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14

«Bryan?» lo tirai per un braccio costringendolo a girarsi e guardarmi.
«Puoi venire un secondo fuori?»
«No ora no» rispose freddo, mi ignorò e tornò a parlare con i suoi amici.
Gli tirai di nuovo un braccio.
«Bryan» insistetti ma con scarsi risultati così gli diedi un forte pizzicotto da lasciargli il segno.
Si girò di scatto «Aaaa, sei matta?» si lamentò.
«Allora?» gli chiesi alquanto infastidita.
«Ragazzi voi continuate pure» disse agli amici.

Gli feci segno di seguirmi senza guardarlo.
«Ma che cavolo ti prende?» disse irritato.
«Non mi calcolavi di striscio mentre cercavo di dirti una cosa» gli spiegai camminando tra le persone e lui, dietro, cercava di stare al mio passo.
«Ti ha dato fastidio che io non ti abbia calcolata?» disse sarcastico «Ero impegnato Micol.» aggiunse.
«A fare lo spaccone? Beh sei riuscito a fare lo scostumato» gli dissi.
Bryan si fermò, poi mi afferrò forte per il polso obbligandomi a voltarmi e guardarlo. 
«Vuoi che te lo ripeta guardandoti negli occhi? Non ho problemi sai?» lo sfidai.
Bryan sorrise «Io invece ho una marea di problemi a parlarti guardandoti negli occhi» disse poi facendosi serio e alternando l'attenzione dai miei occhi alle mie labbra.
Cosa volevano dire quelle parole?

«Sai quanto potrei essere scostumato agendo senza pensarci troppo? Ma, siccome non lo sono, mi trattengo nel fare tante cose e altrettanto a dirle» disse accigliato.
Non mi diede il tempo di replicare che mi trascinò fuori dalla casa per un braccio, esattamente nel giardinetto che la circondava.

Ci guardammo negli occhi attenti a non imbrogliare distraendoli. Gli occhi di Bryan non erano più gli stessi di prima. Avevano abbandonato il confronto diventando così rumorosi da poterli quasi sentire, oltre che addosso, dentro. E lui... beh lui era così bello.

«Dimmi di Brianna!» gli dissi, ostinata questa volta ad andare fino in fondo.
Bryan mise scattante una mano sulla mia bocca avvicinandosi a me «Non qui» disse guardandosi con nervosismo attorno.
«Parliamone da un'altra parte» aggiunse, lasciando andare la mano dalla mia bocca.
Riflettei per qualche secondo «Ok dove?» gli chiesi stizzita.
«Purché non inizi con le domande Micol!» mi avvertì e mi indicò col capo di stargli dietro.

Superammo il giardino della casa di Anson, saltata una piccola siepe ci ritrovammo sulla strada principale. Bryan mi afferrò rapido la mano per attraversare. Fu inesorabile pensare alla stessa mano sulla mia in macchina la sera prima e il pensiero mi fece sorridere.

Dopo aver camminato una manciata di minuti in assoluto silenzio mi condusse in un viottolo che terminava con una piccola recinzione.
«Aspetta un momento» disse e prese un aggeggio metallico sottile, quanto un piccolo gancio, dalla tasca dei jeans. Fece passare la mano attraverso uno dei buchi più grandi della rete e giocherellò con la fessura chiusa finché con uno scatto irruente non aprì il cancello.
Sorrise soddisfatto «Vieni» mi porse la mano e l'afferrai seguendolo per quel sentiero, limitato da un mucchio di sterpi, che finiva in una piccola spiaggia abbandonata.

Davanti a me la città si specchiava sul mare rendendolo una tavola apparecchiata di sogni. Potevo udire il rumore delle onde che arrivavano alla riva e il vocio della gente... gente che torna, che va, che litiga, che scappa, che urla, che corre.

Bryan mi stava osservando compiaciuto «Bello vero?» mi chiese guardando quello smisurato spettacolo davanti a noi. Non lasciò in nessun momento la mia mano.
«Come hai trovato questo posto?» dissi stupefatta.
«Ci sono venuto una volta con una persona importante per me e da quel momento non ho più smesso di tornarci» disse lui ed io pensai immediatamente a quegli occhi chiari e quelle labbra rosse.
«Lara?» gli domandai.
Bryan restò fisso a guardare il mare.
«No Micol, non ero con lei!» rispose.
Spontaneamente sorrisi e Bryan girò pian piano gli occhi verso di me.
«Che hai da ridere?» disse.
trasalii rendendomene conto. Cercai di tornare seria ma Bryan ridacchiò.
«Delle volte sei davvero bizzarra!» esclamò e si sedette a terra sulla sabbia.

