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27

Mi scontrai contro una giacca di pelle nera quasi rimbalzando all'indietro, quel profumo l'avrei riconosciuto tra mille, anche se avessi avuto l'olfatto intaccato o bruciato.

Appena presi atto, anche con gli occhi, che si trattasse di Bryan la mia mente fece terra bruciata sui miei pensieri lasciandomi una palla attorcigliata di sentimenti scomposti a riempirmi. Ero felice e avevo paura. Oppure, la paura che avvertivo era la paura stessa di essere felice.

Dai tratti tesi di Bryan realizzai invece che lui non fosse felice, e neanche impaurito. I suoi occhi saldi nei miei erano più freddi che mai, forti mi spostavano via disperdendo tutto, erano una bufera di neve.

Non riuscii a dire niente poiché lo scatto dello sportello di Calvin attirò completamente la sua attenzione, le sue pupille si dilatarono quando lo vide scendere dall'auto, lasciò il mio braccio e si diresse precipitoso nella sua direzione.

Quando mi voltai vidi le mani di Bryan stringere il colletto della camicia di Calvin «Dovrei pestarti anche solo per le stronzate che le racconti.»

Calvin mi guardò di traverso, lessi nei suoi occhi amareggiati la delusione per il fatto che avessi riferito senza riguardo tutto a Bryan, sembrava totalmente intimorito sotto la sua possanza.

«Non gliel'avevi ancora detto di come mi avessi minacciato di starle lontano? Guarda che l'ha capito che sei tu il bugiardo dei due.»
Bryan, senza rispondergli, strinse il tessuto della sua camicia ancora più forte e lo spinse contro l'auto. Le sue braccia si irrigidirono e la mascella si serrò come se stesse stringendo i denti.

«Che ti prende Bryan, lascialo», andai alle sue spalle e gli afferrai con entrambe le mani le braccia ma, per riuscire a spostarlo, mi sarebbe servita più forza.

Girò lentamente la testa da sopra la spalla e incrociò il mio sguardo rabbioso. Temevo più di ogni altra cosa di dover assistere a delle percosse fra loro. Anche se sapevo dentro di me, per qualche strana sensazione, che Bryan non sarebbe andato oltre in presenza mia.

«È così che va? Sei con lui e chiami me?»
«Tutto questo è ridicolo, siamo solo stati a cena», era la prima volta nella mia vita che sentii di dover dare delle spiegazioni.

«Cosa? Voi due vi scrivete? Non sei voluta tornare per questo vero?», Calvin mi guardò stupefatto, ad ogni confessione sempre più sfiducioso.

Bryan spinse il suo viso pressandolo sulla vernice della macchina, vidi le labbra di Calvin stringersi in una smorfia di fastidio e dolore.

«Micol capirà che sei solo uno sbruffone e che non otterrà nulla da te», disse nonostante la forza di Bryan lo stesse spiaccicando senza tregua contro la sua stessa auto «Va all'inferno Bryan.»
«Ti ci mando io all'inferno se non chiudi quella cazzo di bocca.»

Diedi impulsivamente dei pugni sulla schiena di Bryan con il tentativo di fermarlo «Stronzo perché non affronti me?»

A quelle parole Bryan fece un'ultima pressione sulla guancia di Calvin, ormai rossa per esser stata premuta a lungo sull'acciaio con forza. Lo lasciò improvvisamente e si voltò ad afferrare i miei pugni, si avvicinò con foga al mio viso e guardò fisso le mie labbra, per assurdo sentii i suoi muscoli allentare, il suo corpo diminuire la tensione fisica.

«Io sono un prepotente, uno stronzo ma tu... tu sei una ragazzina.»
Quelle parole mi fecero vibrare gli occhi, mi ferivano, arrivavano dove le parole degli altri non sarebbero mai potute arrivare.

Alle sue spalle Calvin cercò di assestargli un pugno approfittando della nostra conversazione, spalancai la bocca e, per impedirlo, urtai in tempo Bryan il quale comprendendo le intenzioni di Calvin si voltò per riacciuffarlo.

