l'orlo che mi arrivava appena sulle cosce.

Nel punto in cui mi sfiorò sentii un calore spargersi intorno, incapace di trattenersi.

Proprio come i miei occhi che lo stavano divorando.

«Oppure è di qualcun altro e ti stai confondendo.»
Risposi sfidandolo.

Mi guardò incredibilmente nervoso.

Poi afferrò le mie gambe per portarsele, con gesto improvviso, sulle sue ginocchia.

«Non mi fa per un cazzo ridere.»
Affermò acido e poggiò la testa contro la spalliera del divano.

Avevo fatto centro. E quel suo cambio di espressione mi fece sorridere.

Si voltò lentamente nella mia direzione e mi guardò con così tanta attenzione che sarei potuta rimanere inchiodata sul divano per ore senza annoiarmi.

Continuai a mangiare i cereali, avevo dimenticato fossero tanto buoni.

«Invece Stacy tette di gomma, lei sì che ti fa ridere.»

Mostrò un riso beffardo, lo divertiva l'appellativo che le avevo trovato.
«Sì, è simpatica e non mi ha mai rotto le scatole come fai tu, neanche dopo averci scopato.»

Le mie gambe sulle sue ginocchia si irrigidirono e presa da un momento di violento risentimento iniziai a scalciare.

I cereali saltarono via dalla confezione finendo sul pavimento, sul divano e ovunque tra noi.

Come poteva venire da me e ribadire di aver avuto a che fare in passato con quella?

Bryan iniziò a ridere e provai ad allontanarlo a suon di calci.

«Non costringermi a reagire pulce.»

Il vero contrattacco per me fu la sua semplice risata.

«Continua a fare lo stronzo e ti manderò via senza ripensamenti.»

Mi aveva dato dell'infantile allora mi sarei comportata come tale.

Bryan cercava di tenere i miei piedi fermi nel tentativo di immobilizzarmi le gambe.

E, quando ci riuscì, mi trascinò dalle caviglie attirandomi ancora di più a lui.

Mise una mano nella confezione dei cereali e ne prese un pugno.

«Perché, hai avuto ripensamenti riguardo ad oggi?.»

«No. Ho esagerato anche io con te ma rifarei tutto, e direi esattamente le cose che ho detto.»

Continuai a guardarlo furiosa, quando avvicinò i cereali alla bocca lo osservai ammaliata.

«Sei dannatamente orgogliosa!.»

Dichiarò e la mia mano restò ferma tra i cereali nella scatola.

Mi sforzai di non pensare troppo a quell'aggettivo. Forse a volte lo ero, ma perché avevo lavorato tanto sulla mia autostima e sapevo che sarebbe bastato un urto da poco per lacerarla completamente.

Passammo zitti una manciata di minuti ad osservarci.

Lui si soffermava sui miei capelli, compiva un nuovo tentativo di tradurre i miei occhi, demarcava la forma delle mie labbra, infine perdeva l'equilibrio slittando sul mio corpo.
Poi i suoi occhi si chiudevano come per assimilare quei momenti.

Io invece seguivo le onde dei suoi capelli scuri, restavo estasiata osservando tutti i nei sul suo viso, e vibravo quando scendevo dalla bocca alle linee del suo collo.

E poi tutto d'accapo ancora e ancora.

«Questi cereali sono più buoni della prima volta.»
Affermai con la voce stroncata dall'emozione.
«Non era niente male anche la torta.»

Mi venne da ridere, certo che era buona, l'aveva fatta chissà quale pasticcere.

«L'hai mangiata con Grilson? E lui cosa ha detto?.»

«No, l'ho mangiata da solo. Ho provato a resistere ma alla fine ne ho preso una fetta.»

Nonostante fosse un gesto di scuse per Grilson, il pensiero che avesse assaggiato la torta e che gli fosse piaciuta mi fece addolcire.

«E Grilson non è proprio passato?»
Trattenni il mio sorrisetto compiaciuto per non fargli comprendere che fossi tanto soddisfatta.

Mi avvicinai a lui istintivamente e guardò attento i miei movimenti.

Il suo sguardo divenne atterrito, disorientato.
«Non mi aiuta più con il lavoro Grilson.»

Spalancai gli occhi.
«Perché?»
Non mi rispose ma mise un braccio dietro la mia schiena e mi toccò i capelli bagnati facendoseli annodare tra le dita. Sentii la schiena tremare.

