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Richiamo

Capitolo 4

Era passato appena un giorno da quando Chris si era confrontata con Darren. Tirando le somme, ne era uscita peggio di prima. Sperava di riuscire ad allontanare il pensiero del ragazzo dalla sua mente per averla più libera. Però aveva ottenuto l'esatto contrario. Non faceva altro che pensare a lui, quando invece, sapeva benissimo che aveva ben altro a cui pensare, di cui preoccuparsi.

Chris stava scendendo nelle segre te di Evelyne, lungo una scala a chiocciola che conduceva nelle profondità del sottosuolo. Alcune torce illuminavano la via man mano che scendeva, creando ombre bizzarre sulle pareti di pietra umide.

Arrivata giù, un corridoio fiancheggiato di celle si stendeva davanti a lei. L'odore di umidità misto alla combustione del legno delle torce aleggiava nella semioscurità.

Ormai Chris conosceva a memoria il posto. Più in fondo, una luce verdastra, che dava al posto un bagliore terrificante, attirò la sua attenzione. Avanzò lentamente, sapeva già cosa c'era in quella cella, anzi chi.

Una teca di vetro custodiva l'unico pezzo della sua famiglia rimasto ancora a vita, nonostante la parola "in vita" non era proprio l'ideale.

Lì dentro giaceva sua nonna. Nonna Emily.

Era ancora pietrificata, in bilico tra la vita e la morte. Solo la magia della preside Watson la teneva ancora in vita. Certo, non si poteva considerare vita, quella.

Chris aveva ancora una possibilità, anche se infinitesimale, di annullare l'incantesimo. Uccidere chi aveva compiuto quel maleficio. Uccidere Ombra.

Da allora, per Chris era diventato un chiodo fisso. Non faceva altro che pensare a quello. Per quei due mesi era stato il motivo che l'aveva incoraggiata ad allenarsi notte e giorno, senza riposare, sempre di più.

L'unica persona che le faceva distogliere l'attenzione era Darren. Lei lo considerava il suo secondo chiodo fisso.

Chris si avvicinò ancora un pò alla teca, il bagliore verdastro quasi la accecava. Poggiò una mano sul vetro spesso e liscio, facendola scorrere su di esso. Sapeva di non poter aprire la teca, ma ogni volta che scendeva laggiù aveva sempre più voglia di farlo. Non sapeva perché, però provava una sensazione strana. Sembrava quasi un richiamo, come se qualcosa la attirasse a farlo.

Tuttavia, la Watson le aveva proibito di toccare il corpo della nonna, spiegando che poteva essere pericoloso e che il corpo rischiava di disintegrarsi addirittura. Però almeno le era stato concesso di scendere e farle visita.

- Mi dispiace così tanto nonna... - sussurrò, la voce rotta. Ingoiò l'amaro che aveva in gola. - Non doveva andare così. - Si affrettò ad asciugare una lacrima solitaria che si apprestava a scendere lungo la sua guancia.

Un attimo dopo strizzò gli occhi, qualcosa aveva attirato la sua attenzione. Le sembrava di aver visto un bagliore più intenso, proveniente dal corpo della nonna, proprio all'altezza del cuore.

Si portò le mani, strofinandosi gli occhi. Pensava di aver perso qualche rotella, che stesse diventando pazza. E probabilmente era così. Oppure la stanchezza le stava giocando brutti scherzi.

" Tu puoi aiutarmi! "

Chris sussultò, portandosi una mano al cuore. Una voce, quella di sua nonna, le aveva invaso la mente per un secondo. Era sicurissima che appartenesse alla nonna. Eppure, si chiedeva come poteva essere possibile. Il corpo della nonna giaceva ancora nella teca di vetro, completamente pietrificato.

- Come posso aiutarti, nonna? - domandò con un filo di voce. Si sentiva stupida e ridicola. Parlava da sola. Forse era vero. Forse veramente stava diventando pazza.

Attese qualche istante in silenzio.

Niente, nessun altro segnale. Niente che le facesse pensare che quello che le era successo prima fosse reale.

Si girò per andarsene.

" Ho solo bisogno di te! "

Chris sussultò, di nuovo, ritirandosi di scatto. Si lanciò verso la teca poggiandosi sopra con entrambe le mani, i capelli dorati che le ricadevano davanti al viso solleticandole le guance.

- Nonna, mi senti? -  adesso non sussurrava più, quasi urlava. - Come?! Dimmi come posso aiutarti?!

I minuti passarono, Chris continuava a fissare il corpo pietrificato in attesa di una risposta o di un qualsiasi cenno. Ma questo non arrivò. Ormai sconfitta, fece per scivolare a terra, lentamente, con la schiena poggiata sulla teca di vetro. Le ginocchia inarcate, le mani che nascondevano il viso. Il vuoto che provava dentro si faceva sempre più spazio, serpeggiando attraverso lo stomaco fino ad invaderle il cuore. Alla fine, l'oscurità la riempì.

Il corridoio dell'istituto era quasi deserto a quell'ora. Erano passate le undici di sera. E l'unico rumore era il ticchettio degli stivali di Paige, che avanzava con ostentata sicurezza. Pur sapendo che non c'era nessuno a guardarla, non abbassava mai la guardia. Sempre con il petto in fuori e lo sguardo sicuro. Si sarebbe odiata se solo qualcuno, al di fuori della sua famiglia, si fosse reso conto che anche lei aveva delle insicurezze, delle debolezze, che era vulnerabile.

