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29

«Così tu spunti dal nulla, ti avvicini, guardi male i miei colleghi senza salutarli neanche e poi cerchi quasi di impormi di tornare con te», dissi realizzando che mi avesse afferrato per il polso togliendomi quasi la scelta di tornare a casa con Carl, «Come puoi comportarti in tale modo?»

Avevo capito da subito che Bryan fosse così, provava a chiarire ogni tanto i suoi atteggiamenti ma non dava mai una spiegazione alla sua prepotenza, seppur ne conoscesse il motivo.

L'unica sua reazione fu rivolgermi un silenzio dritto dritto in faccia. Entrato in macchina chinò la testa e mi rivolse uno sguardo impensierito. Allacciai la cintura e guardai davanti a me il parabrezza con le braccia raccolte strette davanti al petto.

Le stringevo inconsapevolmente, per rabbia, perché non diceva quello che volevo, mi lanciava degli sguardi dannatamente profondi, che quasi elemosinavo come una barbona.

Bryan prese fiato emettendo un lungo sospiro «Mi trovavo nelle vicinanze Micol. Quando ti ho scritto ho visto che mi stavi cercando con lo sguardo, così mi sono avvicinato subito a te.»

«E allora come mi hai riconosciuta? La strada era piena di gente.»
«Devo rispondere sul serio a questa domanda?»
Lo guardai impassibile facendogli cogliere quanto fossi seria e che sì, avrebbe dovuto iniziare a rispondermi per essere credibile.

«Dal modo di camminare Micol e dal culo, naturalmente.»

Naturalmente? Ma come poteva dirmi in modo così spudorato tutto ciò? Avvicinai le mani sul viso coprendomi gli occhi. Ero incazzata con me stessa per l'imbarazzo che provavo, in realtà per tutto quello che provavo, tutti i sentimenti.

«Quindi non mi guarderai più», disse divertito provando a togliermi le mani dal viso «Non ti guarderò neanche io allora.»

Feci scivolare via le mani come una cretina a quella minaccia infantile.
«Rispondi sul serio ma non così serio, insomma di' la verità ma... non così vera.»

«Questa frase non ha senso, non ce l'ha neanche il tuo imbarazzo.»

«Potresti mettere in moto invece di continuare a rendermi nervosa? A momenti pioverà anche», dissi pensando che se avesse guidato si sarebbe concentrato sulla strada piuttosto che sui miei occhi colmi di imbarazzo.

Guardai fuori dal finestrino per rafforzare il concetto, anche lui prestò attenzione al cielo, affollato da nuvole nere di pioggia.

Mi fissò di sbieco mettendo le chiavi nel cilindretto, era piuttosto serio. Il suo sorriso l'avevo visto poche volte allargarsi, era difficile che si sbilanciasse, pensai fosse un modo per non consentire agli altri di comprendere qualcosa in più di ciò che pensava. Ed io trovavo facile evitarli i suoi sguardi indecifrabili piuttosto che scontrarmici priva di risposte.

Avrei dovuto dirgli quello che pensavo, senza tenermi dentro le stesse nuvole che erano in quel momento nel cielo, nere di parole. Allora aprii la dannata bocca e sputai per la prima volta senza vincoli quello che immaginavo.

«Hai mandato Josh stamattina perché ti sei pentito di qualcosa?»

La sua faccia non mutò neanche di un millimetro, neanche per errore. Aspettai il tempo che ci avrebbe impiegato se solo mi avesse risposto con un secco "si" o "no".
«Quando cerco di parlarti è come se mi ignorassi. È un atteggiamento disonesto.»

Più mi agitavo più restava immutabile, si limitava a storcere il muso in segno di disapprovazione «Potevi dirmelo, dirmi quello che pensavi come io sto facendo con te. Invece hai deciso di non farlo e mi sono trovata davanti Josh.»

«Volevi ci fossi io sotto casa. Ecco allora a cosa sono dovuti.»
«Cosa?»
«I tuoi toni da stronza, che non asseconderò.»

Sospirai spazientita voltandomi verso di lui, quando lo guardavo il caos che avevo dentro mi sopraffaceva. Avrei potuto smetterla di rispondergli e di vederlo ma per ragioni ricucite su un insieme di fili attorno al cuore non avrei per nulla accettato un dannato armistizio di pace.