«Bryan perché? Dimmelo.»
Strinsi la mano attorno al suo bicipite scuotendolo debolmente, intimandolo a rispondermi.

«Perché si è comportato di merda e ha rischiato di farti ammazzare.»

«Ti ho già detto che è stata colpa mia.»
Gli dissi piegandomi in modo che il mio viso preoccupato fosse totalmente davanti al suo.

«Non posso crederci che è per questo.»
Avrei potuto piangere per quanto grande fosse il mio dispiacere.
«Per favore Bryan, riprendilo con te.»

Mi osservò negli occhi e inspirò gravemente, senza darmi alcuna risposta.

Emisi un sospiro di afflizione.

Non potevo crederci che Grilson avesse smesso di lavorare con lui a causa mia, per colpa dei miei stupidi impacci.

Affondai la faccia sulla sua maglia nell'angolo tra il suo braccio e il suo petto.

Non volevo rivelargli quanto la cosa mi avesse fatto rimanere male, mostrarmi di nuovo debole sarebbe stato il peggior errore da compiere.

Inspirai pianissimo e cercai di memorizzare quel profumo che mi drogava.

Sembrò accorgersene perché la sua mano accarezzò di nuovo la felpa sul mio fianco, poi circondò con il braccio le mie gambe scoperte e unite ancora sulle sue.

«Posso pensarci.»
Mormorò, il suo mento premeva sulla mia fronte.

Sollevai gli occhi a rilento e lo fissai con un nodo in gola prima di sorridergli. «Grazie.»

Mi chiesi cosa gli avesse fatto cambiare idea.

E mentre la mia mano era rimasta ancorata al suo braccio, le sue dita salirono gradualmente, arrivarono sino alle mie cosce per poi tornare rapidamente giù lungo le ginocchia.

Qualsiasi cosa fosse, non potevo più farne a meno.

«Sembra ti mantenga calda la mia felpa.»

Continuava a guardarmi intensamente.
Strinsi in contemporanea le dita attorno al suo bicipite e i muscoli delle cosce.

Quando lo feci schiuse le labbra e gli sfuggì un suono basso ma profondo.

Si stiracchiò il collo e socchiuse gli occhi.

Stirarsi il collo rientrava nel vocabolario del linguaggio del suo corpo, lo faceva sempre per contenere il nervoso.

«Smetti di fare quello che stai facendo.»

«Sono i massaggi che di solito ti piacciono. Perché così ti piacciono di più, non è forse vero?»

La sua mano si fece nuovamente strada tra le mie cosce con lentezza, sentii un formicolio che mi diede velocemente alla testa.

Non fui in grado di respingerlo. Anzi, era come se fossi richiamata dal suo corpo ad avvicinarmi.

«Come ti viene in mente di venire ad aprirmi così? Indossi solo la mia felpa.»

Le sue parole si affievolirono a poco a poco, compresi avesse anche lui lo stesso nodo in gola.

«E allora?.»

«E allora non riesco a smettere di guardarti e di toccarti.»

La sua voce ridotta ad un filo mi fece intirizzire.

Aveva detto di non volermi vedere ma io cascavo nelle sue giornate e subito dopo lui piombava nelle mie.

«E come definisci tutto questo? Un'altra eccezione?»

Sembrò perdersi con lo sguardo sulle mie labbra.
«No, un imprevisto.»

La sua mano si fermò, teneva stretta una mia gamba circondandola.

«C'è una frase che da oggi infastidisce la mia testa.»

Lo fissai incuriosita.

«"Nulla che valga la pena di essere ricordato". L'hai detto in macchina.»

«L'ho detto.»
Affermai restando ferma.
Il suo volto si tinse di una curiosa tensione, ribadirlo gli dava fastidio.

Poi la colsi, una scintilla di eccitazione ravvivare i suoi occhi. E non la persi, la seguii tutto il tempo attratta come una falena.

«Ed io ho detto a te che sarebbe stato un impegno.»

«Che genere di impegno?»
Balbettai.

Mi afferrò per i fianchi e in un secondo mi fece sedere su di lui sistemando le mie gambe attorno al suo corpo.

Fu quella la sua risposta, tenermi a pochi respiri distanti da lui.

«Fare in modo che valga la pena di ricordare questo momento Micol.»

Le sue mani toccarono con possessione il mio corpo.

