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35

Lasciai la confezione contenente un paio di toast sulla solita panchina, fredda, consumata dal tempo. L'uomo senzatetto all'ombra di una grossa nuvola aspettò come sempre che mi allontanassi per aprirla con timidezza.

Lui era lì nonostante fosse mattino presto, seduto con le spalle ripiegate in avanti e lo sguardo perduto. 

Era chiaro, le sue giornate erano ripetute, seguivano i cambiamenti climatici di una giornata come tante e l'alternarsi dei colori del cielo, dal blu e l'azzurro del mattino all'arancione e il viola del tramonto.

Decisi di farlo ogni giorno, di preparare dei sandwich anche per lui semplicemente perché i suoi occhi mi restituivano buonumore.

«Brenda» la salutai e salii meccanicamente le scale ma poi in un secondo misi in luce nella mente l'immagine appena vista e ritornai davanti a lei.

Mi avvicinai al bancone e restai di sasso, Brenda aveva riposto il ritratto che Bryan le fece in una cornice argentata dagli angoli tondi, l'aveva sistemata accanto alle schede.

Il disegno era così perfetto da sembrare una fotografia ed ero certa che chiunque avrebbe pensato lo stesso guardandolo.

Sollevò lo sguardo e mi guardò confusa, «Sei triste per Carl?»

«Io stavo guardando il ritratto, lo hai incorniciato per davvero.»

Lo fissò anche lei soddisfatta «Ovvio che si, è strabiliante.»

«Aspetta Brenda, per quale motivo dovrei esser triste per Carl?» incuriosita da ciò che mi chiese aggrottai la fronte.

«Non te l'hanno ancora detto? Ha mandato una mail di dimissioni.»

Spalancai gli occhi quando pronunciò quella frase.

«Cosa? Di cosa stai parlando? Non può essere vero.»

Brenda alzò le spalle dispiaciuta e appresi che fosse tutto vero.

Partii spedita come una freccia, feci il corridoio comprendendo il motivo della scorsa assenza di Carl in agenzia. Avrei dovuto capirlo subito che c'era qualcosa che non andava, lui era sempre inappuntabile, dedito al suo lavoro come nessun altro e ripeteva sempre quella frase "questo posto mi ha salvato, solo se verrò licenziato non mi vedrete qui a seguirvi come il fantasma dell'agenzia."

Entrai nell'ufficio di Bruxe spalancando la porta.

Poggiai le mani sulla sua scrivania con forza «Che cavolo significa mail di dimissioni Robert?»

Non si lasciò smuovere dai miei toni, irruenti tanto quanto il mio atteggiamento.

«Micol non possiamo cambiare le decisioni degli altri.»

Feci una risata aspra «Si che possiamo. Insomma, se ne va così? Senza dire niente? Non è da Carl.»

Robert si spazientì in modo evidente, girò la sedia nella mia direzione e mi guardò inflessibile «Invece si, è il Carl che ha compilato quel dannato modulo di dimissioni... ed io lo inoltrerò al capo che si occuperà di firmarlo.»

«Lo stesso Carl che ha provato a parlarti più volte, ma evidentemente i sentimenti lo hanno travolto. Aveva soltanto bisogno di sentirsi libero ma a quanto pare hai continuato ad essere un muro per lui anziché una spalla» gli dissi tutte quelle parole senza tener conto di quanto fossero diversi e distanti i ruoli che occupavamo in quell'agenzia, in quel momento mi interessava solo non perdere un amico, ora che stavo scoprendo cosa significasse veramente l'amicizia.

«Ora basta Micol. Una volta entrati quello che succede al di fuori di questa agenzia non conta.»

«Davvero non conta? Beh Robert lui conta per me. Conta per l'agenzia. E se conta anche per te dovresti batterti per lui e parlargli finalmente.»

Mi persi per qualche attimo vedendo Bryan davanti a me, e le ultime frasi sembrarono rimbombare nelle mie orecchie.

Strizzai gli occhi per farlo sparire, sapevo fosse tutto frutto della mia immaginazione ma ebbi ugualmente difficoltà a frenare quell'illusione.

Ci pensò il rumore forte che produsse la sedia di Bruxe andando a sbattere contro un lato della scrivania. Si alzò dalla sua postazione guardandomi nervoso, «È più difficile di quello che pensi. Cosa credi di saperne tu?»

Il volto di Bryan fu finalmente sostituito dagli occhiali inseparabili di Robert.

