Chapter 23
Quando mi svegliai la mattina dopo, ero ancora nuda in quella camera dalle pareti blu, ma completamente coperta dal piumone. Aprii piano piano gli occhi e tastai l'altro lato del letto per scoprire che era in realtà vuoto. Non seppi decidere se rimasi male nello scoprire che Shawn non c'era, lasciai perdere e mi alzai rivestendomi.
Presi dei vestiti puliti in camera mia e mi lavai. Cercai Shawn in tutta la casa, che in fin dei conti era abbastanza piccola. Non c'era da nessuna parte. Perchè non c'era? Me lo chiedevo comtinuamente e non riuscivo a trovare un brandello di risposta. Non mi aveva lasciato neanche un messaggio. Almeno se uno scompare dopo una serata del genere ha la decenza di dirti dov'è andato. Lui dietro si sè aveva lasciato solo il nulla più assoluto.
Feci colazione ipotizzando mille supposizioni diverse: poteva essere uscito per andare a correre o semplicemente voleva prendere aria. Alla fine dei conti decisi di essere incazzata perchè mi aveva lasciata sola.
Non nascondo che provai a chiamarlo, diverse volte, ma che il telefono squillava senza che nessuno rispondesse.
Iniziai a preoccuparmi quando all'ora di pranzo non tornò a casa e non mi mandò neanche un messaggio per avvisarmi. Chiamai James per sapere se l'avesse visto, quindi anche a Sophie, Luke, Noah. L'ultimo a cui chiamai fu mio fratello.
Rispose alla chiamata al quarto squillo, ma la voce dall'altro capo del telefono non era mio fratello, era proprio Shawn.
"Abigail." Disse soltanto.
"Perchè hai risposto tu?" Chiesi di getto senza neanche salutare.
"Perchè tuo fratello non può." rispose lui secco.
"Perchè non può?" Domandai imperterrita, più per infastidirlo che per sapere veramente di cosa stava facendo Louis.
"Perchè non può. Ti serve qualcosa?" era secco nel parlare, senza nessuna emozione. Era così pentito? Da un giorno all'altro?
"Fanculo." Sputai, chiudendo la telefonata.
Lo detestavo. Detestavo lui, le sue parole stupide sul non dispiacersi, il suo comportamento da lunatico. Tutto. Detestavo tutto di lui. Ero incazzata anche con Louis che non aveva risposto alla telefonata facendo rispondere lui. Li odiavo tutti.
Decisi veramente che era il caso di uscire a prendere aria per far sbollire la rabbia. Presi il cappotto, il cappello e la sciarpa. Aveva nevicato di nuovo quella notte e il freddo trapassava anche i vestiti. Decisi comunque di prendere un Taxi e dirigermi verso Central Park. Andai da Starbuck's e presi un cappuccino caldo che mi riscaldò.
Mi persi a guardare i bambini che pattinavano sulla pista di ghiaccio, alcune coppiette che camminavano mano nella mano e alcuni signori che portavano a spasso i cani. Sembrava il villaggio di Babbo Natale. Tutto quasi perfetto, tranne io che non c'entravo nulla in tutte quelle persone felici. Ero fin troppo triste anche per restare lì quindi decisi di tornare a casa per guardare un film. Ma prima di tornare mi comprai una tavoletta di cioccolato contro il cattivo umore.
Mi misi a guardare Le Terrificanti Avventure di Sabrina su Netflix, ma non mi piaceva poi molto. Persi tempo, giocherellai con il cellulare, cambiai cento volte posizione e guardavo l'orologio ogni cinque minuti. Il tempo non sembrava passare mai.
Ero messa a testa in giù quando mi arrivò una telefonata di Sophie. Non avevo neanche pensato di farle uno squillo per uscire insieme. Consumai l'ultimo cubetto di cioccolata e risposi.
"Ehi ehi donna!" Salutai
"Abigail! Come sta Louis?" Chiese Ryan che aveva chiamato al posto della sorella.
"In che senso come sta Louis?" Dissi con un fil di voce scattando in piedi.
"Come non lo sai? È in ospedale."
Mi bastarono tre parole per sentirmi il mondo crollare addosso. Era già successo così tante volte. Prima con mio nonno, poi con mio zio, poi in Francia. Era una dinamica semplice quella che caratterizzava la mia vita. Mi arrivava una botta terribile che mi buttavano nel baratro e mi portavano a toccare il fondo. Lo conoscevo così bene quel buio in cui cadevo ogni volta. Poi trovavo la luce e non avevo il tempo di abituarmi che già qualcos'altro mi riportava in basso.
Non era un caso se cambiavo spesso città. Ma probabilmente se fosse successo qualcosa di grave a Louis non l'avrei superata. Conoscevo troppo bene la sensazione che mi stava assalendo. Mi si appannò la vista, iniziai a tremare e a non sentire l'aria entrare nei polmoni. La testa faceva un male cane e io mi sentivo affogare. Il cuore cercava di uscire fuori dal petto e io mi tiravo i capelli.
