24
Ferma nel bel mezzo della strada non riuscii a credere ai miei occhi. Non poteva esser vero.
Era lei, la ragazza del disegno, bellissima e gigante. Prima di quel momento non avrei mai prestato così tanta attenzione ad un cartellone pubblicitario, quella enorme struttura era lì, grazie a... grazie a Bryan.
«Insomma ti levi dalle palle o no?»
Se un tizio volgare non avesse suonato il clacson della sua macchina così forte da farmi schizzare in aria non mi sarei mai resa conto di aver varcato il marciapiede.
Percorrendo velocissima la strada notai l'ennesimo cartellone spiaccicato sopra un murales rosso e nero. Guardare quel disegno così da vicino mi riempì gli occhi di sentimenti, agitazione, desiderio, attesa.
Entrai in agenzia con il cuore a mille, vidi Brenda posare le carte che reggeva sul bancone e sbattere le mani «Complimenti, eccezionale.»
Guardai alle mie spalle ma non c'era nessuno, stava dicendo proprio a me.
«Grazie», le risposi e avvicinandomi guardai il giornale sul banco, lo presi tra le mani e in alto a sinistra in prima pagina vi era il progetto con sotto i nomi tra i quali misi a fuoco immediatamente il mio.
Brenda mi porse una penna nera «Ecco a te, ti porterà fortuna» ammiccò per poi ricomporsi nel suo abito elegante.
Afferrai la penna ringraziandola, era la penna dell'agenzia sopra vi era scritto in corsivo bianco la sigla aziendale.
«È molto bella.»
«Sono di sopra, ti stanno aspettando» mi bisbigliò sorridendomi.
Feci le scale a chiocciola non sapendo cosa avrei trovato sopra. Stava diventando tutto gradualmente molto più grande di quanto potessi immaginare.
Quando arrivai al piano Carl mi tirò agitato per la mano senza salutarmi trascinandomi in una sala enorme. Era vestito tutto in rosso, era buffo fosse lo stesso rosso dei suoi occhiali squadrati.
«Micol ci sono proprio tutti, persino quel big shot di Majer ci teneva a venire.»
E presi atto con i miei stessi occhi che ci fossero proprio tutti, completamente tutti.
La sala era piena di gente ben vestita che dialogava confidenzialmente, al centro vi era un'enorme tavolo con sopra fazzoletti colorati, pasticcini di ogni gusto e forma, bottiglie di spumante, confetti e piccoli cappellini a cono con il marchio della BiöSunup. Robert Bruxe impeccabile nella sua camicia blu venne vicino e mi incastrò uno dei cappellini di carta dietro le orecchie «Questo aperitivo è soprattutto per te Micol» mi sorrise.
«Grazie Robert ma voi avete realizzato tutto questo.»
Non mi andava che mi riconoscessero il merito di un disegno che non era il mio. Mi faceva sentire sporca.
«Che fai lì impalata girl, possibile che devo fare tutto io?» Carl superò Robert guardandolo attentamente negli occhi e posò un braccio attorno alla mia schiena. Mi accompagnò accanto alla finestra della sala dove intravidi Majer, mi spinse poi a parlarci.
«Signorina Ward, che piacere averla qui in questo clima di festa, devo confidarle che se non avesse proposto questa magnifica idea avrei probabilmente receduto la collaborazione con la IASFOC.»
La sua camicia era così stretta da lasciare gli ultimi due bottoncini aprirsi sotto la pressione. Il signor Majer mi piaceva, era sicuramente cortese ma manteneva un atteggiamento di autorità al quale era difficile opporsi, e doveva esser senza dubbio un buon amante della cucina.
«Il piacere è tutto mio, lei è davvero molto gentile signor Majer, siamo noi ad essere onorati per questa collaborazione.»
«Il grande scrittore Mark Twain disse che "il segreto del successo è fare della propria vocazione il proprio divertimento", ed io e lei signorina ci divertiremo senz'altro cooperando» alzò allegro il suo bicchiere sottile di spumante portandoselo ai grossi baffi.