«Tu invece non mi stupisci, perché lo sei, uno stronzo.»

Seguirono attimi di silenzio, era attorno a noi. Avrebbe dovuto allontanarci, quasi infastidirci, ma così non fu.

Bryan sembrava divertito da quella mia reazione, da quella mia risposta. Mise una mano sulla mia gamba senza guardarmi, mi accarezzò a poco a poco il ginocchio stringendolo e poi salì appena sulla coscia dove la tenne ferma fino a farmi sentire la mano emanare il suo calore.

«Con me provi imbarazzo ma con quel tuo collega hai già molta confidenza.»

La sua voce e il suo tocco mi fecero appiccicare al sedile incapace di muovermi o spostarmi.

«Carl è un tipo in gamba. E ho capito che lui non ti piace.»
Bryan mi guardò di sottecchi fingendo palesemente di rifletterci un po' «No... per niente», si morse energicamente il labbro inferiore «E in gamba che significa? Ti attrae quel valletto?» balbettò.

«Non è un valletto e devo ammettere che ha un suo fascino, è anche molto educato», lo osservai tutto il tempo e notai i suoi occhi furbi cambiare ad ogni mia parola.

«Allora devi proprio avere un debole per quelli composti ed educati.»

«Forse hai ragione, ma vedi lui non è solo educato, è socievole, ordinato, sa come prendermi, sa cosa mi fa arrabbiare e semplicemente evita di farlo», gli sorrisi divertita.

Lui invece aveva tutta l'aria di esser annoiato
«Ho afferrato il concetto Micol, puoi anche smetterla di elogiare quell'idiota», premette la mano che aveva posato sulla mia gamba sempre più forte, le sue labbra erano sempre più ripiegate verso il basso in una smorfia di fastidio.

Feci una risatina sommessa e Bryan si girò immediatamente a guardarmi sorridere.
«Sai, anche la tua collega sembra in gamba, Naomi» risaltò il suo nome con un sibilo fastidioso «Giusto?»

Il semplice fatto che avesse ricordato il suo nome introducendola nel nostro discorso mi innervosì.

Posizionai la mia mano sulla sua con forza e gliela alzai lanciandogliela nella sua direzione «Ottima memoria, scommetto che anche quella fotografica non è niente male, ci avrei pensato io a farle una foto per te.»

«Grazie pulce, gentile da parte tua ma non è il mio caso, non sono tipo da istantanee», avvicinò nuovamente la mano sulla mia gamba accarezzandola con le nocche e mi osservò lascivo «In genere preferisco toccare i colori con mano.»

Trasalii per quel gesto. Mi imbarazzai e, incapace di ignorare quel momento, aprii il finestrino nonostante odiassi tenerlo aperto. Quella volta avrei preferito che il vento mi disfacesse i capelli al punto da non vedere bene e non sentire nient'altro che il vento stesso.

La cosa peggiore era sentirmi felice e quasi compiaciuta da quelle sue parole, talvolta dai suoi apprezzamenti indecenti.

«Questa è la strada per andare al tuo magazzino», gli feci notare confusa.

L'aria che tirava era rugiadosa e il cielo era molto più minaccioso di prima. Pochi minuti dopo imitai Bryan scendendo dall'auto.

«Dici che ti ignoro, in realtà ti ascolto Micol. Voglio farti vedere il lavoro che ho concluso mentre giocavi a fare l'investigatrice con Josh.»

Diventai rossa al pensiero che Josh avesse riferito a Bryan la mia reazione quanto le mie domande. Immagazzinai quell'informazione per essere più scaltra di lui la volta che l'avrei rivisto, travestito dai suoi modi gentili.

Fummo dentro il garage dove dominava l'assoluto disordine. Sul pavimento vi erano panni e lenzuoli aggrovigliati, fogli di carta appallottolati, pennelli sporchi in bicchieri alti di plastica rovinati, accanto i cavalletti schizzi di vernice ovunque come gocce di diversa dimensione ormai asciutte sulle piastrelle.

«Non credi che dovresti mettere un po' in ordine questo disastro?»

Bryan fece spallucce cosciente di quella confusione che mi lasciò sbalordita, dopodiché mi prese dolcemente la mano portandomi in fondo alla stanza.

