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22

Nel bel mezzo di una crisi isterica lo sentii ridacchiare senza farsi notare mentre mi chinai per togliermi le scarpe.
«Se continui a ridere giuro che ti spalmo tutto il fango che ho addosso in faccia.»
«Ok ma potresti darti una mossa? Ci stiamo allagando. Se vuoi aiuto», fece per voltarsi.
«No e no Bryan» urlai.

Non mi andava proprio di lasciare scoperte le gambe ma non avevo altra scelta, sembrava abbastanza convinto di non farmi salire in auto in quelle condizioni.

Nervosamente abbassai i pantaloni, ero rassegnata e ancor più preoccupata potesse passare qualche auto ma ne considerai subito l'impossibilità visto l'orario. La pioggia fredda cadde inevitabilmente anche sulle mie gambe: le odiavo, odiavo quella cicatrice sopra al ginocchio, odiavo quella lacerazione più piccola alla caviglia, odiavo dovermi sempre preoccupare di mostrarmi.

Infilai la felpa nera e cercai sotto quella pioggia incontrollata di far salire la zip verso l'alto quando mi resi conto che Bryan era davanti a me e mi stava squadrando minuziosamente. Trasalii e la strinsi addosso coprendomi, lasciandola sganciata così com'era.
«Dai a me, la metto nel cofano» disse riferendosi alla tuta bagnata, gliela porsi attenta a non far aprire la felpa.
Misi le sneaker velocemente senza allacciarle e salii in macchina facendo sbattere offesa lo sportello.

Sperai con tutta me stessa che non avesse fatto in tempo a sbirciare oltre.
Entrò in macchina, si tirò i capelli indietro e si girò a guardarmi.
Picchiettai nervosamente le dita sulle gambe, per fortuna la felpa oversize di Bryan mi copriva fino alle ginocchia, mi sentivo esattamente un sacchetto dell'immondizia.
La busta da lettera segnata di blu era ancora nel tiretto davanti al sedile, sigillata. Quale persona sulla terra non aprirebbe una lettera timbrata? Ovvio, Bryan.

A riparo nell'auto i colpi dell'acquazzone arrivarono attutiti, contrastavano il silenzio sommesso che regnava tra noi.
«Che c'è?» chiesi infine mordicchiando il bordo di una manica per l'imbarazzo. Sapevo mi stesse guardando, lo avvertivo, ma temevo di girarmi e averne la conferma.

Solo quando le vidi bagnate mi resi conto di quanto folte fossero le sua ciglia e quanto lunghi fossero in realtà i suoi capelli.
Afferrò la manica lunga, che stringevo tra le labbra, con una mano scostandola dal mio viso.
«Vuoi sbarazzarti così della mia felpa?»
«Scusa» dissi bloccata vergognandomi.
«Ah ma allora il rosso è proprio il tuo colore», sorrise.
Lo guardai sgomenta e stavolta sentii da sola guance, mento, naso, collo andare a fuoco.
Distolsi lo sguardo «Potrebbe diventare rossore di rabbia, ti avverto»
Avevo brividi per tutto il corpo, ma nonostante il sedile in pelle fosse gelido ero consapevole la pelle d'oca non fosse dovuta al freddo.

Quella cascata di acqua che cadeva sul parabrezza era diventata insignificante, avrebbe potuto spaccare i vetri e capovolgere la macchina, io sarei rimasta a guardare quegli occhi nocciola, i più profondi che abbia mai incontrato.

«Non parti?» sussurrai quando iniziai a sentire la difficoltà nell'avere i suoi occhi puntati su di me. Si schiarì la voce «Ho paura di sbandare», si tenne la testa fra le mani.
«Ma se aspettiamo forse faremo accumulare ancora più acqua sulla strada.»
«Fidati l'acqua è il mio ultimo problema» disse guardandomi le cosce scoperte.

Quando compresi il significato di quell'espressione abbassai immediatamente gli occhi sulle mie gambe evitando ogni suo cenno, tuttavia gli angoli delle labbra mi si incurvarono in un sorrisetto automatico. Da quando apprezzamenti del genere mi facevano piacere? Dovevo esser sicuramente uscita fuori di testa.
Girò piano la chiave facendo partire la macchina.