Mi piazzai più volte davanti a lui spingendolo in modo che non lo raggiungesse «Vattene Calvin, vattene», urlai e Calvin si intrufolò senza esitazione in macchina sfrecciando.

Bryan chinò lo sguardo furioso su di me, mi superò dirigendosi frenetico verso la sua macchina parcheggiata un po' più avanti casa.
«Bryan», lo rincorsi.

Non si voltò, al contrario aumentò la velocità dei suoi passi rendendomi ancora più difficile sopraggiungerlo con i sandali.
Salii in macchina prima che potesse partire.
«Micol, scendi.»
«No.»
«Ho detto scendi dall'auto. Torna a casa.»
«Ed io ho detto di no», ribadii a voce alta e mi allacciai la cintura.

Mi guardò, i suoi occhi camminarono sul mio collo, sulle clavicole rese visibili dalla scollatura a barca del vestito che scrutò attentamente. Sospirò pesantemente e strinse gli occhi portandosi una mano con frustrazione sul viso.

Essere a conoscenza di quella mezza verità faceva sì che quel tattoo sul suo dito non suscitasse in me più alcuna agitazione.

«Perché sei sempre così invadente?»
«Questa è buona. Quello che hai appena fatto come lo definiresti Bryan?», sputai brusca.

«Senti scendi da questa fottuta macchina. Devo sbrigare una cosa Micol.»
«No. Fammi venire con te.»

Quando i suoi occhi ricaddero nuovamente su di me, sul mio corpo fasciato dal vestito il mio viso divenne lentamente sorridente dall'imbarazzo, era l'effetto perenne del suo sguardo, della sua vicinanza.
«Ti diverti vero?», scosse la testa e, dopo soffi di fastidio, mise in moto.

«Bryan», quella volta il suo silenzio faticai a reggerlo davvero «Perché...»
«Non voglio parlare.»

Sbruffai e guardai fuori pensando a quante volte fosse cambiata una singola giornata, mi chiesi poi come sarebbero state ancora più instabili le giornate al suo fianco. Ma perché diavolo pensavo a come sarebbe stato al suo fianco?

Fermò di colpo la macchina accanto il cancello rosso arrugginito di una casa.
Si slacciò la cintura e, quando stetti per farlo anche io, si avvicinò e bloccò con una mano la mia fascia.

«Tu resti qua.»
«Perché? Io voglio scendere.»
Mi guardò negli occhi duramente, in realtà quello mi sembrò un vero e proprio sguardo implorante «Potresti ascoltarmi e restare in macchina, per poco?»

Lo fissai indecisa ma acconsentii arrendendomi, tuttavia mostrandogli una smorfia del tutto infastidita.

Il suo sguardo corrucciato si arrestò sul piccolo spacco del vestito «Quindi una cena. Allora vi siete anche baciati?»

Quella domanda improvvisa mi fece ribaltare nello stomaco tutto ciò che avevo mangiato, «Conta qualcosa?»

Vidi il suo volto diventare rosso, come se fosse stato pervaso da un'ondata di calore improvvisa, si tolse la giacca di pelle e rimase a mezze maniche, la lasciò cadere sul suo sedile «Insisti col provocarmi, pensi davvero faccia ridere?»

Trattenni una risata per quanto fosse paradossale quella situazione, ma il suo volto rimase terribilmente serio, questo mi fece viaggiare in una marea di pensieri «Non ci siamo baciati, abbiamo solo... mangiato e parlato.»

Senza dire altro si sistemò i capelli indietro, distolse lo sguardo dal mio e scese dall'auto allontanandosi. Bloccata in macchina avrei voluto toccare tutto, aprire il cruscotto e controllare se ci fosse stata ancora quella lettera da qualche parte, se l'avessi trovata non avrei resistito a strapparla. Ma mi dovetti controllare, non potevo mandare in frantumi la pace che stavo cercando di fare con Bryan altrimenti non mi avrebbe detto nulla e non avrei potuto parlare con lui di quel maledetto anello al mio dito che mi stava facendo tanto diventare matta.