«Certamente signore, adoro la scrittura e condivido pienamente il pensiero. Se non le spiace vado a servirmi anche io da bere» lo congedai sorridendogli. Salutai tra tutte quelle persone Naomi e Fedor, erano accanto alla porta vicini, mi salutarono da lontano senza avvicinarsi.
«Prendi un pasticcino, hai una linea stupenda che sarà mai.»
Sorrisi a Carl notando che avesse sempre lo sguardo rivolto a Bruxe... presi un dolcetto al cioccolato, mi riempii poi il bicchiere di spumante, era incredibilmente dolce.
Scherzai tutto il tempo con Carl, si unirono in seguito anche Naomi e Fedor. Per quanto mi facessero ridere pensavo costantemente all'articolo sui giornali, al mio nome sotto al disegno, al liquido bianco nel bicchiere di cristallo, Bryan avrebbe sicuramente avuto un nome per definirne il colore.
Dovevo assolutamente chiedergli scusa, anche se ero certa avesse visto già la pubblicità se non sui giornali, per strada.
Strinsi il braccio di Carl costringendolo ad avvicinarsi in modo che nessuno ci sentisse «Carl devo andare, in caso dovessero chiedere di me di' loro che ho avuto un'urgenza.»
Mi guardò nervoso «Sei matta? Sei qui da pochissimo, ho organizzato questo aperitivo con tutto me stesso.»
«Carl mi farò perdonare promesso.»
Credetti se la fosse presa sul serio ma poi tornò a sorridere.
«Ok... a domani baby» mi diede due baci rapidi e uscii dalla sala percorrendo le scale in fretta. Non diedi possibilità a Brenda di chiedermi nulla anche se sapevo fosse riservata e non mi avrebbe chiesto nulla.
L'aria fuori mi faceva sentire libera, avevo in mente solo un pensiero fisso: raggiungere Bryan. Feci a piedi la strada formulando in mente cosa avrei potuto dirgli, quando fui vicina iniziai a sudare dall'eccitazione nel vederlo. Il mio corpo aveva delle reazioni che riuscivo a governare sempre meno.
Diedi due colpi per avvertire ed entrai. L'odore di pittura era così forte che strizzai gli occhi ripetutamente.
Bryan era intento a pulire diversi secchi, appena sentì i miei passi si voltò e mi guardò con aria indifferente.
Provai un'immensa difficoltà nel dover abbattere quella barriera di quiete nella quale sembrava essersi totalmente immerso.
«Senti Bryan» cominciai a dire.
La mia presenza non fece una piega, continuò indisturbato a fare quello che stava facendo senza proferire parola.
«Io devo dirti una cosa.»
Appena udì quella frase posò spazientito uno spazzolone sul tavolo davanti e si alzò.
«È la IASFOC dunque l'agenzia.»
«Io ti chiedo»
«Cosa? Sei venuta a chiedere scusa?»
Mi rivolse finalmente la sua attenzione ma padroneggiava bene quel suo lato caratteriale impenetrabile, di fatto il suo guardo altro non era che un muro tra noi.
«Quando lo hai preso? Quando sei stata qui?» la sua voce roca era piatta, ogni cosa che diceva aveva lo stesso tono. Ma non sembrava arrabbiato... peggio, era annoiato.
«No, ti è caduto al Joy un pomeriggio» confessai.
«È questo quello che fai nella vita? Fai tue le idee degli altri?» disse mentre si pulì le mani ad un panno.
«Non ti permetto di dire una cosa del genere. Tu non sai un bel niente di me.»
«Tu sapevi qualcosa di me prima di fottermi un disegno?»
Purtroppo no, pensai... perché iniziando a capirci qualcosa in più compresi tutta l'ingiustizia di quel gesto. Per assurdo la cosa che mi faceva più male era l'idea che lui mi vedesse come una bugiarda, perché ogni volta che ero con lui mi sentivo vera. E no, non era soltanto una sensazione, era una certezza.