Lo guardai dall'alto e poi lo imitai sedendomi a terra, facendo un solco nella sabbia fredda.
«Ti stavi divertendo dentro?» mi chiese.
«Potrei dirti di sì e sarebbe una bugia» gli risposi sincera.
«Ti ho vista con Calvin, che avete così tanto da dirvi?» disse aggrottando le sopracciglia scettico.
«È molto gentile con me!» risposi. Non comprendevo il motivo di quella sua indiscrezione.
Bryan sospirò a fondo «Non credo proprio possa fare per te» disse poi stringendo fra i denti le labbra. Non avevo intenzione di tenermi dentro le mie opinioni e poi la birra che avevo per metà bevuto mi rese particolarmente verace e sicura.
«Neanche io credo Lara faccia per te, eppure» gli dissi.
«Eppure cosa?» rispose Bryan guardandomi divertito.
«Eppure stringevi la sua mano» dissi con toni quasi di disprezzo, disgustata dal racconto di Brianna sull'intrigo amoroso tra Lara e Calvin.
Scosse la testa «Non è come sembra e non c'entra nulla Lara adesso!» rispose.
«Infatti, c'entra Brianna, cosa non so di lei? Perché non era più li?» gli domandai finalmente lasciando perdere la sua anomala relazione con Miss Fasulla.

«Prima posso sapere perché diventi improvvisamente isterica da un momento all'altro?» mi chiese risentito.
Non seppi che rispondere. Era vero, qualcosa mi rendeva irritabile quella sera.
«Aspetta, non sarà Lara il motivo del nervoso?» mi chiese poi scherzoso.
«Cosa?» dissi spalancando la bocca, scuotendo poi la testa per fargli capire quanto fosse una stupidaggine quel pensiero. Bryan scoppiò a ridere.
«Senti se non vuoi rispondermi posso benissimo andarmene» gli risposi alzandomi da terra e togliendo, agitando forte le mani, la sabbia rimasta attaccata sulla gonna di jeans. Bryan osservò dal basso lentamente le mie gambe alzando poi gli occhi, fece uno scatto e si alzò prendendomi per la mano.
«Tu non vai da nessuna parte!» disse serio bloccandomi. Quella lucentezza nei suoi occhi la vidi soltanto una volta, proprio nel garage quando mangiammo la pizza sotto la quietudine della pioggia.

«Resta... risponderò alle tue domande, ti dirò di Brianna» disse poi facendomi sedere di nuovo sulla terra esattamente vicino a lui.
Sospirai tra me e me notando quanto ancora le mie convinzioni diventassero vane davanti alla limpidezza di quelle iridi avana.

«Okay parla pure» gli risposi.
«La famiglia di Brianna era una delle famiglie più ricche e lussureggianti del paese. Chiunque sapeva quanto fossero cospicui gli investimenti dei Thorne e le loro case costruttrici sparse fruttavano fior di quattrini e davano lavoro a chi era rimasto in giro senza nulla nella sacca della giacca» disse con occhi tersi «Finché un giorno persero tutto, fino all'ultimo centesimo... compreso l'amore.»
«L'amore?» gli chiesi confusa più di quanto mi aspettassi.
«Si, la madre chiese il divorzio e, ottenuto l'affidamento della figlia, lasciò Brianna in un collegio convitto. Il padre poco tempo dopo fu trovato appeso ad una corda in una delle riserve di famiglia» disse Bryan guardandomi per cercare di cogliere i miei sentimenti in quel momento.

Ero così sbalordita e turbata che le mie parole non riuscirono ad articolare nulla di sensato, lasciandomi pietrificata dinanzi ad un racconto tutt'altro che idilliaco.

«Dopo mesi bussarono alla porta due giovani, la scelsero in mezzo a tanti bambini e l'amarono come una figlia. Ma Brianna aveva subito un trauma a causa dell'abbandono dai suoi» continuò «La forte solitudine la cambiò per sempre...» la voce di Bryan era tremante e provata allo stesso tempo.

«In che senso la cambiò?» gli chiesi non capendo perfettamente cosa intendesse dire.
«Brianna ha un grave disturbo ciclico dell'umore. Ai tempi della scuola le dissero che non c'era alcun problema... che era semplicemente dovuto alla sua crescita ormonale. Delle volte è serena e va tutto per il verso giusto ma questo accade per poco, poi diventa irascibile, subentra uno strano senso di colpa in lei...e si abbandona alla sua apatia, urla offese, compie gesti autolesionisti.» confidò.
«Dio... e tutto questo a causa del dolore subito?» gli domandai assediata da uno sconforto del tutto familiare.
«Già» rispose secco Bryan.
«E i medici in tutto ciò? Cosa dicono? Non c'è un qualche rimedio?» dissi e sentii nel mio cuore qualcosa di insopportabile tarare la tortura che io stessa mi ero afflitta negli anni. Ma che ne sapeva la gente della solitudine, della violenza, delle fitte al costato, del respiro bloccato in gola.
«Prendeva degli stabilizzanti dell'umore ma negli ultimi tempi sembra essersi rassegnata e rifiuta ogni tipo di aiuto.» disse Bryan.