La collera crebbe smisuratamente nel mio petto, «Carl merita questo posto più di chiunque altro abbia conosciuto in questa maledetta agenzia» studiai la sua espressione chiedendomi se ci fosse un'ultima speranza per tenere Carl al mio fianco «Non credo di sapere nulla Robert eccetto che il silenzio ammazza l'anima e trattenere i sentimenti è una merda.»

Chinò la testa verso il basso e inspirò profondamente «Esci immediatamente Micol.»

Gli rivolsi un'ultimo cenno, rammaricata e terribilmente delusa.

Eppure anche in quelle parole dure avvertivo in Robert strascichi di un'infelicità palpabile. La sua voce era cupa ma aveva una mancanza di forze che mi fece pensare che stesse provando emozioni difficili da sopportare.

Non riuscivo a concretizzare che Carl volesse davvero abbandonare l'agenzia, tornai al piano di sotto per confrontarmi con Brenda.

«Micol devi farci l'abitudine, la gente qui entra ed esce come nella vita di tutti i giorni, vedrai nuovi colleghi lasciare questo lavoro molte volte.»

«Non Carl. Lui resterà, vedrai» la guardai poi curiosamente, lei rappresentava il punto di riferimento di tutti quando si trattava di documenti, era il cuore burocratico dell'agenzia «Brenda, tu hai il suo recapito telefonico vero?»

I suoi occhi furono esattamente quelli di chi era stato colto in fallo e compresi di aver colpito il punto giusto.

«Non posso consegnare a nessuno questo genere di informazione» disse semplicemente «Spiacente Micol ma devo lavorare.»

Osservò con atteggiamento di scuse la signora mingherlina che, giunta davanti al bancone, stava aspettando che Brenda finalmente si occupasse di lei.

«È importante Brenda ti prego» mi intromisi.

La signora spazientitasi mi fissò con stizza.

«Resterò qui a chiedertelo finché non mi darai quel numero» mi avvicinai di più a Brenda la quale sembrò in difficoltà davanti all'indignazione della cliente «Io ti prego, non lo dirò a nessuno giuro» bisbigliai.

Ci ragionò su, in bilico in modo evidente tra ciò che la limitava e ciò che invece voleva realmente. Ero più che sicura che anche lei in qualche modo si fosse affezionata a Carl, probabilmente per la sua diligenza ed educazione. Mi avrebbe aiutata andando per una volta oltre la sua responsabilità.

«Miss. Welma la prego di attendere un momento» disse Brenda e la signora al mio fianco non tolse neanche un attimo i suoi occhi contrariati dal mio viso.

Così la guardai «È per una buona causa.»

«Me lo auguro perché lei mi sta facendo soltanto perdere del tempo prezioso» replicò seccata allontanandosi.

Per quanto fosse minuta riuscì ad essere abbastanza intimidatoria ma ignorai il suo avviso e i suoi occhi sanguigni e mi voltai a guardare Brenda.

Stava cercando qualcosa in uno dei cassetti interni al bancone, mi alzai sulle punte per avere una visione più estesa.

Si osservò intorno prima di aprire un piccolo bloc-notes nero, una sorta di rubrica, riportò su un foglietto semi adesivo il numero muovendo con incredibile sveltezza la penna.

Infine me lo porse e allargò gli occhi come una tigre sollecitandomi a sparire.

Afferrai il post-it e le sorrisi mimandole con le labbra un silenzioso "grazie".

«Mi scusi ancora signora, ora Brenda è tutta per lei» dissi e proseguii su per le scale tacitamente così da mantenere quella segretezza, stringendo contro il mio petto quel piccolo pezzo di carta.

Raggiunsi la stanza nascosta e mi chiusi all'interno, posizionai poi una sedia davanti e presi il cellulare nelle mani.

Composi il numero attendendo e chiedendomi se fosse in casa. Il primo squillo passò senza alcuna risposta, chiamai allora una seconda volta.

"Carl??"

"Chi è che parla?" disse qualcuno ma non ero sicura fosse Carl.

"Sono Micol."
Seguì un chiacchierio sommesso finché non sentii la voce di Carl e tirai un sospiro di sollievo.

"Bambolina" mi salutò teneramente.

"Sapevo non fossi tu, chi era l'uomo che ha risposto alla chiamata?"

"Soltanto una distrazione, nessuno di importante. Allora che si dice dai ghiacciai della IASFOC?"

"Tu sei completamente fuori di testa Carl, vai a letto con qualcuno solo per distrarti e vuoi davvero licenziarti senza preavviso. Perché stai mandando tutto a monte?"