L'aria era più umida del previsto e, ferma in macchina, iniziai a percepirla maggiormente. Presi la sua giacca di pelle e la indossai, su di me era così larga che le maniche superavano di gran lunga le mani e l'orlo cadeva sulle cosce. Chiusi la zip e scesi dall'auto.

Mi guardai intorno stringendo le braccia su me stessa, la strada era completamente vuota, illuminata soltanto dalla luce flebile di un lampione in cattivo stato. Feci così lentamente il percorso che vidi poco prima fare a Bryan quando, girato l'angolo del cancello, lo scorsi di spalle in fondo al marciapiede a parlare con due uomini davanti all'abitazione.

Quando i due mi videro anche Bryan si torse a guardarmi, naturalmente irritato.

«E tu chi sei? Ti sei persa biondina?», mi rivolse la parola uno di loro con gentilezza, aveva una camicia bianca estiva leggermente stropicciata e una chioma riccia in testa, inoltre il suo accento era piuttosto atipico.

Mi avvicinai ancora un po' e sorrisi a quello sconosciuto vergognandomi tremendamente.
Bryan fece un tiro di sigaretta osservando attentamente quella scena, quando gli fui abbastanza vicina attaccai le mie mani al suo braccio, circondandolo totalmente.

Gettò la sigaretta a terra e guardò, stupito e in silenzio, quel gesto per poi soffermarsi rapidamente sulla sua giacca che avevo indosso.

«No», disse e fece scivolare la sua mano che andò a stringere la mia «È con me», col suo pollice prese a sfiorare l'anello al mio dito e a solleticarmi la pelle dolcemente. Quella sua carezza mi tranquillizzò, era l'ennesimo sbalzo d'umore.

«Ciao», salutai i ragazzi davanti a me stringendomi più forte a Bryan, feci poi ricadere la mia testa sulla sua spalla sino a poggiarla guardando il colore bellissimo dei suoi occhi da sotto le ciglia scure.

Il più alto dei due mi squadrò addosso, «Attento agli occhi Rico», disse ironicamente Bryan eppure lo mandò a fuoco con il solo sguardo. Ed io, sapevo bene quanto bruciasse.

Scendere era stata una pessima idea, sembravano essersi interrotti al mio arrivo, il che mi fece comprendere che forse quello che avevano da dirsi era una questione piuttosto riservata.

I due sorrisero e il capellone diede una pacca sulla spalla a Bryan «Aspettiamo la tua chiamata Bryan, riflettici a fondo. È stato bello incontrarti di nuovo.»
Sciolse la mano dalla mia per stringerla ad entrambi i tipi «Anche per me ragazzi, grazie.»

Rico mi fissò a lungo così gli sorrisi «Non ci hai detto come ti chiami.»
«Micol.»
«Bellissimo nome, ci vediamo Micol.»
Ricambiai il saluto notando solo dopo che Bryan mi avesse circondato la vita con il braccio tutto il tempo, nascosto sotto il tessuto zigrinato della giacca.

Non lo rimosse finché non arrivammo vicino alla macchina, lontano dai due, fece pressione sul mio fianco parandosi davanti a me «Non ti avevo per caso chiesto di restare in macchina?»

«Sì, vero.»
«Ricordo anche di avertelo chiesto gentilmente», mise in risalto l'ultima parola scandendola delicatamente tra i denti.

Gli sorrisi colpevole pensando che fosse vero anche quello e che, il mio, fosse stato un vero capriccio. È che dopo quella scenata davanti casa avevo problemi a staccarmi da lui.

Eravamo strettamente vicini e la sua mano premeva ancora sul mio fianco, incastrata su quella curva del mio corpo.

«Scusa, ti ho seguito quasi senza pensarci, non so cosa mi sia passato per la mente.»
«Sai quante cose passano per la mente a me? Ma se le seguissi tutte quante sarei un uomo finito visto che ammattisco anche al solo pensiero di alcune di queste, te lo assicuro.»

Mi schiarii la voce perché sentii di sciogliermi un po' alla volta sotto quelle parole uscite dalla sua bocca così relativamente vicina alla mia.