Dicono che gli attacchi di panico possano avvenire in diversi modi e per diverse ragioni per ognuno di noi. I miei, detto da qualcuno che se ne intendeva, sembravano derivare da shock da stress post traumatico e anche per un errato controllo delle mie emozioni. Non erano bastate le sedute fatte a Parigi per farli smettere completamente ma ero riuscita a migliorarli. Li avevo meno spesso di prima. Eppure avevo deciso, stupidamente, che non ne sarei uscita più e che volevo scappare dal dolore, come, in fondo, ho sempre fatto.
Sono scappata da casa, sono scappata da Parigi e già pensavo al prossimo luogo in cui fuggire.
Mi arresi al dolore. Sentivo gli occhi bruciare e cercare di fuggire dalle orbite, mi sentii cedere le gambe e cadere sulle ginocchia. Mi sentivo così male che non ce la feci più e caddi a terra perdendo i sensi. L'ultima cosa che vidi fu un'ombra che apriva la porta di casa.
Mi risvegliai dopo poco, la prima cosa che vidi fu il blu di pareti che conoscevo bene. Cercai di mettere a fuoco tutta la stanza e vidi, seduto vicino a me, che mi osservava, Shawn.
Cercai di mettermi seduta ma mi faceva male forte la testa.
"Rimani sdraiata. Hai battuto la testa cadendo." Mi disse Shawn accorgendosi di me sveglia.
"Louis." Sussurrai.
"Calmati Abigail. Louis non ha nulla. È in ospedale si, ma per Heather." Sussurrò anche lui con gli occhi rossi.
"Che è successo?" Chiesi piano e sentii già le lacrime cadere sul lato del viso. Pensavo a quella povera ragazza e a quella piccola creatura che portava in grembo.
"Ieri notte ha vuto dei forti dolori e delle perdite. Louis la ha portata subito in ospedale. Aveva perso molto sangue, le hanno fatto un'ecografia e hanno sentito che non c'era battito. Le hanno dovuto indurre il parto. E lei ha partorito. Ma il bambino già non c'era più. Mi dispiace tanto Abigail." Pronunciò ogni parola con lentezza, cercando quella più adatta, provando a rendere tutto il più semplice possibile. Ma faceva male comunque. Ero così felice di diventare zia. E ora Louis probabilmente stava male.
"Devo andare in ospedale."
"Tu non vai proprio da nessuna parte. Louis non mi ha raccomandato altro." Asserì.
"Tu perchè eri lì?" Chiesi
"Perchè Louis mi ha chiamato stanotte disperato. Sono andato da lui verso le quattro e mezza." Disse lentamente.
"E ora perchè sei qui?"
"Perchè Ryan ha telefonato a Louis. Addirittura lui sapeva che era Louis ad essere ricoverato. Gli ha detto di averti chiamata prima e cosa ti aveva detto e Louis mi ha mandato qui. Senza spiegarmi perchè però. Sono arrivato e ti ho vista cadere." Disse corrucciando la fronte.
Luois sapeva, lui no. Ma c'era qualcosa che neanche io capivo... "sono svenuta." Sussurrai.
"Si. Perchè?"
"È strano. Non succede di solito. È capitato solo qualche volta. Ma era per la debolezza perchè non mangiavo. Non so come sia potuto succedere. Avevo mangiato anche la cioccolata." Lo vidi seguire il mio discorso, ma lui non riusciva a capire. Cercava di mettere insieme i pezzi ma non ci arrivava mai. Non riusciva mai a raggiungere la verità. Forse era giusto che sapesse. Anche se era difficile per me parlarne. "Tu non sai perchè sono andata in Francia vero?"
"Non credo di saperlo, no." Mi studiò con attenzione e ascoltò attentamente.
"Avevo 15 anni quando a mio nonno fu diagnosticato un cancro. Mio nonno era la persona a cui ero più profondamente legata. E l'ho visto lottare, per sette mesi, ha cercato con tutte le sue forze di vincere la guerra più difficile della sua vita, ma ha perso. L'ho visto andare via piano piano. La malattia lo consumava e io mi consumavo insieme a lui. Io l'ho visto, in coma, gli ultimi giorni, e come una povera scema continuavo a parlargli. A volte lo chiamavo anche. Speravo che si svegliasse, ma non lo ha fatto più. Uscii distrutta da quella storia. Ma mi rialzai piano piano. Impiegai un anno per riprendermi." Raccontai ciò che avevo vissuto guardando il soffitto e cercando di rivivere il meno possibile quegli eventi.