Sollevò con forza un cavalletto in ferro, quando questo strisciò sul pavimento emise un fischio stridulo, era decisamente grande e manteneva una tela rettangolare.

La psicologia afferma che dinnanzi una cosa che ci attrae le nostre pupille si dilatino, un gesto ingenuo, un riflesso del tutto incontrollato.
Allora le mie pupille, in quell'interminabile attimo, furono sicuramente distese totalmente come un lago all'interno dei miei occhi perché la grande tela davanti a me mi fece spezzare il fiato.

Una ragazza dai morbidi capelli ramati e un abito pomposo nero suonava un violino marrone raffinato, totalmente trasportata dalla melodia che produceva. Dalle corde del violino fuoriuscivano farfalle luminose di varia dimensione e colore. Mi venne in mente la favola che mi raccontava nonno Muzi e che confidai a Bryan, sorrisi come una vera idiota.

Quella tela aveva tutta la luce del sole dentro ed io ne fui, senza possibilità di scelta, rapita.
«Non dici nulla?», disse e si avvicinò a me ma io continuavo a guardare quella ragazza angelica che, con la testa poggiata sul suo violino, mi infondeva un senso di quiete inesauribile.

«Hai mai sentito parlare della comunicazione non verbale Bryan?»
Non sentendolo ribattere continuai «È quella che pratichi tu ogni volta che pensi qualcosa e me la dici con gli occhi.»

«Ma tu hai gli occhi lucidi» disse confuso.

«Perché sono... emozionata. E i miei occhi te lo dicono prima ancora ch'io parli.»

Venne dietro di me, fece scorrere delicatamente le sue dita affusolate lungo i miei fianchi dal basso verso l'alto, dal bordo dei miei jeans a quello del reggiseno.

«Un tempo si riteneva che le farfalle fossero le messaggere di un mondo soprannaturale, anime dotate di ali. Lo immagini Micol? Un uomo muore e la sua anima lo lascia, una farfalla che esce dalla sua bocca.»

Il suo modo di parlare era persuasivo, c'era qualcosa che Bryan teneva dentro come un forziere segreto. Cogliere quel particolare ma non poter far nulla era avvilente.

«Un bruco che diventa crisalide, un'anima che cresce e cambia. La chiamavano psyché, il termine per loro non indicava soltanto l'anima, riconduceva anche a farfalla.»

«È così bello pensare sia realmente così», mi spinsi indietro, la mia schiena premette contro il suo petto e sapevo che se solo avessi provato a girarmi sarei rimasta senza riserve.

«Credevo che il quadro del mare fosse il mio preferito. Ma ora che guardo questa ragazza col vìolino io...»

«Allora la riesci a sentire.»

«Sentire cosa?»
«La sua leggerezza», Bryan piegò la testa vicino il mio orecchio «Non voleva uscire, sembravo un pazzo che toccava i colori per la prima volta» sussurrò portandomi in uno stato di trance.

Si spinse dall'altro lato della mia testa, mise una mano sul mio collo e si avvicinò all'altro orecchio con la sua voce bassa e le sue labbra spaccate «Finché non ho pensato a te, dimmi che è uguale alla favola che ascoltavi da bambina e che ti piace», il suo fiato mi solleticò la pelle, feci cadere la testa consentendogli il pieno accesso al mio collo.

Non perse tempo e fece scorrere con discrezione il naso di sopra. I miei occhi vibrarono appena sentendo salire fino alla gola un formicolio vorticoso.

La quiete che il quadro mi aveva trasmesso veniva trasformata rapidamente in turbine dalla sua vicinanza. E, per quanto amassi la pacatezza, la felicità che provai in quel momento, in quell'uragano atlantico, in quell'esatto istante per me fu tutto.

Era così che Bryan tentava di mostrarmi ogni suo sentimento ed io riuscivo a trasmetterli sulla mia pelle, li incorporavo. Quando, raramente, si esprimeva riuscivo a capirlo veramente nel profondo, nei suoi significati, nelle ombreggiature dei suoi colori.

Mi girai a guardarlo sorridente, con un groppo in gola per il desiderio che provai, anche se sapevo fosse un sentimento sbagliato.

«Lo è... ed è anche bello da far girare la testa», dissi e pensai che il quadro non fosse l'unica cosa alla quale poter riferire quella frase.