Si voltò e salì in macchina, mi sistemai il vestito che scendeva fin sotto il ginocchio aderente ed entrai anche io.
«Chi erano quei due?»
Abbassò il finestrino distratto «Due vecchi amici.»
«E quel Rico.»

Girò velocemente la testa nella mia direzione per farmi capire, con le sopracciglia incurvate in un'espressione nervosa, che non fosse una buona idea chiedere di quell'uomo, né in quel momento né mai.

«Rico ha un pallino per le donne un po' troppo grande per i miei gusti, fine.»

Aprii la bocca incerta sul parlare ma a sentirlo così distante la richiusi subito, con l'ansia di poter dire qualcosa di sbagliato, mi rendeva troppo nervosa.

«Allora non vuoi parlare?»
Scosse la testa irremovibile.
Quando, arrivati a casa, scesi dalla macchina con la coda dell'occhio vidi scendere anche lui, poggiò le braccia sul tetto dell'auto, quell'aria fiera e arrogante non lo abbandonava mai, era la sua carta identificativa. 

«Bene, allora ciao Bryan.»
Senza più guardarlo giunsi al portone, non appena la mia ombra si riflesse attraverso mi resi conto di avere ancora addosso la sua giacca di pelle. Diedi una piccola testata al portone lucido pensando quanto fossi sempre tanto ridicola.

Lo guardai sorridere ancora poggiato con gli avambracci al tettuccio nero, lo stronzo sapeva avessi la sua giacca ma non me l'aveva ricordato proprio per divertirsi alle mie spalle.

Gli rivolsi un sorriso beffeggiante, «Vedo che anche a te piace divertiti all'occorrenza.»
Su quel viso sempre buio e pensieroso il suo di sorriso invece era maledettamente accattivante.

Proprio quando stetti per arrivare di nuovo alla jeep, la caviglia girò lateralmente su se stessa imprimendomi un male incredibile.

Accennai uno stridente grido di dolore, istintivamente poggiai una mano sul muro e mi piegai a guardare preoccupata la caviglia.

La mano calda di Bryan si posò sul mio fondoschiena, mi aveva subito raggiunta.

«Perché non stai mai attenta?»
Voleva farmi credere davvero che la colpa fosse mia?

In quell'istante fui solo in grado di storcere le labbra dal fastidio che avvertivo ramificarsi sino alla pianta del piede, provai a far roteare piano la caviglia ma il dolore mi tolse il respiro.

Inoltre, Bryan si era totalmente incollato a me e questo, certo, non fece che rendermi le cose più difficili.

«Lascia stare, devo solo salire le scale, posso farcela.»
Mi guardò increscioso e mi costrinse a reggermi da lui facendomi ruotare un braccio attorno al suo collo, mi trascinò fino al portone che aprì e chiuse con un debole calcio.

Mi avvicinai alla ringhiera e lo guardai negli occhi «Si può sapere perché mi guardi così? Sai, non era nei miei piani slogarmi la caviglia dopo questa cavolo di giornata estenuante.»

Ispezionò a lungo la mia espressione, poi sorrise, continuava a ridere di me.

Girai la testa indispettita e provai a salire un gradino tenendomi dall'asse di ferro che delimitava la scalinata.

Nel giro di pochi secondi Bryan mi sollevò caricandomi sulla sua spalla, raccolse da terra la borsa caduta dal mio braccio per quello scatto repentino, capovolta a testa in giù riuscii solo a vedere la sua schiena e il bordo dei suoi jeans.

Le sue mani tenevano ferme le mie gambe proprio sotto il bordo del vestito che si sollevò inevitabilmente, «Sono l'unico che deve avere per forza un motivo per guardarti?»

«A cosa diavolo ti riferisci? Bryan rimettimi subito giù, posso camminare.»
Senza darmi risposta salì le scale, mi tenni dalla sua maglia lamentandomi, soprattutto terrorizzata nel vedere le punte dei miei capelli quasi sfiorare il marmo dei gradini.

«Bryan!!», gridai forte quando sentii le sue mani posarsi indecentemente sul mio sedere.

Mi aveva totalmente tastato il fondoschiena per sistemarmi meglio sulla sua spalla, in reazione sbattei le mani sulla schiena esattamente come lo si farebbe su un tamburo.

