A Hurricane For Christmas (pt.1)
1. Here I Stand
Auto e taxi sfrecciavano a tutta velocità alla sua destra, mentre a pochi metri più avanti un bus rosso si avvicinava a passo d'uomo alla sua fermata. Uomini d'affari camminavano a passo svelto sul marciapiedi, con la testa completamente in un altro posto da quello in cui si trovavano. Dall'altra parte della strada, invece, situato proprio di fronte, c'era un vicoletto deserto e tranquillo, probabilmente la reale destinazione che lei aveva indicato al tassista.
La giovane scrutò bene l'ambiente fuori dal finestrino, poi sbottò: -Scusi tanto, ma non credo che sia questo l'indirizzo che le avevo dato.
-Infatti Logan Place è proprio quella stradina, - spiegò il guidatore, e indicò il viale con la sigaretta che teneva in mano, -solo i residenti possono transitare, quindi mi sa tanto che dovrai scendere qui.
Clair sbuffò rumorosamente, borbottando qualcosa in francese e indossando il suo giubbotto nero, per poi raccattare le sue cose.
-Sono trentacinque sterline, ragazzina - aggiunse il tassista indisponente, aprendo la mano.
Va te faire foutre, idiota. Non sono una ragazzina, ho sedici maledettissimi anni, pensò la ragazza, senza riferire nulla a colui che era nell'auto insieme a lei. Non si lasciò scappare un altro sbuffo, frugando nella sua borsa e allungando all'uomo due banconote da venti, ricevendone una da cinque di resto.
Scese poi dalla macchina senza nemmeno salutare il conducente, ritirò la valigia viola nel bagagliaio e cominciò ad attraversare la strada, avventurandosi per Logan Place.
Guardò il numero civico appuntato sul foglietto che aveva in mano: 6 Logan Place.
Così cominciò ad osservare quelli di tutti i palazzi e ville che la circondavano, mentre si strofinava le mani per prendere calore.
Non vedeva l'ora di entrare nella casa di Martin Lenoir, vecchio collega di suo padre, trasferitosi in Inghilterra dopo aver ottenuto la promozione che egli tanto aveva sperato.
Qualche mese prima, lui e i suoi genitori si erano incontrati in Francia, mettendosi d'accordo per ospitare Clair nella casa di Martin e di sua moglie Lea, una stolta bionda ossigenata americana, durante le vacanze natalizie.
Sia Martin che Clair erano più che entusiasti: il primo perché voleva tanto bene alla giovane fin da quando era bambina, la seconda perché amava l'Inghilterra e la lingua caratteristica e perché avrebbe passato il suo periodo dell'anno preferito lontano da tutte le ramanzine che i suoi sicuramente non le avrebbero risparmiato; Martin, infatti, sicuramente l'avrebbe lasciata libera di esplorare tutta la metropoli, senza che sentisse miliardi di pressioni addosso.
Clair, intanto, giunse finalmente davanti al numero 6 di Logan Place e bussò al citofono.
Attese, ma nessuno le rispose.
Provò una seconda volta, eppure nuovamente non accadde niente.
Provò per la terza, la quarta, la quinta volta...
Lea non lavorava più da quando dovette occuparsi del suo nipote Michael di un anno e mezzo, che viveva temporaneamente con lei, per cui avrebbe potuto rispondere. Ma non accadde, e Clair, avvilita, imprecò in tutte e due le lingue che conosceva.
Pensò che poteva provare a chiedere a qualche vicino di casa, perciò cominciò ad osservare le case che la circondavano.
Il palazzo accanto quello in cui si trovavano i Lenoir, di un color panna, era il luogo da cui poteva cominciare per chiedere informazioni.
Diede un ultimo colpo di citofono alla casa di Martin e cominciò ad avanzare con la sua pesante valigia viola verso il palazzo successivo. Dopo che ebbe trovato la porta d'ingresso, tuttavia, rimase incuriosita da ciò che veniva dopo: assomigliava ad un parco recintato da un alto muro, dal quale si potevano scorgere diversi alberi, in quel momento quasi privi di foglie, eccetto per un'alta magnolia, ancora verdeggiante.
Lasciò perdere la casa bianca e si avvicinò curiosa verso quello che poteva essere sia un parco ma anche una maestosa villa: i muri non lasciavano intravedere niente, eccetto gli alberi.
Intravide una porticina verde con su scritto "GARDEN LODGE", e capì che doveva essere un'abitazione davvero signorile.
Non si lasciò tuttavia intimidire da chi potesse abitarvi, e cominciò a citofonare più volte.