Bryan mi esaminava con gli angoli della bocca sollevati in un sorriso malcelato, questo compensava la rabbia che avevo provato ore prima nei suoi confronti.

Aveva realmente un lavoro da finire ed io avevo agito egoisticamente, pensando di volerlo con me, incontinente ed insaziabile fino a diventare quasi cattiva.

Perché con lui diventavo anche questo, egoista fino a volere la sua presenza nelle mie giornate con prepotenza.

Venni improvvisamente travolta dalla preoccupazione, ero dispiaciuta del mio comportamento adolescenziale «Ho dubitato del tuo lavoro, io non volevo, è che ero agitata all'idea di vederti e mi sono fatta sopraffare dalla rabbia.»

Bryan sembrava sconcertato dalle mie parole ma poi i suoi occhi divennero dolci, mi fecero sentire rilassata.

«Scusa», mi sollevai sulle punte e unii le braccia dietro il suo collo cingendolo.

Bryan stette fermo per qualche secondo prima di ricambiare il mio abbraccio, soffocò un sospiro tra i miei capelli. Mi accarezzava la schiena con mano decisa, quasi con forza come se volesse imprimermi oltre quella stoffa leggera qualcosa che non riusciva ad esprimermi con voce.

Non l'avrei mai sciolto quell'abbraccio, sembrava quasi stupido pensarlo, ma io mi ero data da sola un'educazione alle emozioni.

Non avevo potuto cercare il calore delle braccia di una madre che mi era stata tolta dalla vita come una punizione.

Non avevo potuto sentire quello delle braccia di un padre perché questo rifiutava ogni forma di legame con me.

Indossavo una maschera fingendomi più forte di quanto fossi realmente con mia sorella, per riserbare a lei quel piccolo calore consumato, mi astenevo dal sentirlo anche se ne avevo bisogno.

Quando stette per morire nonno mi godetti l'ultimo calore delle sue braccia, quello pulsante, le braccia ribollenti dell'ultimo sangue che gli circolava, quello fu l'ultimo abbraccio vero della mia vita.

E in quel momento, abbracciando Bryan, mi sentii circondata da un calore rassicurante, non contava nient'altro, io ero in quel posto per scelta, sentivo di esserci dentro fino all'orlo, fino all'ultimo tratto di cuore. Lo strinsi più forte, come se non riuscissi a capacitarmi del fatto che fosse possibile risentire quelle sensazioni che mi facevano vibrare come in piedi su un filo da ricamo.

Mi sfiorò i capelli con la sua mano grande «È tutto ok vero?»
«Sì.»

Solo allora allentai la morsa dai suoi fianchi che avevo finito per stringere, sentendomi inutile... separare il mio corpo dal suo mi diede una sensazione strana, una lacuna si generò in qualche parte della mia impalcatura.

«Allora, perché hai dipinto un'unica farfalla bianca in mezzo a tante?»
Bryan ci pensò su «Non so, mi piaceva l'idea di tenerne una in disparte, così l'ho dipinta sul violino.»

Gli gironzolai intorno fissandolo per intero, senza quel cappello i suoi capelli erano disordinati, molto mossi, corti dai lati e più folti centralmente.

E i nei sul suo viso sembravano formare un sentiero rischioso che portava ai due occhi, il neo che aveva al di sotto dell'occhio in particolare lo trovavo assolutamente irresistibile.

«Tu non hai un quadro preferito?»
«No.»

Continuai a girare intorno a lui lentamente scrutando divertita i muscoli delle braccia contrarsi e le espressioni sul suo viso alternarsi.

Appena mi avvicinavo tentava di afferrarmi ma riuscì a malapena a sfiorarmi, «Neanche uno? Sul serio?»

Lui mi seguiva tutto il tempo con lo sguardo storcendo il collo nella direzione in cui mi muovevo «No.»

«E non credi sia una cosa bizzarra? Insomma, chi vende il gelato ha un gusto preferito», gli sfiorai ingenuamente il braccio con un fianco che lui guardò immediatamente con irrequietezza.

Ebbi l'impressione che reagisse allo stesso modo in cui reagivo io quando lui si avvicinava a me, sentiva quell'elettricità.

«Okay se vendessi del gelato preferirei il limone Micol.»