«Non so neanche io perché l'abbia preso da sotto il tavolo al Joy, era stropicciato, pensavo fosse un disegno meno importante di altri. Scusa.»
«Sarebbe giusto denunciarti lo sai?»
Dilatai gli occhi stravolta dalle sue affermazioni, una parte di me avrebbe voluto avvicinarsi a lui ma l'altra parte era fissata con i chiodi sul posto presa a farsi trafiggere dalle sue parole.
«Senti io potrei insomma... pagarti.»
Gli venne da ridere «Era solo uno scarabocchio. Lo capisci che non basta chiedere scusa vero? Sono le azioni a fare una persona.»
I suoi toni freddi erano un pugno nello stomaco. Persi di nuovo le parole e fissai i suoi occhi scontrosi.
«Non pensavo avrebbe avuto questo successo in agenzia, io ero disperata... volevo solo ottenere questo lavoro e quel disegno era a terra ed era... bellissimo» spiegai gesticolando rassegnata.
Riprese ad ignorarmi, e la cosa mi condizionò, mi rattristai assurdamente.
«Bryan? Potresti dire qualcosa del tipo "ho capito"?» ma perché era così difficile avere un dialogo con lui?
«Ho capito, ora se hai finito dovrei lavorare.»
Mi stava cacciando?
Nervosa dai suoi soliti modi scorbutici e dalla sua insolenza mi girai per andarmene ma a metà strada pensai che a farmi arrivare da Bryan fosse stato il mio istinto, e non avrei smesso di seguirlo solo per la sua indifferenza.
Raggiunsi spedita le sue spalle.
«Lo sai che quando parli con una persona dovresti guardarla per educazione? O che ne so, rispetto?»
Si girò di scatto e fu così vicino che dovetti sollevare gli occhi per guardarlo.
«Sicura di voler parlare di rispetto?»
Chiusi gli occhi sforzandomi di non urlargli in faccia parole a caso dettate dal nervoso. Ma era impossibile non cedere con Bryan.
«Giusto, pensandoci bene sto pretendendo troppo da uno scostumato arrogante.»
«Se la metti così sei scostumata quanto me, solo che io non blatero parole a caso come una fottutissima pulce nell'orecchio.»
Sentii la rabbia sfondarmi le pareti dello stomaco, era una lotta quella che non avrebbe portato a niente... per quanto mi andasse di continuare ad insultarlo ammisi a me stessa l'errore che avevo commesso. Cambiai così strategia mostrandomi gentile, o perlomeno sforzandomi di esserlo.
«Va bene Bryan dimmi cosa posso fare per te.»
Piegò la testa di lato e constatai che la nostra vicinanza fosse quanto sarebbe servita per un bacio «Andartene.»
Mi spiazzò definitivamente, era davvero così stronzo.
«Non possiamo parlarne?»
Smise di ascoltarmi, prese i panni sporchi di vernice e i secchi puliti e li portò fuori il garage.
«Il Bryan incazzato è peggio di quello silenzioso.»
Riflettendoci in realtà quando era incazzato parlava tanto a dispetto di quando sbarrava la strada a chiunque con i suoi pensieri silenziosi, estraniandosi.
«Ma io non voglio andarmene così» dissi improvvisamente non credendoci neanche io.
«Come non detto» uscii fuori e lo superai guardando l'asfalto sotto ai miei piedi.
Dopo qualche attimo la mano di Bryan mi afferrò il manico della borsa facendomi ritornare indietro come una molla. Mi guardò per qualche secondo «Ah ora ho capito, vuoi stare con me», sorrise rendendo visibile quella naturale fossetta che tanto cercava di camuffare.
I miei occhi iniziarono a girare ovunque nel totale disagio. Con le sue dita fredde sfiorò il palmo della mia mano. Mi sentii così scema a sorridere per quel gesto.
«Micol che ci fai qua?» la voce di Anson mi raggelò sul posto.
Guardai Bryan non sapendo cosa fare.
«Deve aiutarmi con un lavoro», spiegò subito lui. Aiutarlo con cosa?