Qualcuno poi, con una voce abbastanza infastidita, le rispose: -Chi è?
-Salve, ho bisogno di un'informazione... - iniziò lei.
-No, cara, non possiamo farti entrare.
Clair aggrottò le sopracciglia. -Perché, c'è una specie di conclave in svolgimento? Avanti, ho bisogno solo di una spiegazione.
-Senti, ragazzina, questo è un luogo privato. Non puoi disturbare quando ti pare e piace.
-Non mi interessa, è una cosa urgen... - la ragazza sentì che la voce aveva riattaccato, perciò continuò a citofonare fastidiosamente.
Dentro, intanto, Peter raggiunse Joe per domandargli chi fosse.
-Una ragazzina fanatica che probabilmente cercava Freddie - rispose il cuoco, facendo spallucce.
-Perché, cosa ti ha detto?
-In realtà voleva un'informazione, ma non le ho creduto. Sicuramente era un pretesto per entrare.
Phoebe sospirò, mantenendosi la fronte con una mano. -Amico, con tutto il rispetto, ma come fai a sapere che non si trattava di qualcuno che si era semplicemente smarrito?
Joe lo guardò assente, poi imprecò: da come l'altro lo guardava, capì che gli toccava uscire ed andare a vedere chi fosse quella che continuava a premere il bottone del citofono.
Uscì fuori dalla casa, raggiungendo la porta del cortile, mentre Phoebe veniva raggiunto da un Freddie Mercury più indispettito che mai.
-Che diavolo sta succedendo? Chi è che bussa così insistentemente? - chiese al suo assistente.
-Una ragazza, penso. Joe è appena andato a vedere. Cerca di non sbranare quella povera che dovrà subire l'ira di Freddie Mercury.
-Che è probabilmente un'altra di quei pazzi alla Mark Chepman - disse infastidito il cantante.
Nel frattempo, Joe aveva raggiunto la giovane biondina, che smise improvvisamente di suonare. L'uomo dai capelli corti e biondi la guardava abbastanza seccato, ma lei non era affatto impaurita.
-Posso capire qual è il tuo problema? - le chiese.
-Salve anche a lei, sir. Volevo solamente sapere se conosceva i signori Lenoir, che abitano a qualche decina di metri prima di lei.
A Joe venne subito in mente il simpatico quarantacinquenne che abitava prima di Garden Mews e che salutava cordialmente ogni qualvolta che incontrasse lui o qualcun altro della casa, perciò annuì.
-Be', volevo chiedere... - proseguì la francese, -Sa per caso che fine hanno fatto, visto che li ho citofonati per circa mezz'ora, ma non mi hanno risposto?
Joe rise nervosamente. -Vedo che citofonare è la tua specialità, e comunque non so che fine abbiano fatto. Li conosciamo solo di vista.
Clair sbuffò, torturandosi la coda di cavallo. -Senta, signor...
-Fanelli. Joe Fanelli.
-Di origini italiane, vero? So che sono di grande disturbo per lei e sua moglie, ma, visto che non ho alcuna moneta in tasca, non è che potrebbe farmi fare qualche telefonata per rintracciare i Lenoir? - chiese con leggerezza la giovane, che era già pronta a farsi chiudere la porta in faccia.
Joe rimase ad ascoltare, e intanto si chiese da dove potesse provenire la ragazzina dal buffo accento, ma a giudicare dal fatto che era in cerca del vicino francese, era quasi sicuro che provenisse da un Paese francofono. -Non ho una moglie, e questa non è nemmeno casa mia. Magari dovresti provare a chiedere al padrone di casa.
-Perfetto! - squittì Clair, facendo il suo ingresso a Garden Lodge con tanto di valigia.
Non appena la giovane ebbe superato la porticina verde, l'accolse un gigantesco giardino simile a quello descritto nella Genesi biblica: gli alberi che aveva intravisto in precedenza erano ancora più maestosi nel complesso, ma vi era anche una serra in cui si intravedevano rose rosse meravigliose, e in un angolo c'era anche una piccola vasca.
Joe, da dietro, le implorava di non correre, ma Clair aveva già bussato alla porta principale.
Le venne ad aprire un uomo dai capelli corti neri e con i baffi, che all'inizio si limitò ad osservarla, senza proferire parola.
Anche la ragazza cominciò a scrutarlo con i suoi occhi verdi, pensando che quella figura non gli era affatto nuova: magari in quel momento la sua mente stava delirando, ma era sicura di averlo già visto.
-Ciao. Tu sei...?
-Clair Renaud, sir. Lei è il padrone di casa, presumo - allungò la mano.