Quella era una delle nostre sfide ed ero eccitata al pensiero di dovergli tener testa.

«Sai» mormorai mostrandomi dubbiosa e gli scostai lentamente un ciuffo riccio sfuggito dai suoi capelli disordinati. «Non credo sarà facile, questi allontanamenti e avvicinamenti continui ultimamente mi danno noia.»

«Sai», ribatté imitandomi con un ghigno «Il tuo corpo sembra dirmi l'esatto contrario. Credo che questi allontanamenti ti piacciano e gli avvicinamenti ancora di più.»

La sua affermazione mi fece impallidire, non mi aspettavo nulla di tutto quello che stava invece accadendo, in modo estremamente rapido.

Le sue mani erano ferma sui miei polpacci, aveva lasciato che la testa crollasse indietro contro il divano e il suo sguardo era tutto per me.

Mi faceva sentire unica. In quel momento non c'era nessun'altra ragazza con la quale sentirmi in competizione. Lui era sotto di me e i suoi occhi erano rivolti solo e unicamente verso i miei.

«E cosa te lo fa credere?»
Mandai giù un fiotto di saliva che mi galvanizzò l'esofago. Non riuscivo a parlare.

«Tanto per cominciare il fatto che stringi tutto il tempo le cosce intorno a me. Hai paura che vada via?»

Sbarrai gli occhi e mi guardai le gambe, Dio era vero. Le avevo strette attorno ai suoi fianchi con forza e quella visione mi infervorò.

Blaterai qualcosa di incomprensibile e mi portai i capelli in avanti in balia della timidezza.

Non volevo essere in suo potere. Feci un debole respiro prima di rispondergli.

«Ma non farmi ridere, è evidente che sei tu a non voler andare via da me Bryan.»

Cercai di non distogliere mai lo sguardo dai suoi occhi.

Sorrise appagato.

Poi posò le mani sui miei fianchi spingendomi ad avanzare, le mie cosce strinsero ancora più a fondo la sua vita.

Mi alzò il cappuccio della felpa e ne tirò le estremità avvicinandomi al suo viso.

«Sei così imbranata che non ti rendi neanche conto di quanto eri gelosa oggi e di quanto sei sexy in questo momento.»

Le sue gambe erano dannatamente forti sotto il mio sedere e stavo per lasciarmi andare ad una passione intensa. Perché mi mandava così fuori di testa? Perché lui?

Gli presi il viso tra le mani sentendomi totalmente incapace. Di reagire, di spostarmi, di dire qualcosa.

«Gelosia Bryan?.»
Ripetetti guardandolo negli occhi.

Staccò la testa dal divano e si accostò rischiosamente al mio viso.

Le sue mani mi sollevarono la felpa sulle cosce e mi strinsero con forza sui bordi sottili delle mutande. Se avessi abbassato lo sguardo avrei visto l'impronta delle sue dita sulla mia pelle.

«Gelosia Micol.»

Il timbro della sua voce carica di desiderio e quell'ardore, avido come le labbra che si mordeva in quel modo irrefrenabile, bastarono a farmi viaggiare via, lontano da quella stanza, da quel divano, dalle regole, dalle eccezioni e dagli imprevisti di cui parlava.

«Vedi cose che non esistono Bryan.»
Sussurrai vicino alle sue labbra stringendogli i capelli, erano così ispidi.

«Vedo tutto quello che, senza accorgertene, mi permetti di vedere Micol.»
Guardai le sue labbra prima che si precipitassero sul mio collo, mi diede un bacio lungo e bagnato che mi fece sospirare e rabbrividire al tempo stesso.

Quando succhiò su quel punto mandai indietro il collo sibilando il suo nome e strinsi ancora di più i suoi capelli spingendo il suo viso e la sua bocca ad immergersi un'altra volta in fondo al mio collo.

«Io invece vedo che ti avvicini a me. Anche se sei uno stronzo che dice di volermi stare lontano.»

Dissi sospirando a causa dei suoi baci caldi e mi spinsi contro i suoi pantaloni.

«Allora dimmi perché lo fai Bryan.»

Si staccò dal mio collo e mi fissò, i suoi occhi erano rossi e cercavano con smania i miei.
«Non posso parlare se continui a muoverti così su di me.»

Mi fermai e guardai intorno nel salotto calmando i miei respiri.

«Perché lo fai? Non è solo giocare che ti interessa.»
Ci pensò su qualche attimo.