«Limone? Uhm sbaglio o il giallo è un colore caldo?» alzai le sopracciglia innocentemente sfidandolo.

Sorrisi prima che Bryan mi afferrasse velocemente unendo le braccia dietro al mio bacino facendomi sussultare «Presa», disse avvicinandomi a sé «Ma dovresti saperlo, il limone ha un sapore aspro e freddo» guardò la mia bocca mentre le parole uscivano roche dalla sua.

Con il cuore velocissimo nel petto notai i suoi occhi ricomporsi in un'espressione seria.

«Ma non è detto che non possa riuscire a rendere qualcosa dolce.»

Era veramente del gelato che stavamo parlando?

Ascoltò le mie parole in silenzio fissandomi negli occhi. Riducendo la presa sui miei fianchi fece scivolare le mani giù e si allontanò.

Mi girai di nuovo a guardare la tela e sentii il rumore della piccola rotella dell'accendino e poi quest'ultimo sbattere su una superficie legnosa.

Quando mi voltai lo vidi seduto sul divanetto dall'altro capo della stanza, mi avvicinai a lui, si era rabbuiato di colpo. Era tremendamente lunatico, quel suo carattere particolare avrebbe sfinito chiunque.

Piegai la testa di lato e l'osservai per alcuni istanti.

«Smetti di avere quell'espressione Micol.»

«Quale espressione?»

«Imbronciata, piantala di esserlo.»

«Allora fammi vedere le altre tele che porterai alla mostra», incrociai le braccia con aria impertinente.

Guardò in basso il pavimento e poi seguì le mie gambe, aggrottò le sopracciglia scure divertito «Questo dovrebbe suonare come un ricatto?»

«Potrebbe...»

Bryan si alzò di scatto posizionandosi davanti a me «Con quella faccia non intimoriresti neanche uno di quei gattini che ti piace tanto accarezzare.»

Ridacchiai e notai il suo sorriso aprirsi debolmente in risposta «Okay... se ti va puoi venire a vedere come allestiamo la sala per la mostra.»

Spalancai gli occhi e sciolsi le braccia «Posso davvero?»

Bryan annuì e mi avvicinai ancora un po' a lui sorridendogli incredula, i miei occhi si fermarono sulla sua bocca. Distogliere lo sguardo mi venne difficile e quando si portò la sigaretta alle labbra, prima di gettarla in un bicchiere contenente per metà dell'acqua, non potei che notare sulle nocche della sua mano delle tracce di colore grigiastro che prima non vidi.

Con le dita gli accarezzai la pelle ruvida in quel punto, Bryan sgranò gli occhi a quel contatto «Hai la mano sporca di...»

Avvicinò il suo viso al mio «È vernice a smalto.»
Non sapevo specificatamente di cosa si trattasse ma mi guardai intorno nella stanza alla ricerca di qualcosa di utile, quando intravidi un panno umido lo recuperai da una ciotola in legno e presi la mano di Bryan fra le mie.

Lentamente sfregai il panno su quel punto ma il colore non andava via.

Bryan restò totalmente stupefatto, guardava silenziosamente quel movimento dolce «Micol non va via così facilmente.»

«Lasciami provare.»
Dopo ulteriori tentativi mi alzò il mento con la mano rimasta libera «È una vernice particolare, senza un solvente non se ne andrà.»

Ritrassi allora sconfitta la mano ma Bryan la riprese con forza e guardò l'anello senza accennare a nulla. Feci scivolare dalla mano il panno bagnato, che finì a terra, e lo guardai smarrita.

Squillò il suo telefono e ci mise un po' a rispondere perché il suo sguardo rimase perplesso sul mio dito e sull'anello che mi aveva dato.

«È Brianna, è a casa, ha chiesto se ho notizie di te e di raggiungerla.»

«Dio», andai a recuperare il mio cellulare e notai più chiamate perse da Brianna. È che Bryan mi faceva dimenticare di tutte le altre persone, sempre.

In macchina nessuno dei due spiaccicò parola, ero convinta si stesse chiedendo il perché non gli avessi ancora detto nulla sull'anello. In realtà aspettavo soltanto il momento giusto per farlo, un momento di pace tra noi in cui potevo esser certa che rispondesse alle mie domande.

