18
Bloccata dalla sua vicinanza, dalla serietà del suo sguardo, dalla frase che le sue labbra avevano appena pronunciato me ne stetti lì ferma con le spalle al muro quasi incapace di rispondere.
Contrasse la mascella che si tese irrigidendogli ogni linea sul suo volto, ma non era duro, era un viso nostalgico reso inflessibile solo dopo tanta esercitazione, o forse abitudine.
«Senti stavo soltanto andando in bagno, non ho sentito nulla.»
Si allontanò dal mio corpo dandomi le spalle e tornando nel salotto.
Una cosa era chiara: Bryan non avrebbe voluto in alcun modo esser sentito.
Ed io mi chiesi se quelle parole fossero indirizzate a Lara, mi chiesi il perché non avesse mai il volto sereno come tutti gli altri.
Lo sentii, dallo stretto corridoio, dire qualcosa agli altri, seguì poi il rumore della porta sbattere.
Tornai lucida e andai in soggiorno ma Bryan era chiaramente appena andato via.
«Donzella la stavo cercando» sorrise Calvin fasciandomi le spalle con il suo braccio muscoloso.
«Ma insomma la lasci in pace?» urlò Brianna lanciandogli un cuscino in pieno volto dal divano.
«Anche quando scopate è così aggressiva?»
«Calvin se mi alzo ti fucilo sul posto» rispose Anson guardando Brianna e afferrandole il polso per placarla, prima che diventasse una belva scagliandogli addosso qualcosa di più pesante di un cuscino.
Calvin scoppiò a ridere e ne approfittai per svincolarmi dal suo abbraccio.
«Ragazzi io vado sono davvero stanca sfinita» annunciai.
«Donzella se vuole posso venire a rimboccarle le coperte» disse Calvin sfoderando un sorriso carico di lussuria, gli diedi un colpetto sul braccio ridendo del suo tentativo di avvicinarsi ulteriormente a me.
«Micol scappa da questo pervertito, sempre che non si presenti nei tuoi incubi» disse Brianna facendo ridere tutti quanti, compreso Anson che mi fece un occhiolino.
Calvin mi seguì fino alla porta serio in viso
«A domani Micol» restai immobile quando si avvicinò posandomi un bacio fermo sulla guancia.
Uscii e chiusi la porta scendendo velocissima le scale. Camminai sul marciapiede guardandomi intorno e lo vidi in lontananza sbloccare le portiere della sua macchina.
Camminai frettolosamente tenendomi le braccia strette al corpo per l'umidità di mezza stagione che si percepiva fuori.
«Bryan aspetta» urlai aumentando la velocità dei miei passi prima che entrasse in macchina.
Il perché di certe azioni non lo sapremo mai. Sono dominate da una parte di noi celata, coperta da strati e strati di pelle. Non c'è un vero senso, un motivo immoto, le fai perché "ti va". Perché ne hai bisogno, perché non puoi farne a meno anche se senti che stai sbagliando, che non è la cosa giusta da fare e che avrà delle ripercussioni non solo su di te.
E senza rendermene conto salii sulla sua jeep nera, regolarizzando il ritmo dei miei battiti accelerati e il mio respiro intermittente.
Seduto sul sedile non disse niente, mi guardò soltanto con gli occhi stretti in due fessure che scrutavano ogni mio cambio di espressione ed ogni mia azione.
«Mi ha detto Brianna che sapeva mi avresti raccontato tutto» dissi «Lo hai fatto per rispetto, lo so. Abbiamo parlato e lei era davvero tranquilla sapendolo, grazie a te!»
Parlavo da sola arrivando a sentirmi una perfetta idiota.
Alzò una mano per farmi stoppare «Che stai facendo Micol?» la sua domanda fu una lancia spezzata tra le mie tante parole.
Non seppi cosa rispondere, per qualche assurda ragione mi spiazzava ogni volta che mi domandava qualcosa lasciandomi impietrita ed io odiavo l'effetto che avevano su di me le sue parole.