Freddie cominciò a chiedersi se la ragazza non stesse fingendo o se davvero non sapeva chi fosse, e nel frattempo strinse dubbioso la mano della giovane. -Sì, esatto. Freddie Mercury, cara Clàir. Francese?
Lei roteò gli occhi, sospirando. -Esatto, e comunque si pronuncia con l'accento sulla "i", ad ogni modo.
La biondina non finiva di domandarsi dove avesse già incontrato quella figura. Non nella realtà, ma in TV, o forse su un giornale. Né il nome né il viso le erano del tutto sconosciuti.
Intanto era arrivato Joe, che raccontò a Freddie il problema di Clair.
-Be', non possiamo nemmeno tenerti qui come un pacco postale. - pensò Freddie -Non hai idea di dove puoi rintracciare i Lenoir?
La ragazza fece di no con la testa. -Il loro numero di casa è il solo che ho, ed è vuota. Potrei chiamare i miei, magari riescono a capire in quale buco nero siano finiti i Lenoir.
Freddie rimase perplesso. -Ok, ti do il permesso di usare il telefono. Phoebe ti accompagnerà alla cornetta.
-Ha anche una cameriera? Putain, mi sento di essere veramente al Buckingham Palace.
Freddie e Joe si guardarono e scoppiarono a ridere, mentre un'altra figura giunse da dietro di loro.
-Io sarei Phoebe. O meglio, Peter Freestone. Piacere di fare la tua conoscenza...
La giovane si trattenne dal ridere. -Clair Renaud, con il disperato bisogno di usare un telefono. Bel soprannome, comunque.
Phoebe le sorrise, invitandola a seguirlo verso l'apparecchio telefonico, situato in salotto.
Non appena la ragazza fu dentro, non poté non notare le meraviglie di quella casa, che ricordava più una residenza giapponese che una inglese.
Una volta giunta nell'enorme salotto, rimase a fissare l'enorme finestra che affacciava sul giardino e l'imponente piano a coda traboccante di foto raffiguranti anche felini. La stanza era anche abbellita da decine di tappeti e colma di divani e sedie-poltrone, sopra una delle quali c'era un gattone bianco con le orecchie grigie che Clair, data la sua passione per i mici, era pronta a coccolare fino all'eternità.
Spiccavano anche due enormi mobili, uno dei quali era una magnifica vetrinetta in mogano, comprata a fior di quattrini in chissà quale negozio di antiquariato della città.
Una volta raggiunto il telefono, Clair compose il numero dei suoi, e dopo due squilli sentì la voce di sua madre: -Allô! Qui est?
-Maman, c'est Clair! - rispose in francese la figlia, che cominciò a spiegarle per filo e per segno l'accaduto.
Intanto, Jim Hutton aveva raggiunto il gruppo, chiedendo spiegazioni a Freddie e a Joe, che però avevano altro da fare, ovvero cercare di capire qualcosa di quello che si stavano dicendo le due interlocutrici.
-Maman, ce n'est pas ma faute si je ne sais pas où est Martin... Oui, d'accord. Appelle-moi à ce nombre...
Chiese il numero di casa a Phoebe, che glielo dettò cifra per cifra; ella lo riferì alla madre e abbassò la cornetta, sospirando.
-Allora? Cosa si fa? - chiese impaziente il cantante.
-Non ne ho la più pallida idea. Mia madre mi ha detto che proverà a rintracciare Martin e la moglie, ma nel frattempo mi ha detto di non muovermi da casa sua, e anche se volessi disobbedirla non potrei farlo: non ho abbastanza da spendere per poter andare in giro.
Tutti si guardarono preoccupati, con la speranza che ad uno di loro balzasse subito un'idea brillante; intanto, anche Jim si era presentato alla bionda.
-Jim Hutton, fidanzato di Freddie. Tanto piacere.
Clair mostrò un enorme sorriso. Non appena apprese che il padrone di casa era omosessuale, non poté che pensare al suo migliore amico - l'unico, in realtà - Armand, anche lui gay. Aveva sempre stimato queste persone dall'orientamento sessuale differente: le considerava più colte ed intelligenti degli altri migliaia di superficiali e ignoranti.
-Sono contenta che il padrone di casa sia gay. Io amo i gay, potrei diventarlo io stessa.
Tutti risero, compreso Freddie. -Potresti anche smetterla di chiamarmi 'padrone di casa', tesoro. Non sono un vecchio con le pantofole, ho solo trentanove fottuti anni - rispose lui.
Clair arricciò le labbra. -Be', ad ogni modo lei... Proverrai da chissà quale dinastia reale britannica per avere questa casa gigantesca - si rivolse a Freddie.