«Perché trovi sempre il modo di ronzarmi attorno, e quando non ci sei fai comunque chiasso nella mia testa.»

Non mi aspettavo assolutamente niente di ciò che disse.

«Allora non possiamo semplicemente passare del tempo insieme? Perché vuoi per forza che ti dica quelle cose?.»

«Perché parlare con te mi fa dimenticare delle mie ferite.»
Chiuse gli occhi e fece cadere le braccia ai lati del corpo.

«Io smetto di essere chi sono anche solo ascoltando la tua voce insopportabile. E per uno come me scappare da se stesso, anche se per poco, è tutto.»

Con le dita disegnava qualcosa sulle mie cosce.

Farlo gli permetteva di parlare con calma di se stesso.

Era un istinto per lui disegnare, lo faceva senza rendersene conto.

E guardai eccitata quelle linee che tratteggiava sulla mia pelle.
Nonostante fossi rapita dalle sue confessioni.

Gettai le braccia intorno al suo collo e mi spinsi verso di lui. Mi tenne per i fianchi stretta a lui. Feci scorrere le mie labbra sul suo collo profumato e lui non perse tempo, allungò una mano e posò il pollice sulla mia bocca fissandola con irrequietezza.

«Ma ho bisogno di sapere che anche per te è lo stesso.»

Mi riportò davanti al suo viso, mi baciò il labbro inferiore catturandolo con i denti e chiusi gli occhi abbandonandomi a quella sensazione bellissima.

«Dimmi che sei gelosa e che provi qualcosa Micol che ti porta da me.»

Sussurrò e fece scivolare il pollice che prima aveva posato sulle mie labbra schiuse sul mio corpo, sino ad arrivare alle mie gambe.

Mi avvolse con entrambe le sue braccia.

«Io... io non lo so.»
Dissi e chiusi gli occhi.

Pensai di aver perso il mio cuore perché il suo battito era diventato incontrollabile, quasi non lo sentivo più.

Stavo sbagliando? Probabilmente era tutto un enorme sbaglio, ma dovevo seguire le mie idee e rifletterci. Provavo davvero qualcosa oppure no?

Potevo fidarmi di Bryan? Potevo davvero essere felice con una persona silenziosa come quella che mi aveva ferito tutta la vita?

I suoi occhi persero tutta la loro luce.

«Bene! Allora non potrai avere risposte e non potrai avere tutto questo.»

Mi sollevò con facilità rovesciandomi d'un tratto su un lato del divano.

Si alzò e si sistemò la maglia e i jeans neri ignorandomi totalmente.

«Dove vai?»
Mi alzai e lo seguii fino alla porta.

«Che cosa vuol dire? Bryan? Possiamo parlare?»

«No Micol» allungò un braccio per separarmi da lui «Niente più domande e niente più scenate come quella di oggi.»

Varcò la porta che chiusi con forza irrigidendo i pugni.

Ma poi, sentendo la rabbia scatenarsi in me, riaprii e mi fiondai sulle scale. Per raggiungerlo quasi scivolai sui maledetti calzini.

«Vaffanculo Bryan.»
Gli urlai contro mentre scendeva le scale, era ad un piano inferiore al mio.

Si fermò e sollevò lo sguardo. Le sue guance si tinsero di un colore insolito.

Agitò forte la testa dandosi due colpi sulla fronte «Oh merda!.»

Abbassò di nuovo lo sguardo sui gradini.

«Non hai nient altro da dire? Andiamo, urla anche tu quello che pensi, dimmi quanto sono fastidiosa.»

Quando risollevò lo sguardo comparve sul suo viso un'espressione inspiegabile.

«Proprio così, sei fastidiosa.»
Agitò le mani mordendosi il labbro «E hai proprio delle belle mutandine azzurre.»

Chiusi le gambe e strinsi la felpa a me sbattendo contro il muro. Spalancai le pupille.
«Tu... Io... Non posso crederci! Sei uno scostumato egocentrico.»

Gridai e la mia voce rumoreggiò nel palazzo,
lo guardai andare via con un'infinità di sensazioni irrisolte a premermi nel petto.

Non uccidetemi ma sono una romanticona, e ora ripetiamolo tutti insieme: "niente bacio senza cielo mozzafiato"
😝🖤

Fatemi sapere cosa ne pensate votando il capitolo ⭐️

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