Mi limitai ad alzare le spalle non conoscendo in fondo neanche io il reale motivo per il quale fossi entrata nella sua auto seguendolo. Bryan tolse aria dalla bocca sospirando in segno di arresa e senza dire altro, senza aspettarsi nulla, diede gas alla macchina facendola partire.
«Dove stavi andando?» gli chiesi dopo che percorse un bel pò di strada.
«Ottima giornata, mi mancava soltanto la pulce in macchina» scosse la testa.
Mi sentii pienamente inopportuna, odiavo sentirmi fuori luogo... e inevitabilmente pensai quanto forse non fossi gradita, benaccetta, inoltre mi aveva considerata da subito invadente e questo lo aveva esternato ripetutamente.
Cercai nel mio subisso di insicurezze il coraggio di parlargli «Perfetto allora vorrei scendere»
Quel mezzo sorriso che faceva disintegrava i miei nervi, non mi prendeva sul serio...mai.
«Ora, voglio scendere Bryan!» dissi duramente alzando la voce.
Bryan frenò di colpo la macchina guardandomi nervoso, ma non mi intimoriva per nulla quel suo atteggiamento di stizza.
Non sentendolo replicare in alcun modo slacciai la cintura e scesi improvvisamente, incrociai le mani al petto camminando senza torcermi.
«Scostumato lunatico» dissi ad alta voce e la sua macchina mi superò rapida.
Non potevo crederci mi avesse realmente lasciata in mezzo al nulla. Quale razza di persona il giorno prima dice parole significanti e il giorno seguente si comporta in modo brusco?
Feci pochi passi quando una macchina rallentò e i suoi fari mi illuminarono ma continuai a camminare impaurita «Complimenti per il fondoschiena bambolina» disse una voce dal finestrino e mi sforzai per non rivolgergli il minimo sguardo. Strinsi ancora più forti le braccia al petto per cercare di accovacciarmi il più possibile.
Maledii la mia arroganza e l'idea che mi venne di salire sulla fottuta jeep di quel disertore.
«Cerchi passaggio bambolina?» continuò a parlarmi quando persi le staffe e mi girai mostrandogli un dito medio con tutta la foga che possedevo in corpo.
«Uuuh ti piacciono le cose violente non è vero?»
«Si aspetta di vedere come ti rompo il culo coglione» la voce di Bryan mi fece barcollare e per poco non persi i sensi.
Non avevo notato, abbagliata dall'intensa luce dei fari, la sua macchina che affiancò quella dello squilibrato che vidi accelerare fino a scomparire completamente sulla strada.
Bryan spinse la portiera e risalii in silenzio in macchina sospirando ancora tramortita per la preoccupazione trattenuta.
Bryan nervoso guardava in avanti, lasciando un braccio libero fuori il finestrino.
Osservai tutto il tempo fuori immobile quasi mortificata. Se non fosse arrivato Bryan, se quello squilibrato fosse sceso, provai a immaginare cosa sarebbe potuto accadere. Una forte tristezza si prese tutto di me, lasciandomi inchiodata a guardare attraverso il vetro di quel finestrino gli alberi che oscillavano nello scolorito cielo del tardo pomeriggio.
«Non è successo nulla Micol» disse poi cogliendomi di sorpresa, cercava di rassicurarmi ma non mi smossi dalla mia posizione.
«Appena sei scesa lo scostumato è corso a fare il giro per venirti a riprendere» disse... facendomi sorridere tra me e me.
Per tutto il tragitto tenni la lingua fra i denti mettendocela tutta per non proferire parola.
Il cellulare di Bryan squillò almeno cinque volte ma non rispose mai a nessuna delle chiamate mantenendo lo sguardo saldo sulla strada. Accostò vicino il suo garage che riconobbi dai graffiti bianchi.