"Robert ti ha detto qualcosa?"

"No Carl, è stata Brenda a dirmelo. Tu avresti dovuto dirmelo né lei né Robert" ammisi il mio dispiacere.

Fece silenzio lasciandomi sbalordita, Carl trovava sempre le parole, in ogni circostanza.
"Scusa, tu hai ragione. Io non volevo riempirti la testa con i miei inutili drammi."

"Stronzate Carl, tu sei mio amico" pensai che darlo per scontato non era giusto, forse per lui non ero più un'amica e per questo non era riuscito a dirmelo. "Lo sei?" aggiunsi.

"Che assurdità, sì che lo sono Micol. Ascolta non vedo come possa continuare, vederlo tutti i giorni, essere nel suo stesso posto senza potergli raccontare cosa penso, senza poterlo sfiorare. Io non riesco ad ignorare più quello che provo per lui."

Finivo sempre per entrare nelle parole, le indossavo come fossero abiti. E quelle di Carl in quel momento sembrarono esser cucite su di me.

Il chiasso che abitava dentro me mi spogliava e quelle parole erano pronte ad attaccarsi alla mia pelle vestendomi completamente, rendendomi nuova.

"Carl possiamo vederci e parlarne meglio... ma tu non puoi davvero andartene."

"Io credo invece che sia la scelta più giusta, hai detto anche tu che dovevo sforzarmi di cambiare e prendermi del tempo."

Aveva ragione, quelle erano state le mie parole ma non era quella la chiave di lettura esatta ed ero stata una tale stupida a non essermi spiegata meglio con lui.

"Non intendevo dovessi mandare a rotoli la tua carriera. Voglio solo parlarti, deciderai tu in ogni caso se ritirare o meno quelle dimissioni."

Mi fece attendere un po'.

"D'accordo. Sul tardi potrei venire a prenderti. Ah e Micol... grazie, sul serio."

Sentii delle voci avvicinarsi alla porta e sussultai, non volevo che altri dipendenti scoprissero quella calda stanza.

Avvicinai ancora di più il cellulare alle labbra così da sussurrare le mie parole "Non devi ringraziarmi Carl. Ti manderò più tardi l'indirizzo dove venirmi a prendere ora devo chiudere, a dopo" riattaccai e restai in silenzio ad aspettare che quelle voci si dileguassero.

Quando avvertii quel piacevole silenzio che circondava sempre quel posto aprii lentamente la porta e svincolai in fretta dalla stanza accertandomi di averla chiusa bene.

Quando io e Robert ci incontrammo nell'atrio ci guardammo nervosamente, era rimasta una certa tensione dopo quella breve discussione nel suo ufficio.

Durante la mattinata più di qualcuno si avvicinò per chiedermi un parere su alcuni schizzi e su svariate idee in merito alla nuova collaborazione cosmetica dell'agenzia ma rimasi inchiodata alla mia sedia con la mente avvolta dalle mille scene vissute.

Non sarei mai riuscita a tappare le ali gigantesche ancorate alla mia testa, mi facevano volare da un ricordo all'altro senza sosta.

Anche se pensavo in modo ricorrente le stesse cose, ciò che provavo cambiava, non era mai lo stesso.

Io non ero più la stessa e saperlo mi metteva paura ma la voglia di accettarmi finalmente per quel che ero superava ogni altro sentimento.

Mandai un sms a Brianna chiedendole di venire nel tardo pomeriggio al Joy, sospettosa mi inoltrò una domanda dopo l'altra ma risposi con un messaggio secco dicendole che si trattasse di una questione urgente.

L'avrei tenuta impegnata come promisi ad Anson e lui avrebbe avuto il tempo per acquistare ciò che gli serviva per la sorpresa.

Ero elettrizzata perché avrei fatto conoscere finalmente Carl a Brianna. Vedevo in loro due amici, proprio io che nella vita non ne avevo mai avuti di veri.

Forse la signora Temper era ciò che più si avvicinava a quel sentimento, riusciva a comprendermi ma aveva un senso materno nei miei confronti.

Lasciai l'agenzia in una giornata che temevo potesse continuare a sconvolgermi.

Misi gli auricolari nelle orecchie e camminai, non era la musica a guidarmi ma quello che sentivo.

E sentivo confusione, dubbi, paura... ma pensare di vedere Bryan riusciva a confortarmi, era una sensazione che non avevo mai provato, neanche mai con Edward.