"Quasi un anno dopo, pensavo di essermi ripresa, di stare bene, e invece non era proprio così. Ma non lo accettavo. Continuavo a vivere come se niente fosse. Qualcuno dice che reprimevo le mie emozioni e, non lo ho mai ammesso, era vero. Cercavo di ignorare tutto, di essere apatica per non provare nulla, ma poi raggiungevo il culmine e scoppiavo in crisi di nervi. Questo è fondamentalmente il male minore, perchè i nervi si calmano. Il problema è quando sopraggiunge il panico. Il primo attacco lo ho avuto dopo l'infarto di mio zio. Ne avevo perso un altro. Piangevo tutti i giorni. Non riuscivo a dormire. Tutt'ora ho problemi ad addormentarmi. E poi arrivavano quei momenti, in cui si annebbiava tutto. Sentivo solo paura. Una paura tremenda. Il panico. Non riesco a respirare, ho il battito accelerato. È una delle sensazioni più brutte che io abbia mai provato."
"Alla fine di quell'anno ho vinto una borsa di studio e ho deciso di lasciarmi il passato alle spalle, per vivere un'altra vita. Seppur finta. Sono andata a Parigi. I primi mesi furono bellissimi, perchè lì ero diversa, non ero Abigail Johnson, con un passato, ero solo Abigail. Ma poi la paura tornò più viva che mai perchè uno dei miei amici si ammalò. Leucemia acuta. Fui l'unica ad accorgermene, pensa un po'. Lo vedevo dimagrire, allontanarsi spesso, e poi riconobbi le pillole per attenuare gli effetti della chemioterapia. Lo andai a trovare un giorno, gli feci intendere che sapevo del suo problema. Gli rimasi sempre vicino. Non lo lasciavo mai. Mai. Stava sempre peggio ma io continuavo a dirgli che sarebbe guarito, che un giorno ci avrebbe riso su insieme ai suoi figli."
Mi si spezzò la voce e mi fermai un secondo per riprendermi. Shawn mi prese la mano ma io la tirai via. Volevo far finta di essere sola o non avrei finito mai di raccontare.
"Lui mi faceva notare di essere dimagrita e io scherzando gli dicevo di averlo preso a modello. Gli dicevo di volergli somigliare per non lasciarlo solo, così un giorno mi accompagnò a tagliare i capelli. Lo accompagnavo ad ogni seduta di terapia. Intano io mangiavo sempre meno. Ero arrivata al punto di bere solo integratori. Non toccavo cibo. La fame mi era estranea. Gli attacchi di panico erano sempre più frequenti, ovviamente, svenivo piuttosto spesso. Raggiunsero l'apice dopo il giorno in cui ci fu l'operazione per il trapianto di midollo."
Presi tanti respiri profondi per ritrovare la calma.
"Ma non servì comunque a nulla. Il mio terapista mi disse che probabilmente restare a Parigi non mi avrebbe fatto molto bene. Che forse era meglio andare via. Io gli diedi ragione. Ed eccomi qui. Louis sostiene che io debba continuare con la terapia, ma io non voglio. Ne ho paura. Di tutto ciò ne è a conoscenza solo lui. E adesso anche tu. Devi solo fare una cosa ora, non dire che ti dispiace e non parlarne mai più." Finii il mio discorso così, ma volevo dire qualche altra cosa. Mancava un tassello solo.
"Ogni tanto telefono ancora ai genitori di François sai? Gli racconto di cosa mi succede qui a New York, dei miei piani per il college. Dicono che è come se li telefonasse lui. Ogni tanto sognano che sia così. Mi chiedono sempre di non smettere di chiamarli perchè li rendo felici. È una delle poche cose che mi tiene viva. Fare una buona azione." Non ne parlai più, mi sentivo finalmente abbastanza calma da potermi alzare per andare in ospedale. "Portami da Louis. Ti prego." Mi misi seduta e fu la prima volta in quella giornata che ebbi il coraggio di guardare Shawn negli occhi.
Aveva gli occhi rossi di pianto. "Non farti vedere così. Non voglio la tua compassione. Nè che tu stia male per me. Aiutami."
Lui annuì soltanto e mi aiutò ad alzarmi, mi diede un bicchiere d'acqua e finalmente mi accompagnò in ospedale.
Nota dell'autrice
Ho sempre pensato che E Fumo Ancora di Mostro fosse perfetta come colonna sonora per questo capitolo.
Le storie raccontate sono verosimili alla realtà. Sono cose che esistono, che conosco. Dopo questo Chapter 23 questa storia è ancora più mia.
Questo capitolo è dedicato a tutti coloro che soffrono, a tutti coloro che hanno paura come Abigail, a tutti coloro che combattono quei mostri senza pietà. La vita vince sempre sappiatelo, ha un'arma segreta, il ricordo.
Se con questa storia sono riuscita a distrarre, anche se solo per poco, tutte quelle persone che ne hanno bisogno perchè la loro è una realtà difficile, allora avrò raggiunto il mio scopo. Spero di esserci riuscita.
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