Quando scesi dalla macchina, avvicinandomi al magazzino tinteggiato di bombolette, fui incantata da un gatto grasso dal pelo striato grigio tortora, due occhi verde smeraldo fisso in un angolo di quella stradina. Si mise sulla difensiva dilatando le pupille, le orecchie puntate all'indietro. Quando mi avvicinai lentamente emise un lieve miagolio, feci un verso con la bocca tentando di tranquillizzarlo e mi piegai sulle ginocchia per accarezzagli il pelo ma prontamente il gatto si drizzò alzando una zampa e graffiandomi il viso.
Mi alzai di scatto toccandomi il viso emettendo un piccolo grido di spavento, non c'era sangue ma il forte bruciore mi dava una sensazione fastidiosa.
Bryan venne davanti a me, guardando profondamente i miei occhi sbarrati dal panico.
Posò una mano sulla mia guancia sfiorandola con le nocche, il freddo metallico dell'anello incastrato al suo dito raggelò la mia pelle.
«Senti male?» mi chiese con toni preoccupati.
«No no»
«Come ti viene in mente di accarezzare un gatto randagio?»
I suoi occhi duri mi facevano perdere le parole, erano due pietre preziose che gli coloravano il viso niveo donandogli una calura trasmissibile al solo sguardo.
«Quel micio era così grosso...e poi tenero...e poi» ad ogni aggettivo che usciva dalla mia bocca gli occhi di Bryan si allargavano sempre più come se fosse totalmente incredulo e questo mise a freno la mia lingua all'istante.
«Rilassati Bryan è solo il graffio di un gatto»
«Rilassarmi? Se ti avesse preso in pieno occhio?»
Era realmente incazzato?
«Allora? Non ti sei mai fermato ad accarezzare un'animale?» dissi guardandolo seccata, lo sorpassai dandogli una spallata ed entrai, piegando la testa, nel garage.
Le luci erano spente e il buio fondo non mi consentiva di distinguere nulla nella stanza, iniziai a camminare tentennante.
«Bryan la luce» gli dissi ma sentii solo il rumore della saracinesca abbassarsi. Mi guardai a destra e poi a sinistra schiudendo gli occhi cercando di vedere oltre quel nero effuso, così porsi le mani in avanti pronta a toccare qualche oggetto che avrei incontrato.
Si avvallarono nella mente mille flashback, il buio di quei momenti in cui eravamo solo io e le mie cicatrici a muoverci come ombre fino a diventare un'enorme massa tenebrosa, ed io scappavo da quello scantinato maledetto addossandomi un senso di colpa che diventava sempre più grande.
Ad un certo punto li sentii, i suoi passi avvicinarsi, quell'odore di muschio speziato diffondersi e il mio respiro accorciarsi lestamente.
«Bryan allora? Quanto ci vuole ad accendere la luce?» gli chiesi quando iniziai ad avvertire un senso di ansia crescere in me.
Non appena avvertii la sua presenza esattamente dietro di me indietreggiai per voltarmi, quando la mia schiena premette contro il suo corpo e mi aggrappai spaventata di istinto al suo braccio cingendolo forte con entrambe le mani.
Bryan mise l'altro braccio dietro la mia schiena reggendomi, sentii la sua mano grande fredda sulla pelle per via del tessuto leggero della camicia.
«Cos'è? Hai paura del buio?» la sua voce era tetra, le sue labbra poco distanti dal mio viso.
«Certo che no.»
Sguazzavano sempre i suoi occhi, anche nel buio più totale la loro lucidità fletteva nell'opacità delle mie iridi.
«Allora non dovrebbe essere un problema... Micol» pronunciò il mio nome alla fine quasi sussurrandolo.
Si staccò dalla mia presa e lo sentii camminare nella direzione opposta.
«Non è divertente» dissi ma nell'esatto istante sollevò il bottone del piccolo interruttore elettrico accanto alla porta.
Bryan si tolse la giacca di pelle buttandola sul divano nella stanza e indossò sulla t-shirt una felpa blu col cappuccio. Subito dopo si soffermò a guardare la mia camicia bianca.
«Qui è molto... umido, se hai freddo»
«No» risposi bloccandolo, non volevo mi dasse un'altra felpa sua avendone già una da restituirgli.