Continuai a camminare senza interruzione quando un furgone bianco si fermò accanto a me, alzai con preoccupazione lo sguardo e riconobbi al volante Grilson.

Aprì lo sportello osservandomi «Forza sali ragazza, stavo giusto andando a comprare gli altri fari per quadri.»

Gli sorrisi e feci due gradini per salire, chiusi la portiera la quale fece un cigolio insolito «Ed io stavo giusto passando a salutarti Grilson.»

Quando mi sedetti le gambe si abbandonarono alla stanchezza, non me ne ero resa conto ma avevo camminato per quasi un'ora intera.

Ma soprattutto non gli chiesi nulla che riguardasse Bryan.

Mi tenni con le mani ai lati del mezzo, sballottando da una parte all'altra, alquanto piccola in quell'enorme sedile a tre posti.

C'era della musica jazz in sottofondo che fuoriusciva dallo stereo del furgone, ma ad ogni fossa che le ruote incrociavano la musica si interrompeva e Grilson proferiva insulti.

Accostò davanti ad un piccolo negozio «Eccoci arrivati.»

Slacciai in fretta la cintura di sicurezza «Scendo io a prenderli» mi proposi, volevo dare il mio contributo ancora di più.

«Sarò svelta così torneremo in fretta per montarli» lo esortai mostrandomi visibilmente soddisfatta di aiutarlo.

«D'accordo mi hai convinto! Di' che ti manda Bryan, sono tre scatole di led da parete, mi raccomando ragazza che siano bianche.»

Cercai di memorizzare quelle parole e scesi dal furgone.

Entrai nel negozio e girai per gli scaffali ispezionandoli partendo dai prodotti in cima fino ad arrivare a quelli nei ripiani inferiori. C'era tutto ciò che occorreva per arredamento e bricolage ma niente luci.

Quando il commesso si avvicinò lo guardai impacciata.

«Cosa stai cercando? Posso aiutarti?»
«In realtà mi ha chiesto di passare Bryan Torrens... già... ecco per... le lampade da parete.»

Il ragazzo dai capelli di un rame profondo mi sorrise «Certo, seguimi.»
Mi portò esattamente davanti alla parete tappezzata di lampade di ogni genere e forma.

«Devono essere bianche» aggiunsi ricordando le indicazioni di Grilson.

Il commesso, poco più alto di me, si allungò per prendere in cima scatole lunghe e orizzontali, me le passò accuratamente.

Guardai le tre scatole che reggevo nelle mani e pensai di poterne aggiungere altre due, in fondo era meglio averne qualcuna in più.

Guardai le diverse confezioni e ne scelsi altre due prelevandole da uno scaffale in basso, riportanti esternamente l'etichetta che ne specificava la colorazione bianca «Prendo anche queste due.»

«Perfetto», disse il ragazzo e mi avvicinai alla cassa.

«Puoi andare. Bryan è il nostro cliente preferito, passerà lui come al solito a saldare.»

«Allora buona giornata e grazie mille» gli sorrisi e scattai quando una scatola stette per scivolarmi dalle mani.

Uscii dal negozio e Grilson aprì il cofano del furgone, mi aiutò a mettere le scatole in fila.

Al ritorno guidò più cauto anche se sembrava essere una calamita per buche stradali, ridacchiai fortemente alla sua ennesima sfuriata contro chi da tempo avrebbe dovuto iniziare i lavori di riparazione.

«Dannata strada, perché non vengono a tappare queste buche con le loro enormi chiappe da fannulloni.»

«Sei davvero tutto matto Grilson» continuai a sghignazzare e anche lui rise energicamente.

Quando fummo nelle vicinanze il cartello verde del quartiere mi ricordò di scrivere in un messaggio l'indirizzo a Carl.

«Tu non guidi ragazza?» mi chiese Grilson.

«Non ho una macchina ma ho guidato un sacco di volte sai.»

Il sorriso fece da sfondo ad un'espressione del tutto scettica.

Così quando entrò nello spiazzale della struttura lo guardai furbamente «Potrei parcheggiare io.»

«Il mio furgone?»

«Si» risi eccitata «Non crederai mica che è la mia prima volta.»

Inizialmente si mostrò incerto ma poi distese il capo in modo accondiscendente e scese maldestramente dal furgone, «D'accordo fammi vedere che sai fare.»

Strisciai sul sedile e raggiunsi la postazione di guida.

Mi guardai attraverso lo specchio retrovisore sentendomi ansiosa.