«Ma ora dove andiamo?»
«Sono quasi le cinque del mattino», mise l'indice della mano libera dal volante sul labbro inferiore «Ti porto a casa.»
Guidava estremamente lento, era la scelta più ardua viste le fosse colme di acqua sulla strada.
Forse non riuscivo ad ammettere a me stessa che avrei voluto passare ancora del tempo con lui... anche soltanto rimanendo in silenzio come in quel momento. Silenzio che sfasciai ben prima del previsto.

«Come facevi a sapere il mio cognome? Non ricordo di averlo mai detto»
«Brianna e poi... lo hai scritto su ogni libro» disse lui facendomi intimidire per quel mio gesto infantile e per il fatto che l'avesse notato.
Mentre lo osservavo guidare immerso nei suoi pensieri ripensai a tutte le follie accadute in così poche ore.
«Bryan ci hai pensato a quanto è stato terribilmente pericoloso tutto?»
Si girò a guardarmi «Pericoloso ma divertente.»
«Ma che fai guarda avanti»
Per la prima volta mi ascoltò senza fare facce strane riportando l'attenzione sulla strada vacante davanti a se.

«Bene, vado... dove mi trovavo prima che un delinquente mi espropriasse per una rapina improvvisata e rischiosa» dissi con ironia una volta giunti sotto casa fissando i suoi capelli ancora bagnati arricciati sulle punte.
«Ti accompagno», scese dall'auto e non feci in tempo a dirgli che sarei salita senza problemi da sola a casa.
Misi il cappuccio della felpa e corsi arrivando al portone per fortuna aperto, in realtà era il più delle volte aperto e questo spiegò perfettamente in che modo pericoli come Bryan riuscivano ad entrare a qualsiasi ora.

Spinsi con foga la maniglia e lo feci entrare per primo in quanto reggeva in mano l'oggetto misterioso che prese nell'enorme villa. Salii silenziosamente le scale, questa volta Bryan le salì ad una ad una al mio fianco.

Tra un gradino e l'altro mi voltavo a guardarlo, il suo viso era in tensione, credevo stesse pensando a qualcosa ma se non avesse parlato non avrei fatto domande.

Dalla tasca della felpa tirai fuori le chiavi e aprii la porta, gli feci cenno di entrare.
Temevo fosse salito per chiedermi come mi fossi procurata quella lunga cicatrice, era quasi impossibile non l'avesse vista, ma realizzai subito con grande sollievo che non mi chiese nulla... era come se avesse avvertito sarebbe stata una mossa intrusiva nei miei confronti.

Mi avvicinai spontaneamente per toccargli i capelli bagnati ma nell'avvicinare il braccio lo ritrassi subito «Vuoi asciugarti?»
Scosse la testa.
«Vuoi qualcosa da bere? Una spremuta di arance?»
Ripetè il movimento della testa scuotendola «Sto bene così, grazie.»

Accesi le lampade accanto al divano dopo aver riposto i libri sotto al televisore mi sedetti.
Bryan si avvicinò pigramente e si sedette accanto a me.
«Quello?» dissi indicando il telo nero sotto al suo braccio.
Me lo porse «È tuo.»

Sgranai stupita gli occhi pensando alla serata trascorsa, quell'intrusione per prendere un oggetto che era... mio?
Lo presi piano dalle sue mani e lo tastai fissandolo, era rigido.
Fece cenno con gli occhi di scoprirlo, così feci lentamente scorrere il telo nero.

E quelle onde abissali trasportate da una tortuosa schiuma bianca impresse in una tela fredda mi fecero battere il cuore all'impazzata. La bocca mi si spalancò di colpo per quanto inaspettate fossero le mie sensazioni. Guardai immediatamente negli occhi Bryan, fui spinta da qualcosa di interiore ignota ma grande, immensa al punto da farmi crollare. Senza pensarci seguii quella sensazione e mi gettai addosso a Bryan abbracciandolo tremolante. Poggiai la testa sulla sua spalla e chiusi gli occhi, non dissi nulla. Non appena gli piombai addosso Bryan mi circondò con le braccia, eravamo bagnati di pioggia e i miei capelli umidi ricaddero pesanti sulla sua maglia ma nessuno dei due disse niente. Ero emozionata, ero sconvolta, e stavo paurosamente bene.

«Grazie» dissi e le parole lasciarono la mia bocca come un soffio, impercettibili, ma dense di quella stessa emozione che mi aveva portata a buttarmi fra le sue braccia.
«Perché lo hai fatto?»
Bryan prese le mie braccia strette attorno ai suoi fianchi e mi spostò guardandomi negli occhi.
Prendeva fiato come se volesse dirmi qualcosa ma poi liberava l'aria trattenuta come se fosse bloccato o intimorito dal parlarmi.
«Che c'è?» gli chiesi sorridente.