Sorrisi impacciata ad Anson e seguii entrambi dentro.
«Ho portato due birre» le posò sul tavolo e si tolse la giacca leggera.
«Come va Anson?» gli chiesi quando Bryan si allontanò per andare a prendere delle cose.
«Alla grande, tra poco forse meno visto che lo stronzo alle tue spalle dovrà perforarmi.»
Spalancai gli occhi non riuscendo ad intendere più nulla di quello che veniva detto.
«Deve completarmi il tatuaggio» mi spiegò vedendo la mia faccia smarrita.
«Ah figo» esclamai.
Posai la borsa sul divano e in piedi a braccia conserte osservai Bryan dare un sorso alla birra e aprire un piccolo lettino pieghevole. Mi chiesi dove trovassero posto nella stanza tutte quelle cose. Dopo averlo coperto con della carta bianca sistemò al suo lato una piccola macchinetta per tatuaggi che terminava con la stessa punta di una penna, un ago sottilissimo, quasi non visibile se non da vicino.
«Scusa Micol, ci sono problemi se tolgo il pantalone?»
«Non potevi mettere direttamente un pantaloncino brutto verme?» Bryan lo guardò seccato.
«Non sapevo ci fosse Micol coglione. Non penso non abbia mai visto dei boxer.»
Sentii gli occhi di entrambi posarsi su di me.
«Appunto. Anson non c'è alcun problema» risposi imbarazzandomi.
«Visto?» disse guardando male Bryan che invece era intento a fissare me rosso in viso.
Guardai altrove fingendomi distratta e Anson si tolse i pantaloni da un lato sedendosi sul lettino. Certo, non avevo visto tanti boxer, quelli di Ed sì ad esempio e poi... quelli di mio padre qualche volta. Quando non riusciva a cambiarsi da solo e aveva addosso vestiti impregnati di alcol aiutavo Uli a svestirlo.
Quando mi girai vidi Bryan lanciargli subito un panno umido esattamente su quel punto delicato «Copriti cazzone.»
I soprannomi che si davano peggioravano frase dopo frase, trattenni un ghigno guardandoli divertita.
Sul quadricipite di Anson vi era un'enorme maori che formava al centro una rosa. Era davvero bellissimo.
La macchinetta fece un rumorino elettrico e dopo aver avvicinato l'ago all'inchiostro nero iniziò a sfiorare la pelle di Anson.
Ogni tanto si lamentava dicendo parolacce, minacciando Bryan.
«È davvero bello Anson» provai a distrarlo.
Con i denti stretti mi ripose «Grazie Micol, mio fratello è il migliore» fece cenno a Bryan.
Ammiravo Bryan per il suo talento, il modo in cui controllava ogni suo movimento, sorrisi notando che stringeva gli occhi a fessura fino a creare delle leggere borse quando era concentrato. Aveva un neo proprio sotto l'occhio sinistro che spariva quando lo faceva. Poi li distendeva per guardarmi fuggevole.
«Piantala di guardarla e concentrati su di me cazzo.»
«Colpa mia, sono io che lo guardo» dissi e Bryan bloccò la macchinetta e incontrò i miei occhi «Cioè guardo la macchinetta» mi corressi subito.
Bryan pulì la pelle di Anson con della carta umida togliendo l'eccesso di inchiostro. Poi riprese a tatuarlo.
Mi spostai aggirandomi per la stanza. Ogni volta che volevo dire una cosa e mi guardava mi esprimevo male o peggio non mi esprimevo mangiandomi le parole.
«Il tuo continuo gironzolare mi sta facendo venire l'emicrania.»
Che razza di lunatico.
Sbruffai a Bryan e mi sedetti sul divanetto davanti a loro.
«Micol se sbaglia il tattoo darò la colpa a te sappilo» Anson aveva tutta l'aria d'esser serio.
«Anson se non dovessi aiutarlo non starei qui, credimi» lo guardai nervosa.
Era realmente così, oppure sarei finita comunque da lui come al solito?
«Non hai bisogno di rendere favori se ti comporti da persona grande.»