«Ferma, non c'è bisogno di gridare, anche se sarebbe divertente vedere tutto il condominio contro una pulce.»

Con una mano spostai i capelli che, lunghi, mi stavano finendo nella bocca. Ad ogni gradino che Bryan saliva la sua maglia si sollevava stretta dai miei pugni rivelando l'elastico delle sue mutande.

Mi sentivo all'improvviso accendermi dentro, avrei potuto chiudere o distogliere gli occhi ma la verità era che non mi dispiaceva guardare quelle due fossette pronunciate sul fondo della sua schiena.

Quando mancarono gli ultimi scalini per giungere al mio piano allungò il braccio «Le chiavi sono nella borsa?»
«Fai sul serio?»
Quando non replicò alla mia domanda spazientita mi morsi la lingua per non dare il via libera ad una lunga serie di parolacce e offese, «Sì sono nella borsa.»

Sentii il clic clac della chiusura della borsa e Bryan prendere le chiavi «Questa borsa è completamente vuota, di solito non mettete di dentro cose utili? Che ne so, cerotti, salviette imbevute.»
«Infatti ci tengo le chiavi Bryan. Le chiavi sono utili. E poi non siamo tutte uguali.»

Azzeccò la chiave giusta e spalancò la porta, mi condusse al tavolo in cucina per poi piegarsi e sedermici di sopra, fui pronta a dargli una sberla sulla guancia per fargliela pagare di avermi toccato il sedere nelle scale ma bloccò la mia mano avvicinandosi «Hai del ghiaccio?»

Agitai la testa e lo osservai andare serio al freezer e aprire l'anta superiore, recuperò una busta congelata di piselli che posò sul tavolo al mio fianco.

Mi studiò per qualche istante prima di afferrarmi la caviglia, sciolse il colletto della scarpa lasciandola cadere delicatamente sul pavimento, ripetè il gesto sull'altro piede.

Restai a guardarlo assolutamente sbalordita, allora quei nodi di ghiaccio intorno al suo cuore ogni tanto riuscivano anche a sciogliersi, a sbrogliarsi.

Prese la busta ghiacciata e la sistemò sul rigonfiamento che si era in fretta generato sulla caviglia.

La tenne ferma per alcuni quarti d'ora, in tutto quel lasso di tempo non fui in grado di intervenire con alcuna parola, lo fissavo continuamente, e lui non andò come al solito oltre il suo silenzio.

Rimosse successivamente la busta e iniziò a massaggiare la caviglia indolenzita, bagnata dalle goccioline ghiacciate scivolate dalla busta. Al suo tocco mi sollevai bene sulla schiena raddrizzandola più che potevo e deglutii a vuoto.

«Quindi ti piacciono le cose romantiche.»

Mi ritrovai in un turbine di confusione mai vissuto prima di quel momento, quella frase, quella voce rauca, quella mano che massaggiava dolcemente la mia caviglia nuda e i suoi occhi dritti nei miei mi consumarono il respiro.

«Dipende dalle circostanze.»
«E Calvin è una circostanza valida?», mi stava sfidando, quegli occhi furbi ne erano la certezza assoluta, voleva vedere fin dove reggessi i suoi espedienti.

«Sì, decisamente.»
Scosse la testa e si fece avanti incastrandosi tra le mie gambe divaricandole, il massaggio sulla caviglia si fece più intenso, una mano mi teneva fermo il piede, l'altra gelida si muoveva forte su tutto il tragitto che lo conduceva alla caviglia.

Quando feci un sorrisetto astuto si bloccò «Ho capito... ti piace questo gioco. Va bene», disse e la sua mano iniziò a camminare sulla gamba solleticandomi la pelle «Ti avranno guardata in molti con questo vestito addosso.»

Con le mani sudate afferrai il bordo del tavolo stringendolo «Ma ero lì con Calvin», la mia voce vibrava.

Il suo corpo emanava disappunto, tormento, tratteneva un' insolita rabbia.
«Capisco, il vino era sufficientemente frizzante?»