«Micol chi è Muzi?»
La sua domanda arrivò alle mie orecchie come un eco lontano. Era davanti a me ma i miei occhi stavano per ricoprirsi di lacrime e la sua immagine diveniva sempre più sfocata.

"Se decidi di andare, ricorda di portare con te te stessa" mi disse ma io avrei voluto portare con me lui, nonno.
Le sue mani grandi che mi coprivano le guance non avrebbero mai terminato di rassicurarmi e di farmi sentire Micol per quella che realmente era.

Bryan apriva e chiudeva la bocca come se stesse cercando in fondo a qualche realtà sconcertante le parole per chiedermi scusa. Sentii poi il suo braccio scuotermi le spalle e la sua mano sfiorarmi il collo. I suoi gesti delle volte erano così uguali ai suoi, così simili. Ma poi cambiava, si irrigidiva d'un colpo avvicinandosi ad un altro uomo, questa volta insensibile.

«Tu come fai a... pormi questa domanda?» sussurrai.
Mi guardava senza rispondermi, la mia reazione aveva senza dubbi contribuito a frenarlo.
«Su dimmelo Bryan», cambiai tono di voce tentando di rassicurarlo.
«Quando ti sei addormentata sul divano in garage parlavi di acqua fredda e di onde... avevi degli spasmi»
«Continua»
«Mi sono avvicinato a te e ti ho messo un braccio attorno per tranquillizzarti, tu hai ricambiato abbracciandomi più forte... chiamandomi Muzi.»

L'ansia fece spazio all'imbarazzo, ero imbarazzata di aver rivelato inconsciamente una parte di me così intima a lui, ancor più di averlo abbracciato e stretto forte. Rimasi impietrita, nella posizione di chi avrebbe voluto spiegarsi ma non l'avrebbe potuto fare nel modo giusto.

«È il tuo ragazzo o un tuo ex?»
Scossi la testa e sospirai rassegnata dal fatto che avrei dovuto rispondere con sincerità perché nonno non meritava che mentissi su di lui mai con nessuno.

«Scusa per essermi addormentata, io non dormivo bene da qualche giorno. Non è un mio ex, è mio nonno. Ero legata a lui in un modo inspiegabile, era l'uomo più importante della mia vita», con l'indice mi asciugai una lacrima «Era la mia tana segreta, i miei occhi quando non riuscivo a vedere, il mio cuore quando non riuscivo a sentire, il mio unico genitore. Mi amava senza volermi diversa, e quando stavo male c'erano sempre le sue favole portoghesi... adoravo quella della "Borboleta que muda de cor", una farfalla che cambiava colore in base al suo umore. Lui diceva fossi io», sorrisi amaramente.

Bryan smise di guardarmi negli occhi e sorrise debolmente quando gli dissi della favola della farfalla cambia colore.
«Non avrei mai voluto farti piangere, perdonami io non...»
Lo interruppi «Tranquillo, non ho problemi a parlarne... e non ho più lacrime, credo di averle finite quando è morto. Io ho sofferto così tanto da pensare di non uscirne più»
Bryan sollevò lo sguardo e con forza prese il mio braccio attirandomi a se ed io non mostrai resistenza posandomi delicatamente sulla maglia profumata, nonostante la pioggia l'avesse bagnata, di muschio.

«Sai perché ci tenevo molto a questo quadro? Avevo sognato nonno Muzi entrare in un mare agitato e poi per qualche scherzo del destino ho visto quella tela nel tuo garage esattamente il giorno dopo.»
«Ora è tua Micol», mi disse con voce tremolante «So quanto sia difficile rimettere a posto la propria vita, so anche che non esiste vita o morte se ami davvero... Guardarti piangere è l'ultima cosa che avrei voluto mai» l'aria che tirò fuori dalla bocca con pesantezza mi rivelò quanto gli fossero costate quelle parole in quel momento. Pensai che non fosse abituato a questo genere di situazioni.

Si staccò da quell'abbraccio e si mise una mano tra i capelli mossi, si alzò all'improvviso. Lo guardai attonita da quelle ammissioni che aveva faticato a tirare fuori.
Si piegò e mi accarezzò i capelli bagnati scostandoli «L'ultima volta che ho mentito con te è quando ti dissi giorni fa che non era importante!»
Si diresse alla porta e dopo esser rimasto immobile qualche istante davanti ad essa uscì, senza dire altro.
Mi addormentai felice sul divano fissando quel mare sconfinato, increspato, sporco di ricordi.