Come osava aprire i fuochi davanti ad Anson.
Aveva davvero una gran faccia tosta «Tu sei grande... ma un grande scostumato per cui forse è meglio rendere favori» gli sorrisi acidamente.
«Voi due mi date sempre l'impressione sia successo qualcosa che non so» disse Anson guardando preoccupato la gamba «Com'è che vi mandate frecciatine ma vi trovo sempre insieme?» rise.
Nessuno dei due rispose. Bryan alzò lo sguardo immediatamente su di me e scosse la testa facendomi diventare rossa.
Il rumore della macchinetta cessò e Bryan si alzò per ripulire la gamba di Anson.
«Finalmente, cazzo se è stato doloroso.»
Prese un barattolo di crema bianca densa e gliene spalmò una buona quantità sulla pelle arrossata, poi lo bendò intorno con un cerotto a pellicola.
Quando Anson si alzò dal lettino mi girai così da farlo rivestire senza alcun disagio, anche se dubitai lui ne avesse.
«Micol sto raggiungendo Brianna, se hai bisogno di un passaggio.»
Feci balzare gli occhi da Anson a Bryan titubante.
«Grazie Anson ma mi accompagna più tardi Bryan.»
Sorrise a lungo «Capisco» disse e guardò Bryan il quale era imbronciato.
«Finiscila di ridere come un coglione e vattene» scosse la testa togliendosi i guanti neri.
«Ci si vede Micol, torturalo finché riesci.»
«Ciao Anson» lo salutai e chiusi la saracinesca.
«Prendi anche iniziative ora?»
«Di solito la chiudi... Sei ancora arrabbiato con me per via del disegno?» dissi prendendo nelle mani un pennello spesso e piatto dal tavolo. Avvicinai le setole al viso per sentirne la morbidezza.
«Pensi di avere a che fare con un bambino?», venne vicino e prese il pennello che avevo tra le mani rimettendolo a posto, era veramente geloso maniacalmente degli attrezzi da pittura.
«Penso tu abbia capito come piccole cose diventano grandi conseguenze se si è sbadati.»
«O si è stronzi» lo guardai torva.
Lo seguii per tutta la stanza, in realtà ero solo ansiosa e mordere le pellicine ai lati delle unghie era diventato un atto terapeutico inefficace.
«Non hai visto i boxer di Calvin, vero?» balbettò contraendo la mascella.
«Non fa ridere Bryan.»
Si accese una sigaretta fra le labbra e mi guardò divertito.
«Allora che facciamo?»
«Mi aiuti con l'ultima tela.»
«D'accordo, dimmi cosa passarti.»
Mi diede le spalle e sistemò su un sostegno in legno chiaro davanti al divano un telone bianco, incastrando tra le fessure sottili diverse matite.
Recuperò da un armadietto il lenzuolo e lo estese lungo a terra.
«Non devi passarmi nulla. Sdraiati.»
«In che senso?»
«In tutti i sensi Micol, sdraiati a terra sul telo.»
Guardai il suo viso urtato e mi sedetti in silenzio sul lenzuolo freddo, mi coricai con la testa rivolta verso il tetto, i miei capelli lunghi ricaddero dappertutto su quella coperta nera. Era lo stesso lenzuolo frangiato di quando mangiammo la pizza una sera.
«Cosa dovrei fare esattamente, non mi verserai nulla addosso vero?»
«Bella idea», si piegò sulle gambe vicino al mio viso «Ma no, devi solo stare ferma e soprattutto zitta» ricalcò l'ultima parola.
Non riusciva proprio ad essere meno odioso.
Spense la sigaretta, si sedette sul divano e iniziò, supposi, a disegnare. Il suo insistere sul farmi restare immobile mi fece comprendere che avrei funto da manichino per un qualche quadro. Fissai il soffitto, non era esattamente niente di quello che mi sarei aspettata. Dopo qualche minuto gli feci un paio di domande su quello che stava facendo ma non rispose a nessuna di esse, anzi appena mi sentiva lamentarmi sospirava con stizza.