Posai la mano sulla portiera e mi voltai verso Bryan ma non stava per scendere anche lui, al contrario aveva il gomito poggiato sul finestrino abbassato e un'espressione dispiaciuta stampata sul viso «No, io non vengo.»

«Perché?»

Mi fissò teso senza rispondere, per l'ennesima volta sentii di essere apparsa ai suoi occhi invadente, ma era un mio lato caratteriale curiosare, difficile da sopprimere.

Quando cercai di salutarlo con un piccolo sorriso Bryan si slacciò la cintura, mise entrambe le sue mani sotto le mie braccia e mi trascinò verso il suo sedile, mi sollevò come se fossi leggera una piuma e mi fece sedere sulle sue gambe robuste.

Mi ero lasciata trasportare senza indugio, in realtà l'avevo anche automaticamente aiutato rendendomi meno pesante, sollevandomi appena con il corpo. Le mie gambe erano distese sui suoi jeans neri e per metà pendevano sul sedile passeggero.

Girai lentamente la testa e mi accorsi del suo viso quasi attaccato al mio, della punta del suo naso grecamente sottile quasi poggiata sulla mia guancia scottata, avrei faticato a parlare o soltanto a respirare avendolo così accanto.

Congiunse le mani dietro la nuca e restò in quella posizione fermo a fissarmi, seduta immobile fra le sue gambe larghe.

Mi guardava seppur stesse sprofondando in qualche pensiero che teneva per sé, aveva gli occhi circospetti di chi aveva qualcosa da dire ma era fortemente trattenuto dal farlo.

Avvicinò le dita al mio viso e mi accarezzò su uno zigomo «Sarò fuori città per qualche giorno» disse a voce bassa, «Per lavoro.»

Per quanto fosse riservato, Bryan compiva dei gesti dolci quando il tempo e le circostanze, complici, ci mettevano alle strette.

Ero consapevole sarebbe stata una rovina se mi avesse abituata alla sua vicinanza.

In così pochi giorni lui e le sue parole avevano preso posto nella mia mente collocandosi senza licenza in ogni angolo di essa.

«D'accordo», risposi con gli occhi lucidi come se questo avesse potuto cambiare qualcosa mai in me o nel trascorrere delle mie giornate, in realtà non l'avrei visto per un paio di giorni soltanto, sarebbe stata una fortuna, avrei dovuto vedere questo come un vantaggio, stargli finalmente lontana.

Abbassai lo sguardo attenta a reggermi stretta le mie emozioni ingestibili, avrebbe potuto accorgersene ed io non avrei saputo mentire.

«Quindi in questi giorni penserai al valletto.»

Sogghignai «Oppure a Calvin, in effetti potrei pensarli entrambi.»

«Io in effetti potrei pensare a come spaccargli il naso.»

Sciolse quella posizione da osservatore e posò le mani sulle mie gambe. Quel contatto mi fece tremare, il mio respiro divenne pesante e la pelle si riempì di piccoli puntini ruvidi.

Una mano si sistemò sul mio fianco e mi attirò sempre più vicino al suo petto spingendomi contro il cavallo dei suoi jeans, deglutii e misi una mano aperta sul suo addome per bloccarlo, avvertii i muscoli contrarsi sotto il mio palmo.

Lui non abbassò la testa per guardare la mia mano, continuava a fissarmi immensamente mostrandomi tutte le gradazioni dorate all'interno dei suoi occhi, ne ero persa.

Appoggiò frustato la fronte sul mio mento e poi la fece scivolare nell'incavo del mio collo dove respirò profondamente, sniffando il mio profumo, fu quel gesto che mi fece muovere la testa per concedergli ancora di più la mia pelle, abbindolata da quel contatto.

«Questo profumo mi perseguita, ovunque io vada», bisbigliò.

Quando le sue labbra carnose e umide mi sfiorarono le clavicole sentii il suo corpo riscaldarsi sotto il mio, quella percezione mi fece impazzire.

La mia schiena si raddrizzò e il mio corpo cominciò a muoversi lento adattandosi al suo, al tessuto dei suoi jeans che tendeva rigidamente, più mi dondolavo più il suo respiro era discontinuo.

Era un'interminabile salita di baci bagnati che mi stavano consumando la ragione.

Era una situazione rimasta priva di regole e limiti così gli sollevai la mandibola con una mano stringendogli le guance dolcemente «Questo è tutto sbagliato» la mia voce era un sussurro, quelle erano parole uscite con fatica.