***

«A che pensi con quella faccia stralunata?»
Brianna divorava una busta di patatine sul mio divano e mi osservava con aria investigativa.
Recuperai dalla camera il quadro del mare e glielo mostrai.
«Si certo è bellissimo, dove lo appenderai?»
Sgranai gli occhi incredula della sua ingenuità «Brianna!!»
Spalancò subito dopo la bocca «Oh merda, è di Bryan. Dico, è di Bryan?»
«Si» , bloccai un sorriso tra i denti perché la mia aria felice era già abbastanza ridicola.

«E per quale motivo ce l'hai tu?», il suo sconcerto non aveva prezzo.
«Ecco mi piaceva perché ricordava un sogno che avevo fatto, ha pensato di regalarmelo», gli evitai tutta la storia da spie in missione.
Posò sgarbatamente il pacco di patatine sul cuscino accanto succhiandosi il sale su un dito alla volta.

«Questo sì che è strano!»
«Perché?», balbettai.
«Beh perché lui non regala i suoi quadri... neanche ad Anson ne ha mai regalato uno di sua volontà» gesticolò per evidenziarne l'assurdità, poi assunse un'espressione dispiaciuta e mi guardò «E poi stasera ci riuniremo al Joy e lui ha detto agli altri che è con Lara e che dunque non sa se passerà.»

Il disagio di Brianna era anche respirabile «Non vedo cosa ci sia di strano, siamo soltanto amici. È stato un favore darmi il quadro perché ne ero pazza e a lui invece non piaceva.»

Brianna aveva finito le sue parole, e quando le finiva lei allora c'era da essere seri, molto seri.
«Si lo so, ero solo stupita... tutto qua. Allora che metterai per andare a "lavoro"» mimò le virgolette ridendo di quella novità, cambiando totalmente discorso.
«Non vorrei essere troppo elegante ma neanche troppo eccentrica... non lo so» dissi disperata. Ero stanca e avevo perso la cognizione del tempo, dimenticandomi che fosse mercoledì, ero diventata un disastro e non me n'ero neanche accorta.

«Jeans e camicia bianca ovviamente» mi guardò Brianna.
«Si giusto» annuii credendo che fosse la scelta più giusta. Brianna si alzò.
«Te ne vai già?» dissi nel panico.
«Certo, ti comporti e muovi come una pazza e poi ho un pavimento da pulire», disse con aria fiera a braccia conserte. Era decisamente ossessionata da quel pavimento, ma tutte le volte che provavo a dirglielo scatenava una guerra dicendo che prima o poi avrebbe fatto luccicare anche il mio e solo allora avrei capito quanto fosse gratificante camminarci sopra imitando ogni volta i passi di un astronauta.

Gli sorrisi pensando a quanto assurde fossero le sue teorie e la vidi lasciare casa. Se Uli l'avesse conosciuta ne sarebbe andata pazza, Brianna viveva in un mondo puramente suo, fatto di regole strambe ma in quella sua stramberia faceva stare bene chiunque godesse della sua compagnia.

Mentre infilai la camicia diedi velocemente due morsi al mio solito ordinario toast bruciacchiato, i primi tempi rivolgevo parolacce al tostapane aggredendolo come lo si fa con una persona. Ma poi mi rassegnai e iniziai a convivere con la mia sbadataggine.

Rimuginai su quanto avvenuto. Io e Bryan stavamo diventando buoni amici, mi piaceva passare del tempo con lui quindi chiaro che la mia testa sbattesse regolarmente sulle sue parole. Sì delle volte era capitato di avvicinarci... molto. Ma niente che non fosse amicizia, lui non avrebbe mai potuto interessarsi a me in altro modo, era impegnato e Brianna mi aveva dato l'ulteriore conferma. Ignorarlo o evitarlo dopo quanto successo sarebbe stato un gesto degno di una bambina.

Con queste convinzioni dopo una tragica meditazione mi vestii, lisciai i capelli facendoli ricadere morbidi sulla schiena e misi ai piedi i sandali col tacco.
Uscii di casa e raggiunsi dopo una camminata infinita la vetrata della IASFOC. Sarebbe andato tutto bene, uscii di casa apposta un'ora prima per essere cinque minuti in anticipo, avrei raggiunto subito dopo gli altri al Joy e tutto sarebbe filato liscio. Certo avrei dovuto tranquillizzarmi perché l'agitazione che sentivo dentro era imparagonabile a qualsiasi altra cosa.