«Fumi?» gli chiesi prendendo in mano il pacchetto di Marlboro rosse sul tavolo e scuotendolo leggermente constatando se fosse vuoto o integro. Bryan non rispose così mi voltai a guardarlo «Allora?» insistetti.
«Delle volte, per nervosismo»
«Quindi non è un vizio» obiettai.
Scosse la testa.
Edward odiava il fumo, e lo odiava profondamente commiserando chiunque perdesse un solo secondo della sua vita ad accendersi una sigaretta tra le labbra.
Ricordo un giorno gliene rubai una, ero con Ed fuori il negozio della signora Temper, lui era preso dal telefono ed io allungai la mano portandomi la sigaretta tra le labbra, girai la rotella dell'accendino verso il basso e feci un lungo tiro. Volevo testare cosa si provasse, cosa provava. Cosa sentiva quando si annullava e stringeva tra le mani la sua sigaretta, cadere per pochi secondi in quel burrone infelice. Volevo sentirmela a fondo, volevo mi bruciasse il petto fino a riempirmi i polmoni. Fu esattamente come mi aspettavo... insoddisfacente. Era così, nulla mi avrebbe mai fatto sentire simile a lui nemmeno la sua sigaretta, forse volevo soltanto vedere fin dove si spingessero i mali di un uomo consumato dai suoi stessi.
Ed si infuriò immediatamente togliendomela dalla bocca e gettandola per strada.
«E a cosa è dovuto il tuo nervosismo?»
«Che razza di domanda è questa»
«Io mi innervosisco quando dimentico i toast e li brucio ad esempio, cosa ti fa innervosire per poi fumare?» lasciai cadere dalla mano il pacchetto di sigarette che si capovolse sbattendo sul tavolo.
Bryan si avvicinò con tutta la prepotenza della sua altezza, senza distogliere gli occhi dai miei allungò una mano dietro di me e con gesto estremamente abile sfilò dal pacchetto una sigaretta ed il clipper accendendosela tra le labbra carnose ma incredibilmente secche che non potei far altro che guardare vista la corta distanza che ci separava l'un l'altro.
Lento si accostò a pochi centimetri dal mio viso «Ad esempio le tue domande Micol» disse cacciando il fumo con un soffio appena sopra al mio orecchio «O il fatto che hai sfidato un depravato su una strada deserta»
A quelle parole sussurranti intensi brividi percorsero la mia schiena risalendo lungo la colonna vertebrale perlustrandone ogni interstizio.
«Fumare per il nervosismo significa essere deboli» mi dileguai da quella trappola che era la sua vicinanza e incrociai le braccia al petto fronteggiandolo. Per un attimo mi guardò sgranando i suoi occhi grandi del colore della sabbia.
«Avere paura del buio no?»
«Scherzi? Non ho paura del buio, ho soltanto paura di camminarci e farmi male inciampando.»
Alzò un sopracciglio senza controbattere, l'aria di chi si rifiuta di credere a qualcosa.
«Non credi mai a niente?» gli chiesi ma continuò a fissarmi impassibile.
«Okay parlare con te è improbabile quanto snervante» conclusi facendo una smorfia e camminando dandogli brutalmente le spalle scocciata, la sua segretezza m'indispettiva ma al contempo mi incuriosiva e le mie reazioni erano inevitabili, talvolta ingestibili.
«Cosa resta di un uomo se lo privi delle sue debolezze?»
Mi girai e lo guardai cercando di decifrare le sue espressioni, in realtà lo facevo ogni volta che parlava per cogliere qualche dettaglio in più, per dare peso alle poche parole che gli uscivano dalla bocca.
«Fai mille domande e se poi ne faccio una a te non rispondi?»
Avevo passato anni interi a chiedermelo. A domandarmi come sarebbe stata la mia vita senza quelle debolezze, le stesse che spingevano mio padre a provare quell'odio pieno, senza riserve. Ed ero senza riposta, senza fiato. Bryan riusciva ad entrarmi dentro con le parole, con i suoi pensieri. Mi portava a farmi domande su domande scavando dentro me stessa. Lo trovavo profondo e intelligente ed io ero attratta dalla sua mente come un magnete.