Quella parola mi fece venire il respiro sibilante. Quanto tempo serve per alleviare il dolore e quanto ne deve passare affinché questo ristagni e guarisca. Intorno a me non più una spiaggia ma una valle offuscata dai ricordi così potente da isolarmi da tutto. C'era la paura di ricordare, ed era tanta. Si insinuava nella mia anima e non mi lasciava stare. La paura benda i nostri occhi con un fazzoletto di stoffa ricamato da noi stessi. Ma come faceva ad essere così grande da oscurare tutto ciò. Tutto ciò che di positivo e bello abbiamo attorno.

«Micol mi senti??» disse ad alta voce Bryan alzandomi il mento.
Scendevo negli abissi di me stessa e salivo nuovamente al presente con la stessa velocità di un disco in vinile posizionato in un giradischi.
«Scusa... io ero, non capisco, non so che dire» dissi e delle lacrime frigide riempirono i miei occhi.

«Perché piangi?» mi chiese assolutamente preoccupato.
Volevo dimostrare che non stavo piangendo ma il tono nasale della mia voce mi tradì.
«Tu non piangi mai Bryan?» gli domandai e seguì una pausa estremamente lunga. Bryan non era con me, era altrove, si era spostato in tutt'altra dimensione.

«È che tutte le cose belle appassiscono, vengono prosciugate con ingiustizia» dissi    prima di un singulto profondo.
Bryan stette per parlare ma lo bloccai.
«In passato anche la mia solitudine rischiava di diventare una condizione psicologica e le persone parlano continuamente, pungono come vespe. La gente non sa cosa si prova a stare dall'altro lato. Dalla parte di chi ha sofferto, di chi nasconde i propri sentimenti e il dolore per non vedere nei loro volti quell'espressione, la stessa, sempre quella.» dissi tutto d'un fiato alzandomi in piedi. Fui sorpresa di me stessa, ero riuscita per la prima volta a parlare del mio malessere.

Bryan si alzò scattante.
«Basta!» disse debolmente. Si avvicinò a me e fummo fronte contro fronte, occhi negli occhi. Spostò i capelli dal mio viso e con lentezza prese una mia mano e se la portò al petto, proprio sul cuore.
Sentivo il ticchettio del suo batticuore e dovetti concentrarmi per restare in equilibrio e non cadere.

«Guardami Micol» disse serio.
Sollevai lo sguardo dalla mia mano sulla sua felpa ai suoi occhi.
«Pensi che tutto possa cambiare in fretta? Le parole lasciano sempre il fottuto tempo che trovano e chi ha sempre vissuto in superficie non sa quanto è dura sprofondare. Ma piangere non serve a nulla ed io questo l'ho capito quando ho trovato la voglia di farcela.»
Le parole di Bryan come eparina rallentavano l'addensare delle mie paure.
«Ma guardati intorno...ora siamo qui, senza la gente che punge, sotto un cielo che urla. E tu sei così buona e sensibile... ed io non so che diavolo mi succede ma se tu piangi mi viene un groppo al cuore e non riesco a controllarlo» mi disse con immensa autenticità. Respirò sommessamente e avvertii tutta la sua difficoltà nel dirmi quelle parole.
Non riuscii più a sopravvivere a quella tensione, poggiai la testa sul suo petto e lo cinsi con le braccia, quella stretta come rifugio mise a freno le mie lacrime.
Dopo qualche attimo anche Bryan strinse le braccia dietro la mia schiena, posò il mento nei miei capelli.
«Grazie Bryan» gli dissi a bassa voce. Non rispose e non si mosse da quella posizione.
Era surreale quanto facessero leva le sue parole sul mio umore. Non importava se Bryan fosse quasi sempre indifferente e freddo, certe volte avanzava in punta di piedi in quella distanza che lo separava dal resto riempendo ogni mio centimetro di pelle.

«Vorrei tanto un milkshake adesso» gli dissi ridendo forte, smorzando amaramente quell'abbraccio che mi collegava a lui.
Sorrise e allungò la sua mano che afferrai prima di seguirlo e lasciare quel piccolo Eden di sabbia e illimitato mare.

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