-In realtà è un musicista - intervenne Joe.
Clair si mangiucchiò un'unghia, riflettendo. -Infatti penso di averti già visto, non hai una faccia nuova...
-Mai sentito parlare dei Queen, dalle tue parti? - l'aiutò il cantante.
La ragazza spalancò gli occhi. -Cazzo, è vero! Tu sei Freddie Mercury, il cantante! - esclamò lei incredula.
Freddie la imitò. -Vedi un po'...
-Voi siete uno dei gruppi internazionali più venerati! Nelle pubblicità in Televisione c'è sempre una vostra canzone, e vi paragonano a degli dei, non scherzo.
-Eccetto tu, a quanto pare - disse Phoebe.
Clair alzò le spalle. -La musica non mi ha mai fatto impazzire, più di tanto. Da quando quella putaine della mia ex insegnante di pianoforte ha cominciato a rompermi le mani ogni volta che sbagliavo nota... Ad ogni modo, non posso ancora crederci di essere nella casa di un rocker! - cominciò a saltellare, battendo le mani e facendo cadere la sua borsa e la sua grossa valigia viola a terra; poi andò a sedersi con non poca grazia sopra il grande divano rivestito di stoffa blu e collocato sotto le finestre; sospirò e chiuse gli occhi.
Gli altri la osservarono sbalorditi, e Jim non trattenne una risata sotto i baffi - che certamente non gli mancavano.
-Miei cari, è appena passato un uragano nel mio preziosissimo salotto - commentò Freddie.
-Da oggi in poi ti chiameremo Camille, che ne dici? - chiese Peter.
Clair aprì improvvisamente gli occhi, guardandolo fulminante. -Chi cavolo è Camille? Lo trovo davvero un nome orribile - protestò.
-Camille era il terribile uragano che colpì gli States nel '69.
Clair tornò a rilassarsi. -Come vuoi - rispose indifferente.
-Che personcina arrogante, che è - bisbigliò Freddie a Jim, ma non poté finire, poiché lo squillo del telefono fece sobbalzare tutti.
Clair con un balzo si precipitò alla cornetta prima che potesse raggiungerla Joe, facendolo quasi cascare per terra.
-Bonjour, io parlare con Clair... - mormorò la signora Renaud con un pessimo inglese.
-Sono io, mamma! Hai saputo qualcosa su quei due imbecilli? - rispose la ragazza.
Tutti erano impazienti di sapere le notizie, ma la biondina non faceva altro che sbuffare ripetutamente.
Susseguirono diverse frasi in francese: -All'aeroporto? Sì, potrei provare, ma... E smettila di avere paura, ho sedici anni, cazzo, non sono più una bambina... Fino ad ora non mi sono sembrati tanto scortesi, e dicono di conoscere Martin... Sono miliardari, porca miseria, come fai a dire che sono maniaci o cose del genere? Va bene, ma ti ricordo che siamo sotto il periodo di Natale, per cui non ti assicuro niente... Okay, ti richiamo io - e la conversazione terminò.
Clair guardò il gruppo, che tremava dalla tensione. -Avete i vicini di casa peggiori del mondo - si limitò a dire.
-Non prevedo nulla di buono - borbottò Jim.
-Il padre della moglie di Martin non si è sentito bene, e sono partiti per il New Jersey. Almeno però avrebbero potuto avvisare la mia famiglia.
-Cos'ha detto tua madre?
-Di provare a chiedere all'aeroporto se c'è qualche volo disponibile per la Francia che parta il prima possibile. So che siamo in un periodo particolare, ma potremmo provare. Mia madre non vuole che aspetti il giorno in cui sarei dovuta veramente tornare, il 28.
Gli altri acconsentirono, e Phoebe cominciò la sua telefonata all'aeroporto alla ricerca di un volo francese disponibile il prima possibile.
Terminò circa dieci minuti dopo, senza nessuna buona novella.
-Un altro volo disponibile è datato sempre 28 dicembre. Mi dispiace - mormorò.
-Merda, e io ora dove rimango per tutto questo tempo? - chiese furibonda Clair, al tempo stesso leggermente impaurita.
Joe, Peter e Jim si girarono contemporaneamente verso Freddie: a lui spettava la decisione di far rimanere o meno la sedicenne.
Egli incrociò le braccia, rimanendo a riflettere qualche secondo: pensò che di certo non avrebbe potuto sbatterla fuori di casa in maniera brusca, e avrebbe solo peggiorato la situazione, dato il carattere della ragazza.