«Molto frizzante», i suoi occhi maliziosi erano una considerevole dipendenza da evitare, ma oramai ero finita nel giro.

«Allora spero abbiate mangiato bene.»
«Certo, mai mangiato meglio, il pollo era squisito.»
Con entrambe le mani sui miei fianchi mi attirò a lui facendomi slittare sul tavolo, il mio corpo fu vicino al suo addome e i suoi jeans premevano sulle mie cosce.

«Quello nel piatto o quello che ti guardava?»
La sua voce era sempre più seducente e sempre più vicina al fiato contratto che lasciava la mia bocca.

Trattenni una risata sotto ai baffi per quella espressione, anche lui sorrideva «Quello nel piatto... ma quello che mi guardava aveva dei begli occhi.»

Il suo sorriso si distese in una linea stretta, era rosso in viso più del solito, più del dovuto.

Forse avevo esagerato, forse avevo permesso che lui cogliesse quanto fosse ricondotta a lui quella frase.

«Scommetto abbia pensato da sempre lo stesso dei tuoi.»

Mi guardava negli occhi con la punta del naso che per pochissimo non sfiorava la punta del mio.
La sua mano invece non si era mai del tutto fermata, scorreva con cautela sulla mia gamba accapponandomi la pelle che divenne ruvida, per la tensione, per la forte emozione.

Avvicinai le cosce che si allacciarono maggiormente attorno ai suoi fianchi. La tensione tra i nostri corpi andò ad ingigantirsi quando con l'indice sfiorò quel punto indelebile, quella cicatrice così infossata che si percepiva al tatto, un taglio parallelo come la venatura su un tronco sradicato.

Aggrottò lievemente la fronte, misi una mano sulla sua fermandola «Guarda che so cosa stai pensando adesso.»

Guardai il suo volto spaesato, avrei voluto mostrargli qualcosa di mio, qualche cosa che avrebbe ricordato con fascino.

Ad esempio io guardavo le sue tele affascinata, ammaliata totalmente dalla sua passione. Ma non avrei voluto mostrargli quella cicatrice perché, se avessi potuto scegliere anche io, avrei scelto di non vederla. L'avrei volentieri distrutta, l'avrei folgorata con una scarica elettrica, per demolire l'ultima parte restante dei miei ricordi. Ma ci voleva un'ossatura dell'anima estremamente forte per farlo ed io a malapena ce l'avevo per resistere.

«Hai la presunzione di saper leggere nella mente?», mi stagliò.
«No, sono solo intuitiva.»
«Anche io sono così.»

Avevo il desiderio di dirgli "Allora fa sì che io non dica niente, guardami, non farmi diseppellire i vecchi tagli."

«Io dico che siamo intuitivi ma due mezzi sconosciuti Bryan.»

Premette i pugni sul tavolo, dietro il mio corpo, avvicinandosi ancora di più a me, irrompendo senza difficoltà nel mio campo.
«Io dico che ti conosco abbastanza da capire che hai paura.»

Quella linea sottile che ci divideva Bryan l'aveva valicata non solo fisicamente ma anche mentalmente. Ed ero senza parole e senza difese. Riusciva a capirmi in un modo che non mi sembrava possibile.

Abbassai lo sguardo imbarazzata, sentii le sue mani cominciare ad accarezzarmi i fianchi, non potevo muovermi ero come svenuta, priva di sensi.

Quando alzai gli occhi e incrociai i suoi, grandi e furbi, le labbra si incurvarono da sole in un sorriso.

Mi aveva espresso cosa credeva senza eccedere, senza pormi domande in merito alla cicatrice, come se sapesse che ci avessi sofferto.

Guardò il mio sorriso incontrollato e sospirò guardando le mie gambe «Supponiamo sia come dici Micol, ti ritrai e poi rilasci la tua fiducia ad un mezzo sconosciuto?»

«Non credo di averti rilasciato la mia fiducia.»
Tenne ferme le mani sulle mie cosce e mi sfiorò le tempie con le labbra «Ti lasci sfiorare ogni volta», sussurrò «Continui a stringere le gambe attorno la mia vita», abbassò poi lo sguardo nei miei occhi «E mi guardi così.»