Mi controllai l'alito soffiandomi in una mano ed entrai.
«Ciao, tu se non ricordo male sei»
«Carl» intervenne anticipandomi, i suoi occhiali rossi erano davvero alquanto grandi rispetto al suo viso minuto e spigoloso.
«Io sono»
«Micol, mi ricordo ovviamente» mi anticipò per la seconda volta.
«Sai dove posso trovare»
«Bruxe. Certo, ti accompagno io da Robert», questo suo interrompermi iniziò a infastidirmi, mi avrebbe fatto finire una frase nell'arco della giornata oppure no?

«Non aver timore, sono sicuro ti sentirai come a casa» mi sorrise.
Finora non mi ero sentita mai a "casa", forse non conoscevo neanche il significato di quell'espressione... già forse. No e no. Cancellai dalla mente l'abbraccio di Bryan e sospirai. Il profumo di quello scostumato mi stava dando anche le allucinazioni? Cos'era, un intruglio stregato forse?

«Mi piacciono i tuoi capelli, sono di un miele eccezionale, you shine baby»
Lo guardai e risi, era davvero un tipo piuttosto espansivo.
Dopo aver percorso l'infinita scala a chiocciola Robert Bruxe spalancò le braccia «Micol che piacere rivederti» mi abbracciò posandomi due baci di saluto sulle guance.
«Anche per me Robert, sono così felice di iniziare.»
«Vedo che hai già parlato con Carl», lo guardò e vidi Carl irrigidirsi immediatamente sotto al suo sguardo, respirare pesantemente, divenne paonazzo. Trattenni un sorriso per quella sua reazione bizzarra.

«Prima di iniziare e farti conoscere gli altri, ho una notizia da darti» fece cenno a me e Carl di seguirlo e ci condusse nuovamente nell'atrio principale.
Riconobbi, passando dal bancone all'entrata, la donna bionda platino sempre elegantissima «Salve Brenda» dissi ricordandone il nome. Lei mi guardò meravigliata ma non andò oltre un sorriso.

Robert e Carl si girarono sincronizzati a fissarmi ancora più meravigliati di Brenda. Forse dovevo essere meno socievole pensai per assurdo.
«Pronta Micol?»
«Pronta per cosa?»
Robert aprì la porta di una stanza vuota con al centro un cavalletto nero che reggeva un enorme cartellone. Era la gigantografia del mio progetto reso a colori. La ragazza con un vaso di fiori al posto della testa era ancora più bella e realistica. Una perfetta linea simmetrica divideva il disegno a due e al di sopra della linea c'era il simbolo del marchio biologico sul quale avevo lavorato.

«Oh mio Dio» esclamai scandendo bene ogni parola.
Carl sbatté entusiasta le mani.
«La tua idea ha emozionato e convinto oltre che Majer, tutta la BiöSunup. Sono felicissimi di avere questa rappresentazione per il loro marchio e allora abbiamo affrettato le cose lavorando sodo. Stasera uscirà ufficialmente sui giornali e magazine di nostro contatto e da domani Micol, i cartelloni pubblicitari di San Diego porteranno questa tua magnifica idea»
«Cosa?» mi sentivo così emozionata, agitata dall'idea di aver raggiunto tutto questo con un disegno di... Bryan. Persi l'entusiasmo pensando a come avessi recuperato quel disegno meraviglioso.

«Beh Micol non ti nascondo che poche volte è accaduto che in così poco tempo risolvessimo un contratto garantendoci il primo posto nei cartelloni pubblicitari, ma la tua idea... è stata eccezionale, la storia di Cloride e poi il disegno. Tu hai talento, e potresti essere la stella nascente di questa agenzia.»
«Te l'ho detto... you shine girl» disse Carl strappandomi il sorriso che mi era morto prima in viso.

«Non so cosa dire, sono agitatissima ed emozionata»
«Non dire niente, risparmia le parole per quando vorranno incontrarti gli amministratori e collaboratori delle migliori agenzie di San Diego» ero incantata dall'euforia che caratterizzava le parole di Robert. Era davvero affascinante con i suoi occhiali specchiati e la sua camicia aderente, sapeva fare bene il suo... questo lo dedussi dal fatto che mi avesse in pochi minuti trascinata in un'energia positiva senza fine.