-Rimani qui, tesoro. - disse, -Siamo a Natale, non mi sembrerebbe il caso di essere crudeli e cacciarti via. Non mi sei tanto antipatica, nonostante il tuo bruttissimo carattere, per cui non mi darai tanto fastidio, e non voglio nemmeno andare alla ricerca di un albergo di Londra dove farti restare.
Sul viso di Clair spuntò un sorriso a trentadue denti. -Grazie, Fred, sei il migliore!
-Chiamami di nuovo così e ti porto nel motel più squallido della città - la ammonì lui.
-Che palle... Ma dove mi metterete a dormire? Spero non nel giardino, per quanto sia stupendo. Siamo a dicembre, e questa città è super gelida.
Joe, sapendo già cosa fare, le sorrise, prendendo la valigia viola e dirigendosi verso le scale che conducevano al piano di sopra. -Vieni, ti mostro la camera degli ospiti.
Clair seguì entusiasta il cuoco. -Che bello, ho anche la servitù!
Joe la guardò storto, provando ad ignorarla. Guarda con chi mi tocca avere a che fare, pensò.
Mentre i due si dirigevano al piano di sopra, Peter se ne andò in cucina, lasciando Jim e Freddie da soli.
-Wow, credevo davvero che avresti deciso di pagarle una camera in un albergo qui vicino - confidò Jim.
-Credimi, l'ho creduto anche io, amore.
-E perché non l'hai fatto?
Freddie lo guardò sorridente, e gli diede un affettuoso pizzicotto sulla guancia. -Non lo so. Quella ragazza ha un bel caratterino, ma mi fa pensare che forse avrebbe passato il resto delle settimane qui a Londra a piangere, se le avessi detto di no. Non credo che sia veramente antipatica come ci fa pensare.
Jim rimase sbigottito. -Quella lì? Sei fuori?
I due improvvisamente sentirono urlare quella che probabilmente doveva essere una parolaccia francese.
Clair, nel frattempo, era finalmente arrivata nella grande stanza che le fu riservata. -Questa camera è davvero... Principesca! Mi sento Marie Antoinette, Joe, ti rendi conto?
Smosse il braccio del povero cuoco, poi si guardò meglio intorno: osservò le pareti color ocra e i mobili antichi e pregiati. L'armadio era di legno massello e il doppio di quello che aveva lei in Francia: con quelle poche cose che si era portata, non ne avrebbe riempito nemmeno un terzo. Il letto, invece, era a una piazza e mezzo, con la coperta color terra bruciata.
Clair si precipitò verso il letto, balzandoci sopra.
-Ma sei matta o cosa? - chiese preoccupato Joe, lasciando la ragazza finalmente da sola.
Dopo che se ne fu andato, Clair cominciò a riflettere: quella era la fortuna più grande che le fosse mai capitata, e forse quella volta avrebbe potuto provare a dimostrarsi più garbata del solito, soprattutto per il fatto che era lontano dai suoi parenti, i quali, dal primo all'ultimo, erano stufi del suo comportamento e della sua voglia di fare niente, e non facevano altro che lamentarsi.
Ma Clair ci aveva provato eccome ad accontentarli e ad impegnarsi, senza mai riuscirci, e, una volta arresasi, iniziò a provare a fregarsene di tutte le poco confortanti parole che i suoi genitori costantemente le riferivano.
E se anche Joe, Phoebe e Jim pensassero che ella non valesse niente? Ma era così chiaro: probabilmente la sua presenza in quei giorni avrebbe dato loro non poco fastidio.
Ma quel Freddie forse era diverso: non pensava che ce l'avesse con lei da quando le aveva permesso di ospitarla in casa sua.
Magari lui si sarebbe distinto da tutti gli altri. Oppure era solo una sua finzione?
Hi everybody!!
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, e che vi siate affezionati almeno un po' al personaggio principale (ovviamente intendo Clair, perché Freddie e compagnia li adoravamo già tutti prima :) ), nonostante sembri l'antipatia fatta persona. Diciamo che questa francesina rappresenta il mio opposto: scontrosa con la prima persona che le capiti davanti, molto solitaria, non amante della musica (anche se più avanti scopriremo che un idolo ce l'ha ;) ). Forse l'unica caratteristica in comune che abbiamo sono i capelli e la passione per la lingua inglese, ma io non sono nemmeno francese come lei (che sventura :( ).
Bando alle chiacchiere, spero inoltre di non aver inserito troppe frasi in francese, altrimenti rimedio subito con la traduzione in italiano XD
Anyway, qualunque tipo di problema o errore riscontraste, non esitate a farmeli sapere ;)
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