«Se ti stanchi dimmelo» disse a un certo punto.
«Sono stanca» sollevai la testa e lo guardai «Mi fai vedere tutte le altre tele della mostra?»
«Non se ne parla proprio.»
Lo guardai comprendendo che insistere mi avrebbe portata a perdere prima ancora di aprir bocca.
«Io sono pessima a disegnare.»
Sorrise lievemente.
«Tu quando hai capito che sarebbe stato il tuo lavoro?»
Si passò una mano tra i capelli e spostò lo sguardo dalla tela ai miei occhi.
«Ero svogliato a scuola ma non ero tonto, uscivo con tante ragazze ma pensavo continuamente all'arte. Da bambino suppongo...»
Ne parlava davvero come se ne fosse innamorato, con gli occhi patinati come se fosse la sua più grande ricchezza, il suo tesoro nascosto.
Ero totalmente imbambolata.
«E i tatuaggi?»
«Ho iniziato sulle strade, treni, muri, fogli, tele, disegnavo ovunque... poi da ragazzino provai a disegnare sulla pelle per la prima volta, su me stesso.»
«Sul serio? E cosa hai disegnato?»
«Due piccole spade incrociate.»
Guardai le sue braccia e il resto del corpo coperto dai vestiti.
«Non si vede... dovrei togliermi le mutande per vederlo.»
Lo guardai stupita «Hai un tattoo sul...» ero scioccata e sentii le guance calde dalla vergogna.
«No Micol, è sotto l'osso del bacino» ridacchiò fissandomi compiaciuto.
Sentii la bocca asciugarsi di colpo. I miei pensieri in quel momento furono tutto tranne che angelici. Non ero più in me.
Prima che potessi fagli un'altra domanda mi fece segno con una mano di sdraiarmi nuovamente.
«Ma hai detto» mi innervosii.
«Non sei stanca davvero vuoi solo curiosare come al solito» obiettò.
Sbruffai impaziente e mi distesi. Non seppi quanti minuti passarono, forse una ventina ma mi rassegnai e provai a rilassarmi. In realtà quell'aiuto non mi costò alcuna energia, ero sdraiata e poi il dover guardare al cielo mi permetteva di evitare il suo sguardo.
«Non credi di essere troppo categorico delle volte?» chiesi riflettendo sui suoi atteggiamenti arroganti.
«E poi non sai fare due cose contemporaneamente? Per parlare ti serve la bocca Bryan mica le mani!»
«Come non detto... una scimmia mi darebbe più risposte di te!»
Sentii lo sfregare della matita cessare e aprii gli occhi sollevando di poco la testa, Bryan stava raggiungendomi finché il suo viso non sfiorò il mio e i suoi occhi si unirono ai miei. Si teneva sollevato con le braccia ai lati della mia testa.
«Lo sai che mi stai fottendo la testa con tutte queste chiacchiere?»
Era leggermente rosso in viso e l'avrei sicuramente superato sotto l'effetto del fuoco dei suoi occhi.
«Potrei disegnarti a occhi chiusi Micol» disse tra l'angolo che congiungeva il mio orecchio al collo, lo bisbigliò quasi come se fosse un segreto, un pensiero scappato che mi fece sorridere interiormente e vergognare esteriormente.
Talmente intricate erano le mie sensazioni che non ragionai neanche sulle parole, semplicemente chiusi gli occhi con la paura che se li avessi aperti avrei fallito nel controllare le mie emozioni. Bastava chiudere gli occhi e sentire quel profumo per trasportarmi in un'altra dimensione, dove i problemi si smaterializzavano come pulviscolo, e l'ansia diventava placidezza, sentivo solo il batticuore divenire il sottofondo di quelle parole sospirate più leggere delle nuvole.
«Bryan» mormorai con un filo di voce quando posò la bocca su quel punto così delicato sfiorandomi la pelle con le labbra calde, gli circondai il collo con le braccia. In tutta risposta mi afferrò e si alzò di scatto, lanciai un urlo dalla paura, in confronto a lui ero davvero gracile quanto una pulce.