Aveva faticato così tanto per essere ciò che era che non avrebbe permesso a nessuno di togliergli tutto quello che aveva conquistato: il rispetto, il timore, il potere. Non avrebbe permesso a nessuno di riportarla indietro nel tempo, a quando lei era quella da proteggere. Troppo vulnerabile agli occhi di suo padre, troppo vulnerabile agli occhi di sua madre. Troppo vulnerabile agli occhi degli altri della sua età.

Gli unici con cui si era sempre sentita se stessa, con cui non aveva mai sentito il bisogno di ostentare nulla, erano i suoi fratelli.

Nonostante fossero loro che la facevano risultare vulnerabile, qualcuno che andava protetto. Ovviamente, indirettamente.

Era l'unica ad aver ottenuto un dono quando era già cresciuta. E quasi non ci speravano più i suoi genitori. Nemmeno lei a dire il vero. Nel loro mondo possedere un dono era importante. Venivi rispettato da tutti molto facilmente.

In più, se si considerava il fatto che nella stirpe dei Brooks quasi nessuno non aveva manifestato un dono, questo rappresentava un bel peso da portare sulle spalle.

Darren aveva manifestato il suo dono quando era molto piccolo anche se in circostanze molto tristi. Per questo era considerato un ragazzo prodigio. Anche se lei sapeva bene cosa pensava il fratello a riguardo.

Jacob, invece, all'età di tredici anni. Stava allenandosi con loro padre in giardino quando creò dal nulla un campo di forza per proteggersi.

Paige ricordava ancora perfettamente quel giorno, quando il papà, dopo essersi rialzato e ripulito il pantalone dandosi delle pacche sulle gambe, corse ad abbracciare Jacob, felice e orgoglioso più che mai.

Non ricordava solo questo, purtroppo. Quello fu un giorno indimenticabile per lei. Ricordava di essersi sentita felice per il fratello gemello, ma che quella sensazione durò poco. Solo qualche istante, finché non venne rimpiazzata dall'angoscia. Si era sentita inutile, ancora più debole.

Fino a che un giorno tutto cambiò.
Quel giorno, Paige stava uscendo dalla sala di controllo dei cinque poteri base, il primo giorno del suo primo anno all'istituto. Aveva urtato accidentalmente una ragazza uscendo dalla porta dell'aula. Dei libri che aveva in mano le caddero a terra, producendo un tonfo sordo.

- Guarda dove vai, idiota! - inveì la ragazza.

- Scusami - replicò subito Paige.

La ragazza le si avvicinò minacciosamente, inclinando la testa su un lato e fissandola. Era chiaramente più grande di lei.

- Non voglio le tue scuse - ribattè in tono sprezzante. Spostò lo sguardo su qualcos'altro. - Piuttosto, dammi il ciondolo che porti al collo!

Intanto, alcuni studenti si erano fermati a osservare la scena.

Paige si portò istintivamente la mano sul petto. Indossava il ciondolo di famiglia a forma di fulmine che le aveva regalato sua nonna prima di morire.

- Non posso - rispose, quasi in un sussurro.

La ragazza si mosse così velocemente che lei non fece in tempo a capire cosa stava succedendo. Con una mano le allontanò il braccio dal petto, mentre con l'altra le strappò il ciondolo con forza.

- Ridammelo! - gridò Paige, allungandosi per riprendersi il ciondolo.

La ragazza si divincolò, portando il braccio in alto, mentre rideva beffardamente. - Prendilo pure, non lo voglio più. - Lo lanciò oltre Paige.

Paige si girò per andare a raccoglierlo, di corsa.

Un attimo prima di afferrarlo, il ciondolo si disintegrò sotto i suoi occhi, lasciando al suo posto un minuscolo mucchietto di polvere grigia.

Paige rimase immobile, in ginocchio, mentre lo shock iniziava ad assalirla e dei brividi le salivano per tutto il corpo. Un calore improvviso le avvampò sul viso, sul collo, sulle mani. Sentiva una rabbia incandescente avvilupparla completamente, finché delle scariche elettriche iniziarono ad allungarsi al di fuori del suo corpo.

Si alzò, lentamente, mentre la risata della ragazza che le aveva distrutto il ciondolo riempiva il corridoio.

Paige sentiva le sue mani bruciare, avvertiva una forza potente scorrerle nelle vene e sapeva di non riuscire a trattenerla ancora a lungo. In realtà, nemmeno lo voleva. In quel momento, desiderava soltanto dare sfogo alla sua rabbia.

Un attimo dopo, alzò la mano e una scarica elettrica di grande intensità colpì la ragazza, mandandola a sbattere contro altri studenti che guardavano la scena.

Da quel giorno, tutti iniziarono a rispettarla giorno dopo giorno sempre di più, fino a diventare addirittura una persona da temere.

Quando finì di rivangare nel passato, arrivò davanti alla porta della stanza del suo gemello e bussò.
Sapeva che Darren non era il solo ad aver bisogno di aiuto.

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