Non era la prima volta che parcheggiavo un mezzo, ma era la prima volta che mi trovavo a farlo con un furgone.

Girai il volante in senso orario facendo lentamente retromarcia, quando lo ritenni opportuno lo girai in senso antiorario e provai pian piano a raddrizzarlo.

Ma la distanza che appariva ai miei occhi ancora lontana era molto più ravvicinata di quel che credetti e il furgone andò a sbattere forte contro il muro.

L'impatto provocò un tonfo incredibile e ci misi qualche istante ad avverare nella testa ciò che stava accadendo.

Frenai così di botto che il mio collo si distese in avanti repentinamente, vidi Grilson urlare qualcosa e portarsi le mani alle tempie.

Fece il giro e venne ad aprire la portiera.

«Mi dispiace tantissimo Grilson» dissi esasperatamente.

«Per l'amor del cielo scendi ragazza, ti sei fatta del male?»

Uscii fuori e scossi la testa, mi faceva soltanto appena male il collo curvatosi per quello scontro improvviso. Ma il mio pensiero fu quello di andare subito a controllare posteriormente il furgone, inesorabilmente distrutto da una parte.

Anche Grilson mi seguì intimorito, aprì il cofano e prese nelle mani le scatole, le agitò adagio e fece una smorfia «Non importa del furgone ora, ma che tu stia bene. Mi hai fatto prendere un gran spavento. Entriamo forza, controlliamo le lampade» disse adagiando una mano sulla mia spalla.

Tutto ciò che più temevo si realizzò, aperti i pacchi trovammo le tre lampadine distrutte e avvicinarne le estremità risultò un gesto del tutto inutile.

Fortunatamente le due ulteriori confezioni che avevo scelto e che Grilson aveva riposto più in fondo rispetto alle altre erano salve.

«Sono mortificata credimi... io ripagherò ogni danno, le lampade e il retro del furgone. È tutto vero, sono un'imbranata» mi picchiai una mano sulla fronte ripetute volte.

«Smetti di darti colpe ragazza, faremo pratica» mi sorrise rassicurante «Attendi qui, vado a fare una telefonata a Bryan.»

Attesi amareggiata riflettendo su cosa avesse potuto pensare Bryan di me, forse non avrebbe mai smesso di immaginarmi in modo buffo.

Iniziò a piovere improvvisamente forte e il suono riempì la sala intera, alzai lo sguardo al tetto, l'acqua picchiettava irregolare sulla vetrata.

Quando Grilson tornò dentro mi strinse il braccio con fare consolatorio «Nel frattempo che arriva Bryan possiamo montare una delle lampade rimaste in buone condizioni. Sei sicura che è tutto apposto? È stato un bel colpo ragazza.»

«Si» risposi sentendo in realtà una colpa ineluttabile.

Grilson salì sulla scala e lo guardai fare due fori, con un trapano a mano, sopra ad uno dei quadri che appese il giorno prima. La lampada da parete era bianca e priva di fili, lo spegnimento e l'accensione erano regolate da un piccolo telecomando.

Quando finì di posizionarla mi guardò «Ragazza premi il pulsante bianco.»

Feci come comandò ed entrambi restammo sbalorditi, quella lampada non emanava alcuna luce bianca bensì una serie di laser rossi e verdi.

«Ok ora ti prego di premere quello nero.»
Quando lo premetti le luci terminarono di illuminare il quadro con quei colori psichedelici.

Ci guardammo negli occhi con sconcerto prima di esplodere in una risata fragorosa, entrambi increduli di quel gigantesco e tremendo sbaglio.

Provai ad accendere e spegnere quella luce ancora un paio di volte, non era possibile.

«Io non capisco, fuori la confezione c'era scritto che erano bianche» dissi convinta andando a recuperare le scatole da terra.

«Lo credo, come credo che si riferisse al solo colore del rivestimento della lampada.»

«Merda, merda!» esclamai e guardai sbigottita Grilson.

Non riuscivo a compiere una sola azione buona.

Tuttavia quella situazione assurda non fece che divertirci e smorzare quella preoccupazione che mi stava mangiando dentro e che sapevo fosse ricaduta anche su Grilson.

Mi buttai a terra e mi sedetti circondandomi le gambe con le braccia.

«Una cosa è più che certa, con te non ci si stanca ragazza. Sei una combina guai senza rivali» disse scendendo divertito dalla scala.

Mi raggiunse e mi porse la mano che afferrai per alzarmi da terra. Mi sorrise, nonostante tutto.