«Carl falle conoscere gli altri due vincitori della competizione!»
Giusto, ricordai quel dettaglio sulla competizione che avevo dimenticato per tutte le vicende che erano accadute in quei giorni, Bryan. Bryan? Si, Bryan.
«Vieni ape regina ti faccio conoscere gli altri», guardai per l'ultima volta la ragazza del disegno.

Carl mi tirò per un braccio «Dai svelta non ho mica tutta la giornata my girl»
«Scusa» scoppiai in una risata compulsiva, presumibilmente dettata dalla mia confusione in quel momento.
Risalimmo le scale a chiocciola, farlo con quei tacchi era come sfidare una qualche sorte soprannaturale.

In una stanza, la centesima porta che avessi visto, c'erano due ragazzi che dialogavano.
«Sono gli»
«Gli altri che hanno vinto e che lavoreranno con noi» rispose Carl.
Sbruffai comprendendo che avrei dovuto abituarmi a quel suo modo di precedermi interrompendomi qualsiasi cosa dicessi.
«Ciao io sono Naomi» una ragazza alta dalle labbra gonfissime mi diede una mano che strinsi «Micol»
«Io Fedor» si presentò il ragazzo al suo fianco, un tipo molto muscoloso, quando mi diede la mano i muscoli saldi si tesero ancor di più lasciandomi assolutamente impressionata.
«Mi piace il suo accento francese. Dici che chi si allena così tanto sviluppa anche "quel" muscolo?» mi sussurrò Carl nell'orecchio.
«Carl ma che dici», ridacchiai.
«È una domanda lecita, certo resterà un secret» mi fece un'occhiolino esuberante.
«Domani per l'uscita della pubblicità faremo un brillante aperitivo tutti insieme, ho avuto io questa brilliant idea»

«Complimenti Micol ho ammirato molto il tuo progetto»
«Grazie sei gentilissima» risposi a Naomi.
«Ok stars, passiamo alle cose improntati. La mattina alle 8:30 puntuali. Martedì e giovedì rientro con pausa pranzo e si riparte operativi alle 14:30. Il venerdì il direttore Kolligan verifica il procedere delle attività per cui cercate di venire un po' prima, è un tipo molto... puntiglioso. Il sabato è tutto vostro, sarà giorno libero. Domande?»
«Che genere di» iniziai a dire.
«Attività? Tranquilla lo capirai presto, un passo alla volta, step by step. Altro?»
Naomi e Fedor scossero la testa e lo stesso feci io.
«Perfetto a domani, bye bye» uscì dalla porta sparendo, ma poi riapparve improvvisamente spalancandola rumorosamente «Lo so avrete pensato che uscita di scena strepitosa, è che sono molto impegnato, sono come il ghost che vaga per l'agenzia perciò vi terrò sempre d'occhio. Intrigante vero?» richiuse la porta sbattendola e questa volta andò via davvero lasciandoci assolutamente sconvolti.

Scoppiammo a ridere e ci incamminammo verso l'atrio per lasciare l'agenzia, il modo in cui era arredato mi faceva perdere sempre le parole, era tutto magnifico, lampadari, tavolini, i quadri che decoravano le pareti, tutto.
«A domani Brenda» la salutai e sollevò il mento sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Salutai anche gli altri che andarono per la loro strada.

Il cielo era oramai buio, le mie giornate sarebbero cambiate radicalmente. Stavo per iniziare qualcosa di così grande e bello ma non mi sentivo pienamente felice. Avrei dovuto dire a Bryan del disegno... o magari non lo avrebbe ricordato neanche.
Il cellulare vibrò, era Brianna, mi aveva lasciato una decina di messaggi. Aprii quelli recenti per leggerli:

"Che poi, quanto è bello camminare scalza su un pavimento così"
"Dove sei????"
"Mmmmmicol"
"Ci sei?? Stiamo andando al Joy chiama"

Mi facevano male i sandali ma lentamente mi avviai camminando sotto le larghe palme che attorniavano i marciapiedi, composi il numero e la chiamai per avvisarla.

"Arriverò tra un po', sono appena uscita e ho i sandali quindi avrò il passo di una lumaca"
"Ok mando Calvin a recuperarti."
"Cosa? No Brianna non c'è bisogno"
Non sentì la mia ultima frase perché mi riattaccò in faccia.

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