«Non lo so Bryan, è tutta la vita che cerco di capirlo» confidai con voce impercettibile.
Nessuno dei due parlò per i seguenti cinque minuti.
«Non mi piacciono le persone che fanno troppe domande... anche quando non ce n'è il bisogno» feci un sorriso furbo tagliando a due quel momento teso come corde di un violino.
«Questa frase l'ho detta io»
«Apprendo velocemente»
Lo vidi accennare un sorrisetto contenuto da quelle fossette modellate imperfette sul suo viso perfetto.
Mandai giù il groppo di saliva formatosi per quella tensione di sguardi che ci scagliavamo addosso senza tregua.
Mi muovevo tra le tele scoperte ammirando ogni disegno, soffermandomi a guardarli uno per uno con totale stupefazione, ma mi accorsi che ne mancava uno.
«Dov'è finito il quadro del mare agitato?»
Mi piaceva guardare quel quadro, era bellissimo e così vero che mi sembrava di buttarmici dentro fino a sentire sul mio corpo l'acqua trepida delle onde.
Mi girai ad osservarlo per farmi dare una risposta.
«L'ho dato via»
Mi rabbuiai, avrei voluto guardarlo ancora e rivivere l'immagine di mio nonno seduto su quella riva prima di entrare sicuro tra quello sbattere irrequieto delle onde.
«A chi?»
«Ad un signore Micol, che importa?»
«A me importava... era davvero bellissimo, il mio preferito tutto qua.»
Bryan si era seduto sul divanetto e aveva la testa piegata di lato, i capelli seguirono il movimento della testa e sulla fronte aggrottata si fecero strada due piccole vene in rilievo.
Ed io lo guardai e pensai che forse per lui quel quadro significava ben poco perché il vero mare lo aveva nella testa.
Avrei pagato per conoscere i suoi pensieri in quel momento.
«Perché sei venuto da Brianna per poi andartene quasi subito?»
«Non dovevo venire qui, avevo altri impegni, ma una pulce è entrata nella mia macchina. Il seguito lo sappiamo bene» soffiò il fumo dalla bocca, tenendo stretta la sigaretta tra le dita.
Socchiusi gli occhi dalla rabbia, era davvero insolente. Il suo modo di esser pacato anche quando era nervoso era scioccante, quell'atteggiamento controllato poteva solo appartenere a chi ci aveva lavorato su sopra per lungo tempo.
«Mi dispiace se ho guastato la tua super serata, volevo soltanto parlare»
Alzò lo sguardo fissandomi, mandai avanti i capelli reggendo con fatica l'imbarazzo, sorrise distendendo totalmente la bocca.
«Sono così ridicola per te?» gli chiesi stanca.
Ma ciò che mi rendeva ancora più stanca era la sua totale indifferenza, non rispondeva a nulla di ciò che dicevo.
«Non trovi che non rispondere mai faccia di te uno stronzo scostumato?» dissi non contendendo più i nervi tesi.
Bryan non riuscendo più a trattenere il sorriso sogghignò. Spense la sigaretta in una sorta di tazzone in ceramica e si alzò scattante avvicinandosi a me.
«Quando ti arrabbi così avrei tante idee su come fare lo scostumato Micol» disse con le labbra leggermente distanti dalle mie, posando lo sguardo sul mio petto che si alzava ed abbassava frenetico ad una velocità incredibile.
Quella tensione vibrava ad una tale intensità da attutire ogni mio senso... tranne la vista, i miei occhi non perdevano mai i suoi, li seguivano con brama.
Il tempo che intercorreva tra i nostri occhi incrociati diveniva futile, qualcosa che non aveva avuto inizio e non avrebbe conosciuto fine poiché inesistente.