Restammo in silenzio, l'uno di fronte all'altro. Grilson guardò l'orologio al suo polso ed io smisi di respirare, per un motivo ben preciso.

Fece il suo ingresso nella sala piuttosto rumorosamente Bryan.

Ci voltammo entrambi in quella direzione per quel suono confuso ed improvviso.

Chiuse un ombrello trasparente lasciandolo a terra accanto alla porta, con le mani si ripulì dell'acqua che permeava sulla sua giacca che tolse rozzamente.

Restai a fissarlo, stecchita dal suo arrivo, era la prima volta che lo vedevo con indosso un maglione aderente, era bianco e combaciava con ogni muscolo delle braccia e del torace, gli stava da dio ed ebbi pensieri più che disdicevoli a riguardo.

Allora concentrai gli occhi su Grilson, iniziai a scrutare le sue caratteristiche per distrarmi ma quello stronzo sempre attraente era irrimandabile anche nella mia testa oltre che nei miei occhi.

I suoi stivaletti neri facevano un rumore fragoroso sulla pavimentazione e ogni passo suscitava in me nervosismo, sapere che si stava avvicinando mi faceva smettere di funzionare il cervello.

«Qual'e il problema Gril?» si rivolse a lui con quei suoi toni spocchiosi, ignorando totalmente che fossi lì anche io.

Grilson mi osservò e poi guardò Bryan esitante. Abbassai lo sguardo e sorrisi imbarazzata pensando al guaio che mi vedeva protagonista.

Bryan socchiuse gli occhi sospettoso e fece balzare l'attenzione tra me e Grilson «Allora mi dite o no cos'è successo?»

Perfetto, finalmente lo scostumato si era accorto della mia presenza!

Guardai di sottecchi Grilson il quale sembrava divertito come me per quanto accaduto, mi coprii con una mano la bocca per non scoppiare di nuovo a ridere al solo pensiero della buffa espressione che fece Gril.

«Fate sul serio?» ci domandò Bryan e poi si avvicinò a me con occhi duri «Tu hai una strana influenza sulle persone» bisbigliò.

A quel punto l'istinto di ridere aumentò incontrollato e non riuscii più a trattenermi ma lui restò a fissarmi gonfio.

lo superai e feci in modo che le punte dei miei capelli colpissero il suo volto dispettosamente.

«Potrei dire lo stesso di te» sussurrai.

Andai davanti a Grilson «È colpa mia quindi glielo dirò io.»

Bryan mi prese per un gomito spingendomi indietro «Allora fai in fretta perché sto iniziando ad incazzarmi.»

Nonostante quella frase e quell'espressione seria non riuscii a ragionare con chiarezza come ogni volta che si avvicinava a me.

Grilson schiuse le labbra per svuotare il sacco ma parlai prima io, in preda alla preoccupazione.

«Sono andata con Gril a prendere i fari da impiantare e mi sono offerta di scendere al posto suo. Quando siamo tornati qui ho insistito perché mi facesse posteggiare il suo furgone» mi bloccai e guardai Grilson con rammarico.

«Continua» insistette Bryan impaziente, e nei suoi occhi intransigenti divenne quasi certezza la paura che avessi potuto combinare qualcosa di grave.

Parlai allora velocemente per eliminare quella terribile tensione, io l'avrei deluso e lui mi avrebbe guardata come un'imbranata.

«Ho fatto marcia indietro per parcheggiare e il bagagliaio del furgone si è rotto andando a sbattere in modo violento contro il muro del retro dell'edificio. Per la botta alcuni fari si sono rotti.»

Bryan analizzò con volto di ghiaccio le mie parole prima di avvicinarsi a Grilson e inveire contro di lui.

Alzò progressivamente la voce «L'hai lasciata guidare il tuo furgone? Che cazzo ti è passato per la testa?»

«Mi aveva detto di aver guidato più volte Bryan» rispose lui addolorato per quella reazione.

Bryan si girò verso me «Ti rendi conto di quanto sei stata imprudente? Potevi ammazzarti dannazione!» quasi urlò.

«Bryan... pensavo fosse più semplice, non ho calcolato bene le distanze. Non volevo si rompessero le confezioni.»

Sembrò esser totalmente fuori di testa «Non me ne frega un cazzo di quelle confezioni Micol, non voglio che ricapiti più una cosa del genere. Parcheggiare un furgone di quella portata, se avessi sbattuto con la testa io...»

Prese ad osservare ogni parte del mio corpo come per constatare che non avessi riportato alcun taglio o ferita.