Con una mano prese l'apice della cerniera facendola scorrere lenta verso il basso sino ad aprire completamente la giacca di pelle.

Continuavo ad essere bloccata più che nelle mie convinzioni, nel mio corpo, era insopportabile sentirmi incapace, ancora più insopportabile udire il mio respiro agitato, ansimante «Ti sbagli, non sento niente di diverso, guardo chiunque così.»

Non aveva tutti i torti, ero consapevole di divorare ogni volta il suo viso, «E poi sei tu che ti sei piazzato tra le mie gambe», sospiravo tormentata da una bramosia che non riuscivo a padroneggiare.

Mi accarezzò la clavicola con il soffio della bocca, mandai indietro la testa allungando il collo in totale estasi, gli occhi pesanti, persuasi dal desiderio.

Bryan mise una mano dietro la mia nuca per mantenerla in quella posizione, percorse con le labbra tutta la strada che legava la clavicola al collo.

Quando raggiunse il mio orecchio mi sussurrò vicino, «Vuoi farmi impazzire Micol? Perché stasera ci stai riuscendo.»

Quel profumo si stava diffondendo ovunque, come acqua che si insinua tra le crepe più nascoste.

Ero sotto incantesimo, mi appellai allora all'ultimo brandello di coscienza che possedevo per tentare di ribaltare la situazione.

Allungai una mano e con due dita gli tirai le labbra secche e rosse sollevandomi, «Intuitivo ma furbo», gli sorrisi.

Sistemai entrambe le mani dietro il suo collo e gli sfiorai i capelli, una mano la feci scivolare sul suo petto e poi più giù, sul suo addome. Bryan seguì la mia mano con occhi ridenti, li strinse poi studiando le mie mosse.
«Perché hai avuto quella reazione stasera con Calvin?»

Sospirò affannosamente e chinò la testa, posò le mani sulla mia, ferma al centro del suo addome, «Intuitiva ma furba.»

«Allora? Rispondimi Bryan.»
Spostò due ciocche di capelli dal mio viso sistemandole dietro l'orecchio prima di allontanarsi lentamente da me.

Era all'improvviso distaccato, non mi osservava più negli occhi, aveva la testa altrove.

«Io... sto cercando di capirlo.»
Mi alzai in piedi provando a scendere dal tavolo con un solo piede, evitando in tal modo di poggiare la caviglia gonfia.

Lo tirai per la maglia «D-dove vai?», balbettai.

Mi rivolse uno sguardo vuoto, irrecuperabile, perso in chissà quali lande «Se vuoi domani posso lasciarti io in agenzia», guardò la caviglia «Se ci cammini non migliorerà.»

Ci riflettei su, aveva ragione, non sarei probabilmente stata in grado di raggiungere a piedi l'agenzia, al contempo sapevo che continuare a vedere Bryan non era la scelta più giusta per me.

Ma guardavo quell'anello, pensavo alle reazioni inaspettate che aveva avuto durante tutta la serata, alle tante domande irrisolte che avrei voluto scoprire, sentivo il suo profumo anche quando non era con me.

Allora non potei far altro che annuire dicendogli che mi avrebbe fatto piacere un passaggio. Dopo esserci accordati sull'orario gli restituì la giacca, la agguantò e mi guardò a rilento posando gli occhi su ogni strato e centimetro del mio corpo.

Si diresse alla porta e lo seguii zoppicando, afferrai la maniglia «Grazie per avermi aiutata...», gli rivolsi un sorriso timido che osservò minuziosamente, «Notte Bryan.»

Lo guardai sparire nelle scale con la giacca di pelle stretta in una mano.

Sbattei le spalle alla porta sentendomi triste, quasi incompleta. Avevo paura di potermi svegliare e non comprendere più me stessa, non riconoscermi più, smarrirmi come un cane abbandonato dal padrone o un lupo fuori dal branco.

Ma sapevo ne valesse la pena, perché con Bryan godevo di una sensazione senza eguali, sentivo solo il presente. Il resto era una spirale piena di fumo che si dileguava sotto la spinta dei nostri respiri vicini.

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