«Disegno finito?», la voce mi tremava tradendomi.
«No, ma per oggi basta così» mi fece scendere lasciandomi lentamente scivolare a terra.
Andai dritta alla tela ma mi bloccò afferrandomi per un braccio.
«Dai voglio vedere.»
«No» mi tirò indietro e mi sorpassò andando a capovolgere il disegno in modo da non essere più visibile. Sbruffai pensando a quanto fosse piacevole e poi subito scorbutico, dolce ma poi terribilmente intrattabile. Aveva repentini cambi di umore, erano tutte le fasi lunari in un pacchetto di nei e tatuaggi.
Prese il cellulare dal tavolo e si impensierì di colpo. Dopo un po' digitò qualcosa, lo mise giù rivolgendomi uno sguardo indecifrabile.
«Mi è venuta una certa fame stando ferma ore.»
«Ore? Ti sollevavi e lamentavi in continuazione.»
«Non è affatto vero.»
Lo aiutai a riordinare quella sala, era davvero più spaziosa di quel che sembrava messa in ordine. Era concentrato, assorto nei suoi pensieri, forse dietro quella apparente calma si nascondeva una testa affollata tanto quanto la mia.
Quando si avvicinò al tavolo prese da uno dei cassetti in basso una confezione verde di cartone porgendomela. Erano Kellogg's, perché aveva dei cereali nel magazzino dove lavorava?
«Cereali alla mela e cannella? Bryan sono i peggiori nella storia dei cereali» mi scappò un risolino.
«Semmai i migliori, provali, e poi hai contribuito al mercato di una caramella alla cannella.»
Mi sedetti sul divano con una gamba incastrata sotto l'altra. Venne a sedersi accanto a me.
«Bryan per quanto riguarda il disegno.»
«Lascia perdere Micol.»
«Avrei dovuto restituirtelo...E che tu ci creda o meno volevo dirtelo da giorni, anche quando sei venuto da me... su quei gradini. Ma» mi bloccai perché non c'era altro modo per dirgli che non avrei mai e poi mai voluto rovinare quel momento.
«Se ti ha aiutata a ottenere quel lavoro va bene così, non dire nient'altro.»
«Sono felice di aiutarti.»
Mi fece un sorriso per non farmi sentire a disagio, che condividesse quel gesto o meno lui era felice che avessi ottenuto un lavoro anche se questo fu reso possibile sfruttando un suo disegno.
Aprii la busta affamata e sentii l'odore avvicinandola al naso.
«E comunque quella caramella ha dei benefici, questi cereali sono disgustosi.»
Mi fece cenno con la testa di assaggiarli, così ne afferrai un pugno portandomeli alla bocca. Li masticai e sorrisi constatando che tutto sommato non fossero male.
«Ok pensavo peggio.»
«E?»
«E sono buoni» ammisi e mi guardò soddisfatto, ne prese un pugno anche lui.
«Quindi sei così in forma perché mangi Kellogg's alla mela?» scherzai e mi lanciò due cereali sul viso, mi coprii sghignazzando.
Continuai a mangiucchiare i cereali guardandolo negli occhi. Mi sentivo così spensierata, così sicura. Eppure stavo soltanto finendo una scatola di cereali sul divano di un magazzino che odorava di vernice.
«La pazienza, le felpe, il disegno, ora anche i cereali. Cos'altro vuoi fregarmi Micol?»
Il cuore. Per un secondo avrei voluto rispondere il cuore, quello gliel'avrei fregato volentieri per aprirlo e vedere cosa lo facesse sorridere e poi perdersi in pensieri.
Guardai quella fossetta e quel sorriso così insolito sul suo viso. Feci finta di pensarci, spostai la busta di cereali e mi spinsi tra le sue braccia lasciandolo sorpreso.
Mi diede un bacio impercettibile tra i capelli e lasciò andare le braccia per abbracciarmi. Crollammo allora un po' indietro. Sdraiati o seduti non avrebbe fatto la differenza, se non l'avessi abbracciato l'avrei fatto lo stesso con gli occhi, e lui lo avrebbe capito, era diventato il nostro linguaggio favorito.