Lo notai e tentai di rassicurarlo a proposito «Non si è fatto male nessuno. Ho soltanto sentito una banale spinta dietro al collo.»

I suoi occhi sembrarono esser davanti ad una tragedia.

Inizialmente privi di emozione si tinsero di una preoccupazione nuova.

Fece un gesto che mi lasciò sorpresa, venne rapidamente vicino a me e posò le sue mani sul mio collo, mi massaggiò con le dita agili facendo una leggera pressione ai lati.

«Senti molto dolore se lo muovo?» mi chiese spostando lentamente il mio collo prima verso destra, poi verso sinistra e infine indietro.

Mi guardò negli occhi nel farlo e i suoi pollici mi accarezzarono allentando la stretta.

Fissai le sue labbra mozzate e quel circuito di nei che rendevano unico il suo viso.

«No» risposi, totalmente priva di movimento con il cuore a mille per quel tocco.

Il mio sguardo si immobilizzò sul suo mento pronunciato davanti alla mia fronte, Bryan era così alto che non avrei raggiunto facilmente l'altezza dei suoi occhi neanche sollevandomi sulle punte.

Un forte istinto ebbe la meglio su di me, avvicinai con estrema lentezza la mia fronte e la poggiai tra il suo mento e il suo collo, in quell'incavo che avvertivo come un nascondiglio, il posto più tranquillo, quello dove si trova difesa.

Smisi di pensare e chiusi gli occhi.

«Mi dispiace tanto Bryan» dissi fragilmente respirando sulla sua pelle, avvolta da quel profumo agrumato e inconfondibile che mi faceva sentire persa in una misteriosa foresta selvatica o in un' arida valle inesplorata dove ero io l'unica ad accarezzarne il suolo.

Tirò fuori tutta d'un colpo l'aria che stava trattenendo.

Le sue mani si fermarono all'improvviso e passò qualche secondo prima che si allontanasse da me.

Come se avvicinarsi fosse stato un errore che non avrebbe dovuto commettere.

Quella sua precisa espressione mi ferì e mi ricordò la decisione che Bryan aveva preso nei miei confronti.

Aprii gli occhi e lo guardai osservare un punto nel vuoto, distante da me, ancora infuriato quanto combattuto.

Pensai dovessi dire qualcos'altro ma sapevo quanto fosse intrattabile quando nervoso.

La dolcezza di quel contatto scivolò via così velocemente dai nostri corpi che forse nessuno dei due se n'era accorto veramente.

Si grattò i capelli che gli ricadevano crespi e riccioluti sulla fronte e cercò di riacquistar calma senza prestarmi più alcuna attenzione.

Nella sala dominò il silenzio.

Quando sembrò esser tornato in parte in sé mi guardò e mi parlò dirottando l'attenzione su tutt'altro argomento.

«Dunque... quanti fari sono rotti?»

Sospirai e storsi le labbra.

«Okay Micol, allora quanti non si sono rotti?»

«Due... sono quelli che ho scelto io» dissi a bassa voce, «Ma non è tutto.»

Camminai e andai verso gli unici fari salvi, quelli in cima al quadro che rappresentava un uomo in preda al dolore, raccolsi il piccolo telecomando grigio e premetti il tasto di accensione.

Le luci stroboscopiche illuminarono in modo intermittente di colori fluorescenti la tela, strizzai gli occhi rivedendo quel grosso e allucinante malinteso.

Bryan sembrò congelarsi sul posto, l'espressione incredula e sotto shock, venne vicino a me e prese il telecomando dalle mie mani per spegnere quelle luci.

«Quindi... mi state dicendo che avete fatto un incidente con il furgone, che i fari giusti si sono distrutti e che siete riusciti a montare quelli che ha scelto Micol e che l'uomo infelice del mio quadro piange in discoteca?»

Mi coprii con una mano il viso e provai a non guardarlo.

Bryan si precipitò su Grilson «Lo sai che hai la piena responsabilità, dovevi chiamarmi subito, cazzo!.»

Sentii di dover prendere le difese di Grilson perché ero stata io a rovinare ogni cosa.

«Mi sono offerta io di aiutarlo. Pensavo fossero bianche. L'unica ad avere colpa sono io, è tutta mia.»

Bryan mi ignorò e andò a raccogliere da terra la scatola con i fari rotti.

«La ragazza voleva solo rendersi utile.»

«No Grilson, la ragazza non ha detto la verità e queste ne sono le conseguenze» disse Bryan e io gli diedi le spalle sentendo gli occhi pizzicarmi a quell'allusione.