«Di cosa hai paura?», mi prese il viso fra le mani cercando incessantemente i miei occhi, ma non riuscivo a mantenerli fermi nei suoi.

«Non lo so», quella domanda mi spiazzò e lo guardai incerta «Forse più di tutto di essere me stessa.»

Mi ritrovai ad abbassare la guardia di nuovo, spaventandomi improvvisamente perché quando indietreggi e mostri un po' di te stesso hai il terrore di essere incompreso, soprattutto quando i coltelli di chi non riusciva a capirti ti hanno trafitto il costato.

Bryan si passò le mani nei capelli e mi fissò in un modo terribilmente serio.

«Perché mi guardi e non dici nulla?»

«Lo vuoi sapere?»
Ci pensai su e annuii lentamente.

Fece contrarre più volte la mascella e passò energicamente il pollice sul mio labbro «Perché tu hai un sorriso dolce e due labbra che sono l'inferno», mandò indietro la testa sbattendola piano sul sedile, senza smettere di guardarmi prese ciocche bionde dei capelli e se le fece scivolare fra le dita, adoravo quella sensazione «Capelli da angelo e un carattere dannato.»
Mandai giù un groppo di saliva non avendo la forza di reagire.
«Ti muovi sulle mie gambe e poi mi dici che hai paura.»

Chiusi per qualche secondo gli occhi lucidi strizzandoli forte, «Parli come se questo fosse totalmente irrazionale, tu non hai... paura?»

«Ora l'unica paura che ho è mangiarmi le parole se mi guardi così, o perdere il controllo se provi a muoverti in quel modo. Credo che niente di tutto ciò possa essere considerato razionale.»

Le sue parole erano i colpi di una Beretta che mi trapassarono il cuore con sorpresa. Si avvicinò alla mia bocca e, in totale tensione, provai a spostarmi, terrorizzata da quelle confessioni, ma urtai con un piede il cambio marce dove vi era poggiato il suo cellulare, questo cadde con un tonfo, cercai impacciata di recuperarlo dall'intaglio del sedile.

Riuscii ad afferrarlo grazie alle mie dita sottili e, nel prenderlo, vidi la parte superiore di un piccolo fermaglio per capelli rivestito di perline bianche, lo raccolsi.

Certamente non apparteneva a Bryan, commettevo sempre lo stesso errore, mi avvicinavo a Bryan dimenticandomi della sua relazione con Miss Fasulla e tutte le sue fottute perle, ammesso che fosse suo.

Sapevo che con lui sarebbe stato tutto imprevedibile, che avrei inseguito i suoi silenzi e le distanze che ogni tanto imponeva, sapevo anche che sapeva esser dolce con me.

Ma non bastava. Lui aveva già una ragazza. Ed era lunatico e caratterialmente inaffidabile, era quasi... come mio padre. E stavo per avvicinare le mie labbra alle sue.

«Non preoccuparti di questo», disse prendendomi il telefono dalle mani e posandolo sul sedile passeggero.

«Neanche di questo scommetto. Tieni», gli diedi il fermaglio e mi mossi per spostarmi da lui il quale osservò da vicino il piccolo oggetto confuso.

Mi bloccò le gambe guardandomi allarmato «Aspetta, non è niente di quello che credi.»

«Bryan è tutto okay, non importa. Ci piace passare del tempo insieme, e questa vicinanza ci ha fatto per un attimo perdere la testa. Ma io so benissimo di te e Lara e non voglio entrarci in alcun modo.»

Rimase fermo a guardarmi paralizzato, scivolai sull'altro sedile prima che rispondesse.
«Stronzate Micol», mi afferrò la mano  «Non so cosa ci faccia qui questo affare ma quello che ti ho detto, giuro, è tutto vero.»

Lo guardai negli occhi e lasciai la sua mano per scendere dall'auto «Ci vediamo Bryan.»
Mi avviai verso il portone senza voltarmi, i suoi occhi mi avrebbero fatto pentire di ogni cosa.

Non riuscii a definire esattamente come mi sentii ma quello che provai mi indebolì, mi spense dentro.