Respiravo affannosamente, iniziai a chiedermi perché finiva sempre tutto in un abbraccio, proprio quando riuscivamo a dialogare come tutti gli altri piombavamo in un silenzio. Con Brianna non accadeva, neanche con Calvin, con nessuno in realtà. Allora, che amicizia era?
Era più importante di loro due?
No, probabilmente era la sensazione che mi faceva provare a differenziare il nostro rapporto da quello che avevo instaurato con gli altri. Questo spiegava il perché non avessi la stessa voglia di abbracciare gli altri.
Bryan spinse lentamente le mie spalle. Avvicinò una mano al mio viso e con il pollice mi sfiorò dolcemente le labbra, quella mossa mi fece accelerare il cuore.
Schiusi la bocca sotto quel tocco e gli diedi d'impulso un piccolo bacio rumoroso sul dito. Quando lo ritrasse lo sentii sospirare pesantemente, lasciò ricadere indietro la testa sulla spalliera del divano.
Si passò una mano sugli occhi e poi sulla fronte. Non mi guardava, al contrario chiuse gli occhi.
«Stai sperimentando gli effetti che hai su di me?»
Riflettei per qualche secondo «Perché, ho effetti su di te?» gli chiesi sentendo il respiro mancarmi.
«Forse, qualcuno» affermò.
«Forse tu anche su di me, qualcuno.» sorrisi.
«Del tipo?» continuava a mantenere quell'espressione combattuta.
«Sono con te ed è come se non avessi mai avuto una vita delle volte, o perlomeno come se non avessi più addosso il peso di alcune cose che ho vissuto.»
Spostò la mano che gli copriva la fronte e aprì gli occhi, era nervoso, mi fissò in silenzio poggiato su una mano dietro la nuca.
Mi avvicinai a lui salendo di poco e lo stesso fece lui sistemandosi più vicino a me.
«Non ti fai male spaccandotele così?» gli chiesi guardandogli le labbra rosse.
«La finisci di avvicinarti?» mi stroncò con la sua voce più rauca e scontrosa del solito.
«Sei tu che ti sei avvicinato a me.»
In realtà quando ci avvicinavamo l'uno all'altro i nostri corpi si appiccicavano involontariamente.
I nostri nasi si sfiorarono e sentii un caldo rovente ovunque.
«Il modo in cui cambi umore è divertente» lo sfidai tenendo la lingua tra i denti per non ridere.
Guardò immobile le mie labbra «Ma pericoloso... non credo di avere più un briciolo di mente.»
Sorrisi e chinai la testa per non farmi vedere quasi emozionata da quelle parole.
«Prima mi provochi e poi ti vergogni?»
Sollevai la testa «Che? Non ti ho provocato e non mi vergogno.»
Sorrise «Allora perché hai smesso di guardarmi?»
«Perché mi dai fastidio.»
«Stai iniziando a migliorare con le bugie», mi scostò una ciocca di capelli dal viso.
Il resto del tempo lo passammo a guardarci, ogni dettaglio, ogni battito di ciglio. Ogni tanto toccava i miei capelli guardandoli attorcigliarsi alle sue dita.
Non potei che notare quel tatuaggio sul suo dito quando l'anello che lo copriva era leggermente scivolato.
«Non mi accompagni?» chiesi quando realizzai di non sapere che ore fossero, quando realizzai che Lara era sempre con lui.
«Io non ho mai detto che ti avrei accompagnata.»
«Che cavolo dici, sono rimasta per aiutarti così da ricambiare il favore. Si che lo hai detto.»
«No, lo hai detto tu ad Anson.»
«Bryan per favore. Non è il momento di fare lo stronzo» dissi alzandomi per recuperare la mia borsa.
Fatemi sapere nei commenti cosa credete accadrà nel prossimo capitolo 🙈
Grazie di cuore per la pazienza, sono felicissima🖤
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