Mi voltai solo quando andò via.

«Non voglio che lui se la prenda con te, non è giusto» dissi a Grilson.

«Non badare a me ragazza. Bryan ha un certo odio per i veicoli in generale e la loro pericolosità, lui era solo incredibilmente preoccupato per te.»

Riflettei sulle sue parole pensando a dove fosse potuto andare.

Di fatto, tornò soltanto dopo un quarto d'ora con in mano una busta, la svuotò al centro della stanza, erano dei fari di piccole dimensioni con aste annesse.

«Non sono le stesse ma queste possono andar bene» disse a Grilson.

Si alzò di qualche centimetro le maniche del maglione e iniziò a montarli con l'aiuto di Gril.

Ogni tanto si voltava a guardare il quadro appeso dell'uomo in lacrime, ricordai bene il giorno in cui me ne spiegò la ragione. Teneva ad ogni suo quadro in modo ineguagliabile.

Li guardai all'opera tenendomi pienamente in disparte.

Salii sulla scala da lavoro e mi sedetti in cima, mi sfregai le mani sentendomi addolorata per quello che era successo, vedere Bryan metterci così tanto impegno a riparare un errore da me commesso mi fece pensare di non tornare più in quel posto.

Aveva ragione lui, mi ero comportata in modo incosciente, ero una ragazzina venuta lì solo con la speranza di vederlo ancora.

Ad un certo punto Bryan posò nella cassetta il cacciavite e gli involucri sparpagliati a terra.

Mi gettò poi un'occhiata, l'unica, fuggevole e profonda.

Declinai subito lo sguardo tornando a fissarmi le mani in netto disagio.

Sentii il suo sospiro pesante, venne a posizionarsi al di sotto della scala.

Mi tenni dai lati con entrambe le mani e lo fissai in silenzio, chiedere ulteriormente scusa sarebbe stato inutile.

Fece due gradini e fu di poco al di sotto del mio corpo, posò i gomiti sul gradino successivo e mi guardò con espressione indecifrabile.

«Perché sei arrivata lassù?»

Non riuscii a rispondergli, ero triste e volevo soltanto che capisse che non avrei mai e poi mai voluto ostacolare la sua mostra.

«Guardami Micol. Sono stato duro con te perché volevo capissi quanto è stato rischioso quello che è successo.»

Mi incantai ai suoi occhi schietti ma non riuscivo a non pensare alle sue parole"È meglio non vederci."

«Che importa? In fondo lo avevi detto che era meglio non vederci.»

Scavò profondamente nei miei occhi «È vero l'ho detto e sai che continuerà ad essere così» mi parlò con voce sconfitta e constatai quanto quella frase continuasse a far male.

«Ma quello che è successo fra noi non c'entra nulla con questo. Avresti potuto farti male e a quel punto avrei ribaltato la sala.»

«Ho capito Bryan. Non farò più una cazzata simile, contento? Ora puoi tornare ad ignorarmi.»

Bryan si allontanò ed io scesi dalla scala continuando a fissarlo stravolta.
Ad arrestare quella nostra conversazione fu Grilson.

Si avvicinò a me «Se ti va puoi restare a mangiare un boccone con noi ragazza.»

Guardai prima lui e poi Bryan il cui sguardo vagava nella stanza pur di non incrociare il mio.

«Ti ringrazio Gril ma ho un appuntamento con un mio amico.»

Proprio quando finii quella frase il rumore ovattato di un tuono invase la sala e sembrò tuonare anche negli occhi di Bryan, riflessi di un giallo smorto che avrebbero potuto infrangere qualsiasi altra scarica.

Mi parve di vedere Grilson quasi dispiaciuto del fatto che avessi rifiutato, si girò a guardare Bryan in modo sollecitatorio ma lui lo folgorò con lo sguardo manifestando mimicamente con l'espressione del suo viso il suo dissenso.

Andai vicino a Gril e gli diedi una piccola gomitata per salutarlo «La prossima volta mi occuperò io di preparare qualcosa da mangiare insieme» sogghignai guardandolo.

Poi mi voltai, avanzai verso l'uscita e... Bryan mi seguì inaspettatamente.

Attenzione ho diviso il capitolo, passo!

Attenzione le cose si complicheranno in modo interessante, passo!

Attenzione ho perso la vista a rileggere tutte queste parole, passo!

Attenzione non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate, passo e chiudo🖤🙉😍

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