«Pensiero effimero Bryan»
«Come gli sguardi che fai a Calvin Micol»
Spalancai gli occhi quando reagì a quella provocazione lasciandomi sbigottita.
«Più che effimeri direi voluti» marcai bene l'ultima parola mantenendo toni provocatori.
Bryan strinse le labbra fra i denti scuotendo la testa e poi superarmi.
Prese uno sgabello e lo tirò fino a posizionarsi davanti ad una piccola tela bianca su un cavalletto in legno. Raccolse da un cassettino una spugna e una tavolozza sulla quale distese un colore scuro, rosso vino.
«È amaranto?»
«È rosso Falun»
«Rosso che?»
«Il nome è per le miniere di rame di Falun, in Svezia lo usano per verniciare le case in legno... una casa rossa Falun è simbolo di rifugio, quel posto dove sai di poter tornare sempre... dove senti di essere salvo, al sicuro»
Alzò gli occhi per constatare se lo stessi ascoltando «In base all'ossidazione ne decidiamo l'intensità, se lo preferiamo più chiaro o più scuro»
«E cosa farai con questo colore?»
«Qualsiasi cosa ne esca fuori»
Lo ascoltavo imbambolata, attraversata da una qualche magia che le sue spiegazioni disperdevano, come polvere sottile che si insinuava in ogni foro del mio corpo.
«Quando quel tizio si è fermato con la macchina penso di esser stata rosso Falun dentro» dissi ridacchiando.
«I miei occhi diventano rosso Falun molte volte Micol»
«Per rabbia?»
«No... tutt'altro» fece una pausa «Per impotenza»
Impotenza davanti a cosa?
Non domandai nulla, provai a riflettere sul significato di quella frase.
Prese la spugna e la immerse nel colore vivido iniziando a chiazzare la tela. Il contrasto del colore forte sulla purezza della tela era un piacere per gli occhi stessi che mi avevano abbandonata già da un pezzo, già da quando vidi i suoi rigonfi di dolcezza nel muovere quella spugna, nel fare ciò che ama.
Mi spostai prendendo una sedia e mi sedetti accanto a lui.
«Posso provare?»
Mi guardò, stupito totalmente da quella mia richiesta, con sguardo serio e mi lasciò prendere la spugna dalle sue mani, le mie dita sfiorarono le sue e lo guardai totalmente incerta su come muoverla.
Bryan percepì il mio disorientamento e mise la sua mano sulla mia sporcando la tela con la vernice impregnata nella spugna.
Seguii il movimento della sua mano, era incredibilmente rilassante, quasi compresi la leggerezza che traeva da un gesto così semplice.
Sorrisi felice e Bryan guardò il mio sorriso poi imitandomi.
Lasciai poi che continuasse solo guardando tutto il tempo i suoi movimenti decisi e le volte in cui aspettava indeciso su come procedere.
Il tempo si sminuzzò in quella stanza scivolando via fatale.
Sbadigliai stanca, reduce dalla lunga giornata trascorsa. Mi avvolsi tra le braccia infreddolita, nonostante la stanchezza avrei potuto guardarlo dipingere per ore senza stancarmi mai.
Senza rendermene conto piegai la testa di lato appoggiandola sulla sua spalla robusta. Lui non si fermò, continuò a dare colore a quello sfondo bianco. Il suo profumo si fondeva con l'odore della vernice in una miscela perfetta che inalai subito.
Quando si voltò piano fummo distanti millimetri forse, riuscivo a percepire il suo respiro basso appena sul mio viso. I suoi occhi dall'alto brillavano cristallini, mi guardavano combattuti, confusi credo, certo brillavano tersi.
Ancorai le mani al suo braccio annodandole strettamente e diedi fiato a un altro sbadiglio.
Lasciai che gli occhi si chiudessero, perdendomi in quelle linee rosse simili a grovigli di gigli, gocce di sangue, stormi di pettirossi, una luna rossa.
Era poetico, magico, travolgente.
E mi lasciai andare, galleggiai tra quelle parole e tra quei silenzi immensi sentendomi bene, persino felice forse.
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