Riacquistai la ragione quando, accendendo la luce interna, intravidi Brianna immobile sul pianerottolo, sorrise scagliandosi nella mia direzione, raggiante come non l'avevo mai vista.
«Brianna mi hai fatta spaventare a morte.»

«Scusa per esser sparita in questi giorni ma quando Phil e Carrie mi hanno chiamata per darmi la notizia ho pensato solo a raggiungerli.»

«Phil e Carrie?»
Si spinse lontano da me elettrizzata, faceva fatica anche lei stessa a contenere tutta quella agitazione. I suoi capelli ondulati fluttuavano ad ogni suo saltello, tentava di scaricare la tensione per poter finalmente parlare.

Respirò scenicamente «I miei genitori adottivi Micol. Loro», non riuscì a continuare quella frase e colsi il suo blocco.

«Dai entra!», girai la chiave nella serratura e le feci cenno si seguirmi in casa. Mollai tutto sul tavolo frettolosamente e la raggiunsi sul divano dove iniziò a parlare senza alcuna interruzione.

«Loro ecco aspettano un bambino», quando lo disse le lacrime sgorgarono dai suoi occhi, scapparono via inumidendo il suo viso, bianco di una luce profonda.

Non potei che seguire quella felicità stringendole le mani «Oh cavolo.»

«Stento ancora a crederci, sai loro hanno lottato così tanto per avere un figlio. Anni fa pensarono all'unica soluzione e si affidarono all'unico collegio del paese che consentisse l'affido adottandomi. Ed ora sembra che la vita gli abbia finalmente sorriso ed io sono emozionata per loro, per me, perché non vedo l'ora di farmi conoscere da quella creatura.»

La guardai con meraviglia, forse semplicemente ammiravo il modo in cui parlasse della sua storia, senza veli, trasparente come le sue lacrime, vera.

Brianna aveva conosciuto più di altri la sofferenza, non lo dava a vedere e non lo avrebbe rivelato mai a nessuno, sentirla gioire in quel modo così naturale mi scosse visibilmente.

«La verità è che quando ti disabitui a ricevere amore non ti senti mai abbastanza. Questa è sempre stata la mia più grande paura, non esser stata abbastanza per loro.»

Li amava al punto tale da chiedersi se la sua presenza fosse sufficiente nei loro pensieri, se in quelle nuvole di sogni ci fosse realmente stato un posto per lei.

«Certo che sì. Perché dici questo?»

«I primi tempi ero barricata nel mio mondo, ci misero un po' ad apparire ai miei occhi per come sono realmente, me ne sono sempre data la colpa Micol. Avrei dovuto accettarli da subito, da quando mi accarezzarono il viso la prima volta ma ero distante e spaventata a morte. E loro non meritavano questo, volevano solo portarmi nelle loro vite.»

«Brianna capita a tutti di perdersi, camminiamo sul bordo del crepaccio e ogni tanto ci finiamo dentro e l'arrampicata non è mai la stessa. Ascoltami, eri piccola e le paure a volte ci fanno comportare come non vorremmo.»

Pensai a Bryan e a come mi fossi tirata indietro invece di affrontarlo, sebbene sapevo fosse la scelta giusta farlo mi sentivo come se avessi commesso solo un grosso errore.

Un'altra ondata di lacrime era pronta a lasciare gli occhi di Brianna che recuperò lo spazio che ci divideva e mi abbracciò.

«Sono così contenta per la notizia Brianna», la strinsi sentendo piccole lacrime raggiungermi il collo. Quando iniziavano a scendere erano sempre incontenibili.

«Ma tu stai bene Micol? C'è qualcosa che non va?», mi chiese sentendomi trattenere il respiro.

Non avrei rovinato quel suo momento parlandole di Bryan.

«Sono solo emozionata per tutto questo», guardai verso l'alto per far quasi rientrare le lacrime nei miei occhi, odiavo piangere, soprattutto in quel momento.

Mi strinse più forte e mi sentii scorretta, perché volevo far credere a me stessa che quelle lacrime fossero soltanto per Brianna, in realtà per metà appartenevano a lui.

A chi penserà Micol in questi giorni?

Vi do un indizio, a volte è piuttosto... scostumato 🤣🖤

Quanto detestate quel fermaglio guastafeste?

Grazie a chi continua a leggere questa storia senza stancarsi mai, non potete capire quanta felicità mi trasmettete.

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